giovedì 28 febbraio 2019

Recensione: "La dannazione della Sirena" di Ornella Calcagnile



Titolo: La dannazione della Sirena

Autore: Ornella Calcagnile

Casa editrice: Lettere Animate Editore

Data di pubblicazione: 9 marzo 2015






Per la seconda recensione ho scelto un racconto con atmosfere marine e una svolta inquietante.
Prima di cominciare, due avvertimenti:
1) Questa, come ogni altra recensione, è almeno in parte basata su preferenze e gusti personali. Ciò che io ritengo un elemento di pregio potrebbe essere un difetto agli occhi di qualcun altro, o viceversa.
2) Se preferisci evitare gli spoiler, leggi solo la recensione in breve che trovi all'inizio.



Recensione in breve


Le sirene come non le avete mai viste

Punti di forza: i personaggi credibili, i dialoghi naturali e molto piacevoli da leggere, la scelta non banale dei luoghi in cui è ambientata la storia e la loro descrizione realistica, la costruzione coerente del mondo delle sirene e il modo verosimile in cui si intreccia con il nostro.
Punti di debolezza: la ricerca di uno stile artificialmente raffinato in alcuni punti del racconto, le descrizioni banali del fisico dei personaggi, la brevità che può scoraggiare chi preferisce il formato del romanzo.
Lo consiglierei a... chi è stanco delle dolci sirenette in stile Disney, chi non si spaventa di fronte a qualche dettaglio macabro, chi preferisce i racconti brevi ai romanzi, chi ama riflettere su un dilemma morale anche dopo aver terminato la lettura.

Piume Totali: 🌾🌾🌾🌾🌾🌾🌾🌾 8 su 10


Se vuoi evitare ogni spoiler, questo è l'ultimo avvertimento: fermati qui. Altrimenti prosegui pure, e scopri quali elementi del testo mi sono piaciuti, quali no, e che valutazione (da 0 a 2 piume) ho assegnato a ciascuno di essi.



Stile

La narrazione scorre bene, lo stile è fluido e i refusi si mantengono al minimo, tanto da non disturbare la lettura. I dialoghi sono il vero punto di forza di questo racconto, suonano molto naturali e piacevoli, il tipo di dialogo in cui sembra di sentire la voce dei personaggi. Ho molto gradito i punti in cui proprio il dialogo porta un po' di leggerezza in una vicenda che altrimenti sarebbe fin troppo cupa, dato l'argomento trattato. Le scene di azione si svolgono in modo comprensibile e le informazioni sono ben distribuite nel corso del racconto, giusto quando servono. Se devo cercare qualche difetto, per il mio gusto personale l'autrice usa troppi avverbi che terminano in "-mente", oltre a qualche frase troppo lunga in particolare all'inizio del racconto e alla ricerca in alcuni punti di uno stile artificioso (posso citare, ad esempio, gli "occhi smeraldini", la "pelle lattea" o la "carne antropica") che specialmente in certe descrizioni rovina la leggibilità della storia. A proposito di descrizioni: ottime quelle dei luoghi, molto meno le descrizioni fisiche dei personaggi.

Piume per lo Stile: 🌾🌾



Trama

La storia è divisa in tre parti, tre episodi in sequenza connessi al medesimo tema centrale, il dilemma morale della protagonista. Di solito, quando un racconto è così intrecciato a un tema che si presenta in bella vista, senza tante metafore, c'è sempre il rischio che il tema prenda il sopravvento sulla storia, fino a farla diventare una scusa per l'autore per presentare una propria ideologia. Non è questo il caso: la storia si mantiene sempre in primo piano, e il fatto che si concluda lasciando irrisolto il dilemma morale contribuisce a lasciare a chi legge il compito di trarre le sue conclusioni. Come si comporterà la protagonista quando verrà il suo turno è lasciato alla tua immaginazione. E questo è un buon modo di concludere la storia, non vedo alcun motivo per espanderla in quella direzione. Invece, avrebbe potuto comprendere qualche scena in più relativa al viaggio della protagonista all'inizio, che mi pare un po' troppo riassunto: come si raccomanda spesso, dovrebbe essere più mostrato e meno raccontato.
Delle tre parti, la seconda è più debole delle altre, forse perché è più statica, solo dialogo e riflessione della protagonista con pochissima azione e un numero minore di personaggi. I rimandi a ciò che è accaduto in precedenza, come un personaggio che alla protagonista rammenta un altro già incontrato, servono da legante per le tre parti della storia, nel complesso coerente e sintetica. Le digressioni sono mantenute al minimo e ogni scena è necessaria. Non voglio raccontare nulla della storia, perché è così bella che vale la pena di leggerla senza anticipazioni.

Piume per la Trama: 🌾🌾



Personaggi

Come scrivevo nella sezione dello stile, i dialoghi sono strepitosi e fanno emergere davvero bene il carattere dei personaggi, molto curati e diversi tra loro. Anche quelli che non hanno che qualche battuta sono ben delineati e credibili, ognuno con i propri obiettivi e con un passato alle spalle. O almeno, questa è la sensazione che mi ha dato ogni singolo personaggio presente nel racconto. E sì, ho un mio preferito. In questo caso, potrei dire: purtroppo. Ho amato Florian fin dalle prime righe del suo dialogo, e il fatto che abbia dei piccoli momenti conflittuali con la protagonista, che non sia completamente al suo servizio, lo fa apparire ancora più verosimile. Scrivevo, appunto... purtroppo. Non avendo letto la trama su Amazon (che rivela fin troppo, anche più di quanto scrivo io qui), la fine della prima parte è stata un vero shock per me. Quella scena è stata fin troppo straziante, non me lo aspettavo, ma so che quando ti dispiace così tanto per ciò che accade a un personaggio, chi lo ha scritto ha fatto un ottimo lavoro nel fartelo apparire reale. Il mio secondo preferito è la sorellina buona Sandy, e capisco come proprio questi due siano i personaggi che più mi hanno affascinato: è comprensibile, dato che guardo entrambi attraverso gli occhi della protagonista e narratrice Tide. E data la sua esperienza parziale del mondo umano, che Tide ha frequentato quasi esclusivamente da "esca", si può capire il perché della sua visione superficiale e semplicistica degli ragazzi umani.
L'unico punto dolente per i personaggi è la loro descrizione fisica, che non si discosta molto da certi stereotipi e da parole gia sentite fin troppe volte (Florian alto e prestante con gli occhi smeraldini, Sandy che ha "labbra a cuore", le sirene "di una bellezza sinuosa e conturbante").

