sabato 29 aprile 2017

Egida

Oggi ti presento un'altra parola derivata dalla mitologia, argomento che mi ha sempre appassionato e che spesso entra a far parte delle storie che scrivo. Interessante anche l'origine etimologica del nome, che può derivare sia da "turbine, bufera", che da "pelle caprina".

Egida [è-gi-da] s.f. 1. Mitico scudo di Zeus (o Giove) e di Atena (o Minerva). 2. fig. Protezione, riparo. Patronato.

Shield, di housegirl_photos, licenza Creative Commons BY-SA 2.0. Immagine ritagliata e modificata con l'aggiunta di scritte.


Cercando un modo di mettere nello stesso testo entrambi i significati, letterale e metaforico, mi sono ricordata di una storia in cui c'è un personaggio che ho chiamato Atena. Personaggio che non compare mai, ma la coincidenza è stata sufficiente per farmi tornare in mente quella vicenda e sceglierla per il brano di esempio.


La convivenza sarà più difficile del previsto. Lo penso guardandoli dalla soglia della biblioteca, aggrappata allo stipite per impedirmi di fare qualcosa.
Il mio primo istinto è di difendere le mie figlie. Con ogni mezzo. Anche quando sono indifendibili.
Le maniche del vestito azzurro di Luna pendono sulle sue braccia, le cuciture strappate. Non vedo ferite su di lei, ma lo sento, il turbine di rabbia che la circonda. Ha increspature elettriche e un sapore amaro. Non mi aveva mai disobbedito prima.
Rugiada mi fissa a occhi spalancati, il respiro in affanno. So, senza bisogno che me lo dica, che ha cercato di fermarla.
Guardo i miei nipoti e ricordo a me stessa che sono giovani e che hanno appena perso tutto ciò che conoscevano per andare a vivere con dei perfetti estranei. Chris sorregge la sorella e mordicchia il labbro inferiore. La sua aura è pulita.
Lara stringe il braccio destro e fissa Luna con astio. Difficile che sappia cosa le ha fatto, ma deve averla sentita, la scossa. La circonda un'oscurità simile a nubi in tempesta, che mia figlia tiene al guinzaglio.
– Annullalo – le intimo in un sibilo. Attendo che Luna porga le sue scuse a Lara, le osservo stringersi la mano controvoglia, e l'aura di mia nipote si schiarisce come un cielo terso dopo una bufera.
Prendo dalla libreria una foto dei miei nipoti e la porto alla cassettiera. La poso accanto alle nostre, sotto l'egida appesa alla parete: uno scudo rotondo, percorso da decorazioni serpentine e intrecciate che Atena ha incantato per noi.
– Prendo Chris e Lara sotto la mia egida. Da questo momento in poi in questa casa non sarà fatto loro del male.
Una semplice magia di protezione, ma avrebbe evitato altri incidenti.
Congedo Chris e Lara. Lei lascia la stanza gongolando: non le ho chiesto di scusarsi con mia figlia. Suppongo lo consideri una vittoria. Ma lei non ha passato il segno.
Quando sono usciti, fisso le ragazze. – Una maledizione. Sul serio, Luna? Non ti ho insegnato a stare alla larga da certe cose?

giovedì 27 aprile 2017

Dall'immagine alle parole

Una foto è un istante cristallizzato nel tempo. Un attimo divenuto eterno presente: immutabile e isolato, senza prima né dopo.
Tutto quello che c'è da vedere è davanti ai tuoi occhi, e chiunque guardi l'immagine può farlo alla sua maniera. Scegliere uno sguardo d'insieme, fissarsi su un particolare, spaziare da destra a sinistra o dall'alto in basso.

Un testo, invece, è una sequenza di parole e frasi che vanno necessariamente lette in ordine per comprenderle. Nella trasposizione dall'immagine alle parole, l'autore sceglie su quali dettagli, e in quale ordine, focalizzare lo sguardo del lettore. E grazie all'immaginazione può descrivere il passato e il presente, far riprendere a scorrere il tempo bloccato dalla foto.

Lunedì ti ho lasciato con un esercizio: scegli una foto, osservala e scrivi un breve testo. Ci sono molti modi di svolgerlo, io posso suggerirtene due.
Puoi concentrarti sul contenuto dell'immagine, e avrai una descrizione.
Puoi concentrarti sugli eventi che hanno condotto a quell'immagine (o a quelli successivi), e avrai una storia.


Descrizione

Una descrizione efficace, a mio avviso, è quella che non si limita a elencare oggetti, caratteristiche del paesaggio o delle persone ritratte. Piuttosto, è al servizio di un tema che emerge, mai esplicitamente rivelato, dalla scelta dei dettagli e della loro sequenza. Prendi l'immagine che ho scelto come sfondo per l'esercizio:

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
 

La descrizione sarà estremamente diversa se si sceglie di parlare dell'avventura e dell'eccitazione per un viaggio ancora da fare (la mappa, antica come quella di un esploratore di secoli fa, è stesa di fronte ai miei occhi assieme a un taccuino dalle pagine bianche. Dove andrò? Calo il mio tris di Polaroid. Il Big Ben e l'inconfondibile sagoma di ponte, affascinante nei toni del seppia, come fosse avvolto dalla nebbia: Londra, hai vinto tu) oppure di nostalgia per un viaggio concluso, o che mai si farà (vecchie foto sbiadite di una polaroid senza più rullini, ormai consumate come le memorie di un viaggio/il quadernetto muto, e la matita lunga. Ho appoggiato gli occhiali sulla mappa: non c'è niente da scrivere, né da vedere).
Giusto qualche esempio per dimostrarti come una descrizione non è neutra, ma racconta essa stessa un tema o una storia.


