giovedì 30 marzo 2017

Perché inventare parole?

Forse ti sarà passato per la testa leggendo l'esercizio di lunedì, forse no. Perché inventare parole che non esistono quando la nostra lingua ne ha già così tante di meravigliose, molte delle quali poco usate? Perché invece non tirar fuori dal dimenticatoio alcune di queste ultime?

Io ho più di una risposta. A seconda del tipo di parola inventata a cui ci si riferisce.


Parole che potrebbero appartenere alla lingua in cui si scrive, ma che non esistono nel dizionario

Sono pochi i bambini che non abbiano mai "inventato" una parola, fuso due termini in uno solo o trasformato una forma verbale da irregolare a regolare. I loro primi tentativi di espandere il vocabolario di solito restano confinati agli aneddoti di famiglia, ma talvolta qualcuno trova la via di un libro di strafalcioni di un maestro indiscreto, o diventa estremamente famoso (se hai detto petaloso, sì, pensavo a quello).
Tutte queste parole inventate seguono le stesse regole e costruzione della lingua di origine, e dimostrano come i bambini ne abbiano appreso la struttura.

Tutto bene finché si è piccoli e si può sbagliare in modo creativo.

Ma quando è un adulto a scrivere una o più di queste parole inesistenti in un testo? Significa che, tanto per citarne qualcuno di famoso, sta percorrendo la stessa strada di Lewis Carroll con il suo Jabberwock (tradotto in italiano in vari modi, il più noto dei quali è "Ciciarampa") o di Fosco Maraini con la sua Gnòsi delle Fànfole. Non è un caso che entrambi abbiano usato le loro parole in poesia. La poesia è il mezzo espressivo che più consente di giocare con la musicalità e il ritmo di una lingua, ed è anche quello che permette di offrire al lettore una maggiore libertà di interpretazione. Ecco che, come in un quadro astratto o in una macchia del test di Rorschach, puoi scoprire i tuoi significati nelle loro parole impossibili, leggerle e capirle alla tua maniera, senza bisogno di un dizionario fornito dall'autore.


Parole che potrebbero appartenere a una lingua straniera diversa da quelle note a chi la crea

Ho già scritto altrove che dare a una creatura o a un mondo di fantasia un nome in una lingua straniera esistente (inglese, per la maggior parte degli esordienti italiani) è un controsenso. A meno che non lo si possa giustificare all'interno della storia in qualche modo, sempre meglio "tradurre" il nome estraneo nella nostra lingua, o... lasciarlo così com'è, nella sua "lingua originaria". Che sia elfico, nanico, un idioma alieno o qualunque altro linguaggio la tua fantasia ti abbia suggerito.
Da qui la necessità inventare e inserire nel testo parole nuove, che non somiglino affatto a quelle esistenti nella lingua in cui scrivi.

A seconda di ciò di cui hai bisogno puoi limitarti a creare i nomi di alcuni personaggi venuti da un'altra dimensione, aggiungere di tanto in tanto "parole intraducibili" o esclamazioni nella loro lingua, oppure... costruirla per intero, che sia per un tuo sfizio personale o per la necessità di usare intere frasi in un dialogo. Troppo difficile, possono riuscirci solo Tolkien, Zamenhof e pochi altri?
Non necessariamente. Se sei curioso o interessato a provarci puoi dare un'occhiata a questo Kit di Costruzione dei Linguaggi e scoprire che quel vizio segreto... non è poi così segreto quanto pensi.

lunedì 27 marzo 2017

Una sola parola... inventata

A volte la parola che ti offre l'idea per una storia non è italiana. A volte non è neanche una parola che si può trovare in un comune dizionario. A volte è una parola inventata, una sequenza di lettere più o meno arbitrarie o studiate a tavolino per definire un'esperienza che ancora non ha un termine preciso che la descriva.