Piume per i Personaggi: 🌾🌾



Ambientazione

Il racconto è ambientato per intero nel mondo reale, ma una nota a parte va fatta per l'esistenza delle sirene, l'elemento fantastico che si inserisce nella nostra realtà. La vicenda si svolge tra la costa francese, per la precisione in un paesino vicino a Marsiglia, la grotta di una piccola isola che è poco più di uno scoglio in un punto imprecisato dell'oceano, e il pontile e la spiaggia di Santa Monica. L'ambientazione all'estero, che generalmente mi farebbe storcere un po' il naso in un'autrice italiana, è pienamente giustificata dalla natura della protagonista, e la scelta dei luoghi è interessante e non banale. La grotta Cosquer e Vallon des Auffes, nella prima parte, sono descritti molto bene, tanto che le parole dell'autrice mi hanno spinto a fare una ricerca per saperne di più, e nelle foto ho riconosciuto elementi del paesaggio presentati nel racconto. Santa Monica è un po' più nota, ma ci si ritrova in pieno nell'atmosfera del lungomare, con una metafora splendida ("al maledetto molo, una spina nel fianco dell'oceano") che rende appieno l'umore della narratrice.
Il mondo delle sirene viene rivelato a poco a poco, attraverso brevi spiegazioni della protagonista, che messe insieme portano a ricostruire come in un mosaico la biologia, lo stile di vita e una piccola parte del passato di queste creature mitologiche. Le spiegazioni non sono mai troppo pesanti né troppo lunghe, l'autrice non cede alla tentazione di rivelare tutto e subito o di dare più dettagli di quanto necessario. Non ci sono contraddizioni, e allo stesso tempo si ha l'impressione che ci sia ancora tanto che non sappiamo, più di quello che è possibile vedere: due caratteristiche di un'ambientazione fantasy o di un elemento fantastico ben congegnato.

Piume per l'Ambientazione: 🌾🌾



Altro

Non ho molto da segnalare per questa sezione. La copertina è affascinante, ma non mi sembra che ritragga davvero queste sirene. D'altra parte, metterle in copertina avrebbe rovinato la scoperta di quale sia la dannazione che le affligge.

Piume per qualcos'Altro:

lunedì 25 febbraio 2019

La persona comune

Come anticipato giovedì scorso, da oggi inizierò a illustrarti alcuni tipi di personaggio che potresti incontrare tra le pagine di un libro, in un film, sul palco di un teatro o più generalmente in una storia, in qualsiasi modo sia narrata (fumetto, cartone animato, anime, videogioco, poema epico... scegli tu). Naturalmente, senza dimenticare il consueto esercizio che troverai alla fine. Per questo lunedì, voglio cominciare da:

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In un mondo di elfi, orchi, fate, draghi e animali parlanti, la persona comune è quella che non ha poteri magici, né conoscenze o capacità straordinarie; non ha nemmeno titoli, terre o ricchezze. Spesso viene da un'altra realtà, un luogo che conosci e che ti è più familiare, e come te che leggi sta esplorando per la prima volta un universo sconosciuto, dove ogni bizzarria dev'essere spiegata o sperimentata. Come Alice nel Paese delle Meraviglie, o Peter, Susan, Edmund e Lucy a Narnia, oppure Paul, Carrie e Charlie in Pomi d'ottone e manici di scopa, o qualunque altro personaggio viva un'avventura in un mondo diverso da quello di origine, la presenza della persona comune serve allo stesso tempo da guida al lettore, e da elemento di contrasto per realizzare quanto sia incredibile ciò che la circonda. Per questa duplice funzione, non è neppure necessario che le persone comuni siano esseri umani, o che provengano da una dimensione diversa: basta pensare ai quattro Hobbit del Signore degli anelli, che pur facendo parte dello stesso mondo dei loro compagni d'avventura, a causa della vita bucolica e isolata che hanno condotto ne ignorano le caratteristiche e i pericoli, al contrario dei loro accompagnatori umani.

La persona comune è spesso il protagonista di una storia, o almeno il suo punto di vista. Il narratore, come nel caso di Watson nei romanzi di Arthur Conan Doyle. Il protagonista è Sherlock Holmes, ma lo vediamo sempre attraverso lo sguardo del dottor Watson, che non condivide le sue straordinarie capacità deduttive. Talvolta, soprattutto nelle storie che seguono un ampio gruppo di comprimari, la persona comune può non essere il protagonista, ma uno o più membri del gruppo. Mi viene in mente Xander, che in Buffy l'ammazzavampiri è l'unico tra gli amici della protagonista a non acquisire poteri magici né a trasformarsi permanentemente in una creatura soprannaturale. Eppure, nonostante ciò, lui resta a combattere accanto agli altri, ne esce (quasi) illeso e diventa la prova che la magia e la forza sovrumana non sono tutto.

Talvolta la persona comune si rivela essere non così comune come il lettore, lui stesso e il resto dei personaggi tende a credere. Luke Skywalker, all'inizio di Guerre Stellari, è solo il figlio di un contadino come tanti, che non sa molto dell'universo al di là dell'atmosfera del suo pianeta, ed è quindi un ottimo punto di vista da cui partire a esplorarlo. Man mano che la storia si dipana scoprirai assieme a lui che non è così, e che Luke è tutto fuorché comune. Oppure, qualcuno che in un'altra situazione non sarebbe affatto definito "comune", lo diventa rispetto a coloro che lo circondano. Bruce Wayne/Batman, un miliardario che segretamente combatte il crimine, non si direbbe essere una persona comune... per ricredersi, occorre valutarlo nella scala più ampia del mondo in cui si muove, dove la maggior parte dei suoi colleghi eroi, nonché dei criminali che si trova ad affrontare, sono dotati di superpoteri dalla nascita o a causa di un qualche incidente. Un principio simile è alla base di un anime molto popolare in questo periodo, My Hero Academia, il cui protagonista, pur non essendo dotato di un potere come i suoi compagni, desidera ugualmente frequentare una scuola per supereroi e intraprendere quella pericolosa carriera.


Certamente ce ne sono molti altri, ma con questo concludo la rapida carrellata di personaggi che ricoprono il ruolo di Persona comune in letteratura e oltre. Ma aspetta, ti avevo promesso un esercizio, giusto? Sorpresa, da oggi si raddoppia: l'esercizio non sarà più uno, bensì due. Eccoli qui.

Se sei uno scrittore, cerca esempi di persona comune tra i personaggi delle tue storie. Scegline uno, e scrivi un brano riguardante l'esatto momento in cui il tuo personaggio entra in contatto con un mondo, o con un altro personaggio, che non sono altrettanto "ordinari".

Se sei un lettore (o uno spettatore), ripensa alle storie che hai seguito di recente o a quelle che ti piacciono di più o che ricordi meglio: quali e quante persone comuni, che si muovono in contesti straordinari come quelle negli esempi che ti ho citato, riesci a rintracciare? Scrivimi pure nei commenti i personaggi che ti vengono in mente.

sabato 23 febbraio 2019

Quodlibet

Se quella che ho scelto oggi sembra una parola latina... è perché lo è. O meglio, due parole, "quod libet", ovvero "ciò che piace". E spero davvero che ti piaccia scoprire il suo significato.

