sabato 30 luglio 2022

Remora

Remora [rè-mo-ra] s.f. 1. Indugio, impedimento, ritardo. 2. mar. Zona d'acqua tranquilla che si forma a lato o nella scia di una nave.

Etimologia: dal latino remora, "ritardo", composto da re, "addietro", e da mora, "indugio".



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La prima volta è la più difficile.
Nessuno glielo aveva detto, e non aveva alcuna esperienza per poterlo affermare, ma Lamia sapeva che doveva essere così. Con il tempo sarebbe forse diventato più facile, o forse no, ma era quella prima volta l'ostacolo da superare.
Lamia si era preparata per bene. Si era vestita di rosso, perché il rosso le piaceva. Un abito elegante per attirare l'attenzione, come si conveniva a un predatore che gioca d'astuzia. Rimirandosi nello specchio a figura intera della sua camera, sospirò e si disse che persino lei sarebbe caduta nella sua trappola, e per un momento ebbe pietà di una preda che era ancora ipotetica.
Una risata risuonò nella sua mente, seguita da una voce melliflua, la stessa che negli ultimi giorni l'aveva chiamata a versare sangue, a mordere, a nutrirsi.
Stai solo tergiversando, mia cara. Suvvia, non farti troppe remore. Tu sei nata per questo.
Lamia diede le spalle allo specchio. Non sapeva se fidarsi di quello che la voce le diceva. Sapeva solo che tutto era cambiato il giorno in cui aveva tentato di fuggire da Venezia, e mentre guardava la remora a poppa della nave, l'aveva vista tingersi di sangue. E le persone a bordo, l'odore della loro pelle morbida, le vene e le arterie che si ramificavano al di sotto, il battito regolare dei loro cuori ignari, di tutto questo Lamia era diventata consapevole in un istante, come se dentro di lei si fosse sbloccato qualcosa, e da allora non era stata più in grado di ignorarlo.
Aveva provato a resistere. Ma ormai era chiaro che solo la soddisfazione di quel desiderio che si era fatto voce dentro di lei le avrebbe impedito di impazzire.
Seduta al bancone del bar, nel suo abito rosso, Lamia attese. Niente più remore, si disse.
Avrebbe preso il primo che fosse stato tanto sciocco da avvicinarsi a lei.

giovedì 28 luglio 2022

Recensione: "Il grande elenco telefonico della Terra e pianeti limitrofi (Giove escluso)" di Gianluca Neri




Titolo: Il grande elenco telefonico della Terra e pianeti limitrofi (Giove escluso)

Autore: Gianluca Neri

Casa editrice: Rizzoli

Data di pubblicazione: 16 giugno 2010





A qualcuno sono mancate le mie recensioni? Spero di sì, perché oggi, ad anni di distanza dall'ultima (che risale a prima del Covid!) il programma ne prevede finalmente una.
Prima di cominciare, due avvertimenti:
1) Questa, come ogni altra recensione, è almeno in parte basata su preferenze e gusti personali. Ciò che io ritengo un elemento di pregio potrebbe essere un difetto agli occhi di qualcun altro, o viceversa.
2) Se preferisci evitare gli spoiler, leggi solo la recensione in breve che trovi all'inizio.



Recensione in breve


La Guida galattica per gli autostoppisti, ma italiana. E al telefono.

Punti di forza: esilarante, scorrevole, incuriosisce e fa riflettere, è uno di quei libri che avendo il tempo si legge tutto d'un fiato. Personaggi spassosi e originali, così come l'assurdo universo creato man mano dai loro dialoghi. Inoltre, l'ho scritto che il formato eBook è disponibile gratuitamente? E non il falso gratis che presuppone un abbonamento già pagato, ma proprio gratis-gratis!
Punti di debolezza: qualche refuso, per alcuni può sembrare troppo irriverente nel trattare certi argomenti, finale troppo pedante e denso di inforigurgiti. Humor nero, molto particolare, basato su giochi di parole e nonsense che non tutti possono apprezzare. Non è per chi cerca il realismo in una storia.
Lo consiglierei a... chi ha amato la trilogia in cinque parti di Douglas Adams, chi apprezza il genere della parodia fantascientifica in stile "Balle spaziali", chi ha voglia di farsi una sana risata ma non disprezza che un libro sfidi le sue convinzioni e lo conduca, almeno per qualche ora, a guardare il mondo da una prospettiva diversa.

Piume Totali: 🌾🌾🌾🌾🌾🌾🌾🌾🌾 9 su 10


Se vuoi evitare ogni spoiler, questo è l'ultimo avvertimento: fermati qui. Altrimenti prosegui pure, e scopri quali elementi del testo mi sono piaciuti, quali no, e che valutazione (da 0 a 2 piume) ho assegnato a ciascuno di essi.



Stile

Lo ammetto, non avevo notato all'inizio che il romanzo è edito da una delle grandi case editrici famose a livello nazionale, perciò mi ero stupita di non trovare nemmeno un refuso nel testo... perlomeno, nella prima parte del romanzo. Ne salta fuori qualcuno dal capitolo 7, ma sono così rari da non infastidire nella lettura. Solo verso il finale cominciano a diventare un po' più frequenti, ma si capisce che sono dovuti a fretta o distrazione e non a ignoranza. Da una casa editrice "Big" mi aspetterei un po' più di cura nella correzione delle bozze, ma lascerò da parte questo dettaglio e valuterò il romanzo come gli altri, indipendentemente da chi lo pubblica: e dunque il numero dei refusi è sufficientemente contenuto da non essere un problema, per quanto mi riguarda. Lo stile del romanzo, interamente basato sul dialogo diretto tra i personaggi senza alcuna informazione di contorno da parte di un narratore rende la lettura rapida e piacevole, e mi ricorda quasi il copione di una commedia teatrale, o ancora meglio un programma radiofonico. Nel testo l'autore usa alcune trovate che solitamente non gradisco e tendo a definire "dilettantistiche", più tipiche di un post su internet che di un romanzo pubblicato, come linee di dialogo formate solo dai puntini di sospensione, parole scritte senza alcuno spazio tra loro, font diversi per distinguere i personaggi; ma in questo caso, per una vicenda che si regge sui giochi di parole e sui nonsense, posso apprezzare il modo sperimentale il cui è stata scritta, con alcune trovate sorprendenti come il salto dei capitoli o le immagini da interpretare come fossero un rebus.

Piume per lo Stile: 🌾🌾



Trama

Volendo ridurre la questione all'osso, la trama si può riassumere come "una lunga telefonata tra un alieno del futuro e un essere umano dei giorni nostri". Ma questa definizione stringata non rende per nulla la complessità labirintica di divagazioni, intermezzi, informazioni apparentemente inutili ma spassosi circa un universo abitato da una fauna esotica e non sempre piacevole da approcciare in cui l'ignaro terrestre viene gettato nel corso della telefonata. Anche se il dialogo è privo di informazioni di contorno, come quelle che solitamente fornisce un narratore esterno nel descrivere le azioni dei personaggi, risulta molto facile visualizzare ciò che stanno facendo e l'ambiente dove si trovano, perché i personaggi talvolta lo chiedono o lo descrivono spontaneamente all'interlocutore, il tutto in maniera molto naturale e credibile. Così è possibile inserire nella trama anche scene d'azione come un personaggio in pericolo di vita o il classico conto alla rovescia, ma senza bomba. Per quanto riguarda il ritmo della storia, il formato del dialogo "botta e risposta" come ho detto lo rende rapido e scorrevole, più volte al termine di un capitolo volevo già cominciare il successivo per la curiosità, e questo in un romanzo è un ottimo punto a favore. Mi ha fatto piacere che oltre a divertire, il punto di vista dell'alieno con le sue domande surreali, da persona che ignora le complicazioni della cultura terrestre, ma sotto sotto intelligenti, scatenino oltre che una sana risata, una riflessione su alcuni lati della nostra realtà che spesso diamo troppo per scontati. Per alcuni potrebbe sembrare un po' irriverente, ad esempio, trattare in maniera così leggera argomenti seri come la religione, la guerra, la morte, o il cambiamento climatico, ma io non ne sono stata infastidita per nulla, anzi, ho trovato divertenti e informative quelle parti, e ho scoperto anche qualcosa di cui non ero al corrente. L'unico spezzone di "inforigurgito" che ho trovato un po' troppo pesante e pedante è stato verso la fine, quando ci sono lunghi paragrafi sull'argomento delle prese elettriche snocciolati dall'alieno che li legge nel "Il grande elenco telefonico della Terra e pianeti limitrofi (Giove escluso)", per cui il finale non mi ha soddisfatto più di tanto. Meno male che l'autore ha aggiunto nella versione che ho letto io un racconto che fa da epilogo seguendo le vicende dell'umano Last Chance a qualche anno di distanza dalla fatidica telefonata, sempre sotto forma di dialogo, ambientato durante un talk show. QUEL finale è molto più soddisfacente, più divertente, e più in linea con lo stile del romanzo rispetto a quello originariamente previsto.

