giovedì 13 aprile 2017

Incipit che funzionano... e altri meno

Nel primissimo post di questo blog, il mio incipit in questa avventura, scrivevo che l'incipit è un invito. Una promessa di ciò che potrai trovare strada facendo. Un buon incipit non ti aiuta a entrare dentro il libro. Un buon incipit fa entrare il libro dentro te.

Purtroppo per chi scrive, non esiste una formula universale per creare un incipit che funziona, come se bastasse risolvere un'equazione matematica, e voilà... o se esiste, ti prego di spiegarmela, che la cosa m'interessa. In mancanza di questa soluzione, non resta che imparare da chi ci ha preceduto e dalle nostre prove ed errori, come in qualsiasi altro campo dell'esperienza umana.

Ricordando comunque che un incipit buono per tutte le stagioni non esiste, che i gusti e le mode cambiano, queste sono alcune delle tipologie di incipit che funzionano.


L'incipit adrenalinico

Era legata con cinghie di cuoio a una stretta branda con il telaio in acciaio. (Stieg Larsson, La ragazza che giocava con il fuoco)

Inizi, e subito ti viene il batticuore. C'è qualcuno in pericolo, ancora non sai chi o perché è ma sai che sta rischiando la vita. E allora vorresti scoprirlo, come diavolo ci è finito in quella situazione.
L'incipit al cardiopalma è uno dei più gettonati di questi tempi, e non è difficile capire il motivo di tanto successo. Emozione. Seppur artificiale. Come un giro sulle montagne russe.

Attenzione però a fare in modo che la posta in gioco, il rischio del personaggio, sia alto e concreto.
Rischiare di spezzarsi un'unghia non è un incipit adrenalinico, ma se scritto bene, potrebbe rientrare nell'umoristico.


L'incipit umoristico

Uno dei luoghi comuni sulle donne, e come tutti i luoghi comuni è in parte vero, è che una donna cerchi un uomo che la faccia ridere. Dei libri si potrebbe dire lo stesso. Un incipit ironico, che faccia, se non proprio ridere, almeno sorridere, quasi sempre è vincente e resta impresso nella memoria. E può essere declinato in infiniti modi. Si può andare dal sottile humor inglese a una comicità surreale e grottesca.

È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un solido patrimonio debba essere in cerca di moglie. (Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio)

C'era un ragazzo che si chiamava Eustachio Clarence Scrubb, e se lo meritava. (C.S. Lewis, Il viaggio del veliero)

Attenzione: l'umorismo non può essere usato ai fini dell'incipit e poi dimenticato. Se cominci con un tono spiritoso, fai in modo di portarlo avanti nel seguito della storia.


Il dialogo

"Natale non sarà Natale senza regali", borbottò Jo, stesa sul tappeto. (Louisa May Alcott, Piccole donne)

Il dialogo è un altro tipo di incipit in media res. Più tranquillo dell'adrenalinico, aiuta comunque il lettore a inserirsi nella storia subito, senza inutili preamboli. Il dialogo inoltre è uno dei modi migliori di conoscere i personaggi, i loro diversi caratteri, i modi di fare e i valori, quello che vogliono o che temono. E, se già iniziato o se lascia qualcosa di sottinteso, non detto, solleva domande per rispondere alle quali è necessario proseguire a leggere.

Attenzione: se inizi con un dialogo, fai in modo che sia qualcosa di insolito. Che non sia il dialogo tra due personaggi che si incontrano e si chiedono "Ciao, come stai?" A meno che la risposta di uno dei due non sia sorprendente e inaspettata.


La rivelazione sorprendente

Una prima frase che spiazza, confonde, ti getta di fronte a una rivelazione scioccante. Qualcosa che mai ti saresti aspettato. Da questo punto di partenza può iniziare un'avventura fantastica o una storia surreale se l'autore prosegue su questa linea. Oppure, per un effetto comico, può negare lo straordinario con una spiegazione plausibile.

Al secondo tipo appartiene questo paio di frasi, l'incipit di Achille piè veloce di Stefano Benni:
Prima frase: L'uomo con i libri sottobraccio uscì di casa e il mondo non c'era. (la mia reazione: eeeeeh?)
Seconda frase: Guardò meglio e vide che c'era ancora, ma una fitta nebbia lo nascondeva, forse per salvarlo da qualche pericolo. (la mia reazione: aaaaah!)