Quodlibet s.m. inv. 1. st. Nel Medioevo, disputa pubblica i cui argomenti di discussione potevano essere proposti anche dagli ascoltatori. 2. mus. Composizione musicale in cui si mescolano melodie contrastanti o che non hanno alcun legame tra di loro.

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Era da un po' di tempo che non scrivevo un brano su Aglaudi Mirewn e il suo "gemello" mutaforma Mavel. Ma questa strana coppia mi sembrava perfetta per la parola quodlibet, soprattutto pensando di costruire un brano che la contenesse in entrambi i sensi, quello musicale e quello no.


Il Festival della Dissonanza era un evento che richiamava curiosi da ogni angolo di Penterra. Durante i cinque giorni del festival, per le strade di Torris Znar giocolieri, mangiafuoco e danzatrici si esibivano nelle loro migliori interpretazioni di passi falsi e finta incompetenza. Nei palazzi dei nobili, le orchestre suonavano bizzarri quodlibet, accompagnando con arpeggi e stridore di violini i rinfreschi in cui si mescolavano sapori contrastanti per la gioia, o il disappunto, dei palati degli ospiti. Fette di dolci salati, calici di amari aspri e bocconi di carni zuccherine spandevano i loro aromi dalle finestre aperte fin sulla strada dove, assieme alle note, facevano da sottofondo a un quodlibet diverso. La folla era riunita in piazza, sotto al palco dove di solito venivano messi in mostra per le aste animali rari e schiavi mutaforma. Ma nessuno sferragliare di catene né schiocco di frusta si udiva quel giorno: durante il Festival della Dissonanza, simili compravendite erano proibite.
Invece di un banditore, due oratori si affrontavano sul palco. Tra le risate del pubblico, i due cercavano rispettivamente di provare che le mura di Torris Znar fossero state costruite per tenere il resto del mondo fuori, o che servissero a trattenere i suoi cittadini dentro.
Era il momento ideale per fare un giro in città, con le guardie che, per rispettare il tema del festival, abbassavano la guardia e si concedevano qualche bicchiere. Io e Mavel ci aggiravamo in cerca di qualcosa da fare. Fu proprio mentre scansavamo un gruppetto benvestito, che una donna vicino al palco urlò agli oratori di dirle chi tra la moglie del governatore e un mutaforma fosse il più stupido.
Gli oratori si lanciarono nella diatriba. Mavel si toccò la gola a denti stretti.
– So che ne avresti tante da dire, amico mio, se potessi; ma sta' calmo – gli sussurrai, conducendolo via dagli schiamazzi. La gente non lo sapeva, ma quelli come Mavel capivano tutto. Al contrario della moglie del governatore.

giovedì 21 febbraio 2019

Parti dai personaggi

I personaggi sono fondamentali. Prima ancora della situazione e del conflitto, ci sono loro alla base di ogni storia. Perciò, parti dai personaggi.

In precedenza, in questo blog, ho proposto alcuni esercizi come spunto per la creazione dei personaggi, e ne ho analizzato le caratteristiche secondo diversi metodi. Nei prossimi mesi, vorrei andare oltre a questo punto di partenza. Hai mai sentito parlare di archetipi? Se sì, forse ti saranno familiari  termini come "il mentore", "l'antieroe", "l'aiutante magico" o "l'interesse romantico". Altrimenti, avrai almeno la consapevolezza di che cos'è un protagonista, un antagonista o un personaggio secondario. In entrambi i casi, se stai scrivendo la prima bozza della tua storia, il mio consiglio è di non preoccuparti di questi e di altri archetipi. Perché? Perché, sebbene siano presentati dagli addetti ai lavori come i mattoni fondamentali nella costruzione di un racconto, per come la penso io questi sono termini da lettore, non da scrittore.

Per creare personaggi che siano il più possibile unici e verosimili, pensieri come "vorrei scrivere una storia con un antieroe come protagonista", oppure "in questo capitolo ho bisogno di inserire un mentore" secondo me sono controproducenti. Incasellando fin da subito un personaggio in  una determinata categoria corri il rischio di fornirgli le caratteristiche più tipiche di quell'archetipo. E allora il mentore sarà un vecchio dalla lunga barba, l'aiutante magico una fata buona, e così via. Va bene, magari non ricalcherai così platealmente il solco della strada già percorsa, ma solo per il fatto di aver definito fin da subito il ruolo di un personaggio, qualcosa nel suo aspetto o nel suo carattere potrebbe derivare anche involontariamente dalla tua identificazione dell'archetipo a cui appartiene.

Creare un personaggio, invece, dovrebbe essere un po' come incontrare uno sconosciuto. Senza pregiudizi o preconcetti. Conoscerlo, prima di giudicarlo. In seguito, durante la rilettura, puoi riconoscerlo come appartenente a questo o a quel gruppo. Senza negare però le caratteristiche che ne fanno un individuo a sé stante, diverso da altri, perfino da quelli a cui somiglia di più. Magari, anche in netto contrasto con quelli a cui somiglia di più. E allora potresti scoprire che quel bambino nel capitolo tre funge da mentore per l'improvvisato eroe, o che lo spirito maligno evocato dall'antagonista finisce per aiutare il protagonista più di quanto potrebbe fare una fata.

Perfino i termini di protagonista e antagonista, che ancor più degli archetipi sembrano inestricabilmente intrecciati alla storia, sono in realtà frutto di una scelta arbitraria dell'autore. È sua la decisione del personaggio da seguire, quello che diverrà il protagonista della storia. In molti casi potremmo comprendere le motivazioni dell'antagonista e parteggiare per lui, se solo il romanzo fosse stato narrato dal suo punto di vista. È perché il suo pensiero rimane un mistero per chi legge, e perché lo vediamo attraverso gli occhi di qualcuno in contrasto con lui, che non possiamo che identificarlo come "il cattivo della storia". E così tutti gli altri personaggi, anche quelli che appaiono solo per qualche riga, risentono del punto di vista scelto dallo scrittore. È un dato da tenere in considerazione quando si scrive, appunto perché molti personaggi potrebbero apparire diversi da come vengono presentati, se solo fossero loro al centro della storia. E il pensiero che ogni personaggio, anche quello che ha solo un paio di battute, è molto più complesso delle sue parole sulla pagina, potrebbe aiutarti a renderlo più realistico, al di là di ogni ruolo o stereotipo.

Se dunque per come la penso gli archetipi non servono a chi scrive, fino al punto di essere più un ostacolo che un aiuto, potresti chiederti perché ho scelto di esaminarli nel corso dei prossimi mesi. La risposta è che è inevitabile. Come esseri umani, siamo naturalmente portati a "risparmiare energie cognitive" classificando cose e persone in varie categorie. E, quindi, anche i personaggi. Gli archetipi non servono a chi scrive, ma forse una lettura critica dei personaggi che li rappresentano nella letteratura, nei film e nei miei racconti potrebbe dimostrare quanta varietà esiste in ciascuna di quelle categorie. E inoltre, lo faccio perché provare a dare la caccia agli archetipi è divertente.