Storia

Se hai scelto di usare l'immagine per raccontare una storia, il mio suggerimento è: cerca un conflitto. Può essere tra due o più personaggi, oppure in uno solo, in una lotta interiore con sé stesso.
Riprendendo l'immagine d'esempio qui sopra, puoi immaginare una coppia che prepara i bagagli, ma ognuno dei due vuole partire per una meta diversa. Oppure, uno dei due vuole viaggiare, l'altro cerca di convincerlo a restare.
Nel caso di un solo personaggio che sta riflettendo, potrebbe essere un giornalista che per lavoro deve spostarsi in luoghi pericolosi, di guerra, ed è sia affascinato che spaventato dall'esperienza che sta per fare. O ancora, deve lasciarsi qualcuno alle spalle, un familiare che ha bisogno di lui, ed è dunque costretto a scegliere tra il dovere e la propria ambizione.

Le possibilità sono infinite, ma laddove c'è un conflitto, c'è sempre una storia da raccontare.

lunedì 24 aprile 2017

Parti da un'immagine

Finora abbiamo visto come iniziare un brano facendoci guidare da una parola o da una frase.

Adesso è tempo di basarsi sui sensi. Di aprire gli occhi, di osservare e immaginare. L'esercizio che ti propongo oggi è questo:

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
 
 
Scegli una foto.

Può essere un tuo scatto, magari il paesaggio di una vacanza o un ritratto di famiglia. Oppure una delle foto liberamente disponibili su Pexel (https://www.pexels.com/). O perché no, quella che trovi in questo post. Ricorda di inserire l'url dell'immagine che hai scelto nel tuo commento assieme al tuo testo.

Osservala.

Presta attenzione ai dettagli. Che cosa rappresentano?
Se ci sono persone, chiediti chi sono, che cosa stanno facendo, che cosa potrebbero dire in quel momento. Loro diventeranno i personaggi del tuo brano.

Scrivi ciò che l'immagine ti ispira.

Prendi la penna o metti mano alla tastiera e scrivi. Semplice, no?


Aspetto il tuo brano nei commenti, ma se non dovesse essere così semplice per te, giovedì ti fornirò altri spunti da cui partire per far scaturire le parole da un'immagine!

sabato 22 aprile 2017

Drusa

Per la Giornata della Terra, ho scelto una parola che viene dalla terra.

Drusa [drù-sa] s.f. miner. Aggruppamento di cristalli su una matrice comune.

Gems VI, di fdecomite, licenza Creative Commons 2.0. Immagine modificata con l'aggiunta di scritte.


C'è una lunga tradizione di cristalli o pietre azzurre nelle storie fantasy, e io non sono da meno. Probabilmente perché il blu ha una frequenza maggiore nello spettro della luce visibile rispetto a rosso e giallo, e dunque l'idea che le pietre azzurre siano magiche ha almeno una parvenza di fondamento pseudo-scientifico. O forse perché il blu è un colore che piace a molti. E dunque, anche a molti scrittori (seppure il mio preferito sia il verde).


La pietra era la cosa più bella che Tàlyos avesse mai visto. Una drusa di venti centimetri, larga circa la metà, su una roccia grigia che un geologo avrebbe saputo identificare meglio di lui. Al di sopra, un'esplosione di cristalli blu proiettati in più direzioni davano vita a città di torri traslucide, miniature di montagne frastagliate e spettacolari raggi di luce bloccati per sempre in forma solida.
– Vedo che hai già conosciuto la nostra creatura! – interloquì il rettore, giunto alle sue spalle. – Il professore non ha voluto dirci dove l'ha trovata, ma sostiene di poterne procurare altre. Non l'avremmo scoperta se non avesse speso tutto ciò che aveva per studiarne il potenziale. Ci lavora da anni, ma solo il mese scorso, per necessità, si è rivolto a noi.
– Potenziale? – Tàlyos raddrizzò la schiena. Il cristallo nella teca era bellissimo, certo, un pezzo da museo. Ma nulla di più ai suoi occhi.
– Quello che stai guardando è il futuro, ragazzo mio! – gracchiò una voce dall'altra stanza.
– Professore, che cosa le ho detto? – fece il rettore, e dall'altra stanza rispose un grugnito.
– Potenziale, dicevo. – Il rettore accompagnò Tàlyos al tavolo dov'erano disposti alcuni frammenti della drusa. Uno era collegato con dei morsetti a un macchinario. – Come fonte di energia pulita e illimitata. Con gli idrocarburi in esaurimento, ogni Accademia del mondo è impegnata nella corsa alla ricerca di un'alternativa. A Varelya stanno effettuando test su maree e ghiaccio. – Il rettore non nascose una punta di sarcasmo. – A sud si dice che siano molto vicini a imbrigliare l'energia del sole. Ma non importa. Noi adesso abbiamo il cristallo, e dunque l'Imperiale Accademia di Calidona arriverà per prima. Allora, pronto a diventare famoso?
Il rettore attese che Tàlyos desse il suo consenso e firmasse tutti i documenti. Solo al termine si rivolse all'uomo nell'altra stanza: – Può venire fuori ora, professore. Glielo avevo detto che le avrei trovato un assistente, se solo non l'avesse vista!