Prendi queste, per esempio, tratte e tradotte da The Dictionary of Obscure Sorrows di John Koenig (tra parentesi, la mia versione della parola in italiano):

 
L'esercizio che ti propongo oggi è questo: scegli una parola tra quelle qui sopra (o lancia un dado per sceglierla) e lasciati ispirare dalla definizione per scrivere un breve brano. Se nessuna di queste ti soddisfa e la lingua inglese non ti è sconosciuta, puoi cercarne un'altra sul sito http://www.dictionaryofobscuresorrows.com/

Ricordati di specificare la parola che ti ha offerto lo spunto per il tuo testo e ora... a te la penna (o la tastiera)! Come per l'esercizio precedente, sceglierò uno tra i brani che troverò nei commenti del blog o della pagina Facebook per presentarlo giovedì della settimana prossima assieme al suo autore.

sabato 25 marzo 2017

Zufolo

Ultima lettera, ultima parola dal dizionario... per questo giro! Ero tentata anche da un'altra, ma credo la terrò per la prossima volta. Per oggi ho scelto una parola che evoca atmosfere musicali e bucoliche.

Zufolo [zù-fo-lo] s.m. 1. mus. Strumento musicale a fiato, costituito da un cilindretto di canna o di legno cavo, con imboccatura a taglio trasversale e alcuni fori che, lasciati aperti o otturati con le dita, modulano le note. 2. estens. Fischietto.

Sika - Prayer Flute, di Darinka Maja, licenza Creative Commons 2.0. Immagine modificata con l'aggiunta di scritte.


Stavolta non è stato facile trovare un'idea per il brano o i personaggi tra i miei appunti che potessero fornirmi uno spunto. Alla fine mi è venuta in mente quella prima frase di dialogo e, complice anche l'immagine qui sopra, da parola nasce parola...


Alcyone scomparve dietro un albero e riapparì dall'altro lato. – Dalle mie parti, quando senti la vibrazione fluida di una melodia di legno nel bosco, la prima cosa a cui pensi è un fauno.
– Dalle mie parti, quando senti il suono di uno zufolo che potrebbe appartenere a un fauno nel bosco, la prima cosa a cui pensi è scappare – ribattei, afferrandola per una manica della camicetta. La vidi mettere il broncio: era chiaro che lei invece sarebbe volentieri corsa incontro a qualunque stranezza avesse trovato lungo il sentiero.
– Ancora ce l'hai con la magia? – mi chiese. Annuii. Alzai gli occhi alle fronde che risuonavano della melodia arcana, cercando di capire da dove provenisse. Se non si sa da dove viene, non si sa qual è la via opposta da imboccare il più speditamente possibile. Mentre prestavo orecchio alle note, un'altra musica si unì alla prima, vicinissima, al mio fianco.
Alcyone stava modulando una melodia stonata su uno zufolo di canna. Glielo strappai di mano, urlando: – Ma che fai, sei impazzita?
– Uffa, Trevis! Stavo solo rispondendo. È una questione di cortesia.
A quel punto, come se la sua "risposta" lo avesse chiamato, si avvicinò a noi un uomo alto, con lunghi capelli bianchi ma il volto privo di rughe. Reggeva con entrambe le mani lo strumento, continuando a suonare a occhi socchiusi.
– Visto? Non è un fauno – mi disse Alcyone. Tirai un sospiro di sollievo, ma la mia ritrovata tranquillità durò poco: durò finché una torma di ratti non ci sciamò attorno squittendo, un fiume senza fine di piccoli corpi pelosi con occhietti neri e dentini aguzzi che proveniva da dietro il suonatore.
– Non mi dire. Il pifferaio magico – brontolai, rivolto ad Alcyone.
– Eh già – costatò lei, osservando la marea di ratti che già ci circondava. Sollevò la gonna rossa per evitare che la mordicchiassero, ma nel complesso sembrava molto più incuriosita dalla situazione che preoccupata.
– Avrei quasi preferito un fauno – mugugnai invece io, stringendomi a lei. – Odio la magia!

giovedì 23 marzo 2017

Verso il grigio - P.F. Grazioli

Oggi mi riposo e lascio la Piuma a un collega che si è messo in gioco con l'esercizio proposto lunedì della settimana scorsa. Si tratta di P.F. Grazioli. Prima di tutto, una breve presentazione:

Buona sera a tutti, mi chiamo Pier Francesco Grazioli e sono uno scrittore horror esordiente. Ho iniziato a scrivere racconti horror nel 2007, che poi , dietro consiglio di un mio amico, ho pubblicato sul suo giornale. (www.perugiafreepress.com) con il quale collaboro tuttora come scrittore. Tredici dei racconti pubblicati su free-press, li ho riuniti in un libro dal titolo: "LABIRINTO GOTICO" pubblicato nel 2013, disponibile anche in lingua inglese (GHOTIC LABYRINTH). La mia seconda fatica letteraria è una vicenda ambientata nell'Inghilterra Vittoriana, dove l'atmosfera horror si fonde con l'umorismo del "Circolo Pickwick" dando vita ad una vera e propria commedia in nero dal titolo: "L'ORO DI CARONTE". Tutti e due i libri sono editi dalla casa editrice Mnamon ( www.Mnamon.it) e sono disponibili sia in versione ebook che cartacea.

Se ti ha incuriosito e vuoi saperne di più, questa è la sua pagina facebook.

E ora senza altro indugio ti presento il brano che ha improvvisato per l'esercizio, come avrai capito ispirandosi alla parola "grigio".

Non ricordo da quanto io stia camminando... la "grigia" coltre comparsa all'improvviso avvolge tutto, trasformando il viale in un grottesco fiume nebuloso, timidamente rischiarato dalle tremule fiammelle dei lampioni a gas rese simili a fuochi fatui. Silenti statue di pietra si ergono da quel mare grigio, così severe e maestose nella loro immortalità mentre timide luci disegnano ombre su di esse... fantasmi? Non importa, la grigia coltre si apre davanti ai miei passi, rivelando una lapide consunta con un nome sopra. Ora ho capito...

lunedì 20 marzo 2017

Oceano Blu

(racconto ispirato dall'esercizio Una sola parola che ho usato per esplorare il passato di un personaggio)

Blu mare, blu cielo stellato al crepuscolo, blu inchiostro di biro, blu petalo d’iris, blu zaffiro scintillante. Blu. Oceano Blu. Il mio nome. Pelleblu mi chiamavano i bambini a scuola, Puffo, mostro, scherzo della natura, Arianna li inseguiva e li minacciava con gli insulti che aveva imparato dai ragazzi delle medie. Mi ha sempre difeso, mia sorella. E la mamma mi ha regalato una scatola di matite tutte azzurre e blu il primo anno che ho passato con loro, il mio compleanno in mancanza di altra data. “Per disegnare tutti quanti blu”, mi ha detto. Mi hanno preso quando nessun altro mi voleva per colpa dei miei colori, pelle blu carta da zucchero, occhi turchesi e capelli blu oltremare. Una tinta che non si lava via, non è uno scherzo crudele di un pittore in vena di stranezze, né si spiega pensando che io provenga da altri mondi lontani e diversi. Blu pianeta blu, è questa la mia terra, mamma mi ha portato a fare ogni possibile analisi da alcuni medici suoi amici fidati, con discrezione, sperando di aiutarmi a ritrovare la mia famiglia. Il risultato? Una famiglia adesso ce l’ho, e sono umana dentro e fuori, a parte il blu.

sabato 18 marzo 2017

Vessare

Era da tanto che cercavo un altro verbo, e finalmente eccolo qui!

Vessare [ves-sà-re] v.tr. Maltrattare, opprimere, tormentare qualcuno.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Questo è un verbo abbastanza generico da adattarsi a molte situazioni, ma a me ne è venuta in mente una in particolare.