Perciò che ne dici, ti va di partire con me a caccia di archetipi? L'appuntamento è per lunedì prossimo, e il primo che ho scelto come bersaglio... no, non anticipo nulla. È una sorpresa!

lunedì 18 febbraio 2019

Personaggi, situazione, conflitto

Se mi chiedessi di identificare i tre elementi fondamentali di ogni storia, gli ingredienti senza i quali non ritengo possibile creare un racconto di un qualsiasi genere, la mia scelta cadrebbe di sicuro su questi tre: i personaggi, la situazione, e il conflitto. Queste, secondo la mia opinione, sono le unità di base di una storia.

Come ho già scritto in precedenza, i personaggi non possono assolutamente mancare: senza di loro non esiste storia, ma mera descrizione, un universo statico in cui nulla cambia e si evolve. Cerca di ricordare i libri che hai letto, i film che hai visto, o anche soltanto il racconto di un evento vissuto in prima persona da un amico, e ti renderai conto che esistono sempre dei personaggi che agiscono e interagiscono. Oppure dialogano. O anche, soltanto, osservano e riflettono. È attraverso di loro che sperimentiamo la storia nel suo svolgimento, sono le loro decisioni, i loro pensieri e le loro azioni che "fanno accadere qualcosa". E anche quando non riesci a riconoscere in una storia nessun essere vivente, che sia umano, una creatura di fantasia o un animale, non è detto che i personaggi non ci siano. Pensa alle favole o ai miti in cui gli unici personaggi sono, ad esempio, personificazioni dei monti, del vento, del sole, della pioggia e così via. O anche di concetti astratti come la gentilezza e l'arroganza, la ragione e la passione, l'amore e l'odio. Anche loro sono personaggi, perché le loro azioni, le parole, i pensieri e i desideri che gli vengono attribuiti plasmano la storia in cui si muovono.

I personaggi non esistono da soli, nel vuoto (va bene, una volta ho letto un fumetto in cui due personaggi si ritrovavano senza sapere come in uno spazio bianco privo di qualsiasi cosa... ma anche quella era, a suo modo, una situazione. Ed era solo una situazione di partenza, perché con l'andare del tempo hanno incrociato oggetti e altri personaggi dispersi come loro). I personaggi vivono e si muovono in una situazione ben definita. Che comprende il luogo in cui si dipana la storia, ma non si ferma al solo ambiente fisico. Per situazione intendo l'insieme di regole che fanno del loro mondo ciò che è: leggi, norme sociali, usi e costumi, ma anche le leggi della fisica che possono differire rispetto a quelle che conosciamo, e se è il caso, se esiste nel loro mondo, le regole della magia. Il tipo di creature, vegetazione, clima e strutture architettoniche che è possibile incontrare. Tutto questo fa parte dell'ambientazione della storia, che influenza la situazione specifica in cui si trova il personaggio, il suo "qui e ora" che cambia nel corso della storia: dove si trova, cosa sta facendo, che cosa desidera, che relazione ha con gli altri personaggi.

Come insegnavano qualche anno fa i comici del "Teatro senza conflitto", privata del conflitto una storia lunga pagine e pagine, o centinaia di minuti sullo schermo, si risolve in poche righe e qualche secondo. Dì la verità, quante volte ti è capitato di criticare la scelta avventata di un personaggio, un'azione errata, o il suo silenzio laddove parlare potrebbe risolvere un problema? Eppure, penso che non sia difficile rendersi conto che se avesse agito nel modo più sensato, la storia nemmeno esisterebbe. E non commettere l'errore di credere che per conflitto si intenda solo quello che contrappone due o più personaggi, protagonisti e antagonisti. Il conflitto può esistere persino tra i personaggi e la situazione in cui si trovano, che non è favorevole alla realizzazione di ciò a cui aspirano. O anche all'interno dello stesso personaggio, sotto forma di desideri e bisogni in contrasto tra loro. Oppure di abilità non (ancora) sufficienti alla realizzazione di ciò che bramano, o di un difetto che li ostacola. In qualunque modo si presenti il conflitto e il suo superamento (o meno) è una parte integrante della storia quanto i personaggi e la situazione in cui si trovano. O così, almeno, è come la penso io.

Questo è ciò che ho imparato negli anni come lettrice, spettatrice e scrittrice di storie. Nei prossimi mesi mi soffermerò più in dettaglio, su ciascuno dei tre vertici di questo triangolo ideale, partendo dai personaggi. Ma, per il momento, sono curiosa di scoprire la tua esperienza. Quali sono, per te, gli ingredienti fondamentali di una storia? Cosa non può assolutamente mancare, e cosa è un accessorio secondario? Scrivimi pure nei commenti, non vedo l'ora di leggerti!

sabato 16 febbraio 2019

Panegirico

Questa è una di quelle parole che ha aggiunto a una definizione antica, seria e illustre, una seconda più recente il cui senso è una versione ironica di quella originale. Occorre quindi fare attenzione quando la si usa, perché si rischia di essere fraintesi.

Panegirico [pa-ne-gì-ri-co] s.m. (pl. -ci) 1. Nella letteratura greca e latina, orazione elogiativa o celebrativa in onore di personaggi illustri; in quella cristiana, scritto o discorso in lode di un santo. 2. fig. Apprezzamento altamente positivo, lode incondizionata o eccessiva, esagerata.

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Maizorean Lunandi-Xares, il re degli oratori ampollosi, mi è sembrato fin da subito il personaggio più adatto per illustrare la parola "panegirico". Peccato che ci sia stato un intoppo, e che Kal Tydas gli abbia rubato la scena relegandolo al ruolo di comprimario. Il solito bandito!


Alcuni di noi sono bravi a vivere dopo. Il mio amico Maiz, ad esempio, era fatto apposta per sopravvivere. Un pessimo guerriero, ma l'uomo perfetto per celebrare una vittoria. Io no.
Per me non era stato facile la prima volta, quando credevo che lei fosse morta, ed era quasi impossibile la seconda, quando lo sapevo per certo. Il tempo che ci era stato regalato era solo servito a farmi più male. E odiavo quando chi non l'aveva conosciuta si riempiva la bocca del suo nome. Night Shamyan, l'eroina della battaglia della Dama di Roccia.
Lei non c'era nemmeno arrivata, a quella battaglia.
Maiz mi aveva convinto ad accompagnarlo alla cerimonia con la scusa che avrei avuto una fornitura illimitata di bevande con cui sciacquarmi la bocca mentre raccontavo aneddoti sulla famosa Night e su come avevamo sconfitto i falsi dei. E per un po' era stato divertente: non avevo mai visto tanti Kalaan a sud di Kalaanira. Mi ero goduto lo spettacolo dei miei compaesani che borseggiavano e truffavano allegramente i bravi cittadini della capitale. Mi ero anche infilato in una rissa. Sì, davvero divertente.
Poi, calata la sera, Maiz mi aveva trascinato all'anfiteatro dove mi aveva messo in mostra assieme agli altri sopravvissuti dell'avanguardia, i cosiddetti eroi che si erano infilati nelle grotte alla ricerca della Bestia. E mentre me ne stavo di fronte alla folla curiosa, con più alcol in corpo che sangue, Maiz attaccò a declamare un panegirico infinito sul coraggio e sul sacrificio e sull'onore e sulla bellezza di lady Nightingale che ci aveva ispirato a compiere quell'impresa eroica, a dare perfino la vita in difesa dell'umanità. Lui parlava e parlava e parlava; io, invece, mi chiedevo soltanto se avrei preferito andarmene a vomitare in qualche vicolo, o se non fosse più gratificante prendere a pugni la sua famiglia, quella che non aveva esitato a sacrificare Night ai falsi dei, e che se ne stava a pavoneggiarsi in prima fila come se Maiz, nel suo panegirico, stesse parlando di loro.