Piume per la Trama: 🌾🌾



Personaggi

Pochi ma buoni, ovviamente, essendo per la maggior parte del tempo un dialogo a due. Quasi sempre è possibile identificarli anche senza guardare il diverso formato (normale, corsivo, o font diverso) con il quale sono scritte le loro battute, segno che l'autore ha fatto un buon lavoro nel rendere unica la voce di ognuno. Persino i personaggi minori, che compaiono per mezzo capitolo e poi spariscono per sempre, come il satellite GPS depresso (ha senso in contesto), il secondo alieno che prosegue per un tratto la telefonata quando il primo sviene (e quello è tra i momenti più esilaranti del romanzo) o il figlio di Dio che parla in un incomprensibile "finto greco" sono a loro modo interessanti, originali e credibili. Non c'è da dimenticare che in questo caso possono essere considerati personaggi anche le diverse tipologie di razze aliene, ciascuna con i suoi difetti e i suoi manierismi che in fondo sono, seppur esagerati, uno specchio dei nostri. È così per i Gioviali che non sono gioviali per nulla, i Sicumeri che invece sono esattamente ciò che il loro nome suggerisce, i Saputi che non leggono mai i manuali di istruzioni e i cui problemi si risolvono nel 70% dei casi con la domanda "Ha controllato la presa della corrente?", i Sednesi talmente brutti che nella carriera bellezza e intelligenza sono invertite rispetto al classico stereotipo, tanto da lamentarsi che "ci sono ragazze che fanno sacrifici tutta la vita per guadagnare un aspetto perlomeno sopportabile alla vista, per poi vedersi scavalcare da una che nella vita ha solo avuto la fortuna di poter mostrare una quarta di cervello."
Una menzione speciale poi va al mio personaggio preferito, che come al solito non si trova tra i protagonisti, ma tra i comprimari più bizzarri. Si tratta della signorina, o la voce registrata, che invia i messaggi da parte della compagnia telefonica TerraCom, "Verso l'Universo", che in maniera sempre più insistente e sadica "bullizza" i due personaggi al telefono ogni volta che il credito sta per scadere. Se anche, oggettivamente, non potrebbe mai vincere il premio cortesia, per me ha vinto il premio "personaggio squisitamente sarcastico dell'anno", anche se, trattandosi di una storia in cui i viaggi nel tempo sono una realtà, stabilire quale anno sarebbe un argomento un po' controverso.

Piume per i Personaggi: 🌾🌾



Ambientazione

Trattandosi, seppur in forma comica, di una storia di fantascienza, l'ambientazione è quell'elemento che può far crollare tutto, se trattata in maniera superficiale e incoerente, o rendere l'esperienza di lettura un fenomenale viaggio in un'altra dimensione, sì, un po' stile ai confini della realtà, se curata bene in ogni dettaglio. In questo caso non solo l'ambientazione è ben costruita, ma l'autore ha anche avuto l'accortezza di centellinare le informazioni, costruendola a poco a poco attorno al lettore. Il tutto in maniera assurdamente coerente, perché eventi, creature, razze e pianeti a cui si accenna nei capitoli precedenti vengono poi ripresi per espanderli e intrecciarli ad altri, e man mano l'autore costruisce un universo sempre più largo sulle fondamenta già gettate. C'è giusto qualche pagina in cui mi sembra che l'autore, in nome della trovata comica, si sia preso una libertà non giustificabile da elementi già esposti. Un esempio è il Parrucchetto Encefalofago, di cui all'inizio viene detto che allo stato selvatico rimescola i ricordi e idee in modo casuale, più avanti si parla di quelli addestrati per instillare un generico senso di depressione e scarsa autostima, e fin qui posso crederci... ma l'autore mi perde del tutto, e rompe la mia sospensione dell'incredulità quando afferma che una di tali creature è stata addestrata per trasmettere specifici ricordi su specifiche persone di cui l'addestratore non è nemmeno del tutto al corrente. Il fastidio per questa incongruenza troppo al di là del plausibile l'ho superato solo perché mi ha fatto fare una risata quando ho notato quel nome, e si intuisce benissimo cosa sia accaduto anche se non viene rivelato esplicitamente.
Altro lato interessante e che ritengo molto ben fatto dell'ambientazione è la base di eventi reali sui quali si intrecciano vicende di fantasia, come il declassamento di Plutone che ha cambiato le esistenze degli abitanti di Sedna, o i personaggi famosi realmente esistenti che sarebbero in realtà alieni, o emigrati su altri pianeti invece di essere morti, o ancora la caricatura di cose, luoghi o persone, come il figlio del Dio dei Sednesi che pare il figlio viziato, svogliato e spendaccione di un imprenditore, o la parodia di internet (che si chiama AlterBrain o Alternet?) con tutti i suoi difetti, dai meme assurdi a base di gatti al livello culturale medio delle conversazioni alle risposte incongruenti che si possono ottenere.

Piume per l'Ambientazione: 🌾🌾



Altro

Un bonus che non mi aspettavo sono i disegni a colori all'interno del romanzo, non molti ma carini, soprattutto quello del Parrucchetto. Punto a favore anche il fatto che l'autore abbia messo a disposizione gratuitamente il formato eBook, per cui se la mia recensione ti ha incuriosito, puoi andare a recuperarlo e leggerlo senza problemi, ma a questo punto perché sei arrivato fin qui senza averlo ancora letto? Ti avevo avvertito "occhio agli spoiler!".

Piume per qualcos'Altro: 🌾

lunedì 25 luglio 2022

Intermezzo - Due parole sull'ispirazione


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E con il racconto di giovedì scorso, sul tema del relax, si conclude la prima variazione dei cento temi che mi sono proposta di usare come base per altrettanti racconti, e tanto per rendere le cose ancora più difficili, ciascuno accompagnato da una specifica ambientazione. È stata una lunga avventura, devo ammetterlo, ma mi ha costretto a mettere in moto i neuroni, a volte per cercare una storia plausibile che collegasse un tema e un'ambientazione che parevano agli antipodi, e altre per evitare la trama più ovvia quando i due elementi parevano così ben assortiti da non sembrare nemmeno frutto di scelte casuali. Non posso dire che il risultato mi abbia sempre soddisfatto, ma mi basta sapere che a volte l'idea che ho sviluppato mi ha sorpreso. Da questa serie di esercizi sono nate situazioni e antefatti e sottotrame che si incastravano perfettamente nelle storie che già stavo portando avanti sul blog, e altre invece di completamente nuove, slegate dai miei soliti personaggi. Storie a cui non avrei mai pensato se non mi fossi messa in gioco, quindi non pensare che scegliere una parola, un luogo, e scrivere così come viene sia una pratica futile. Con la scrittura il bello è che non deve essere perfetto la prima volta, finché resta nei tuoi appunti si può sempre correggere, riscrivere, o cancellare. Non serve nemmeno che tu scriva sotto il mistico dettame dell'ispirazione.