giovedì 20 aprile 2017

Leggere Dante - Tiziano Dall'Omo

Oggi la Piuma ha un altro ospite, Tiziano dall'Omo, che si è messo in gioco sperimentando l'esercizio sugli incipit. La sua scelta è caduta su Dante, l'incipit della Divina Commedia, in particolare dell'Inferno. Un incipit così famoso che non aveva nemmeno bisogno di presentazioni, vero?
Quanto all'autore del brano che stai per leggere, non mi è stato possibile contattarlo. Se legge questo post e lo desidera, può scrivermi sul blog o su Facebook per aggiungere una breve biografia, un commento o il link alle sue opere, blog o pagine. Questo il testo che ha scritto:


"Nel mezzo del cammin di nostra vita..." ma non finì di leggere il secondo verso dell'Inferno che si distrasse guardando la alice calda della lampada. Perdere ogni forma e anche ogni sostanza non è quindi la ragione principale della fine del mio essere corporeo. Ciò che mi preoccupa, ed è strano che qualcosa possa ancora preoccuparmi qui dove sono ora, è la perdita di quel poco di conoscenza che ho avuto. Bisogna dirlo, l'uomo ha conosciuto qualcosa, io almeno ho conosciuto qualcosa ma non mi basta ed è evidente che non basta mai a nessuno; però quello che è grave è che non basta nemmeno agli altri e alla fine tutto quello che noi siamo stati è solo condensato in un insieme di incertezze.
Perché incertezze? Perché sono percezioni mediate anche se non vogliamo dal corpo. Qui però sto lasciando le facoltà del mio corpo, riesco a non sentire quasi più niente.
Speravo che rileggere Dante mi aiutasse, ma è come sempre sempre la stessa cosa.

lunedì 17 aprile 2017

La gattina bianca

(racconto ispirato dall'esercizio Iniziare da un incipit, in corsivo la prima frase dell'incipit di Attraverso lo specchio di Lewis Carroll)

Una cosa era certa: la gattina bianca non c’entrava per nulla. Quel monello aveva fatto di tutto, ma proprio di tutto. Però, la gattina bianca non c’entrava.
– Spiegami ancora una volta – aveva chiesto la maestra.
E lui, indispettito come solo i bambini sanno essere - ma come fanno gli adulti a non capire una cosa così semplice - aveva ripreso in mano i disegni e aveva ricominciato dall’inizio.
– C’è una gattina bianca – aveva detto, mostrando un foglio su cui aveva disegnato sei righe e due punti. Ovvio: della gattina, essendo bianca, si vedevano solo i baffi e gli occhi. Tutto il resto si confondeva nel candore della carta.
E qui sorgeva il primo problema: non riuscendo a vederla, come capire quanto la gattina fosse grande?
Il bambino mostrò alla maestra tutta una serie di disegni di ceste di varie dimensioni.
– Ho provato prima con questa, poi con quest’altra, e anche con questa qua che è grande grande. – L’ultima cesta, infatti, prendeva tutto il foglio.
– Ma anche qui, la gattina non c’entra.
Il secondo problema, infatti, era se la gattina volesse o meno entrare nella cesta. Il bambino provò a spiegarlo alla maestra: era una regola dei gatti fare esattamente il contrario di quello che ci si aspettava facessero. Ma lei non riusciva a capire.
È proprio vero: gli adulti non conoscono i gatti.

sabato 15 aprile 2017

Crisma

Forse non sarà una parola così insolita, ma essendo Pasqua domani, mi pareva appropriata. Solo per questo ha vinto su tante altre che avevano attirato la mia attenzione, e che terrò per i prossimi giri dell'alfabeto.

Crisma [crì-sma] s.m. (pl -mi) 1. lit. Unguento benedetto dal vescovo, usato per l'amministrazione dei sacramenti (battesimo, cresima, ordine, estrema unzione). 2. fig. Approvazione. Con tutti i crismi: rispettando le regole previste.

Dark potion, di fisherkiller, licenza Creative Commons 2.0. Immagine ritagliata e modificata con l'aggiunta di scritte.


Ho provato ad adattare il concetto di unguento benedetto ad uno dei miei universi fantasy. Quello che segue mi sembrava il più adatto, e ha il bonus di offrirmi anche lo spunto per sfruttare l'altro significato del termine.