giovedì 14 febbraio 2019

Il patto di Proserpina

(racconto ispirato alla Sfida numero 16. Questa volta ho scelto di scrivere la conclusione di una storia d'amore con qualche rivelazione e un equivoco risolto, e al solito, il finale aperto)

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Evangeline stava in piedi, all'inizio del pendio che digradava verso il bosco, con addosso una veste bianca che non era sua. Aveva bruciato ciò che era rimasto dei suoi vestiti e si era lavata via la puzza di zolfo, o così mi aveva detto zia Alice in quel suo modo strano di parlare agli altri mentre sussurrava al suo gatto. Evangeline mi dava le spalle, perciò non mi sentì arrivare, e quando allungai una mano a sfiorarle un braccio rabbrividì e si scostò da me.
Distolsi lo sguardo da lei e fissai il bosco. Il verde delle chiome era già macchiato da tracce bionde dell'autunno ormai prossimo. – Lo capisco, se non vuoi più vedermi. – Avrei voluto che suonasse triste, invece la mia voce sputò quelle parole in tono aspro. – Mi sta bene.
L'avevo messa in pericolo per il semplice fatto che mi aveva conosciuto, che aveva passato del tempo con me. Non potevo permettere che accadesse di nuovo.
Il silenzio prolungato da parte sua mi sembrò così assurdo che dovetti per forza alzare gli occhi. Evangeline mi scrutava con le mani sui fianchi, le labbra strette in un broncio e le guance gonfie. – Ehi, ehi, ehi! – sbottò, protendendosi in avanti. – Non pensarci neanche, signor noiosone! Non ti libererai di me così facilmente!
Mi puntò l'indice contro, poi la vidi alzare gli occhi ai miei capelli e spalancare la bocca in un'espressione sorpresa. Mi resi conto solo allora che avevo perso il controllo. Mi aveva colto alla sprovvista.
Strinsi gli occhi e cercai di placare le mie emozioni. Non provare nulla: mi sembrava innaturale, ma era l'unico modo che avevo per essere sicuro di mostrare al mondo sempre lo stesso volto. Capii di esserci riuscito quando Evangeline si lasciò sfuggire un mugolio deluso. – Ah, ma perché? Mi piacevi biondo. E con i riccioli. Sembravi un cherubino!
– Non scherzare! – la rimproverai, sfuggendo alle sue dita che tentavano di allacciarsi al mio braccio. – Ora lo sai che cosa sono davvero.
Lei fece spallucce. Sembrava che nulla, nemmeno la mia ombra, potesse spegnere il raggio di sole nei suoi occhi. – Vuol dire che d'ora in poi non dovrai più fingere con me. E quando ritornerai, possiamo...
– No. – Il mio fu solo un sibilo basso, ma per un momento riuscii a zittirla. Glielo avevano detto. Le mie zie, o forse mia madre, le avevano rivelato che cosa avevo dovuto fare per portarla via dal mondo di mio padre. Il patto di Proserpina.
Avrei dovuto immaginarlo che non potevo contare sulla loro discrezione. Un soffio d'aria gelida ci sfiorò, scompigliandole i capelli biondi. Mancavano solo tre giorni all'equinozio d'autunno, la data in cui avevo promesso a mio padre di tornare da lui.
– Non fare progetti. Non sai chi o che cosa sarò diventato al mio ritorno. Diavolo, non lo so nemmeno io.
Li avevo visti, gli angeli caduti. Erano magnifici. E terribili. E cangianti, molto più di me. Di fronte a loro, io non ero altro che un pallido riflesso in uno specchio distorto.
Non avevo capito quanto ero diverso finché non ero sceso dalla mia collina e mi ero mescolato alla gente normale. Ma quando avevo camminato tra gli angeli caduti, solo in quel momento avevo capito quanto ancora ero umano al loro confronto.
Tutto ciò stava per finire, poiché mio padre mi voleva per sei mesi al suo fianco per insegnarmi quello che sapeva, per allontanarmi dall'umanità e plasmarmi in... qualcos'altro.
Evangeline ridacchiò, ripetendo divertita: – Diavolo! Il mio, diavolo!
Poi mi si buttò addosso. Non la respinsi, ma nemmeno la abbracciai. Non sapevo che fare. – Dovresti scegliere meglio le tue esclamazioni – proseguì Evangeline. – Certo, non puoi dire "Mio dio!" o "Santo cielo!", ma anche imprecare sull'inferno non è proprio una gran bella scelta.
Sentii le sue dita infilarsi tra le mie, e non solo la lasciai fare, ma le strinsi a mia volta la mano, palmo contro palmo.
– Sai, è per questo che me lo hanno detto – mormorò Evangeline contro il mio petto. – Non ti arrabbiare con loro. Hanno pensato che se avevi qualcuno da cui tornare, a cui pensare, non gli avresti permesso di cambiarti più di tanto. E la penso così anch'io, perciò devi resistere, e tornare da me a primavera tutto intero, ok?
Non risposi. Ma sollevai le nostre mani, e baciai le nostre dita intrecciate. Avevo tre giorni, solo tre giorni prima che la mia vita venisse di nuovo rovesciata come un guanto. E avevo tutta l'intenzione di costruirmi più ricordi umani possibili, per farmi da scudo nei sei mesi in cui avrei attraversato l'inferno.

lunedì 11 febbraio 2019

Una via d'uscita

(racconto ispirato alla Sfida numero 16. Ho scritto il finale della storia di Talon, creando e risolvendo le due questioni in sospeso del pezzo mancante di un meccanismo e del motivo che spinge una folla inferocita. E, come richiedeva il livello difficile dell'esercizio, c'è pure il finale aperto per una nuova, futura avventura!)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