Nella cultura popolare c'è questa esaltazione dell'ispirazione non solo per quanto riguarda la scrittura, ma per ogni forma di arte. E così chi si approccia per la prima volta alla composizione di musica, all'arte figurativa, alla stesura di un romanzo o ancor peggio, di una poesia, ha questa assurda idea di poterci lavorare su solo se e quando si sente ispirato. Non dico che sia sempre così per tutti, ma da tanti discorsi che ho sentito, c'è questa assurda idea che senza l'influsso dell'ispirazione nulla possa essere creato. O, almeno, nulla che valga la pena di essere creato. Ma come ho già scritto nel post La perfezione del primo romanzo (che vi consiglio di leggere, è davvero bello... chissà se ero "ispirata" quando l'ho scritto, o se ho arrancato a ogni parola, salvo poi sistemare il tutto con una rilettura e revisione finale), dicevo, come ho scritto lì, l'unico modo di migliorare e di creare alla fine qualcosa che valga la pena di essere letto, o visto, o ascoltato, è provare, sbagliare, correggere, e migliorare.

Ispirazione o non ispirazione.

Anche quando ciò che scrivi non ti piace, o ti fa schifo.

Soprattutto quando ti fa schifo.

Perché significa che stai affinando la tua capacità di essere obiettivo, e non ti senti più un genio pervaso dall'ispirazione al quale tutto riesce magnificamente al primo colpo. Tranquillo, ci sono passata anch'io con il primo romanzo che ho scritto, che a fine stesura era perfetto, e in seguito, a distanza di anni, non lo era più. Ma lo scritto non sempre è così permanente come vuol far credere il detto latino, e si può quasi sempre cambiare.

E a proposito di cambiare: ora che ho finito questa prima variazione dei cento temi, che farò? Posso proseguire con le successive, ma la seconda è in buona parte così simile alla prima che non vorrei ripetere le stesse tipologie di trama solo con personaggi e in luoghi diversi. Potrei saltare le parole identiche nelle due serie, o passare direttamente alla terza che si differenzia un po' di più. O potrei fare qualcosa di completamente diverso. In ogni caso, per giovedì già sto preparando un'idea, un tipo di post che da troppo tempo non si vedeva nel blog... ma questo sarà una sorpresa.

sabato 23 luglio 2022

Specioso

Specioso [spe-ció-so] agg. Di argomento volto a persuadere ma che si presenta giusto e fondato solo in apparenza.

Etimologia: dal latino speciosus, "che colpisce gli occhi per il bell'aspetto esteriore, appariscente, vistoso, bello", da species, "aspetto, apparenza, bellezza", a sua volta da specio, "sguardo".



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Foto di Karolina Grabowska da Pexels


– Il mondo è un posto pericoloso, ragazzo mio.
Belial sapeva essere affascinante con quel sorriso e la pelle umana che indossava, spesso nella forma di una donna bellissima. Tra gli inferi era noto come il maestro degli inganni e delle astuzie. Comprensibile che non ci fossi arrivato prima.
Belial non lo sapeva, ma io non ero più un ragazzo, e non ero mai stato suo. Le sue argomentazioni speciose mi scivolavano addosso. – Non ti ho forse tenuto al sicuro per tutti questi anni? – proseguì Belial in tono suadente. – Non mi sono preso cura di te? Ti ho salvato, ragazzo mio, in più modi di quanti tu possa contare.
Non dubitavo che quella parte fosse vera, ma non potevo più ignorare ciò che sarebbe dovuto essere ovvio fin dall'inizio: che Belial non mi vedeva come una persona, ma come un investimento. Lui non aveva salvato un bambino in pericolo, aveva messo in una cassaforte l'arma che poteva offrirgli un vantaggio.
– Volevano la tua testa, nelle alte sfere, quando sei nato. La vogliono ancora adesso, sai? Non sono io il cattivo qui.
Non era cambiato nulla. La solita tiritera speciosa che mi aveva inculcato fin da quand'ero un soldo cacio arrabbiato ma innocuo. Mi aveva manipolato, aveva fatto leva sulla mia metà umana per assicurarsi la mia lealtà e la mia riconoscenza, e dirigere quella rabbia.
– E dopo che ho fatto tutto questo per te – Belial indicò la casa in cui, più che tenermi al sicuro, mi aveva intrappolato. – Dopo tutti i miei sforzi per fare in modo che la tua bella testolina resti attaccata al collo, tu osi minacciarmi?
Come sapeva essere seducente, Belial sapeva anche essere terribile quando il suo volto mutava in una maschera grottesca. Occhi di brace, corna, zanne, voce tenebrosa, c'era tutto il necessario pacchetto di stereotipi assortiti.
Ma ora basta. Le sue bugie erano diventate trasparenti. E io gli avevo dato una chance di troppo.
Era tempo di liberare la mia metà di Infero ed essere crudele. Pronunciai il suo vero nome e Belial fu alla mia mercé.

giovedì 21 luglio 2022

La direzione proibita


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Dettaglio da una foto di Zakaria Boumliha da Pexels


– Ma... – tentò di protestare l'archeologa Amyra, ma subito il più anziano dei membri del consiglio la zittì con un'occhiata severa, e un'altrettanto severa replica.
– Niente "ma", archeologa, la decisione è presa. Le esplorazioni e gli scavi verso nord sono sospesi, e per un buon motivo. Sei congedata.
Amyra curvò le spalle, ma non si mosse. – Si può sapere almeno perché?
Pensava fosse da stupidi trascurare una direzione, e una così importante. Ma era altrettanto stupido offendere il consiglio da cui sperava in una decisione a suo favore, perciò l'archeologa Amyra lo disse in un modo indiretto: – Signori, avete visto i disegni dei bassorilievi in quello che abbiamo chiamato "il palazzo delle mappe" nella città sotterranea che abbiamo scoperto di recente a ovest. Indicano una zona che nei tempi antichi era densamente popolata a nord di qui, probabilmente una capitale, secondo alcune interpretazioni. Immaginate le scoperte che potremmo fare, tutti i reperti sepolti in attesa di essere trovati... la nostra conoscenza degli antenati potrebbe progredire enormemente! Non possiamo lasciarci sfuggire un'occasione del genere!
– La decisione è presa – ribadì il consigliere più anziano. – E le motivazioni non sono cosa che riguardi una semplice archeologa. Chi è nella posizione di sapere, sa. E questo è tutto.
Fece un cenno alle guardie accanto alla porta, che si avvicinarono per scortare fuori l'archeologa Amyra. "Non finisce qui", si disse quest'ultima, mentre usciva di malavoglia dalla sala del consiglio. Non avrebbe avuto riposo finché non fosse venuta a capo della questione.
Non fu facile. No, non lo fu affatto. L'archeologa Amyra dovette dar fondo a tutta la serie di contatti che aveva da quando, ai tempi del suo apprendistato, era stata presa in simpatia da uno dei professori più stimati dell'epoca. Riscosse qualche favore, e qualche altro ne chiese, sapendo che avrebbe poi dovuto ripagarlo nel tempo. Ma, alla fine, un uccellino cantò.
Amyra lo incontrò di notte, al colonnato dell'ostello per maghi che si riempiva di ogni sorta di forestieri strani durante l'annuale Sfida di Timing, ma che in quel periodo dell'anno era desolatamente vuoto. Il posto perfetto per un incontro segreto: nessuno bazzicava mai da quelle parti, un po' per superstizione, un po' per il sano e naturale timore che uno degli ospiti avesse lasciato in giro uno dei suoi attrezzi del mestiere, che avrebbe potuto maledire o mettere in qualche modo in pericolo chi vi si imbatteva.
Solo i più spericolati tra i cittadini di Timing erano chiamati a lavorare all'ostello per maghi nei pochi giorni in cui era in funzione.
– Il consiglio non vuole allarmare la popolazione – bisbigliò nel buio il suo uccellino, un segretario di uno dei consiglieri più giovani. – Per questo la notizia non è di pubblico dominio, e tutte le richieste di spedizioni verso nord vengono ignorate o, quando non è possibile, respinte senza alcuna spiegazione.
– E la spiegazione sarebbe...? – chiese l'archeologa Amyra. Aveva aspettato troppo per lasciarsi sviare da un preambolo.
– I precedenti sconsigliano ulteriori spedizioni. La prima squadra che abbiamo inviato a nord, molti anni fa ormai, è scomparsa senza lasciare traccia. La squadra che abbiamo inviato per recuperarli è scomparsa, e così anche la squadra che abbiamo inviato per recuperare la squadra che doveva recuperare la prima squadra. A quel punto il consiglio decise di desistere, e mandò solo un paio di osservatori sul mare di dune, a scrutare l'orizzonte con i bastoni ingranditori che abbiamo trovato tra le rovine a sud-ovest. Gli osservatori osservarono, e tornarono in città pieni di terrore, implorando di non essere mai più mandati in quella direzione.
L'archeologa Amyra sbuffò. Il suo uccellino la stava tirando troppo in lungo con il suo cinguettare. – Una domanda. Una risposta, e che sia diretta: che cosa videro gli osservatori di così tremendo?
– Un'ombra nel cielo – rispose in un bisbiglio ancora più flebile il suo informatore. – Un'ombra enorme, che volteggiava in tondo come un avvoltoio, e sputava fiammate lunghe fino a terra dalle fauci. Un drago, e tutti noi che sappiamo preghiamo ogni giorno che non si accorga che Timing è ad appena pochi battiti d'ala dalla sua tana.


