lunedì 29 gennaio 2024

Destinata a svanire


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di stayhereforu da Pexels


Non sarebbe stato poi così brutto svanire, mi dissi, se farlo significava che avevo vinto. Svanire, lì dove tutto era iniziato.
Scomparire come la luce, nel buio e nell'umidità sotterranea. La tana che quel mostro affamato di vite si era scelto sarebbe stata la sua ultima dimora, e la mia. Non avevo avuto il coraggio di farlo, la prima volta che ero stata portata lì, ma in quel momento capii che ero pronta, e inoltre, non potevo più sopportare lo stillicidio continuo di giovani vite sacrificate sugli altari in nome di quei falsi dei.
Una persona sola non bastava per salvarle tutte, se non con quell'ultimo sacrificio.
C'era un unico problema: lui. Il bandito che avevano catturato assieme a me, solo perché quello sciocco si era ostinato a venirmi dietro.
Io non avevo scelta, stavo già svanendo. Pezzo dopo pezzo, avevo già perso così tanti ricordi della mia vita che se qualcuno di quelli che mi erano stati vicini mi avesse incontrato, avrebbe stentato a riconoscermi, e di certo io non avrei riconosciuto lui. Sapevo fin dall'inizio il modo in cui sarei morta, nella migliore delle ipotesi: ponendo fine alla vita di quel demone e al suo impero del terrore.
Ma non potevo scegliere il sacrificio anche per altri, perciò attesi. Lasciai che mi portassero al suo cospetto, lì dove volevo essere, nella grande sala sormontata da stalattiti gocciolanti, circondati dai fuochi delle torce. Sentivo il potere di quegli elementi attorno a me, e il respiro freddo e pesante del vento nei cunicoli, l'aria ammorbata dal fetore delle bestie che erano i suoi burattini, e attendevo il momento giusto per farne delle armi. Mi aspettavo che liberassero almeno il bandito per divertirsi a dargli la caccia, io gli appartenevo già per metà e chiaramente ero stata presa per completare l'opera, ma lui... lui non era nessuno per loro, non era nemmeno una delle vittime lasciate sugli altari per ingrossare le loro fila, era solo nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ma poi seppi quale sarebbe stato il suo destino, e capii che non potevo più esitare.
Dovevo agire prima che il demone che mi aveva condannata all'oblio iniziasse a cambiarlo.
– Tra un istante saranno parecchio impegnati – bisbigliai al bandito. – Approfittane, e vattene.
– Vuoi combatterli? – ribatté il bandito a voce più alta della mia. – Tutti quanti? Ti posso dare una mano...
Sciocco fanfarone buono più a parlare che a pensare, mi dissi.
– Non è la tua battaglia, sei disarmato, e non puoi prevedere le loro mosse come faccio io – sibilai di rimando. – Mi saresti solo d'intralcio. Va' via, corri a... cercare aiuto, se vuoi, ma vattene di qua... ora! – gridai, nell'avvertire la familiare pressione nella mia testa. Lui stava cercando di entrare, di spingere via gli ultimi frammenti di ricordi che avevo, ma non era cercando inutilmente di resistergli che volevo impiegare le ultime tracce di umanità che mi restavano.
Alimentai le fiamme delle torce fino a farle esplodere e sentii bruciare la mia memoria, chiamai a me l'acqua che filtrava dalla roccia e scorsi per l'ultima volta i pochi volti che ancora rammentavo sbiadire nel nulla.
Il demone scatenò le sue marionette per fermarmi, ma io ero nella loro testa e sentivo ogni filo con cui le muoveva, e ancora riuscivo a contrastarle, seppure quei fili stavano gradualmente imbrigliando anche me. Dovevo finirla, finirlo ora, prima di appartenergli del tutto.
– Night! – gridò una voce alle mie spalle. Il bandito, quell'idiota, non se n'era andato, anche se nessuno dei fantocci del demone badava più a lui. – Vieni via, scappa con me!
Non gli risposi. Ormai potevo solo sperare che rinsavisse prima che fosse troppo tardi per mettersi in salvo. Quanto a me, ero già andata troppo oltre, e inoltre, glielo avevo detto.
La mia vita già apparteneva a quel demone, e non sarei sopravvissuta alla sua morte, come non lo avrebbe fatto nessuno di quelli che aveva trasformato in bestiali burattini.
Con uno sforzo immane, schiacciando contro le pareti del cranio tutto ciò che restava di me, attirai verso il basso il soffitto irto di stalattiti. La roccia scricchiolò, crepitò, sanguinò acqua di falda dalle fessure in gocciolii sempre più frequenti e poi in rivoli inarrestabili, seguiti da piogge di polvere in più punti, finché con uno schianto qualcosa lassù in alto si spezzò e la pietra si frantumò e crollò, seppellendoci tutti.
Non sapevo più chi ero. Sapevo solo che ero da sola, vuota, nell'oscurità, in attesa di svanire. Non era poi così brutto svanire, quando non si ha più nulla.
Ma il tempo passava, e io non svanivo. Non era giusto. Avevo atteso così tanto di essere libera, non so perché ma ero sicura che fosse così, e invece la tanto agognata libertà mi veniva negata.
Ero viva. E se io ero viva, allora la mia missione non era compiuta.
Mi ci volle un po' per rammentare qual era, questa missione. Allora raccolsi il poco che mi era rimasto, lo radunai attorno al vuoto che ero diventata, e costrinsi il mio corpo dolorante a scavarsi una via per tornare alla luce.
Ero ancora destinata a svanire, ma ancora. Non quel giorno. Non finché la mia missione non fosse compiuta.