– Ho barricato la porta! – urlai, una volta che mi fui assicurata che la cassa non si sarebbe spostata dall'ingresso del magazzino. Indietreggiai. La porzione di porta che vedevo al di sopra della cassa tremava per i colpi della folla inferocita all'esterno.
Aggirai altre casse polverose e bancali sgangherati fino a raggiungere Talon. Se ne stava accucciato, chino su qualcosa, e mi dava la schiena. Teneva le ali leggermente aperte e ogni tanto un lieve battito le scuoteva, come sempre quando costruiva uno dei suoi marchingegni.
– Spero per te che quella cosa sia una via d'uscita, perché siamo in trappola qui dentro! – borbottai, mentre mi accosciavo al suo fianco.
– Oh, lo è! – annunciò lui, trionfante. Guardai meglio le leve e gli ingranaggi ai nostri piedi, e riconobbi il dispositivo che Talon aveva costruito mesi prima: quello che, a suo dire, apriva il portale tra il nostro mondo e la sua Terra del Vapore. Scossi la testa.
– Ma non funziona. Lo hai detto tu. Abbiamo cercato dappertutto, e non abbiamo mai trovato un frammento di meteorite per riflettere la luce...
Talon sogghignò. La gente, fuori, si stava organizzando per spingere la porta bloccata dalla cassa. Li sentivo parlare, e incitarsi a vicenda, e sentivo i loro colpi ritmati che a poco a poco aprivano uno spiraglio sempre più largo. E Talon sogghignava, come se avesse previsto tutto quello, e la nostra via d'uscita fosse a portata di mano.
– Non dappertutto – mi contraddisse Talon. Sollevò le mani da terra, e con gli artigli della sinistra sganciò una delle ruote dentate che ornavano il braccialetto sul suo polso destro. Me lo mostrò: lì, incastonato tra i raggi della rotellina, c'era il frammento sfaccettato e dai bagliori metallici che mi aveva descritto.
– Disgraziato! – sbottai, assestandogli un colpetto sulla spalla. – Mi hai fatto girare in lungo e in largo, e per tutto il tempo avevi quello che ti serviva con te?
Lo scrutai, accigliata. Talon mi soffiò un sibilò minaccioso, un suono strano da associare al suo volto che pareva quello di un ragazzo normale. – Umana cattiva – bofonchiò poi, mentre si massaggiava il braccio dolorante. Scoppiai a ridere, nonostante il pericolo che incombeva alle nostre spalle. La sua espressione ricalcava esattamente quella del giorno in cui ci eravamo conosciuti.
Mi alzai in piedi. I colpi sulla porta si erano fatti più forti, e più distanziati l'uno dall'altro. Forse là fuori avevano trovato qualcosa da usare come ariete. – Saresti potuto tornare a casa mesi fa, e niente di tutto questo sarebbe mai successo, lo sai, vero? – lo rimproverai, tendendo il braccio in direzione della porta.
Talon sistemò la ruota dentata al suo posto. Non mi guardò nel rispondere in tono contrito. – Lo so. Ma io... io non volevo andare via.
Lo sentii tirare su col naso. Se disse altro, non lo sentii nel fracasso che seguì. Qualcuno da fuori urlava ordini, e la cassa strisciò con uno stridio terribile sul pavimento.
Talon azionò alcune delle leve. Gli ingranaggi del marchingegno di avviarono cigolando. – Ora però non ho scelta. Devo andare. – Talon si alzò in piedi, su quei suoi piedi che parevano zampe d'uccello. Feci per parlare, ma lui mi anticipò. – So che vuoi chiedermi. No, non puoi venire. Il portale è per uno soltanto, e per raggiungerlo devi saper volare.
Quindi spalancò le grandi ali da pipistrello. Ero sul punto di piangere, e non riuscii nemmeno a trovare le parole per salutarlo, col groppo che mi chiudeva la gola. Era sempre così. Non le trovavo mai, le parole. Non ero stata in grado di fermarli, o di farli ragionare, quando i primi avevano iniziato a strattonare Talon fino a spogliarlo del suo travestimento. Ero riuscita solo a scappare assieme a lui.
– Non preoccuparti – mi rassicurò Talon. – A te non faranno del male. Sei un'umana. Sei come loro.
Gli rivolsi un mezzo sorriso. – Non proprio come loro.
Sopra le nostre teste si stava formando il sole verde da cui avevo visto apparire Talon, il giorno in cui lo avevo incontrato. La folla era entrata, li sentivo borbottare dietro le casse, ma esitavano ad avvicinarsi, forse proprio a causa di quel bizzarro fenomeno.
– No, hai ragione. Tu non sei come loro. Tu sei mia amica. – Talon si diede una spinta con le gambe, batté le ali e si sollevò in aria. – Aspetta che lo racconti a casa. Una umana amica di un gremlin. Non ci crederanno mai!
Sentii un accenno di risata prima che Talon sparisse nella luce verde. Poi fu il delirio. La folla impazzita ruggì e corse verso di me, armata di mazze e spranghe, e cominciò ad accanirsi sulla strana macchina da cui scaturiva un raggio verde. – No! No, smettetela, basta! – sentii la mia voce urlare, mentre con le mani avanti tentavo inutilmente di arginare il fiume di violenza. Qualcuno mi spinse contro le casse, sbattei la testa e scivolai a terra.
Quando mi svegliai, ero rimasta da sola nel magazzino. Il marchingegno di Talon era ridotto a un rottame contorto, e io non mi ero mai sentita così sola. Forse era giunta anche per me l'ora di tornare a casa.
Non me la sentivo di prendere il mare da sola, dopo quella botta. Raggiunsi Sabrina, la mia barca, e chiamai la mia famiglia da lì. Me ne stavo tranquilla sottocoperta, quando udii una voce familiare.
– Credo di sapere perché gli umani di qui ce l'avevano con me.
Mi alzai così in fretta che quasi rischiai di battere la testa contro il soffitto basso. No. No, mi dissi, non poteva essere Talon. Lui se n'era andato.
– Mentre non c'ero, mio cugino e i suoi quattro amici sono venuti nella tua terra a cercarmi – disse ancora la voce. – Gli umani della Terra del Vapore lo chiamano Danger, e mi sa tanto che lo hanno incontrato anche i tuoi umani...
Mi affrettai verso le scale del pozzetto, e mi ritrovai faccia a faccia col sorriso di Talon.
– Che ne dici, Rachele... ti va di aiutarmi ad acchiapparli e a riportarli indietro? – mi chiese Talon. Sollevò una mano e fece tintinnare le ruote dentate appese al braccialetto. Tra di loro, ne contai sette con un frammento di meteorite incastonato. Non ci voleva un esperto di matematica per capire che ce n'era una in più rispetto al numero dei gremlin da rimandare a casa, e che questo poteva significare solo una cosa.

sabato 9 febbraio 2019

Offa

In origine, ai tempi dell'antica Roma, questo termine indicava una focaccia a base di farro, usata come offerta sacra agli dei o agli auguri che la usavano per fare una predizione. Come sia passato da questo al significato attuale è facile da comprendere.

Offa [òf-fa] s.f. Compenso, dono o promessa che si fa a qualcuno per acquistarne la benevolenza.