– E ora... l'acqua lustrale serve a purificare la superficie, poscia si dovrà porre colui o colei che si ritiene posseduto davanti allo specchio... – Vivienne alzò gli occhi dal libro, intinse il panno nel liquido e lo passò sul suo riflesso. Le volute dell'incenso le avvolsero la manica della camicetta e quando ritirò il braccio il miasma speziato raggiunse le sue narici. Vivienne tossì e si chinò sulle pagine. – Non so nemmeno perché lo faccio.
– Cosa?
– Tutto questo. Dio, mi sento così stupida. – Vivienne aggrottò la fronte, cercando di decifrare la calligrafia disordinata di quel tomo muffito. – La magia esiste solo nei libri. Non succederà niente, già lo so.
– Se lo avessi fatto da sola, no. Non sarebbe successo nulla. Ma fortunatamente, tu hai me.
Vivienne alzò gli occhi e si girò verso lo specchio. Quella che la fissava non era la sua immagine, bensì il volto di una donna pallida dai boccoli neri e le labbra rosse che le ricordò la Biancaneve delle favole. Ma il paragone terminava lì, perché Biancaneve non avrebbe mai indossato un abito nero dalla scollatura profonda e un bustino tanto stretto da mettere in evidenza il seno.
Vivienne arrossì e distolse lo sguardo.
– Volevi parlare con me? – chiese la donna nello specchio. Persino la sua voce era sensuale.
Vivienne annuì. – Più che altro, capire che cosa sta succedendo. Sei stata tu a... che cos'hai fatto ieri, perché, rischio di venir licenziata! E Mark... – Vivienne si coprì il volto con le mani. – Mark di sicuro ora mi odia. Perché mi stai vessando, devi andartene!
– Tu accusi me di vessazione. – La voce oltre lo specchio era divertita. – Ma non erano forse quelle scimmiette ignoranti le creature che ti stavano vessando? Mia cara, io le ho soltanto punite per te!
– Si chiamano studenti! – sbottò Vivienne. Sfogliò il libro. – Ora basta. Se non vuoi andartene da sola, troverò io un bell'esorcismo.
– Oh, no. Non sarà così facile liberarti di me. Ho ancora tante belle cose da farti fare...

giovedì 16 marzo 2017

Elenco, nome, personaggio

Ci sono infiniti modi in cui partendo da una parola si può arrivare a costruire un testo. Tre dei miei preferiti sono: creare un elenco, usarla come nome proprio e osservarla dal punto di vista di un personaggio.

  • Elenco: è qualcosa di simile alla tecnica delle mappe mentali che ho usato per ideare i racconti dei mesi scorsi. Solo che invece di mettere al centro una parola per estrarne una serie di termini e da ciascuno di questi una seconda serie e così via, ogni parola dell'elenco è direttamente collegata alla prima "ispiratrice". Questo metodo è utile per chiarirti le idee ed espandere un concetto su cui vuoi lavorare, soprattutto quando è un tema che ti viene dato dall'esterno e non sai da dove cominciare. Una volta ottenuto un elenco, puoi provare ad associare le parole e usarle per creare le prime frasi del tuo testo.
  • Nome: il secondo metodo consiste nell'usare la parola scelta come nome proprio di un personaggio, di un animale o di un luogo. E da lì provare a immaginarlo, aiutandoti magari con qualche domanda: perché si chiama così? Chi gli ha dato quel nome? C'è qualche caratteristica particolare che lo motiva? Il primo racconto che ho scritto in inglese, ad esempio, l'ho ideato con questo metodo. Si intitolava "Serenely", una parola molto musicale che mi ha subito offerto lo spunto per un personaggio, che ho poi inserito in una situazione. Seguendo questa strada inoltre puoi legare il secondo metodo al terzo.
  • Personaggio: questo è un modo molto utile per esplorare la psicologia e i ricordi di un personaggio che ancora non hai approfondito abbastanza. Si tratta soltanto di svolgere l'esercizio nel suo senso letterale, scrivi tutto quello che ti viene in mente se pensi "blu" (o un altro termine di tua scelta), solo che invece di scrivere quello che viene in mente a te, scrivi quello che può venire in mente al tuo personaggio. Ne verrà fuori un flusso di coscienza contenente memorie e impressioni che saranno tanto più efficaci nel definire quel personaggio quanto più la parola scelta sarà significativa per il passato e il carattere che intendi dargli.

Come ho scritto questi sono soltanto tre metodi per svolgere l'esercizio, che può essere fatto anche sotto forma di poesia, di un saggio o di un testo umoristico o in tanti altri modi. Se ora hai le idee più chiare puoi cominciare a scrivere. Io ti raggiungerò lunedì con il mio brano.