sabato 27 gennaio 2024

Preterintenzionale

Preterintenzionale [pre-te-rin-ten-zio-nà-le] agg. dir. Che va oltre l'intenzione di chi agisce; in particolare, di azione che provoca conseguenze più gravi del previsto.

Etimologia: composto dal latino praeter, "oltre" e da "intenzione".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Martin Lopez d
a Pexels


Se esisteva un reato come "distruzione del tessuto della realtà preterintenzionale", lui ne era colpevole.
Davvero, l'inferno in terra non era ciò che aveva voluto causare nel far esplodere una bomba nel livello inferiore dei laboratori, eppure eccolo lì a fuggire di corsa dall'onda d'urto dell'esplosione che contorceva ogni corridoio e deformava ogni cosa, vivente e non, al suo passaggio.
Aveva visto uno degli scienziati correrci dentro con l'intenzione di riparare il suo prezioso motore o quel che era, e subito finire a contorcersi a terra con la pelle che ribolliva ed esplodeva, perciò no, Chris Target non aveva alcuna intenzione di farsi prendere da quella dimensione da incubo che avanzava lenta ma inesorabile.
– Che tu sia maledetto, John Moss! – biascicò, mentre arrancava in avanti verso una rampa di scale.
Tutti gli ascensori erano fuori uso dal momento dell'esplosione, non sapeva se per una procedura d'emergenza o perché la cosa che lo seguiva aveva già tagliato fuori dalla realtà convenzionale la sala di controllo. Le paratie d'emergenza erano scese poco dopo, bloccando chi era stato abbastanza sfortunato da trovarsi sul lato sbagliato, ma non avevano potuto arrestare l'espansione di quella bizzarra anomalia.
Ed era tutta colpa di John Moss. John Moss che fingeva di non sapere nulla, ma che conosceva troppi dettagli dell'esperimento che erano venuti a fermare e di tutti gli altri.
Era stato lui a dirgli dove posizionare la bomba. Perché proprio lì, gli aveva chiesto.
– Perché mi sembra un buon posto per fare un po' di casino. Vogliamo spaventarli, no? Mandare un messaggio.
Chris non sapeva a che razza di motore stavano lavorando gli scienziati di quella sezione, ma a ripensarci, Chris concluse che John invece lo sapeva. Sapeva che sarebbe andata a finire così.
Era John l'unico colpevole di quel disastro e no, non era affatto preterintenzionale.

giovedì 25 gennaio 2024

Audioracconto - Il segreto del quadro


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Una Laurencic da Pexels


Era un quadro diverso dagli altri. Un quadro unico nel suo genere. E io ero la sola ad aver scoperto il suo segreto.

Il segreto del quadro
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2021/06/il-segreto-del-quadro.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musiche: Easy Day di Kevin MacLeod (htthttp://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=76O8NEgNV0o);
Thinking Back by Max Surla & Media Right Productions dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=U4HR6GW69K8).