– Vieni qui, bambina. Portami la giara dell'olio. Quella piccola, laggiù.
Prometeus la indicò con le dita rinsecchire e Vesta si affrettò a trascinare la giara, che per essere piccola era piuttosto pesante, accanto al braciere. Desiderava più di ogni altra cosa avere il crisma del Custode del Fuoco, ora che a causa della sua stranezza non poteva più avere l'approvazione di nessuno, in città. Nemmeno dell'uomo di cui ormai non era più figlia.
Prometeus le passò una boccetta di vetro. – Riempila. Ma fa' attenzione a non versare una singola goccia.
Vesta la sistemò a terra e inclinò la giara finché da essa non colò un rivoletto dorato che si adagiò, spira dopo spira, nell'ampolla. Quando fu piena raddrizzò la giara e restituì la boccetta a Prometeus, che la ghermì e la posò sull'altare.
– Il fuoco è diverso dagli altri elementi. – Lo sguardo del Custode era immerso nella profondità delle fiamme. – Ti hanno insegnato che è cattivo, ma non è così. Ha solo più potere, un potere che nessuno, oltre a noi, può toccare.
Vesta lo affiancò. Nel silenzio del tempio riecheggiò la voce del Grande Fuoco e il vento caldo le investì la pelle. Era una sensazione gradevole, sentirsi rovente e in pace.
La lenta voce di Prometeus la strappò dall'estasi. – Neerea dai tempi antichi ci tramandò il modo di creare il sacro crisma, al fine di impartire la benedizione del fuoco a coloro che non lo possono toccare. Osserva.
Il Custode alzò un braccio, tirò indietro la manica del saio e tuffò le dita nel fuoco. Le fiamme danzarono sulla pelle e mentre bisbigliava la formula gli si arrampicarono addosso in saettanti strie cremisi. Prometeus strinse le dita e ritirò la mano: tratteneva una fiammella, che infilò nella boccetta prima di tapparla col palmo.
All'interno, l'olio non si incendiò com'era solito fare. Piuttosto, la fiamma si sciolse nel liquido, diffondendosi in quell'entità dorata fino ad arrossarla in un carminio scuro. Prometeus sollevò la mano e un fumo aromatico si sprigionò nell'aria.

giovedì 13 aprile 2017

Incipit che funzionano... e altri meno

Nel primissimo post di questo blog, il mio incipit in questa avventura, scrivevo che l'incipit è un invito. Una promessa di ciò che potrai trovare strada facendo. Un buon incipit non ti aiuta a entrare dentro il libro. Un buon incipit fa entrare il libro dentro te.

Purtroppo per chi scrive, non esiste una formula universale per creare un incipit che funziona, come se bastasse risolvere un'equazione matematica, e voilà... o se esiste, ti prego di spiegarmela, che la cosa m'interessa. In mancanza di questa soluzione, non resta che imparare da chi ci ha preceduto e dalle nostre prove ed errori, come in qualsiasi altro campo dell'esperienza umana.

Ricordando comunque che un incipit buono per tutte le stagioni non esiste, che i gusti e le mode cambiano, queste sono alcune delle tipologie di incipit che funzionano.


L'incipit adrenalinico

Era legata con cinghie di cuoio a una stretta branda con il telaio in acciaio. (Stieg Larsson, La ragazza che giocava con il fuoco)

Inizi, e subito ti viene il batticuore. C'è qualcuno in pericolo, ancora non sai chi o perché è ma sai che sta rischiando la vita. E allora vorresti scoprirlo, come diavolo ci è finito in quella situazione.
L'incipit al cardiopalma è uno dei più gettonati di questi tempi, e non è difficile capire il motivo di tanto successo. Emozione. Seppur artificiale. Come un giro sulle montagne russe.

Attenzione però a fare in modo che la posta in gioco, il rischio del personaggio, sia alto e concreto.
Rischiare di spezzarsi un'unghia non è un incipit adrenalinico, ma se scritto bene, potrebbe rientrare nell'umoristico.


L'incipit umoristico

Uno dei luoghi comuni sulle donne, e come tutti i luoghi comuni è in parte vero, è che una donna cerchi un uomo che la faccia ridere. Dei libri si potrebbe dire lo stesso. Un incipit ironico, che faccia, se non proprio ridere, almeno sorridere, quasi sempre è vincente e resta impresso nella memoria. E può essere declinato in infiniti modi. Si può andare dal sottile humor inglese a una comicità surreale e grottesca.

È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie. (Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio)

C'era un ragazzo che si chiamava Eustachio Clarence Scrubb, e se lo meritava. (C.S. Lewis, Il viaggio del veliero)

Attenzione: l'umorismo non può essere usato ai fini dell'incipit e poi dimenticato. Se cominci con un tono spiritoso, fai in modo di portarlo avanti nel seguito della storia.


Il dialogo

"Natale non sarà Natale senza regali", borbottò Jo, stesa sul tappeto. (Louisa May Alcott, Piccole donne)

Il dialogo è un altro tipo di incipit in media res. Più tranquillo dell'adrenalinico, aiuta comunque il lettore a inserirsi nella storia subito, senza inutili preamboli. Il dialogo inoltre è uno dei modi migliori di conoscere i personaggi, i loro diversi caratteri, i modi di fare e i valori, quello che vogliono o che temono. E, se già iniziato o se lascia qualcosa di sottinteso, non detto, solleva domande per rispondere alle quali è necessario proseguire a leggere.