P.S. : il testo che mi piacerà di più sarà pubblicato, con il permesso del suo autore o autrice, nome o pseudonimo di sua scelta ed eventuali link a pagine personali, nel post che scriverò tra una settimana. Allora, che aspetti? Scrivi!

lunedì 13 marzo 2017

Una sola parola

Ogni storia inizia da una parola. In questo caso, letteralmente. Una singola parola può dare origine a una storia. Prendi, per esempio, questo esercizio:
 
Scrivi tutto quello che ti viene in mente se pensi "blu".
Immagine/esercizio tratto da Scrivere Creativo sotto licenza Creative Commons 3.0.

Può non essere necessariamente "blu". Può essere "verde", "giallo", "rosso", "nero" o un qualsiasi altro colore o, perché no, una parola che non sia un colore. Purché sia una sola parola.

Ora tocca a te. Scrivi la parola che hai scelto e che cosa ti fa venire in mente.

Se sei in difficoltà, giovedì ti svelerò un segreto su come affronto un esercizio del genere, soprattutto in vista di un vero e proprio racconto.

sabato 11 marzo 2017

Ubiquità

Questo è un termine tanto astratto da rendermi difficile la scelta di un'immagine che lo rappresenti. Quanto alla definizione, si può facilmente riassumere con: ubiquità, io sono qui ma sono anche là.

Ubiquità [u-bi-qui-tà] s.f. inv. Facoltà di essere contemporaneamente presente in luoghi diversi, propria di Dio; anche in senso scherzoso, specie nella locuzione avere il dono dell'ubiquità, essere ovunque.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Per il brano tratto da questo termine ho deciso di riprendere gli improbabili compari di Fugace. Poiché sono quel tipo di personaggi secondari così interessanti e divertenti da meritare una storia tutta per loro, è molto probabile che prima o poi io la scriva.


Per testare il piano avevo scelto una città di confine non distante da Torris Znar. Alcunquerdi andava bene come qualunque altra, ma lì la compagnia e il vino erano migliori.
Al tramonto era tutto fatto e non avevo che da aspettare che mi venissero a prendere. Non attesi a lungo: le guardie erano celeri in certe situazioni, per evitare che la testa che aveva da rotolare fosse la loro.
– Aglaudi Mirewn?
Levai gli occhi dal tavolo da gioco. – Sì?
– Sei in arresto per violazione di domicilio – recitò uno dei due. – E per aver deturpato la villa del governatore con scritte offensive su sua figlia.
– Come... quando? – Mi alzai assieme alla donna al mio fianco. Avevamo fatto le cose per bene: aveva curve provocanti in un abito di seta rossa e un foulard color sabbia le celava la bocca. Ma scommetto che furono le gambe che scivolavano fuori dagli spacchi a rendere difficile la risposta al mio amico.
– Q-questo pomeriggio. Abbiamo un testimone.
– Allora non ero io. Io sono rimasto qui tutto il giorno a bere, giocare a dadi e spassarmela. Se non credete a me o ai testimoni – indicai la ventina di avventori, – potete credere alle registrazioni che l'oste fa di nascosto per smascherare i bari.
L'omone dietro il banco mi guardò storto, poi annuì alle guardie.
– Quindi o io ho il dono dell’ubiquità, o voi avete preso l'uomo sbagliato, come quelli di Torris Znar.
– Curioso che tu la nomini – fece l'altra guardia. – Dicono che tu abbia rubato un mutaforme muto. La tua signora ha perso la lingua?
Era quello più intelligente, ma sperai non lo fosse abbastanza. – Cantaci una canzone, mia cara.
– No. Dimmi il tuo nome – ordinò la guardia.
– Mavel – rispose lei da dietro il foulard. – Mia sabbia. Perché posso essere con un uomo, ma non appartenergli. Mai.
Quella prostituta aveva una voce bellissima. Non avevo mai pagato una donna solo per registrarne la voce, ma ne era valsa la pena.
Ci lasciarono andare. Ero soddisfatto: d’ora in poi, grazie a Mavel, avrei avuto l’alibi perfetto.

giovedì 9 marzo 2017

Da dove nasce un'idea

Da dove nasce un’idea? Quella scintilla che poi divampa in un incendio e si fa storia, da dove viene?