Altri tipi di incipit, invece, potrebbero rivelarsi una scelta non tanto azzeccata. Incipit come questi sono di solito un campanello d'allarme. Eccoli qui, in tutto il loro splendore.
N.B.: gli esempi che riguardano la città di Pressappocoqui e il suo cittadino Tizio Caio sono opera mia, creati per l'occasione. Non copiarli, che potrei rivendermeli per qualche romanzo!


Le lunghe descrizioni

Il cielo era nuvoloso sopra la città di Pressappocoqui, grigio come i grigi grattacieli che si allungavano risplendendo di vetrate grigie. Stava quasi per piovere, e siccome si dice che "Piove, governo ladro", forse è il caso che ti spieghi un po' la situazione politica nella città di Pressappocoqui, e visto che ci sono, anche quella socio-economica...

Ammettiamolo. Incipit come Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti (Alessandro Manzoni, I promessi sposi)  potevano funzionare in un'altra epoca, un'epoca meno frenetica e meno bombardata di immagini e notizie della nostra. Un'epoca in cui l'unico altro modo di conoscere il mondo, a parte viaggiare fisicamente, era attraverso i libri. E allora era quasi indispensabile descrivere i luoghi letterari, che fossero reali o soltanto immaginati.
Oggi possiamo perdonare, addirittura apprezzare un simile incipit in un classico di un autore famoso, sapendo l'era di cui è figlio. Da un autore contemporaneo, soprattutto se sconosciuto, ci si aspetta un approccio un po' più moderno.

Eccezione: non ce ne sono. Non che io conosca. Se proprio devi, inizia col descrivere, ma almeno taglia corto. E fai in modo che sia una prospettiva interessante, come ad esempio quella di una persona che guarda il mondo stando a testa in giù.


La presentazione del personaggio

Tizio Caio aveva tot anni, i capelli di colore scuro e gli occhi di colore chiaro, era alto un po' più di tanti altri. Era nato nella città di Pressappocolì, poi si era trasferito a Pressappocoqui, dove aveva studiato... eccetera, eccetera, eccetera.

La "scheda di presentazione" del protagonista o di un altro personaggio, come inizio, è piuttosto debole e rischia di annoiare in proporzione alla sua lunghezza, per più di un motivo. Primo, è statica, non succede niente, e il nostro personaggio se ne sta lì sospeso nel vuoto mentre qualcun altro (o, peggio ancora, lui stesso se in prima persona) lo descrive. Ha il sapore di già visto da tema scolastico e presenta troppe informazioni da ricordare, informazioni che magari saranno importanti più avanti, costringendo l'autore a ripeterle (e quindi, non era meglio cancellarle dall'incipit?) o il lettore a tornare indietro a rileggerle. Inoltre toglie il gusto della sorpresa, dello scoprire a poco a poco il personaggio attraverso piccoli dettagli rivelatori. Decisamente meglio centellinarle all'interno della storia, e lasciare l'incipit per altro.

Eccezione: se proprio hai deciso che per prima cosa vuoi far conoscere il tuo protagonista al lettore, riduci le informazioni al minimo indispensabile, lascia solo quelle collegate al primo evento in cui lo coinvolgi e fai in modo da permettere al lettore ad arrovellarsi su un dettaglio mancante o stonato. Chiamatemi Ismaele  (Herman Melville, Moby Dick) funziona benissimo in questo senso. Due parole, e già puoi cominciare a chiederti il perché di uno pseudonimo, che cosa può essere accaduto da far preferire o costringere questo fantomatico Ismaele a non rivelare il suo nome? Oppure, sempre restando sintetico quanto a dettagli e se il resto della storia è in tono con questo tipo di incipit, presenta il personaggio in chiave umoristica.


Il risveglio

Tizio Caio si svegliò come al solito alle 10.15, si lavò, si vestì, fece colazione con un caffelatte e biscotti e uscì fischiettando per dirigersi al lavoro come faceva tutti i giorni feriali, a meno che non fosse ammalato...