Attenzione: se inizi con un dialogo, fai in modo che sia qualcosa di insolito. Che non sia il dialogo tra due personaggi che si incontrano e si chiedono "Ciao, come stai?" A meno che la risposta di uno dei due non sia sorprendente e inaspettata.


La rivelazione sorprendente

Una prima frase che spiazza, confonde, ti getta di fronte a una rivelazione scioccante. Qualcosa che mai ti saresti aspettato. Da questo punto di partenza può iniziare un'avventura fantastica o una storia surreale se l'autore prosegue su questa linea. Oppure, per un effetto comico, può negare lo straordinario con una spiegazione plausibile.

Al secondo tipo appartiene questo paio di frasi, l'incipit di Achille piè veloce di Stefano Benni:
Prima frase: L'uomo con i libri sottobraccio uscì di casa e il mondo non c'era. (la mia reazione: eeeeeh?)
Seconda frase: Guardò meglio e vide che c'era ancora, ma una fitta nebbia lo nascondeva, forse per salvarlo da qualche pericolo. (la mia reazione: aaaaah!)



Altri tipi di incipit, invece, potrebbero rivelarsi una scelta non tanto azzeccata. Incipit come questi sono di solito un campanello d'allarme. Eccoli qui, in tutto il loro splendore.
N.B.: gli esempi che riguardano la città di Pressappocoqui e il suo cittadino Tizio Caio sono opera mia, creati per l'occasione. Non copiarli, che potrei rivendermeli per qualche romanzo!


Le lunghe descrizioni

Il cielo era nuvoloso sopra la città di Pressappocoqui, grigio come i grigi grattacieli che si allungavano risplendendo di vetrate grigie. Stava quasi per piovere, e siccome si dice che "Piove, governo ladro", forse è il caso che ti spieghi un po' la situazione politica nella città di Pressappocoqui, e visto che ci sono, anche quella socio-economica...

Ammettiamolo. Incipit come Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti (Alessandro Manzoni, I promessi sposi)  potevano funzionare in un'altra epoca, un'epoca meno frenetica e meno bombardata di immagini e notizie della nostra. Un'epoca in cui l'unico altro modo di conoscere il mondo, a parte viaggiare fisicamente, era attraverso i libri. E allora era quasi indispensabile descrivere i luoghi letterari, che fossero reali o soltanto immaginati.
Oggi possiamo perdonare, addirittura apprezzare un simile incipit in un classico di un autore famoso, sapendo l'era di cui è figlio. Da un autore contemporaneo, soprattutto se sconosciuto, ci si aspetta un approccio un po' più moderno.

Eccezione: non ce ne sono. Non che io conosca. Se proprio devi, inizia col descrivere, ma almeno taglia corto. E fai in modo che sia una prospettiva interessante, come ad esempio quella di una persona che guarda il mondo stando a testa in giù.


La presentazione del personaggio

Tizio Caio aveva tot anni, i capelli di colore scuro e gli occhi di colore chiaro, era alto un po' più di tanti altri. Era nato nella città di Pressappocolì, poi si era trasferito a Pressappocoqui, dove aveva studiato... eccetera, eccetera, eccetera.

La "scheda di presentazione" del protagonista o di un altro personaggio, come inizio, è piuttosto debole e rischia di annoiare in proporzione alla sua lunghezza, per più di un motivo. Primo, è statica, non succede niente, e il nostro personaggio se ne sta lì sospeso nel vuoto mentre qualcun altro (o, peggio ancora, lui stesso se in prima persona) lo descrive. Ha il sapore di già visto da tema scolastico e presenta troppe informazioni da ricordare, informazioni che magari saranno importanti più avanti, costringendo l'autore a ripeterle (e quindi, non era meglio cancellarle dall'incipit?) o il lettore a tornare indietro a rileggerle. Inoltre toglie il gusto della sorpresa, dello scoprire a poco a poco il personaggio attraverso piccoli dettagli rivelatori. Decisamente meglio centellinarle all'interno della storia, e lasciare l'incipit per altro.

Eccezione: se proprio hai deciso che per prima cosa vuoi far conoscere il tuo protagonista al lettore, riduci le informazioni al minimo indispensabile, lascia solo quelle collegate al primo evento in cui lo coinvolgi e fai in modo da permettere al lettore ad arrovellarsi su un dettaglio mancante o stonato. Chiamatemi Ismaele  (Herman Melville, Moby Dick) funziona benissimo in questo senso. Due parole, e già puoi cominciare a chiederti il perché di uno pseudonimo, che cosa può essere accaduto da far preferire o costringere questo fantomatico Ismaele a non rivelare il suo nome? Oppure, sempre restando sintetico quanto a dettagli e se il resto della storia è in tono con questo tipo di incipit, presenta il personaggio in chiave umoristica.


Il risveglio

Tizio Caio si svegliò come al solito alle 10.15, si lavò, si vestì, fece colazione con un caffelatte e biscotti e uscì fischiettando per dirigersi al lavoro come faceva tutti i giorni feriali, a meno che non fosse ammalato...