Non esiste una sola risposta, nemmeno per la stessa persona. E spesso non è facile ricordare quale fosse quel primo pensiero, l’anello di una lunga catena che ha dato origine a una trama o a un personaggio.

Fortunatamente ho stilato un elenco delle mie fonti di ispirazione, per quei racconti spontanei che ho scritto all’inizio, prima dei concorsi a tema e degli spunti creativi che ho imparato a sfruttare durante i laboratori di scrittura. Un elenco che comprende per la maggior parte altre storie (film o libri), riflessioni su concetti più o meno astratti (come quei “se” che ho citato in Sfuggenti motivazioni!), e i sogni.

Ma non solo. Con il tempo ho scoperto che bastava una singola parola, magari in una lingua straniera, a dare l’avvio a una sequenza di immagini e quindi a una storia. Quando una sola parola non era sufficiente, mi ispiravo ad una intera frase. Oppure a qualcosa che vedevo: una foto, o dettagli all’apparenza insignificanti come frammenti di ghiaccio che galleggiano in una granita all’amarena, lievi segni geometrici nel cortile di cemento, le volute mutevoli di un fil di fumo da un bastoncino d’incenso.

Una canzone, un viaggio, un incontro. La rilettura in chiave moderna di una figura mitologica. Un sentimento che non potevo raccontare in altro modo, nemmeno a me stessa, se non attraverso una storia di fantasia. Una metafora.

Raccogliendo le fonti di ispirazione per le mie storie, sono riuscita a notare sempre più spesso elementi che potessero suggerirmene altre. In particolare, volendo semplificare e ridurre a quelli riproducibili, potrei dire che nel mio caso una storia può nascere da:

  • Una parola, reale o inventata
  • Una frase/incipit
  • Una immagine (foto, o ciò che vedo di fronte a me)
  • Un suono o una canzone
  • Un profumo, un gusto, una sensazione
  • Un’esperienza vissuta
  • Varianti di altre storie
  • Folclore e mitologia
  • Una domanda
  • Un sogno

Nei prossimi mesi scriverò più in dettaglio di ciascuna di queste, e se vorrai lasciarti ispirare assieme a me, prendi penna e calamaio (o, più semplicemente, una tastiera) e segui le scintille che ti lascerò lungo il cammino. Anche se ti sembra di non essere bravo. Anche se ti sembra che quello che scrivi sia banale.

Chi lo sa da quale fiamma può nascere una stella?

Senza contare che ci sarà da divertirsi, e quando ci si diverte, è sempre tempo ben speso.

lunedì 6 marzo 2017

Invocare la musa

Un tempo i poeti iniziavano le loro immense opere epiche con l'invocazione alla musa:

"Cantami, o Diva, del pelide Achille l'ira funesta..." (Iliade di Omero)
"Narrami, o musa, dell'eroe multiforme che tanto vagò..." (Odissea di Omero)
 "Ora le cause tu, Musa, ricordami: per quale offesa al Nume..." (Eneide di Virgilio)
 "O Musa, tu che di caduchi allori non circondi la fronte in Elicona..." (Gerusalemme liberata di Torquato Tasso)

Oggi chi inizia più un testo invocando un aiuto divino? Eppure una parte di quel pensiero magico sopravvive nell'idea di scrittore. Anche da parte degli scrittori stessi.

Puoi chiamarla musa. Puoi chiamarla ispirazione, creatività, fantasia, immaginazione. Puoi chiamarlo inconscio. Comunque la chiami, è quella parte di te da cui vengono le idee, e come i muscoli per un atleta, può essere allenata a presentarsi sempre più spesso, addirittura "a comando", quando ne hai bisogno. Proprio così, niente più musa capricciosa e sfuggente!