Immagini di: Una Laurencic (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-seduta-su-ottomano-davanti-a-tre-dipinti-20967/), Loïc Manegarium (https://www.pexels.com/it-it/foto/silhouette-di-una-persona-seduta-sulla-sedia-rotonda-3724836/), Riccardo (https://www.pexels.com/it-it/foto/mostra-display-di-pittura-69903/), Negative Space (https://www.pexels.com/it-it/foto/architettura-cornici-dipinti-folla-34633/), Beyzaa Yurtkuran (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-arte-videocamera-scattare-foto-15925079/) e (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-arte-dipingendo-foto-15925080/), Wellington Silva (https://www.pexels.com/it-it/foto/persone-arte-francia-dipingendo-14638945/), Jean Pierre (https://www.pexels.com/it-it/foto/bianco-e-nero-persone-arte-folla-5466869/), Vladimir Konoplev (https://www.pexels.com/it-it/foto/persona-donna-dipingendo-seduto-10683459/), Andrew Neel (https://www.pexels.com/it-it/foto/lotto-di-quadri-con-stampe-assortite-2123337/), Vika Kirillova (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-arte-museo-quadri-8830555/), da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 22 gennaio 2024

I mostri affilano le armi


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Ivan Babydov da Pexels


Nella Foresta del Terrore, nessuno si spaventava più.
Ricordo che una volta bastava l'ombra di una strega che passava a cavallo di una scopa davanti alla luna, e la sua risata malignamente gracchiante, a far tremare tutti di paura. Ma nel tempo di cui vi racconto nemmeno un branco di lupi mannari che ululava alla luna, o i gemiti di un'orda di zombie di passaggio, o il lugubre ringhio di un orrido mostro talmente brutto da non potersi nemmeno guardare, figurarsi descrivere, non facevano più né caldo né freddo. Che dire poi dei poveri fantasmi, una volta tolto loro il potere di far rizzare i capelli dallo spavento al solo apparire, non gli restava più niente.
Il problema in fin dei conti era che tutti ormai erano troppo abituati alla presenza di simili creature da trovarle normali. E la normalità, si sa, non fa per niente paura.
Ci avevano provato, gli abitanti della Foresta del Terrore, a rendersi più minacciosi, più combattivi, ad affilare per così dire le armi. Che, nel caso dei lupi mannari, equivaleva a mettersi ad affilare davvero zanne e artigli per renderli più aguzzi e taglienti. Risultati, zero. Gli assassini folli li avevano imitati con la loro varietà di coltelli e mannaie, ma senza sortire un effetto migliore.
Le streghe avevano avuto più fantasia nell'ideare tutta una serie di nuovi incantesimi e pozioni, e per notti e notti liquidi maleodoranti avevano sobbollito nei calderoni, e le loro voci stridenti avevano intonato una cacofonia di formule magiche, inframmezzate dalle loro risate sataniche, ma al momento di provare i loro malefici su ignare vittime, non ne avevano trovata nessuna che s'impensierisse minimamente all'eventualità di essere usata come cavia.
Il mostro si era imbruttito ancora di più, e questo nessuno lo credeva possibile, ma era successo. Era diventato talmente brutto che, come accade talvolta a certi film, invece di allontanare le persone aveva iniziato ad attrarre estimatori che lo definivano "tanto brutto da essere bello, a suo modo".
Gli zombie... loro avevano continuato a vagare in cerca di cervelli come al solito, e come al solito, senza trovarli. Spiegargli che dovevano cambiare strategia per tornare a spaventare la gente e riuscire nel loro intento era stato impossibile.
I fantasmi si erano rassegnati diventare sempre più trasparenti fino a sparire, lasciandosi dietro solo centinaia di lenzuoli appesi ai rami. Erano troppo vecchi, loro, per pensare di cambiare abitudini.
Insomma, questa cosa dell'affilare le armi, sebbene sulla carta fosse una grande idea, non stava funzionando per niente.
Poi, in una notte di luna piena, ovvero una notte qualsiasi dato che nella Foresta del Terrore sono tutte notti di luna piena, a una strega più astuta delle altre venne l'idea. Nel momento esatto in cui ricevette l'oscurazione, ovvero l'equivalente dell'illuminazione per le creature della notte, la sua tipica risata gracchiante risuonò in tutta la Foresta del Terrore, ma non inquietò nessuno, anche se avrebbe dovuto.
– La paura non è scomparsa! – annunciò alla sua congrega. – È solo cambiata.
E raccontò loro di quel che aveva visto nel frammento di vetro dai bordi taglienti che usava al posto della sfera di cristallo da quando nella Foresta del Terrore era iniziata questa mania dell'affilare tutto.
Da allora, le streghe della Foresta del Terrore non furono più vecchie megere dal viso tutto rughe, il naso adunco e le dita ad artiglio, bensì belle ragazze quando incontravano un giovanotto timido, esattori delle tasse nel far visita a un uomo avido, un pubblico ostile di fronte a un oratore inesperto, un gendarme alla porta di un disonesto, una rivale nella vita di una moglie gelosa, e queste sono solo alcune delle tante sembianze che le streghe della Foresta del Terrore iniziarono ad assumere per spaventare la gente. Quanto agli zombie, ai fantasmi, ai mostri, beh... non potete non averne visto qualcuno, ogni tanto. Loro non si mascherano affatto. Continuano a non far paura, ma a loro sta bene così.