Il risveglio di un personaggio qualunque in un giorno qualunque non è granché interessante. D'accordo, in questi tempi di reality c'è a chi può interessare "spiare" la vita di qualcuno, anche di uno sconosciuto, ma di uno sconosciuto inventato? Non so per quanto riguarda te, ma io cerco in un libro personaggi straordinari, o personaggi normali in situazioni straordinarie. Voglio vederli soffrire, emozionarsi, li voglio alle prese con l'ignoto, scoprirli vacillare di fronte una tentazione, cadere, redimersi e imparare. La routine quotidiana non fa parte di tutto questo, e se ci vogliono pagine e pagine prima che giunga un evento inaspettato a spezzarla, faccio prima a cambiare storia. E a lasciare dormire il signor Tizio Caio, al sicuro nella sua copertina chiusa.

Eccezione: se la tua storia deve per forza iniziare con il protagonista che si sveglia, fa in modo di farlo svegliare in una situazione straordinaria sia per lui che, soprattutto, per chi legge. Forse non si è svegliato nello stesso luogo in cui è andato a dormire, forse non si è svegliato nello stesso tempo, o nella stessa forma. Ti viene in mente qualcosa? A me, questo: Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto immondo. (Franz Kafka, La metamorfosi).


Il sogno

Tizio Caio era inseguito da un mostro gigantesco, correva ormai da ore, gli facevano male le gambe e non c'era una sola grotta in cui nascondersi per miglia e miglia. Ormai esausto, inciampò e il mostro fu su di lui...
Tizio Caio si svegliò nel suo letto al suono della sveglia. Meno male, era stato solo un sogno.

Questo tipo di incipit aggiunge ai problemi del precedente un ulteriore difetto. Ovvero, che illude chi lo legge di trovarsi di fronte a un incipit adrenalinico, in media res, per poi deludere ogni aspettativa che aveva creato. Come se un tuo amico ti proponesse di fare una vacanza avventurosa attorno al mondo, lasciare tutto e partire, viaggiare, toccare luoghi sconosciuti... per poi portarti al centro commerciale, di fronte a un mappamondo in vendita, indicarlo e dire: "toh, ecco il mondo. Giraci attorno".

Eccezione: se come me (eh, in questo sono colpevole) non riesci proprio a trattenerti dall'iniziare con un sogno, fai in modo che quel sogno sia significativo. Che non sia completamente annullato dal risveglio. Che il tuo protagonista sogni il mostro per poi risvegliarsi in piena notte, col mostro accanto al letto. Che il tuo protagonista sogni di morire e che poi per tutta la giornata si guardi alle spalle e trasalisca a ogni rumore, credendolo un sogno premonitore (e magari, che sia proprio la sua paura a farlo avverare...). Insomma, fai in modo che il sogno sia parte integrante della storia, che abbia una qualche influenza in essa, un'influenza che va oltre le prime frasi. Altrimenti tanto vale dimenticarsene, esattamente come potresti fare nella realtà, e toglierlo dalla pagina.


I dubbi esistenziali

Tizio Caio era sconvolto. Non capiva come qualcuno potesse non prenderlo sul serio, con un nome così importante come il suo. Era forse il solo al mondo a provare quella sensazione di smarrimento al mattino, quando si svegliava da un brutto sogno? Era l'unico al mondo a pensarla come lui?

Iniziare con i tormenti interiori di un personaggio ancora ignoto, al contrario di quanto si pensi, non aiuta affatto a sentire il suo tormento, ad entrare in sintonia col suo pensiero, a provare empatia e a mettersi nei suoi panni.
Pensa se uno sconosciuto ti fermasse per strada e cominciasse a raccontarti i suoi guai. Così, di punto in bianco. Quanto vicino ti sentiresti a lui?
Diverso è quanto è un amico a raccontarti le sue sventure. Fai in modo che chi legge diventi amico dei tuoi personaggi. Poi potrai fargli sentire ogni loro dilemma come se fosse il suo.
E per favore, ti prego, niente domande retoriche. Lascia che il lettore si ponga da solo le domande che gli vengono in mente. Non è molto meglio così?

lunedì 10 aprile 2017

Iniziare da un incipit

Finora abbiamo lavorato su una sola parola, esistente o inventata. Adesso è tempo di allargare gli orizzonti. Di espanderli, da una singola parola, a un'intera frase.

L'esercizio che ti propongo oggi inizia da un incipit. E non un incipit qualunque.


Scegli un incipit tratto da un libro famoso. Solo la prima frase, nulla più.
Parti da quella frase per creare un breve testo che sia diverso da quello di origine.

Ricordati di citare il romanzo da cui hai tratto l'incipit e il suo autore. E che tutto il resto sia farina del tuo sacco, o inchiostro della tua penna.

Che aspetti, lasciati ispirare da un incipit... pronto a cominciare?

sabato 8 aprile 2017

Bibliomane

Potevo non mettere in questa sequenza di parole una che riguardasse i libri? No, non potevo! E allora eccola qui.

Bibliomane [bi-bliò-ma-ne] s.m. e f. (pl -ni) 1. iron. Chi ha la mania di raccogliere libri, tenendo solitamente più conto del loro valore estrinseco che di quello intrinseco.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Se hai seguito il blog la protagonista di questo brano sarà un personaggio noto. Questo episodio si colloca prima di quello che ho scritto per la parola "vessare", in ogni caso si possono leggere anche indipendentemente l'uno dall'altro.