Uno dei metodi che usano gli scrittori affermati è crearsi un rituale per scrivere. Mettersi al lavoro sempre nello stesso ambiente, alla stessa ora, ascoltare una musica di sottofondo, usare la propria "penna fortunata" o un particolare tipo di foglio sono solo alcuni tra i rituali più comuni e banali. Altri invece sono talmente bizzarri da sconfinare in vere e proprie superstizioni o manie.

Creare un'atmosfera, in qualunque modo tu scelga di farlo, se ripetuto nel tempo induce la tua mente a "entrare" in modalità scrittura ogni volta che ti trovi in quell'ambiente, con quegli strumenti di lavoro, circondato dagli stessi profumi e suoni. Allo stesso modo in cui il ricordo di ciò che hai studiato è più forte nell'ambiente di studio, e posare la testa sul cuscino del tuo letto può conciliare il sonno (a meno che tu non soffra d'insonnia. Nel qual caso, è il metodo più sicuro per tenerti sveglio). Funziona in virtù dell'associazione: il cervello è abitudinario, quindi un'azione ripetuta sempre nelle stesse condizioni finirà per essere stimolata da quelle condizioni.

Oltre alla creazione di un rituale da scrittore, per "invocare la musa" possono essere utili alcuni esercizi preparatori alla creazione della storia che intendi mettere su carta. Un esempio sono quelli che ho usato in Metodi, domande e mappe e per buona parte del concorso di cui ho parlato in queste pagine finora: hanno funzionato talmente bene che verso la metà del concorso non ne ho più avuto bisogno per iniziare a scrivere i racconti. Ovviamente ognuno ha il suo metodo, o i suoi metodi; ma se vorrai provarli, posso offrirti alcuni dei miei.

Giovedì te ne parlerò più in dettaglio; nel frattempo, quali sono i rituali o i metodi che usi per i tuoi momenti creativi?
Descrivili nei commenti!

sabato 4 marzo 2017

Tregenda

Per questo sabato ho scelto una parola che evoca atmosfere cupe, magiche e misteriose. Una parola d'altri tempi, un po' antiquata. Una parola che fa rima con leggenda.

Tregenda [tre-gèn-da] s.f. 1. Convegno notturno di streghe e altri spiriti maligni. 2. fig. Notte da tregenda, che minaccia tempesta.

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Per il brano ispirato da questa termine era ovvio che avrei dovuto tirare fuori dai miei appunti un'altra strega, ma meno pacifica della guaritrice in catene di Batrace. E perché limitarsi a una sola?


Non ho paura di voi, seduti là sui vostri scranni. Non mi spaventano i vostri ferri roventi o le vostre corde.

Non vi ho ancora raccontato di come la testa mi fu spiccata dal collo, vero?
Non serve che m'incoraggiate con i vostri metodi: vi dirò tutto.
Accadde sette anni orsono. Mi stavo recando da Pisa a Firenze per assistere al processo di un eretico assieme all'inquisitore Agostino. Come tutti sapete, non giungemmo in tempo all'evento; anzi, non vi giungemmo affatto. Fu nelle campagne di Libbiano, credo, che sorprendemmo nella notte una tregenda di streghe e indemoniati. Ballavano attorno a un noce, alla luce dei fuochi, e alcuni di loro si erano già strappati di dosso le vesti e danzavano in cerchio, nudi, sotto la luna.
L'inquisitore mi fermò e mi disse che dovevamo tornare a riferire l'accaduto al vescovo. Stavo per obbedire, quando la vidi. L'unica creatura pura e innocente in quel consesso: una fanciulla in abiti da contadina, strattonata di qua e di là dagli invasati.
Mi precipitai tra di loro in sella al mio ciuco, ma non la raggiunsi. La folla mi afferrò e mi tirò giù, e assieme all'inquisitore fui portato al cospetto delle streghe: tre vecchie orrende che con l'aiuto del demonio avevano soggiogato il villaggio.
Ci tennero fermi e ridendo ci spalmarono addosso un unguento acre e ci costrinsero a bere una disgustosa pozione.
Poco dopo riuscii a vederli, i diavoli che ballavano con loro, e le tre streghe ritornare giovani e belle. Sapevamo di chi era opera il prodigio, perciò entrambi ci rifiutammo di pronunciare l'empio giuramento che ci veniva richiesto.
Infuriate, le streghe chiamarono un boia incappucciato che brandiva una scure. All'ennesimo rifiuto di Agostino il boia calò su di lui la mannaia. Poi fu il mio turno. Mi staccò la testa dal collo, ma non morii.
Fu la fanciulla che provai a salvare dalla folla. Lei mi tenne in vita e mi riattaccò la testa.
Voi la chiamate magia, e dite che sia una strega. Io lo chiamo miracolo, e quella fanciulla, santa.