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Tra i personaggi che affollano le mie storie è fin troppo facile trovare qualcuno da associare a questa parola. Potevo scegliere i due tizi dai capelli verdi di Amnesia, o il drago di Anna, o il gruppetto eterogeneo dei Fratelli degli Alberi, o le due sacerdotesse Lyla del Vento e Vesta Custode del Fuoco, oppure la misteriosa Sara dei Sortilegi con la sua capacità di predire la sorte. Ma se mi conosci, saprai già che le soluzioni più ovvie non sono le mie preferite, quindi non ti sorprenderà scoprire che la protagonista di questo brano è la più improbabile tra personaggi a cui offrire un'offa.


Quando si sparse la voce, quando la gente iniziò a fare collegamenti tra le persone scomparse e come queste avevano trattato Nina, una fila di supplicanti giunse a bussare alla sua porta.
Nina non se lo aspettava. Non sapeva come comportarsi. Era stata invisibile durante gli anni della sua infanzia, quando sua madre lavorava dieci ore al giorno e suo padre era fuori casa ad ubriacarsi. In seguito, dopo l'incidente, era stata invisa, offesa o umiliata come se ciò che era successo al quartiere fosse stata una sua colpa. Ma quelli che lo facevano tendevano a non restare in giro. E, a quel punto, la gente aveva capito.
Le famiglie andavano a trovarla in gruppo, recando un'offa per assicurarsi di non essere il bersaglio della polvere gialla. Erano convinti che Nina la controllasse, o che potesse intercedere per loro, dal momento che era credenza comune che la polvere gialla fosse tutto ciò che era rimasto di Dora, la madre di Nina.
I suoi coetanei, che prima non erano mai stati suoi amici, facevano a gara per ottenere la sua attenzione. Si mostravano gentili, le compravano regali, qualcuno si offriva volontario per farle i compiti o passarle le risposte durante una verifica. I ragazzi la corteggiavano nella speranza prima o poi di poter condividere il potere che la gente le aveva attribuito.
Ma le presenze più oscure che si erano affacciate nella vita di Nina erano i visitatori solitari, quelli che arrivavano dopo il crepuscolo, portando la loro offa non per cercare protezione, bensì per assicurarsi il favore di un sicario invisibile, implacabile, e impossibile da rintracciare.
Il padre di Nina aveva cercato di convincerla ad accettare quelle offerte, molto più consistenti di quelle diurne. Ma Nina rifiutava sempre, e questo lo rendeva ogni volta più perplesso e più rabbioso.
Nessuno di loro sapeva quante volte Nina si lavasse le mani dalle tracce di polvere gialla, quanta ne respirasse durante il sonno, né dei miei piani per fare di lei ciò che io non ero potuta diventare.

giovedì 7 febbraio 2019

Vietato avere fretta

Un paio di settimane fa ho scritto la prima recensione su questo blog (se te la sei persa e vuoi leggerla, la trovi qui). In breve, notavo come la fretta di pubblicare dell'autrice sia stata alla base dei numerosi problemi che ho riscontrato in quel romanzo: errori di battitura e di grammatica, una trama poco coerente, personaggi piatti e in alcuni casi niente più che semplici meccanismi narrativi per far progredire la storia e spiegare dettagli importanti al lettore, un'ambientazione che lascia aperti troppi dubbi, con particolari dell'ambiente e dei personaggi che talvolta vengono dimenticati o persi per strada. Essenzialmente, tutti i problemi che ritrovo nei miei primi racconti.

La questione è questa: il primo romanzo, specialmente se scritto in adolescenza, risentirà inevitabilmente dell'inesperienza dell'autore. Della sua tendenza a inserire dettagli autobiografici, a forzare una morale nella storia e a identificarsi nel protagonista. E di quella strana convinzione che, una volta scritta la storia, la parte più lunga e difficile sia finita, e che tutto ciò che resta da fare sia correggere qualche errore che può essere sfuggito. Niente di più sbagliato. La revisione, o editing che dir si voglia, è la parte più lunga e più laboriosa dell'intera faccenda. O almeno, dovrebbe esserlo.

È nel corso della revisione che si scrive davvero la storia. Molto può cambiare, interi capitoli possono essere riscritti o addirittura eliminati. Perché una volta che hai tutto, dall'inizio alla fine, e che te sei separato per un po' di tempo, puoi riprenderla in mano e leggerla come se l'avesse scritta un estraneo, e cercare di capire che cosa ha senso e che cosa no. Capire che cosa funziona e che cosa, pur essendo "fico", no. Capire dove puoi aggiungere un dettaglio che anticipa la soluzione di un problema, in modo che questa non giunga all'improvviso, come calata dal cielo. Non lo sapevi, mentre scrivevi il romanzo, che ti sarebbe servito; ma avendone una visione d'insieme, tutto cambia. Capire che hai trascurato le conseguenze di una scelta di un personaggio, e inserirle laddove serve. Capire che alcuni dettagli di ambientazione, o la battuta di un personaggio che avevi inserito solo perché ti piacevano o per un capriccio, hanno effettivamente un senso se riveli più tardi la connessione tra loro, invece di lasciarli così come sono, fili strappati di una trama ancora grezza.

Lo so che in quest'epoca di comunicazioni istantanee e di viaggi sempre più rapidi, abituati come siamo ad avere tutto ciò che desideriamo al più presto possibile, si è perso un po' il gusto della lentezza, del fare con metodo e pazienza. Ma la verità è questa: scrivere un romanzo, e scriverlo bene, richiede tempo. Richiede più passaggi, più riletture e più correzioni di quante ne puoi immaginare all'inizio. Perciò spendici tutto il tempo che serve, non avere fretta. Sarà tempo speso bene, se puoi assicurarti di non mandare in giro per il mondo una storia grezza con il tuo nome sopra. Hai solo una possibilità di fare una prima buona impressione. Certo, puoi correggerlo in seguito, o scriverne un altro che sia più maturo, migliore. Ma quei primi lettori che non hai conquistato, difficilmente torneranno indietro. Quindi non avere fretta.

A meno che... a meno che tu non sia come me. A meno che tu non ci stia lavorando ormai da troppi anni, con una limatura di seguito all'altra, mai contento, mai soddisfatto. In questo caso, il consiglio che ti do e che mi do è un altro: finisci il dannato romanzo. Finiscilo. Deciditi una buona volta su dove vuoi mettere quell'ultima virgola, e su quale sinonimo usare per quell'ultima parola, e scrivi la parola fine. Non saprai mai se qualcuno amerà la tua storia, e non avrai mai il tempo di scriverne un'altra, se non ti sbrighi a finire il tuo primo romanzo.

lunedì 4 febbraio 2019

Sfida numero 16 - Piuma di Albatro

Ci siamo. Questa è l'ultima di una serie di sfide a difficoltà variabile, facile, intermedio e difficile. Il meccanismo è semplice: ti proporrò tre livelli cumulativi, con istruzioni man mano più complesse e specifiche. A te scegliere se completare il livello più semplice, aggiungere le indicazioni di quello intermedio o seguire tutte le istruzioni per arrivare al livello difficile.