Vivienne salì la scala di sinistra, tenendosi al corrimano che seguiva la morbida curva dei gradini. Il rintocco lento dei tacchi sul marmo nero echeggiò cupo nel silenzio del salone. Raggiunto il soppalco, si sporse: le scale si allungavano verso la porta d'ingresso come un paio di corna ricurve. Tra di loro, il piedistallo da cui giorni prima aveva sottratto l'anello la fissava, accusandola muto.
Vivienne si staccò dalla balaustra e si avvicinò alla porta. Era a doppia anta, massiccia e alta quanto quella d'ingresso; ma invece di essere liscio, il legno scuro presentava incisioni e bruciature aggrovigliate. Bussò.
– C'è nessuno?
Studiò i fregi mentre attendeva una risposta. Trasalì quando con la coda dell'occhio le parve di notare alcune di quelle forme mutare in corpi scheletrici dai grandi occhi e le braccia levate; ma quando le fissò, si accorse che erano gli stessi arabeschi astratti di poco prima. Colpa della penombra e della sua immaginazione, si disse.
Non ottenendo risposta spinse la porta, che cedette scricchiolando, e s'infilò nel pertugio. Di fronte ai suoi occhi decine di scaffali stipati di migliaia di libri si allungavano in ogni direzione. Era un labirinto in cui sarebbe stato meraviglioso perdersi.
Vivienne si accostò ai libri e accarezzò le copertine. I dorsi erano consunti o rotti, le pagine ingiallite.
– Libri antichi. Chiunque abiti qui dev'essere un bibliomane – considerò. Un volume rilegato in pelle nera attirò la sua attenzione.
– Della possessione di spiriti e demoni. – Lo sfilò dallo scaffale. – Se ci credessi, direi che fa al caso mio.
Vivienne sfogliò le pagine scritte a mano. Una vocina la apostrofò dal basso.
– Tu! Che ci fai ancora qui? Andiamo, svelta! C'è del lavoro da fare!
Chi aveva parlato era un ometto dal cipiglio severo, barbetta arricciata, quel che pareva un paio di pantaloni di pelliccia e... due piccole corna tra la chioma?
Vivienne gridò e fuggì dalla villa, portando con sé il libro oltre all'anello che era venuta a restituire.

giovedì 6 aprile 2017

Sonder - Storia di una comparsa

(racconto ispirato dall'esercizio Una sola parola... inventata, la parola che ho scelto è Sonder, o Sonderità in italiano. Ho scelto di esplorare il suo opposto e dare voce a chi in una storia non ce l'ha)

Ogni mattina arrivo, mi siedo al mio banco dell’ultima fila e li osservo. Osservo lei che bisbiglia alle amiche. Osservo lui che risponde in modo impeccabile alle domande dei prof. Osservo la schiera di schiene che me lo nascondono durante la ricreazione, ascolto le battute, le risate.
Ma non ho il coraggio di avvicinarmi.
Certe volte penso di essere invisibile. Loro non mi conoscono, non parlano con me, non sanno nemmeno il mio nome. A volte ho l’impressione di non saperlo neanch’io. Di non esistere quando la campanella suona e me ne vado a casa.
Sono solo una comparsa nella loro vita. Una figura sullo sfondo, uguale a tante altre. Facile da ignorare.
Una volta si sono girati entrambi e in quell’unico istante ho avuto come l’impressione che mi cercassero, che si fossero accorti di me. Per un momento ho coltivato l’illusione che mi avrebbero chiamato a far parte della loro storia. Ma no, guardavano quella str… ega di Annamaria, e mi sono sorpreso a invidiarla. Per quanto sia detestabile, almeno il suo nome lo conoscono tutti.
Le vacanze di Pasqua sono passate così rapidamente che neanche me le ricordo. Mi è piaciuto tornare qui a guardare loro, a origliarne i discorsi da lontano, mai partecipe. Mi piaceva.
Una mattina sono spariti. Entrambi, così, di colpo. Non come in un trucco da illusionista, prima ci sono, poi non ci sono più. Quello, almeno, sarebbe stato interessante da vedere. E invece no, sono spariti come in “oggi non vado a scuola”. Senza di loro mi sono sentito ancora più evanescente.
E ho cominciato a pormi domande. Ha un senso il mio starmene qui giorno dopo giorno se loro non ci sono?
Esisto ancora, se la loro storia prosegue altrove?

lunedì 3 aprile 2017

Aneddoche - Da lontano, in silenzio

(racconto ispirato dall'esercizio Una sola parola... inventata, la parola che ho scelto è Anecdoche, o Aneddoche in italiano)