giovedì 2 marzo 2017

Colpo di scena

Uno dei racconti di fantascienza più memorabili, seppur nella sua brevità, è "Sentinella" di Fredric Brown. Se lo hai letto o ne hai sentito parlare, immagino saprai quanto sia sconcertante il colpo di scena finale, che ti costringe a riconsiderare l'intero racconto e il suo protagonista, stravolgendo quello che pensavi di sapere o hai dato per scontato.

Un altro maestro dei colpi di scena è il regista M. Night Shyamalan. Il suo film più famoso, "Il sesto senso", è solo una tra le storie che ci ha "raccontato" che al punto di svolta rivela una chiave diversa e sbalorditiva di lettura. Solo allora si spiegano tutta una serie di indizi ambigui che non avevi considerato importanti, che non avevi notato, oppure che nella tua mente stonavano, ma senza riuscire appieno a comprenderne il perché.

Le storie come "Sentinella" si reggono su un semplice meccanismo psicologico: quello che consente al lettore o allo spettatore di proiettare se stesso nelle vicende raccontate, identificandosi con il protagonista e completando con la propria esperienza le informazioni mancanti. Così la voce narrante, se non altrimenti specificato, sarà immaginata come appartenente a un essere umano dello stesso sesso, età, nazionalità e condizione sociale di chi legge, o ascolta la storia (più complesso in un film che con le immagini completa già molte delle informazioni assenti tra le pagine, ma può comunque funzionare nel caso di una informazione fondamentale che viene omessa).

Mi è capitato di essere involontaria testimone di questo meccanismo quando ho letto a un gruppo di amiche la scena del primo incontro tra Neve e l'infero di Diorama, raccontata dal punto di vista di quest'ultimo. Nonostante la presenza di aggettivi e participi passati declinati al maschile, tutte quante erano convinte che la voce narrante appartenesse a una donna! Potere dell'identificazione... funziona anche quando non vorresti.

A volte il colpo di scena è dato dal fatto che, anche non conoscendo il Rasoio di Occam, la spiegazione più semplice, quella più comune o "normale" è quella che viene preferita, dovendo completare una situazione con una informazione mancante. Ed è talmente radicato in noi fare collegamenti, darci spiegazioni, interpretare una vicenda alla luce delle nostre conoscenze, che a volte nemmeno ci accorgiamo che abbiamo soltanto inferito l'informazione implicita. Con il racconto La risposta sfrutto questo meccanismo. Una dichiarazione d'amore, di norma, si fa alla persona a cui è diretta. Da quella persona si attende una risposta. Ed è quella persona che, se tutto va bene, corrisponde l'amore del dichiarante. O no?

Non ho molto da aggiungere per questo racconto. Forse, rileggendolo, avrei potuto concluderlo in modo meno brusco. Ma ho avuto almeno una prova che quel colpo di scena funziona come l'avevo inteso: quando ho scritto, in Sfuggenti motivazioni!

Quando una pagina che funziona per me ha lo stesso valore per qualcun altro, quando riesco a strappare un’esclamazione sorpresa a un’inaspettata svolta della trama, mi sento realizzata.

è a questo racconto che stavo pensando. "La risposta" ha avuto proprio la risposta che cercavo.


Con questo racconto si conclude la mia esperienza con il concorso Blu su bianco. La settimana prossima si volta pagina, si cambia capitolo. Tieniti pronto.
Perché da domani, a intingere la piuma nel calamaio potresti essere tu.