sabato 20 gennaio 2024

Almanaccare

Almanaccare [al-ma-nac-cà-re] v. (almanacco, almanacchi ecc) 1. v.tr. [sogg-v-arg] Congetturare, fantasticare qualcosa. 2. v.intr. (aus. avere) [sogg-v-prep.arg] Lambiccarsi il cervello su qualcosa; rimuginare.

Etimologia: da almanacco, "libro che indica il tempo", derivato dal greco almenachon, la cui origine può essere rintracciata o come composto dall'arabo al, articolo determinativo, e manath, "mese", o dal greco menachos "giro della luna", da mene, "luna", oppure dall'ebraico manah, "distribuzione, computo", dal verbo mana'ha, "numerare", o infine dal copto men, "memoria".


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Andrea Piacquadio from Pexels


Sarà capitato a molti bambini e ragazzi tra quelli appassionati di fantascienza di almanaccare almeno una volta nella loro vita su mondi alieni e navi spaziali. Per me era diverso.
Io, a quell'età, non fantasticavo. Io sapevo.
Merito dei miei vicini di lassù, che avevo incontrato già prima di conoscere le storie che circolavano su di loro nei romanzi e nei film e nella cultura popolare. Il ruolo che veniva loro affibbiato era spesso meno che lusinghiero, eppure a me non avevano mai fatto alcun male.
Al contrario, ero divenuto ben presto molto più istruito dei miei coetanei, grazie a loro.
A volte avevo provato a immaginare come avrebbero reagito i miei compagni, i genitori o, più tardi, i miei vicini, se avessi raccontato loro tutto quanto. Non mi avrebbero creduto.
Avrebbero pensato che fossi un altro di quei folli che parlano di rapimenti alieni ed esperienze extracorporee.
Raccontarlo ai miei nuovi vicini era fuori questione per tutt'altro motivo. Il problema era che loro avrebbero anche potuto credermi. Solo che, grazie alle chiacchiere della signora Emilia, non avrebbero mai creduto che gli omini grigi erano innocui.
Dopo i primi avvistamenti, e ancora mi chiedevo come avessero fatto a farsi notare loro che erano sempre così discreti, la signora Emilia non aveva atteso un attimo per orchestrare e amplificare i pettegolezzi del vicinato, come immaginavo facesse sempre, ma questa volta era diverso.
Questa volta non si trattava di un presunto tradimento coniugale o di litigi tra vicini, questa volta il pettegolezzo coinvolgeva qualcuno la cui esistenza non avrebbe dovuto nemmeno essere nota, ed erano settimane ormai che almanaccavo su come risolvere la questione per poterla accantonare nel dimenticatoio come fosse stato nient'altro che un vecchio pettegolezzo qualunque.

giovedì 18 gennaio 2024

Audioracconto - Lui non c'è


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E se un giorno ti svegliassi e il tuo riflesso non fosse lì?

Lui non c'è
(racconto breve di genere fantastico)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/10/lui-non-ce.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Carroll Park di John Deley and the 41 Players, dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=IhhBf4cdM2Y).

Immagini di: Christa Grover (https://www.pexels.com/it-it/foto/specchio-ovale-vicino-al-water-1910472/), Beyzaa Yurtkuran (https://www.pexels.com/it-it/foto/occhiali-da-sole-riflesso-costume-halloween-18654870/), Ron Lach (https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-giovane-alla-ricerca-ritratto-8159646/), cottonbro studio (https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-hotel-in-piedi-ritratto-5371560/), Charlotte May (https://www.pexels.com/it-it/foto/interno-della-stanza-con-mobili-5825543/), Marc Pell (https://www.pexels.com/it-it/foto/bottiglie-bevanda-vuoto-usato-12304130/), Tima Miroshnichenko (https://www.pexels.com/it-it/foto/moda-uomo-abito-business-6765516/), Andrea Piacquadio (https://www.pexels.com/it-it/foto/elegante-uomo-concentrato-che-guarda-nello-specchio-in-bagno-3771081/), Lucas Pezeta (https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-che-tiene-lo-specchio-rettangolare-2112733/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 15 gennaio 2024