A volte mi pento di essere tornata. Di sera, soprattutto.
Quando il traffico della città riempie le ore del crepuscolo e dentro casa il cicaleccio della televisione cattura lo sguardo di quelli che qui vengono definiti adulti, rimpiango i tramonti in riva al mare e la placida risacca delle onde di cristallo di Elayeraaniél. Non mi mancavano affatto i programmi in cui tutti litigano, si insultano urlando e ripetono ossessivamente la stessa frase decine di volte. Non li ho mai sopportati e tuttora mi danno il voltastomaco, qualunque sia l'argomento. Pensano che quello sia comunicare quando invece è l'esatto opposto. In realtà non stanno facendo altro che cercare di imporre se stessi e le proprie idee, vincere una battaglia verbale, non condividere e spiegare il proprio pensiero.
Non gli interessa niente di chi li ascolta, solo di gridare più forte, o di essere gli ultimi rimasti a farlo.
Penso che sia uno degli spettacoli più patetici che l'umanità possa offrire all'universo, e pur essendo cresciuta qui non riesco a comprendere come vi possa affascinare tanto. Ogni sera, quando le urla nello schermo si fanno insopportabili, fingo di andare in camera mia. Invece scendo le scale del condominio, giù nel cortile interno. A quest'ora non c'è nessuno, e se qualcuno guardasse dalla finestra so fare in modo che non mi veda mentre salgo a bordo della mia Zaesheen e sfreccio verso gli strati più alti dell'atmosfera. Da quassù sono lontana abbastanza da avere una visione più ampia: il profilo della mia bella isola, l'azzurro che la circonda, le coste frastagliate del continente velate a tratti dalle nubi e l'orizzonte chiaro dell'aria, la curva della nostra piccola bolla di vita.
Quassù, lontana da ogni polemica sterile e insensata, nel silenzio rarefatto ritrovo il motivo che mi ha spinto a essere qui e non altrove, nell'altra mia casa. Per il Seleeriewn, il popolo da cui in origine provengo, io sono una Vyserin, che è quanto di più simile a un soldato loro possano avere. Ma loro non hanno bisogno di qualcuno che li protegga. La Terra ignara invece sì.
A volte sento la necessità di allontanarmi da ciò che amo per capire quanto in realtà io ne ho bisogno, anche con tutte le sue chiacchiere inutili. Allora so chi sono e so perché sono tornata a proteggere questo imperfetto gioiello.

sabato 1 aprile 2017

Amaricante

Finito il giro, ricomincio dalla A per la serie di Parole dal Dizionario! E a proposito, se ti piace il brano che ti propongo e ne vuoi leggere altri, ti consiglio di iscriverti al blog lasciando il tuo indirizzo qui accanto nella casella sotto al post della settimana, o se mi stai leggendo dalla pagina Facebook metti il tuo mi piace alla pagina. Shhh, sto preparando una sorpresa, presto arriva!
E ora, la parola di questo sabato.

Amaricante [a-ma-ri-càn-te] agg., s. 1. agg. Di additivo che dà gusto amarognolo a bevande e liquori. 2. s.m. Liquore di gusto amaro.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Di solito con un amaro si finisce, non si comincia. Ma la parola mi piaceva, non l'avevo mai sentita prima, e come già altre volte, sono bastate le prime battute di un dialogo per ricreare a poco a poco nella mia mente tutta la scena. In più, uno dei due personaggi appartiene a una storia su cui sto lavorando adesso, perciò ben venga se questo esercizio mi aiuta a esplorarne il passato.


– Tu sei pazza – mi alzai dal tavolino d'angolo in cui ci eravamo appartati, quello dietro il separé, usato sovente dalle coppie che cercavano un po' di intimità. – Non lo farò, questa storia si è spinta troppo...
– Siediti – mi ordinò Helanna, rigirando tra le dita la boccetta tappata. Mi guardò dal basso quando non le obbedii ma rimasi accanto al tavolo, disposto ad ascoltare. – Non devi avvelenarlo davvero. Basterà che tu glielo faccia credere.
Mi sedetti. Helanna posò la boccetta e seguitò a mormorare, col tono carezzevole di un'amante: – Estratto di Aglaver, è una sostanza amaricante che proviene dal deserto di Elara. Perfettamente innocua per gli esseri umani. Ora, dopo aver brindato con il presidente per la sua rielezione, ti sarà sufficiente tirar fuori la boccetta e ricordargli casualmente come certi veleni abbiano lo sgradevole retrogusto di mandorle amare. Sai com'è paranoico...
– Non funzionerà. Per la sua paranoia, appunto. Credi che non farà assaggiare tutto ciò che mangia o beve a una guardia del corpo, o al cameriere che ha la sventura di servirlo?
– Esistono veleni ad azione lenta. Una volta instillato il sospetto, un po' di palpitazione o di sudore possono essere scambiati per i sintomi di un avvelenamento.
Sbuffai. Aveva ragione: per com'era diventato, sarebbe stato facile farglielo credere. Vedeva nemici ovunque. Ma se lo avessi fatto, ne avrebbe visto uno anche in me. – Sai che se lo faccio, sarà l'ultima cosa che faccio per voi, vero? Non potrete più usarmi per carpire informazioni o influenzarlo. – Colpii con l'indice la boccetta di liquido amaricante, rovesciandola sul tavolo. – Smetterò di essere una pedina utile.
– Ma è qui che viene il bello – Helanna mi rivolse un sorriso astuto. – Se funziona e otterremo la confessione dei suoi crimini, avremo vinto e non dovrai fare più nulla per noi. Se non funziona... non avrai fatto del male a nessuno, e sarà stato soltanto uno scherzo di pessimo gusto.
– Tu sei pazza – ribattei, ricambiando il suo sorriso.