Nel frattempo, da qualche parte nella regione a nord...

– Ah, che bella vita! – bofonchiò l'ex archeologo Safrein, spaparanzato comodamente sulla sua amaca all'interno della grotta rinfrescata mentre si dondolava sopra il suo tesoro. Gli altri suoi compagni disertori se la passavano altrettanto bene: c'era chi dormiva beato, chi si preparava una bibita fresca grazie a una delle meraviglie degli antenati che avevano rinvenuto nelle rovine della grande città non molto distante da lì, chi si rilassava di fronte a uno dei proiettori più piccoli, chi contava le monete antiche che all'occorrenza avrebbero potuto scambiare con del cibo o con qualsiasi altra cosa fosse necessaria e non fosse possibile procurarsi con gli artefatti magici rinvenuti nella grande città. Il che era davvero poco: gli antenati, sia lode a loro, avevano provveduto inconsapevolmente a fornirli di tutto ciò che potevano desiderare.
Eh sì, mettersi in proprio era stata davvero una grande idea. Niente più ore passate sotto al sole a spolverare dalla sabbia il vecchio vasellame, niente più ottusi burocrati che svalutavano sempre i reperti riportati dall'esplorazione, niente più superiori incontentabili e paghe da miseria.
Quella vita d'inferno era finita. Benvenuta nuova, paradisiaca esistenza del dolce far niente!
Messe così le cose, si capiva come mai fosse stato così facile convincere la squadra che era stata mandata a cercarli, e poi la squadra mandata a cercare la squadra mandata a cercarli, a unirsi a loro. Solo che, a quel punto, avevano dovuto prendere delle contromisure per evitare che la grotta rinfrescata diventasse un po' troppo affollata. Era stata di Madeleine l'idea.
Tra le rovine, oltre ai proiettori piccoli con le loro divertenti storie olografiche che tanto sollazzavano Safrein e i suoi annoiati compagni, ne avevano trovato uno di dimensioni colossali. All'inizio lo avevano lasciato dove si trovava, in una delle piazze più grandi della grande città. Era troppo pesante da spostare per i pochi che per primi avevano dato avvio a quella ribellione pacifica, e non ne vedevano l'utilità, dato che le versioni in miniatura assolvevano allo stesso compito in modo molto più agevole.
Ma quando la caverna rinfrescata aveva cominciato ad affollarsi, sotto la direzione di Madeleine, avevano fatto tutti assieme uno sforzo per trascinare il grande proiettore all'ingresso della loro nuova dimora, che da quel momento era stata ribattezzata "La Tana del Drago del Deserto".
Safrein sospirò e si rigirò nell'amaca all'ennesimo ruggito e crepitio di fiamma che giungeva a tutto volume dall'ingresso. D'altra parte, avere giorno e notte attivo quel rumoroso programma olografico era un piccolo prezzo da pagare per proteggere il loro segreto.

lunedì 18 luglio 2022

Solitudine negata


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Foto di Rachel Claire da Pexels


Qualche volta sento il bisogno di isolarmi da tutto questo. Da Thanatos, che mi sta col fiato sul collo e pretende che io aumenti la mia quota di anime settimanali. Dagli esseri umani, che hanno il brutto vizio di essere estremamente deperibili, anche nei momenti e nei luoghi più impensati. Dagli echi che l'approssimarsi del loro momento crea dentro di me, quella pressione ineluttabile che mi spinge ad agire, a prenderli, ad appesantire la mia falce.
La sala delle memorie ribelli era un buon posto dove evitare il richiamo dei mortali, trattandosi di un'idea di luogo, un posto irreale, inesistente, dove nessuno è mai morto né morirà mai, come nessuno ci ha mai davvero vissuto, del resto. Ma tutti quei dannati intrappolati nel limo giallastro, in attesa di affondare e tornare all'oblio, lo rendeva un luogo tutt'altro che silenzioso, oh no. Inoltre, lì incontrare Thanatos era più che scontato.
L'alternativa era scegliere un posto sulla terra che fosse pericoloso e ostile alla vita, qualunque forma di vita. Avevo provato con le profondità abissali, ma erano troppo umide per i miei gusti, e anche troppo affollate. Qualche volta, quando le tempeste impedivano ai temerari di arrampicarsi fin lassù, me ne stavo appollaiato su un picco innevato. Ma i miei preferiti restavano i vulcani attivi.
C'è di buono che non sento il caldo, o meglio, posso sentirlo se voglio, ma non mi dà fastidio. Avrei potuto tranquillamente fare il record del mondo di camminata sui carboni ardenti. Uno dei vantaggi di essere diventato la personificazione di un'idea astratta, e di avere quindi un corpo creato apposta per questo scopo. Uno degli svantaggi lo percepii proprio un giorno in cui avevo particolarmente bisogno di starmene per conto mio, a osservare lo spettacolo delle esplosioni piroclastiche e il bagliore della lava che scivolava lenta lungo il pendio. Sembrava che avrei potuto godermi in santa pace tutto quel caos, quando avvertii una vibrazione scorrermi pressante lungo la spina dorsale, o qualunque cosa avessi al suo posto, e capii di non essere solo. Cercai di resistere, ma alla fine mi rassegnai e andai in cerca dell'idiota che aveva deciso di fare una passeggiata nei dintorni di un vulcano e rovinarmi la vacanza.
Lo trovai sul versante nord, quello delle solfatare. L'idiota era andato a metterci la faccia, e quando lo trovai se ne stava sdraiato a terra con un lato del volto completamente ustionato, che rantolava e tossiva per le esalazioni tossiche. Mi resi visibile a lui, all'epoca lo facevo ancora, e gli chiesi: – Perché sei qui?
Lui agitò le mani in cerca di un appiglio tra i sassolini neri di magma solidificato, forse nel tentativo di tirarsi su e guardarmi. Dopo un po' di quell'annaspare, giacque ansante ai miei piedi, e rispose: – Volevo starmene un po' da solo.
Ha! Un'anima affine.
Ma questo significava che né io né lui avremmo realizzato il nostro desiderio.
– Per... favore... ti prego... – L'uomo ustionato cercò di umettarsi le labbra. – Hai un cellulare? Chiama aiuto. Il mio l'ho perso... là...
– Non posso – replicai in tono freddo. Non avevo un cellulare, e anche se l'avessi avuto, il mio ruolo richiedeva una certa neutralità. Ci avevo provato a vivere come prima, a sentire pietà per loro e aiutarli. Non aveva funzionato.
L'uomo usò tutta la forza che gli restava per insultarmi. – Ma che razza di uomo sei, te ne stai lì a guardarmi morire e basta? Che bastardo farebbe una cosa del...
Approfittai di un accesso di tosse che aveva interrotto i suoi rimproveri per ordinargli: – Guardami, e capirai.
Sapevo l'impressione che facevo, con il saio marrone e la falce sulla spalla, e lo sguardo terribilmente intenso perché tanto non ho bisogno di battere le palpebre. L'uomo a fatica riuscì a girarsi sulla schiena e a guardarmi con l'unico occhio buono, e una volta superato il primo momento di incredulità, trasalì. Buon segno. Perlomeno non aveva urlato.
– Sei... sei vero? – esalò con un filo di voce.
– No, sono solo un parto della tua immaginazione.
Lo so, non era il momento giusto per farlo, ma a volte non resisto alla tentazione di prendervi un po' in giro.
– Perfetto. Davvero perfetto. Sono qui, solo come un cane, a soffrire le pene dell'inferno, e tutto ciò che riesco a immaginare è un ragazzino con una falce?
– Credimi, il vecchio non è altrettanto simpatico.
Thanatos non si sarebbe mai fermato a fare due chiacchiere con un mortale. Io, una volta, lo facevo.
– Siete in due?
Annuii.
– È tuo padre?
Alla domanda quasi mi venne da ridere. La risposta completa sarebbe stata molto complicata e più lunga del tempo che gli rimaneva da vivere. Thanatos non mi aveva generato e non mi aveva cresciuto quand'ero stato un mortale come l'uomo che avevo di fronte. Nemmeno il mio vero padre mi aveva cresciuto, non per più che qualche anno all'inizio, ma quello era un altro paio di maniche. Thanatos mi aveva dato questa seconda esistenza, aveva creato questo corpo per me, ma non potevo affermare di essergliene grato, né di vedere in lui una sorta di genitore. Anche se in effetti avevo avuto la mia fase da adolescente ribelle e avevo cercato di oppormi a lui in ogni modo possibile.
– Lo considero più un datore di lavoro – tagliai corto.
– Ah – fece soltanto l'uomo, e chiuse l'occhio buono per un istante. Sapevo che non era morto, perché non l'avevo ancora preso. Il suo richiamo risuonava ancora dentro di me.
Si portò una mano al petto, ogni respiro più lento e faticoso del precedente. – Dimmi la verità... sono messo tanto male?
Sollevai la falce dalla spalla. Non era ancora il suo tempo, ma era in mio potere affrettare le cose. – Posso farlo ora, se vuoi.
– No! No! – si affrettò a dire l'uomo. Non posso dire di non capirlo, perché sono stato mortale anch'io, a differenza di Thanatos che proprio non capisce e non lo capirà mai; ma è curioso come alcuni che ancora potrebbero vivere si arrendono, ed è la loro resa, più che la malattia o la vecchiaia, a ucciderli; mentre altri, che sono totalmente, definitivamente spacciati, si aggrappano a ogni istante di vita, per quanto doloroso esso sia, con tutta la forza che hanno.
– Va bene. Come vuoi, per ora. Ma resto al tuo fianco.
Lo dissi perché avvertivo voci umane tra gli sbuffi di vapore delle solfatare, passi tra l'acciottolio dei frammenti di roccia magmatica che rotolavano a valle. L'uomo rise e tossì, e fu così che i soccorsi lo trovarono. Io mi ero già ritirato, tornato invisibile, con la mia pericolosa compagna di viaggio dalla lama ricurva a distanza di sicurezza dalle preziose vite che ancora non mi chiamavano.
Lo avevano trovato, ma lui non ce l'avrebbe fatta. Lo portarono via e il pendio del vulcano fu di nuovo tutto per me, ma non mi andava più così tanto di stare da solo.

