giovedì 14 luglio 2022

Il rompicapo


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Foto di Pavel Danilyuk da Pexels


Era come uno di quei rompicapi formati da pezzetti di legno che dovevi torcere o tirare, togliere o aggiungere, spostare e rimettere insieme al contrario fin quando la figura non si ricomponeva nel modo corretto, o la scatola non si apriva. A me restava sempre in mano un pezzo quando giocavo con quelli che mio padre, un intagliatore, costruiva per venderli al mercato, assieme ad altri oggetti lignei dall'utilità molto più pratica come ciotole, cucchiai, bicchieri, bauli e sgabelli. Non ero portata per enigmi di solida materia.
Io appartenevo all'aria. Tutti gli altri elementi non erano questioni di mia competenza.
Se avessi potuto, avrei preso il volo in quell'istante, rapita dal vento com'era accaduto al mio maestro, Zefiro, Sacerdote del Vento prima di me. Lo sognavo, di notte, nel mio tempio senza tetto e senza pareti. Cullata dalla voce della brezza, sognavo di librarmi in un reame rarefatto, tra vortici d'aria con cui danzavo leggera, libera dai problemi che i pellegrini in visita portavano alla mia attenzione, con la sola compagnia di Syuss, il falco che avevo cresciuto, e dei suoi compagni alati. Quella era la gioia per me, e in segreto accarezzavo quel desiderio portandolo sulla mia pelle quando con un gesto evocavo un refolo passeggero, ma non avevo il coraggio di abbandonarmi del tutto al vento. I miei piedi non si erano mai staccati da terra, anche se quella che calpestavo da quando avevo lasciato la mia famiglia per entrare in servizio del Tempio del Vento era la terra dell'altopiano, molto più vicina al cielo di qualunque altra terra.
E così restavo lì, con il mio pezzetto in mano, a risolvere i rompicapo di tutti coloro che venivano a interpellare la Sacerdotessa del Vento, ad alleggerire le loro teste pesanti di perplessità e problemi, perché non ero in grado di fare altrettanto per me. Era più facile quando l'enigma apparteneva a qualcun altro.
Finché in pellegrinaggio non giunse a me Glaucus, l'apprendista del Tempio dell'Acqua. Il suo rompicapo non apparteneva né a me né a lui, almeno così pensavo; ma non era affatto facile da risolvere.
– Conosci le vecchie storie – sciorinò la voce liquida del giovane dalla pelle, la chioma e la veste madide. – Il vento le bisbiglia a te così come il fiume le mormora a me. Un altro mondo è stato creato prima di questo. Un mondo che è crollato sotto il peso dell'oscurità.
Annuii. Avevo udito quelle storie nel vento, ma erano soltanto storie, nulla più. Glielo dissi.
Il giovane rise in tono sommesso e Syuss che lo scrutava dalla sommità di una colonna lanciò uno strido.
– Non hai compreso nulla, se lo credi davvero. Gli elementi non mentono, questo almeno ti è chiaro?
Assentii, e lui proseguì: – L'ultimo ad abbandonare il vecchio mondo fu il fuoco, il più potente contro l'oscurità, il più indebolito da essa. Ti è stato detto che la fiamma nel sacro braciere del Tempio del Fuoco non deve essere mai spenta, vero?
– Non serve essere un sacerdote o una sacerdotessa per saperlo. Anche un bambino te lo può dire – replicai piccata. Mi voltai per riprendere la veste che avevo steso dopo la pioggia: Glaucus, attirando ogni goccia d'acqua su di sé, l'aveva asciugata in fretta.
– Il Fuoco, la sua luce, ci difende dall'oscurità. – Glaucus allungò una mano, il palmo in alto, e sorrise. Sembrava volesse darmi a intendere che quell'elemento fosse il più importante tra tutti, e la cosa non mi piacque. Ero piuttosto sicura che senza l'aria il mondo non gli sarebbe parso tanto gradevole, né a lui né a tutti gli altri.
Poi il suo sorriso svanì e Glaucus girò la mano a palmo in giù. – Le ombre sono generate dalla luce del Fuoco. Se il male che ha distrutto l'altro mondo giungerà anche qui, lo farà attraverso il Grande Fuoco che brucia in perpetuo nel suo tempio.
– Quindi... stai suggerendo che dovremmo spegnerlo, tu e io. Il Vento e l'Acqua.
Glaucus scosse la testa. – Se lo facessimo, non avremmo più modo di difenderci. È il Fuoco l'unico in grado di tenere a bada l'oscurità. Non di distruggerla, però, no: tutto il contrario.
Cominciavo a intravedere l'enigma che quel giovane perennemente umido mi aveva sottoposto. Non era fatto di materia come i giocattoli di legno di mio padre, eppure, qualunque mossa immaginassi di compiere, sarei rimasta sempre con un rompicapo irrisolto e un solitario pezzetto nella mano.

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