Il risveglio di un personaggio qualunque in un giorno qualunque non è granché interessante. D'accordo, in questi tempi di reality c'è a chi può interessare "spiare" la vita di qualcuno, anche di uno sconosciuto, ma di uno sconosciuto inventato? Non so per quanto riguarda te, ma io cerco in un libro personaggi straordinari, o personaggi normali in situazioni straordinarie. Voglio vederli soffrire, emozionarsi, li voglio alle prese con l'ignoto, scoprirli vacillare di fronte una tentazione, cadere, redimersi e imparare. La routine quotidiana non fa parte di tutto questo, e se ci vogliono pagine e pagine prima che giunga un evento inaspettato a spezzarla, faccio prima a cambiare storia. E a lasciare dormire il signor Tizio Caio, al sicuro nella sua copertina chiusa.

Eccezione: se la tua storia deve per forza iniziare con il protagonista che si sveglia, fa in modo di farlo svegliare in una situazione straordinaria sia per lui che, soprattutto, per chi legge. Forse non si è svegliato nello stesso luogo in cui è andato a dormire, forse non si è svegliato nello stesso tempo, o nella stessa forma. Ti viene in mente qualcosa? A me, questo: Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto immondo. (Franz Kafka, La metamorfosi).


Il sogno

Tizio Caio era inseguito da un mostro gigantesco, correva ormai da ore, gli facevano male le gambe e non c'era una sola grotta in cui nascondersi per miglia e miglia. Ormai esausto, inciampò e il mostro fu su di lui...
Tizio Caio si svegliò nel suo letto al suono della sveglia. Meno male, era stato solo un sogno.

Questo tipo di incipit aggiunge ai problemi del precedente un ulteriore difetto. Ovvero, che illude chi lo legge di trovarsi di fronte a un incipit adrenalinico, in media res, per poi deludere ogni aspettativa che aveva creato. Come se un tuo amico ti proponesse di fare una vacanza avventurosa attorno al mondo, lasciare tutto e partire, viaggiare, toccare luoghi sconosciuti... per poi portarti al centro commerciale, di fronte a un mappamondo in vendita, indicarlo e dire: "toh, ecco il mondo. Giraci attorno".

Eccezione: se come me (eh, in questo sono colpevole) non riesci proprio a trattenerti dall'iniziare con un sogno, fai in modo che quel sogno sia significativo. Che non sia completamente annullato dal risveglio. Che il tuo protagonista sogni il mostro per poi risvegliarsi in piena notte, col mostro accanto al letto. Che il tuo protagonista sogni di morire e che poi per tutta la giornata si guardi alle spalle e trasalisca a ogni rumore, credendolo un sogno premonitore (e magari, che sia proprio la sua paura a farlo avverare...). Insomma, fai in modo che il sogno sia parte integrante della storia, che abbia una qualche influenza in essa, un'influenza che va oltre le prime frasi. Altrimenti tanto vale dimenticarsene, esattamente come potresti fare nella realtà, e toglierlo dalla pagina.


I dubbi esistenziali

Tizio Caio era sconvolto. Non capiva come qualcuno potesse non prenderlo sul serio, con un nome così importante come il suo. Era forse il solo al mondo a provare quella sensazione di smarrimento al mattino, quando si svegliava da un brutto sogno? Era l'unico al mondo a pensarla come lui?

Iniziare con i tormenti interiori di un personaggio ancora ignoto, al contrario di quanto si pensi, non aiuta affatto a sentire il suo tormento, ad entrare in sintonia col suo pensiero, a provare empatia e a mettersi nei suoi panni.
Pensa se uno sconosciuto ti fermasse per strada e cominciasse a raccontarti i suoi guai. Così, di punto in bianco. Quanto vicino ti sentiresti a lui?
Diverso è quanto è un amico a raccontarti le sue sventure. Fai in modo che chi legge diventi amico dei tuoi personaggi. Poi potrai fargli sentire ogni loro dilemma come se fosse il suo.
E per favore, ti prego, niente domande retoriche. Lascia che il lettore si ponga da solo le domande che gli vengono in mente. Non è molto meglio così?

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