sabato 16 luglio 2022

Vieto

Vieto [viè-to] agg. Vecchio e abusato, inattuale.

Etimologia: deriva dal latino, per alcuni da vetus, "vecchio", secondo altre fonti da vietus, "domato, infiacchito, avizzito", participio passato di viescere, "perdere la forza".



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10° giorno di Dorato, Casa dell'Uomo Vanitoso, La Capitale

Ci siamo trattenuti più di quanto mi aspettavo nella casa dell'Uomo Vanitoso, e non posso dire sia stato a causa di Taliesin. Quando l'Uomo Vanitoso gli ha raccontato che cosa voleva si dicesse di lui, dopo tutti i convenevoli e il pranzo in suo onore, offerto da lui medesimo, a cui ci ha invitati, Taliesin non ci ha messo più di mezza giornata per comporre una sestina di ballate. Ma alla vista delle pergamene vergate nella sua grafia elegante, senza nemmeno leggerle, l'Uomo Vanitoso ha storto il naso e ha detto qualcosa come: "Santi numi, ma cos'è questa insulsa e vieta trascrizione? Chi usa più scrivere con penna e calamaio di questi tempi? La modernità, mio caro, devi adattarti alla modernità!"
E così siamo rimasti a guardare il suo scrivano che riscriveva, con una serie di stampini inchiostrati su fogli chiari e dall'odore strano, le ballate di Taliesin lettera per lettera, metodicamente, lentamente.
Ci sono voluti tre giorni.
Taliesin è rimasto a controllare il lavoro dello scrivano, per assicurarsi che non commettesse un errore che l'Uomo Vanitoso avrebbe imputato a lui e non allo strano metodo dello scrivano.
Io mi sono stancata presto, e ho avuto il permesso di esplorare questa strana casa, sotto lo sguardo delle tante statue e dei ritratti che raffiguravano tutti la stessa persona. Altri sguardi mi seguivano, e ovunque andassi sentivo gli abitanti della casa ridere, e all'inizio ne ero felice e ridevo anch'io, finché una donna non è venuta da me con uno sguardo che mi è parso... triste, ma in una maniera strana.
"Povera cara, il tuo padrone ti costringe a indossare questi stracci vieti, quando saresti così bella con le tue ali e un vestito decente!"
Questo ha detto, e non ho fatto in tempo a dirle che Taliesin non era il mio padrone, che già lei mi stava portando in una stanza piena di specchi dove per ore mi ha fatto provare una serie di abiti bizzarri, scomodi, che non mi facevano sentire me stessa.