Se hai perso le precedenti sfide e vuoi recuperarle, le trovi qui:
Sfida numero 1 - Piuma di Passero
Sfida numero 2 - Piuma di Merlo
Sfida numero 3 - Piuma di Piccione Viaggiatore
Sfida numero 4 - Piuma di Colibrì
Sfida numero 5 - Piuma di Gabbiano
Sfida numero 6 - Piuma di Pappagallo
Sfida numero 7 - Piuma di Gallo Combattente
Sfida numero 8 - Piuma di Corvo
Sfida numero 9 - Piuma di Fringuello
Sfida numero 10 - Piuma di Falco
Sfida numero 11 - Piuma di Picchio
Sfida numero 12 - Piuma di Pavone
Sfida numero 13 - Piuma di Canarino
Sfida numero 14 - Piuma di Avvoltoio
Sfida numero 15 - Piuma di Inseparabile


Se sei pronto, si comincia con la sfida di oggi!

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.

Sfida numero 16

Siamo alla fine, l'ultima sfida, la conclusione di una storia. Come l'albatro dalle lunghe ali giunge lontano, anche la tua storia ha compiuto un lungo viaggio. Perciò completando questa sfida vincerai una virtuale Piuma di Albatro, di bronzo, d'argento o d'oro a seconda del livello scelto.

Livello facile: scrivi il finale di un'ipotetica storia.
Lo so, è difficile immaginare un finale se non sai nulla di ciò che viene prima. Prova almeno a pensare a un genere, che sia di avventura, romantico, giallo, fantascienza o un qualsiasi altro tra i tuoi preferiti. Di sicuro riuscirai a ricordare il tipo di conclusione a cui arriva questo genere di storie: l'antagonista è sconfitto, la coppia dichiara il reciproco amore, il colpevole viene arrestato, gli eroi ritornano vittoriosi. Con un po' di fantasia, e magari qualche personaggio su cui hai già lavorato, non ti sarà difficile inventare un finale.

Livello intermedio: nel tuo finale, risolvi almeno due questioni in sospeso.
Il finale è il momento in cui tutti i nodi vengono al pettine, in cui i filamenti della trama si uniscono e le domande lasciate lungo la storia come un sentiero di briciole trovano infine una risposta. Il finale è la conclusione, la chiusura di ogni trama aperta in precedenza. Nel finale, che sia lieto o drammatico, c'è sempre un qualche tipo di risoluzione per il protagonista, e spesso anche per qualcuno dei personaggi che lo accompagna. Un oggetto ritrovato, un'informazione errata o un equivoco che vengono svelati e cessano di far danni, un segreto finalmente scoperto, una debolezza superata, una lealtà messa in dubbio che trova conferma sono solo alcuni esempi di questioni in sospeso che puoi risolvere nel tuo finale.

Livello difficile: lascia un ultimo mistero o una rivelazione per un possibile seguito.
Si dice che l'incipit fa vendere un libro, e il finale fa vendere il prossimo... perciò, che ne dici di provare a scrivere un finale aperto, in cui non tutti i problemi sono risolti? Forse l'antagonista era solo il generale di un nemico ben più temibile, un ex si presenta alla porta proprio quando tutto sta andando bene per gli innamorati, il colpevole ha un complice o un imitatore ancora in libertà, l'universo ha una nuova missione in serbo per gli eroi. A te la scelta su quale possibilità aprire nel finale.


Aspetto i tuoi commenti, suggerimenti o il brano che questo nuovo tipo di esercizio ti ha ispirato a scrivere. Come al solito avrai la possibilità, se lo desideri, di mettere sotto i riflettori le tue parole nel post di giovedì della settimana prossima. Riuscirci è semplice: ti basta sorprendermi!

sabato 2 febbraio 2019

Noria

Sembrerebbe il nome di una città incantata, o del personaggio di una maga, o di un intero mondo parallelo. E invece si chiama così un attrezzo della nostra realtà, qualcosa di semplice eppure utilissimo.

Noria [nò-ria] s.f. Macchina costituita di una serie di tazze poste a uguale distanza su un nastro rotante a moto continuo intorno a due pulegge, usata per sollevare acqua, sabbia o altri materiali minuti.

Irrigation Treadmill, di A.Davey, licenza Creative Commons BY 2.0. Immagine ritagliata e modificata con l'aggiunta di scritte.


Trattandosi di una macchina, un'invenzione, ho pensato fin da subito di affidare il brano a un personaggio che potesse averla costruita. Poi mi sono resa conto di non aver mai scritto la storia di un inventore nei miei vecchi racconti. Nei vecchi racconti no, ma fortunatamente, proprio per il blog, ho scritto l'inizio della storia di Talon e Rachele... e lui, si potrebbe più o meno definire un inventore.


Il meccanismo, nella sua semplicità, era ingegnoso. E, cosa ancora più sorprendente, Talon lo aveva costruito un'ora, usando solo ciò che poteva trovare a bordo e il poco che aveva portato qui dal suo mondo. Aveva fissato le scodelle per la colazione e tutti i miei contenitori di plastica a un tubo di gomma, tagliato nel senso della lunghezza e aperto per farne un nastro verde. Non so dove avesse trovato i cerchi di metallo per le pulegge, ma l'asta che le collegava era di sicuro il mio mezzomarinaio. Quanto alla manovella, quella che Talon stava girando per dimostrarmi il funzionamento della sua invenzione, ero sicura di averla già vista sul mio winch. Che era soltanto un nome complicato per il verricello che serve a manovrare le vele, nulla di preoccupante se gli mancava un pezzo, no?
Inarcai un sopracciglio. Avevo anche un altro motivo per fermarlo, oltre al desiderio di riprendermi ciò che mi aveva sottratto. Sapevo che Talon voleva solo rendersi utile, ma il suo aiuto in quel momento stava facendo più male che bene.
– Va bene, va bene, ho, capito, ora basta – gli dissi, nel protendermi ad afferrargli la mano con cui girava la manovella. La noria si fermò, e ogni singola tazza e scodella e ciotola e secchiello colmo d'acqua restò bloccato lungo la strada di gomma verde. Gli indicai la pozzanghera che il suo marchingegno aveva formato ai nostri piedi. – Immagino che non te lo abbia mai detto nessuno che non è quasi mai una buona idea portare d'acqua da fuori la barca a dentro la barca, vero?
Talon mi guardò, accigliato, poi mollò la manovella e mi consegnò la noria. Era stato fin troppo facile convincerlo. Di solito, quando aveva un'idea per un'invenzione, non c'era verso di farlo ragionare. Ricambiai il suo sguardo, lo sguardo di qualcuno che già macinava nuove idee, e mi sembrò di essere come Topolino apprendista stregone: avevo appena trionfato su una singola scopa incantata, e mi aspettavo da un momento all'altro di scoprire di aver soltanto peggiorato le cose.