giovedì 14 luglio 2022

Il rompicapo


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Era come uno di quei rompicapi formati da pezzetti di legno che dovevi torcere o tirare, togliere o aggiungere, spostare e rimettere insieme al contrario fin quando la figura non si ricomponeva nel modo corretto, o la scatola non si apriva. A me restava sempre in mano un pezzo quando giocavo con quelli che mio padre, un intagliatore, costruiva per venderli al mercato, assieme ad altri oggetti lignei dall'utilità molto più pratica come ciotole, cucchiai, bicchieri, bauli e sgabelli. Non ero portata per enigmi di solida materia.
Io appartenevo all'aria. Tutti gli altri elementi non erano questioni di mia competenza.
Se avessi potuto, avrei preso il volo in quell'istante, rapita dal vento com'era accaduto al mio maestro, Zefiro, Sacerdote del Vento prima di me. Lo sognavo, di notte, nel mio tempio senza tetto e senza pareti. Cullata dalla voce della brezza, sognavo di librarmi in un reame rarefatto, tra vortici d'aria con cui danzavo leggera, libera dai problemi che i pellegrini in visita portavano alla mia attenzione, con la sola compagnia di Syuss, il falco che avevo cresciuto, e dei suoi compagni alati. Quella era la gioia per me, e in segreto accarezzavo quel desiderio portandolo sulla mia pelle quando con un gesto evocavo un refolo passeggero, ma non avevo il coraggio di abbandonarmi del tutto al vento. I miei piedi non si erano mai staccati da terra, anche se quella che calpestavo da quando avevo lasciato la mia famiglia per entrare in servizio del Tempio del Vento era la terra dell'altopiano, molto più vicina al cielo di qualunque altra terra.
E così restavo lì, con il mio pezzetto in mano, a risolvere i rompicapo di tutti coloro che venivano a interpellare la Sacerdotessa del Vento, ad alleggerire le loro teste pesanti di perplessità e problemi, perché non ero in grado di fare altrettanto per me. Era più facile quando l'enigma apparteneva a qualcun altro.
Finché in pellegrinaggio non giunse a me Glaucus, l'apprendista del Tempio dell'Acqua. Il suo rompicapo non apparteneva né a me né a lui, almeno così pensavo; ma non era affatto facile da risolvere.
– Conosci le vecchie storie – sciorinò la voce liquida del giovane dalla pelle, la chioma e la veste madide. – Il vento le bisbiglia a te così come il fiume le mormora a me. Un altro mondo è stato creato prima di questo. Un mondo che è crollato sotto il peso dell'oscurità.
Annuii. Avevo udito quelle storie nel vento, ma erano soltanto storie, nulla più. Glielo dissi.
Il giovane rise in tono sommesso e Syuss che lo scrutava dalla sommità di una colonna lanciò uno strido.
– Non hai compreso nulla, se lo credi davvero. Gli elementi non mentono, questo almeno ti è chiaro?
Assentii, e lui proseguì: – L'ultimo ad abbandonare il vecchio mondo fu il fuoco, il più potente contro l'oscurità, il più indebolito da essa. Ti è stato detto che la fiamma nel sacro braciere del Tempio del Fuoco non deve essere mai spenta, vero?
– Non serve essere un sacerdote o una sacerdotessa per saperlo. Anche un bambino te lo può dire – replicai piccata. Mi voltai per riprendere la veste che avevo steso dopo la pioggia: Glaucus, attirando ogni goccia d'acqua su di sé, l'aveva asciugata in fretta.
– Il Fuoco, la sua luce, ci difende dall'oscurità. – Glaucus allungò una mano, il palmo in alto, e sorrise. Sembrava volesse darmi a intendere che quell'elemento fosse il più importante tra tutti, e la cosa non mi piacque. Ero piuttosto sicura che senza l'aria il mondo non gli sarebbe parso tanto gradevole, né a lui né a tutti gli altri.
Poi il suo sorriso svanì e Glaucus girò la mano a palmo in giù. – Le ombre sono generate dalla luce del Fuoco. Se il male che ha distrutto l'altro mondo giungerà anche qui, lo farà attraverso il Grande Fuoco che brucia in perpetuo nel suo tempio.
– Quindi... stai suggerendo che dovremmo spegnerlo, tu e io. Il Vento e l'Acqua.
Glaucus scosse la testa. – Se lo facessimo, non avremmo più modo di difenderci. È il Fuoco l'unico in grado di tenere a bada l'oscurità. Non di distruggerla, però, no: tutto il contrario.
Cominciavo a intravedere l'enigma che quel giovane perennemente umido mi aveva sottoposto. Non era fatto di materia come i giocattoli di legno di mio padre, eppure, qualunque mossa immaginassi di compiere, sarei rimasta sempre con un rompicapo irrisolto e un solitario pezzetto nella mano.

lunedì 11 luglio 2022

La sicurezza innanzitutto


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Foto di Rachel Claire da Pexels

La catapecchia nel bosco non sembrava un luogo molto sicuro, ma non avevamo trovato di meglio per ripararci dal forte vento che squassava gli alberi, strappando foglie marcescenti ai rami secchi. Una parte del tetto, una copertura rudimentale di paglia su un'armatura di pali incrociati, orizzontali e verticali, era crollata, o forse era già stata strappata via dalla burrasca; le assi delle pareti erano vecchie, annerite e curvate dall'umidità; le finestre non avevano i vetri, ma almeno erano state sbarrate in modo sommario da alcune assi di legno più piccole inchiodate sul lato esterno. La struttura scricchiolava e gemeva, e a lato della porta chiusa una lanterna spenta dondolava appesa a una catena cigolante.
Un tempo la baracca in rovina doveva essere stata circondata da uno steccato, ma non ne rimaneva che qualche palo piantato a terra qua e là, con qualche rara traversa mezza storta.
– È di prima, o di dopo? – mi chiese Hilo, aggrappato all'unica sezione dello steccato che pareva aver resistito intatta. Fortunatamente, ancora per qualche anno, il suo era un peso molto leggero.
Spinsi indietro i capelli che erano sfuggiti al cappuccio, e che catturati dal vento mi stavano frustando il volto. – Che t'importa? È un posto.
Probabilmente di dopo, pensai. La casupola diroccata, tutta sola in quel luogo sperduto, era molto diversa dai solidi palazzi riuniti a centinaia, o anche migliaia, nelle vecchie città. Ma saperlo non cambiava nulla.
Hilo mollò la presa sullo steccato, passò in mezzo ai pali di traverso e si lanciò in avanti. Lo raggiunsi in fretta e lo agguantai per una spalla, poi lo costrinsi ad abbassarsi con me. – Shhh. Che cosa facciamo quando si arriva da qualche parte? – bisbigliai al suo orecchio.
– Prima di entrare, bisogna controllare – ripeté a memoria la sua voce lamentosa, appena udibile nell'ululato del vento.
Annuii. – Meglio essere sicuri che sia sicuro.
Mi preoccupava la solidità della struttura, ovvio, soprattutto con la tempesta in arrivo. Ma ancor di più mi preoccupava che qualcun altro avesse scelto quel luogo come rifugio per la notte che stava per giungere. Avevamo avuto la nostra dose di esperienze con gli adulti, e sapevamo che non sempre era una cosa buona averli attorno. Le persone erano pericolose. Alcuni perché erano cattivi. Altri, perché non erano in grado di proteggere sé stessi, figurarsi proteggere noi. Così, adesso che stavo crescendo, avevo deciso che io e Hilo potevamo cavarcela da soli.
– Però, Maa... secondo te davvero qualcuno ha camminato fino a qui? È... è... insomma, in mezzo al bosco!
Sbuffai. – Ti ricordi che cosa diceva Josef?
Josef, uno dei pochi adulti che si fosse davvero preso cura di noi. Ci aveva insegnato tante cose, incluse quelle utili per sopravvivere, ma anche lui, come tutti gli altri, alla fine era morto o ci aveva abbandonati.
Il volto di Hilo si illuminò nel recitare in tono cantilenante: – Se c'è qualcosa in questo posto, di sicuro è ben nascosto.
Scossi la testa. – No, l'altra cosa.
– Se tu ci sei arrivato, qualcun altro può averlo trovato – disse Hilo, mentre il sorriso mutava in un broncio.
– Bravo bambino. – Lo premiai con un buffetto sulla testa. – E ora andiamo, controlliamo dalle finestre, ci sono quegli spazietti tra le assi di legno da cui possiamo sbirciare all'interno.
Ci avvicinammo in silenzio, carponi, stretti l'uno all'altro tra le raffiche di vento sempre più intense. Non era un rifugio sicuro quel tugurio in mezzo al nulla, marcio e in rovina, che pareva reggersi a malapena e i cui scricchiolii rendevano a meraviglia quanto fosse precario. Ma almeno, forse, se era vuoto, poteva diventare per quella notte il nostro riparo.

sabato 9 luglio 2022

Stuolo

Stuolo [stuò-lo] s.m. 1. Schiera di guerrieri, esercito. 2. estens. Moltitudine.

Etimologia: dal latino stòlus, "spedizione militare armata di mare" derivato dal greco stòlos, "flotta, esercito", a sua volta dal verbo stéllein, "allestire, spedire, armare".



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Foto di cottonbro da Pexels


– Colonnello, lei ha mai assistito a un attacco dei Warrs?
Quella sdraiata a letto sembrava una ragazzina fragile, eppure aveva la sfrontatezza di un guerriero nell'interrogare, tra tutti, proprio lui, e proprio su quell'argomento. Per questo il colonnello Blackman esitò prima di rispondere: – Sì, certo... è naturale. – Si schiarì la voce, poi riprese in tono più professionale. – In effetti rientra tra i miei compiti visionare tutti i filmati dei loro attacchi, studiare le loro tattiche e preparare efficaci controffensive. Io sono la massima autorità in materia, quando si tratta dei Warrs.
– Ma non li ha mai affrontati di persona – replicò la ragazza.
Quale insolenza! Il colonnello Blackman tuttavia si trovò costretto ad ammettere: – No, mai.
Non poteva rivelare, al di fuori dello stuolo di scienziati e militari di alto rango, di averne affrontato uno venti anni prima, nel laboratorio dove erano stati creati. Per il resto del mondo, i Warrs erano alieni ostili.
Ne era bastato uno, uno soltanto, ancora privo di addestramento ma brutale, istintivo, una macchina da guerra, per mettere al tappeto lui che all'epoca era tra i migliori. La bestia lo aveva quasi ucciso, e se non fosse stato per il protocollo di eliminazione, il colonnello Blackman non sarebbe stato lì per non raccontarlo.
– Erano una mezza dozzina – mormorò la ragazza, senza guardarlo. – E noi, nell'autobus, cinquanta. Famiglie, principalmente, ma i nostri genitori erano soldati... è stato così veloce. Così veloce.
Il colonnello Blackman rimase impassibile. Lui sapeva che ciò che la ragazza raccontava non era mai accaduto. Ovviamente di morti ce n'erano stati, e anche parecchi, per gli attacchi dei Warrs; ma non su quell'autobus, e non in quel modo.
– Solo sei – proseguì la ragazza. – Forse sette. Mi dica, colonnello. Siamo mai stati davvero al sicuro? Anche con l'esercito a pattugliare le città, se uno stuolo di quegli esseri invadesse la Terra, abbiamo mai avuto qualche speranza di respingerli?

giovedì 7 luglio 2022

Nel mezzo di Tempesta


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– Prova a immaginarlo. Io, l'energumeno con il fucile a impulsi di nome Handel, l'energumeno, non il fucile, e l'inquietante Arturiano che sta di guardia alla porta, che non devi guardare negli occhi e nemmeno chiamare se non vuoi che ti squarti in meno di un decimo di secondo. Sono veloci, gli Arturiani – protesa sopra il suo interlocutore, Cinde sbirciò in tralice Mod, l'Arturiano, che alzava gli occhi da rettile al soffitto decorato da fregi intagliati nel legno verdastro e drappi di muschio. – Noi tre, in una navetta di classe Galacto 4, poco più grande della tua regale camera da letto, signorino.
L'esile Adhariano strinse ancora di più con le dita tentacolari il velo che pendeva dal soffitto e che usava per coprirsi. Oltre alle dita, solo il volto triangolare dai grandi occhi e orecchie spalancati, tre degli uni e delle altre per la precisione, era visibile al di fuori del velo.
– Piccola, veloce e manovrabile, ma non un granché quando si tratta di scudi e armamenti. Hai mai sentito parlare del pianeta Tempesta?
L'Adhariano trillò il suo diniego dalla bocca tubolare al centro del volto.
– Beh, è enorme – proseguì Cinde. – Sarebbe potuto essere una stella, da quanto è grande. Sfortunatamente non ha al suo interno abbastanza materia da innescare una reazione, capisci? È cavo. Tutto bucherellato come se fosse stato trivellato da un fucile a impulsi, ma le gallerie non sono dritte, curvano e tornano indietro e sono avvolte l'una nell'altra in un labirinto infernale, e quando meno te lo aspetti, zac, ti ritrovi in un vicolo cieco. E non è quello il problema principale.
Handel si schiarì la gola, e quando Cinde si girò, vide che l'uomo teneva d'occhio l'esterno del palazzo reale da una di quelle fessure che sul pianeta Adharia passavano per finestre. Handel le fece segno di tagliare corto. Ma qualunque fosse il motivo che lo induceva a metterle fretta, Cinde era certa che potesse aspettare. Non si poteva rovinare una bella storia solo perché non c'era il tempo di raccontarla bene.
– Il problema del pianeta Tempesta sono, appunto, le tempeste. Ma non tempeste comuni, oh no. Tempesta non ha un'atmosfera. Non ha nemmeno acqua. Tempesta ha solo terra, roccia, metallo, granito, diamante... nomina una sostanza solida e dura e Tempesta ce l'ha. È di quelle sostanze che sono fatte le tempeste, dentro al pianeta Tempesta. Tonnellate di roccia che ti piovono addosso, si sollevano, sciamano da ogni parte. L'intero pianeta che trema e si sfalda e si riforma attorno a te, cambiando i percorsi delle gallerie, intrappolandoti a volte. Altrove lo chiameresti terremoto, ma quella è una parola che non rende l'idea. Con i terremoti la terra trema sotto i tuoi piedi, non sopra e sotto e tutto attorno. Quindi, ricapitolando: prova a immaginare noi tre, in una navetta di classe Galacto 4, scudi scarsi, armi esaurite, inseguiti da una squadriglia d'assalto del Collettivo delle Macchine. Riesci a immaginare quanto fegato ci voglia a infilarsi in una delle gallerie del pianeta Tempesta proprio mentre è in corso una delle frequenti tempeste tipiche di quel pianeta? – Nel dirlo, Cinde avvicinò il proprio volto a quello dell'Adhariano e si augurò che il traduttore che vedeva infilato nelle orecchie del principe riuscisse a rendere la sfumatura minacciosa nella sua voce. Arricciò il naso all'odore di pesce marcio del suo regale ascoltatore, ma non si tirò indietro finché non vide l'Adhariano compiere il classico gesto di assenso del suo popolo, il ripiegarsi dei tre angoli del volto verso la bocca al centro, per poi tornare ad aprirsi.
A quel punto Handel ripeté più volte, con le mani e con un'espressione eloquente, il messaggio di tagliare corto, e Cinde dovette rassegnarsi. Si erse sul piccolo Adhariano, che non era pericoloso di per sé, ed era pure piuttosto tremebondo se preso da solo, ma aveva la sventura di essere al comando di una delle razze dagli esponenti più numerosi, viscosi e fastidiosi dell'intero universo, ed era proprio per quel motivo che Cinde aveva scelto di atterrare su Adharia. Era proprio ciò che le serviva contro l'inseguitore più persistente che le fosse mai capitato di doversi scollare di dosso.
– Non ho tutto il tempo che vorrei per raccontarti degli schianti tra meteoriti di quarzo e bolidi di agglomerati ferrosi, e dei frammenti taglienti come vetro che abbiamo dovuto schivare zigzagando, e dei lampi accecanti quando una parete di zolfo esplodeva sopra di noi, e delle gallerie che si stringevano alle nostre spalle schiacciando una nave dopo l'altra della squadriglia d'assalto. Sappi solo che noi siamo qui, e loro no. E che se nei prossimi quattro frais non farai esattamente quello che ti dico, noi ti porteremo su Tempesta, e ti lasceremo nel bel mezzo del pianeta su una navetta di classe Galacto 4, con tanti auguri per il tuo tentativo di ritorno a casa.

– ...e ora possiamo aggiungere "ricattare un principe Adhariano" alla lista delle nostre imprese – constatò Handel, mentre la loro nave si allontanava incolume dal pianeta e quella del loro inseguitore invece ci rimaneva incollata.
– Non che si debba andarne fieri – replicò Mod, contrario al piano fin dall'inizio, ma purtroppo per lui, in minoranza. – E riguardo a ciò che è accaduto a Tempesta, e alla natura stessa del pianeta, Cinde è stata alquanto imprecisa.
Cinde, seduta in postazione di comando, si rilassò e fece spallucce. – Mod, andiamo, dimentichi che io c'ero. E sono assolutamente sicura di avere dato una descrizione approssimativamente precisa ed esauriente di ciò che è il pianeta Tempesta in senso metaforico, e che i fatti si siano svolti più o meno quasi all'incirca su per giù come io li ho raccontati.

lunedì 4 luglio 2022

La pubblicità è l'anima della tortura


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Urla deliziosamente strazianti riecheggiarono tra le mura di pietra di un corridoio oscuro e umido. Un istante di silenzio, poi, dall'altra parte del corridoio un passo pesante e strascicato si trascinò dietro catene altrettanto pesanti, che tintinnarono con un gradevole ritmo musicale. Altri due istanti di silenzio, e da dietro la porta di solido legno che stava dinnanzi a loro risuonò il cigolio di un marchingegno ingegnoso, e il gemito strozzato del suo occupante.
Seduto a terra nel corso della sua pausa serale, che condivideva sempre con i soliti quattro colleghi, il responsabile dei ceppi e dei lucchetti sospirò. – Troppo silenzio – borbottò scuotendo la testa. Diede un'agitata all'anello appeso alla sua cintura, quello con tutte le chiavi delle stanze e dei relativi braccialetti e cavigliere con cui venivano omaggiati gli ospiti al loro interno, e il trillo metallico si udì distintamente tra una serie di lente, quasi stanche staffilate e l'altrettanto stanca reazione del "cliente" che le stava subendo. – Sentito? – chiese agli altri. – Una volta, nemmeno riuscivo a sentirle da quanto chiasso c'era qui dentro.
– Erano altri tempi – disse soltanto l'addetto al check out, con ancora addosso il cappuccio nero d'ordinanza. Non se lo toglieva mai, professionale com'era, e già era tanto se prima di raggiungere gli altri tre per la pausa lasciava l'ascia nello sgabuzzino degli attrezzi.
– Una volta avevamo clientela d'alto rango – replicò il controllore degli strumenti del mestiere. Zittì solo per ascoltare il ticchettio stridente della manovella che faceva un altro giro nella stanza chiusa davanti alla quale s'erano andati a sedere, e il rantolo del fortunato che stava testando l'efficacia del marchingegno appena rimesso in funzione. Perfettamente non oliato a sufficienza, lo giudicò il controllore da quel rumorino inquietante che faceva parte dell'esperienza, e gongolò di soddisfazione. – Una volta avevamo cospiratori, traditori, assassini di re, perfino ospiti stranieri, soldati o ufficiali che si facevano tutta la strada dal fronte di guerra pur di soggiornare qui da noi. Ma adesso, se qualcuno uccide un monarca invece di vincere un soggiorno premio da noi gli fanno un monumento, e quanto agli stranieri, non se ne vedono più così tanti. E non è che le guerre siano cessate, eh! Ci sono rimasi solo i ladri, qualche volgare tagliagole, ma nulla più. Questa gentaglia non sa nemmeno urlare per bene!
Come a dargli ragione, dal lato del corridoio che proseguiva alla loro sinistra, provennero una serie di colpi, pugni probabilmente, ciascuno seguito da un misero "uh", e poi da un pianto condito da singhiozzi.
– Che vi dicevo? – concluse il controllore. – Se almeno gli stagisti usassero qualche argano, qualche rullo, qualcuna delle mie sedie speciali... e invece no, s'impuntano a far tutto a mano, e si fanno più male loro di quello a cui devono far male.
– E poi vengono a lamentarsi da me – concluse il coordinatore delle risorse poco umane. – È un topo che si morde la coda: meno clienti, meno stanze occupate, meno personale necessario e dunque licenziamenti, per poi riempire i posti lasciati vacanti con stagisti sottopagati e inesperti che lasciano una brutta impressione con la loro scarsa professionalità, e quindi cattiva pubblicità.
– Cattiva pubblicità, già, dici bene – gli fece eco il responsabile dei ceppi e dei lucchetti, subito zittito, minuto e gobbo com'era, da un poderoso strattone dell'addetto al check out che, buongustaio com'era, voleva ascoltarsi in santa pace una delle rarissime urla di donna. Dopo un'occhiata in tralice del responsabile che voleva dire "soddisfatto ora?" e un cenno d'assenso da parte del cappuccio nero del collega, il responsabile dei ceppi e dei lucchetti proseguì: – Tutto è cominciato ad andare in malora quando nel fronte settentrionale e in quello sudorientale, le nostre maggiori fonti di clientela, è partito quel movimento con quel messaggio che poi è andato tanto di moda, ve lo ricordate? "Meglio morti che catturati", pfui, come se qui si stesse tanto male. Insomma, hanno vitto, alloggio, attività ricreative, che vogliono di più?
– E non è bastato riorganizzare il personale, aggiornare i nomi delle nostre mansioni in modo che siano più rassicuranti, modernizzare la divisa... – Il coordinatore delle risorse poco umane fece una pausa, sbirciò il collega incappucciato e si corresse: – ...tranne quella del nostro addetto al check out che è troppo iconica per cambiarla. Nemmeno ristrutturare gli ambienti è servito a qualcosa, le allegre piante carnivore nelle camere delle torture non rallegrano e le grosse scritte luminose all'ingresso che invitano a entrare non sembrano sufficientemente invitanti. No, qua ci vuole qualcosa di radicale, qualcosa come...
– Pubblicità – mormorò l'addetto al check out quando si spense un isolato lamento atroce. Parlava poco, come richiedeva il suo ruolo, ma quando parlava era meglio ascoltarlo, perché per tanta gente le sue parole erano state le ultime.
– Beh, non ha tutti i torti – replicò il controllore degli strumenti del mestiere. – È un semplice meccanismo di causa ed effetto, una sorta di tira e molla: se una cattiva pubblicità ci ha affossato, una buona pubblicità può risollevarci.
Ciò detto, si alzò in piedi, ma non per dare maggiore risalto alle sue parole, ma perché la pausa era finita e lui aveva fin troppi marchingegni da far funzionare al loro peggio.
– Mi pare una splendida idea. La pubblicità è l'anima della tortura! Ne parlerò con il capo scrivano dei messaggi segreti e delle ultime volontà, non è il suo genere, ma forse può trovare le parole più adatte. Signori, alla prossima notte – così dicendo il coordinatore delle risorse poco umane si avviò verso le scale che portavano ai piani superiori, da cui non poteva godere di uno spettacolo sonoro altrettanto deliziosamente lugubre, né della compagnia di gente così intelligente e simpatica, ma erano gli svantaggi di un ruolo dirigenziale.

sabato 2 luglio 2022

Unguento

Unguento [un-guèn-to] s.m. 1. Preparazione medicamentosa per uso esterno, i cui principi attivi sono incorporati in una sostanza grassa semisolida. 2. ant. Essenza (non medicamentosa) profumata.

Etimologia: dal latino unguentum, derivato da unguen, "grasso".



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Foto di Dana Tentis da Pexels


Da quando avevo scoperto la verità avevo iniziato a passare più tempo con la guaritrice in catene. All'inizio la osservai sminuzzare erbe e preparare unguenti alla luce delle candele. Le sue dita agili danzavano in aria, e nel silenzio imbarazzato mi chiedevo se quei gesti non fossero parte della sua magia. Lei ogni tanto mi guardava e un sorriso compariva sul suo volto pallido.
Quand'era Demi, fuori dal caravan, era più ciarliera. Aveva tentato di avvicinarmi, ma io la evitavo, o mi fingevo impegnato in lavori di fatica in cui non poteva essermi d'aiuto. Non capiva che io non volevo avere a che fare con una ragazza fantasma. Preferivo la vera lei.
Cominciai ad aiutarla. Con la scusa di portarle le erbe che aveva raccolto Amaltea, la gitana dagli zoccoli caprini, mi chiudevo con lei nel caravan. Le prime parole che mi rivolse, sussurri appena udibili, furono che erba passarle e in quale barattolo riporre le bacche. Io le chiedevo gli effetti del liquido rosso o a cosa serviva l'incenso color ocra. Solo in seguito iniziammo a parlare davvero.
– Gli altri lo sanno? – fu la mia prima vera domanda.
I suoi occhi chiarissimi mi fissarono. Li distolse e riprese a mescolare l'unguento che si addensava nel pentolino. – Non tutti. Antares sì, lui sa ogni cosa riguardo a ciascuno di noi. Altri, ma non ti dirò i loro nomi.
– Perché?
Rise sommessamente. – Perché a loro non dirò che tu lo sai.
Non aveva senso. Ma lei tuffò le dita in un barattolo in cui rimaneva qualche traccia di una sostanza odorosa e me la spalmò sulla fronte, poi scese sul lato sinistro del volto, passò la guancia, la gola, la spalla, e fermò le dita sul mio petto, lasciato scoperto dalla camicia sbottonata. Il mostro dentro di me ebbe un sussulto, ma lo trattenni, e il dolore si placò. Ero diventato bravo a mantenere la calma.
– E questo, a cosa serviva? – le chiesi con voce roca.
Lei fece spallucce, e le catene ai suoi polsi strisciarono sul pavimento con clangori metallici. – Niente. È solo il mio profumo.