Il castello della regina


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Foto di Carolina Basi da Pexels


Quando c'è da costruire un castello, sta pur sicuro che tutti, dal sovrano del regno al più umile stalliere, hanno una loro opinione su come dev'essere fatto.
– Mura alte e spesse – diceva il capitano delle guardie.
– Un grande cortile dove esercitarsi alla giostra – ribattevano i cavalieri.
– Un sotterraneo umido da usare come prigione – affermava il carceriere.
– Una torre altissima da cui attendere il mio principe – era il sogno della giovane principessa.
– Niente scale – voleva la vecchia istitutrice.
– Tante scale – era invece la pretesa del maestro di musica.
E la cuoca del castello, che aveva necessità di disporre degli scarti di cucina, era solita andare in giro a dire che: – Un castello non è un castello senza un ponte levatoio sopra un fossato, ed è cosa più che ovvia che dentro ci devono stare i coccodrilli.
La povera regina, che si era incaricata personalmente di sovrintendere i lavori da quando il costruttore di castelli che aveva ingaggiato era ammattito per le troppe richieste e aveva cambiato il suo mestiere in quello di buffone di corte (aggiungendo alle altre la sua idea che il castello dovesse essere dipinto a triangoli rossi e cerchi verdi), aveva il suo bel da fare a mettere d'accordo tutti quanti.
Soprattutto quelli che cambiavano idea da una settimana all'altra.
– Quindi – disse la regina, rigirando tra le mani i disegni che le aveva portato il mastro falconiere orbo e zoppo. – Se ho ben capito, non va più bene la falconiera che abbiamo appena finito di ultimare nel sottotetto della torre di mezzo, ma preferiresti far alloggiare i tuoi rapaci proprio nel salone delle feste che mi ha richiesto il maestro di cerimonie?
– Eh, troppi spifferi dice lo sparviere, e secondo la civetta quell'altro è un ambiente più consono, e l'assiolo è convintissimo che dal palco dei musici il suo canto si sente meglio.
La regina si strofinò una tempia con due dita, proprio sotto la corona. Un conto era accontentare gli abitanti umani del castello, ma adesso si mettevano a dire la propria anche gli uccelli?
– Di questo passo inizieranno a far pretese pure gli asini e i coccodrilli che ancora devo trovare per il fossato – mormorò tra sé, e il falconiere la guardò strano, per quanto riuscisse a guardare con l'unico occhio buono.
Intorno a loro, il castello in costruzione ferveva di attività. operai andavano e venivano portando carriole di grosse pietre squadrate, i carpentieri tagliavano le assi per i pavimenti e le le porte e poi le inchiodavano al loro posto al ritmo ripetuto della sega e dei colpi di martello, e l'armaiolo si era abbassato a forgiare chiodi, lampadari e maniglie con gran fracasso di maglio calato sul ferro, ma solo perché gli era stata promessa una stanza ignifuga dove approntare la sua fornace.
Insomma, c'era tanto rumore da faticare a sentire le parole, e ovunque ti piazzassi potevi essere certo di essere sulla strada di qualcuno, che prima o poi sarebbe arrivato a chiedere di poter passare.
E inoltre aleggiava dappertutto la polvere, polvere di segatura, polvere di pietra, polvere di vecchi arazzi che la ricamatrice aveva per forza insistito per portarsi dietro dal vecchio castello e che nessuno voleva mettere nella stanza che aveva chiesto per sé. Ce n'era a sufficienza per starnutire tutto il tempo da mattina a sera, e infatti lì, dopo aver congedato il falconiere e sistemato il suo progetto insieme agli altri, mentre cercava di arrangiare tutti gli spazi in modo da costruire una struttura solida e con una certa logica la regina avvertì un forte prurito al naso, che si trasformò ben presto in un bisogno insostenibile di inspirare aria in spasmi sempre più profondi, finché dalla gola non le partì un poderoso starnuto che si avvertì in ogni ala del castello in costruzione, fece tremare le mura su cui gli operai stavano lavorando, e buttò in aria tutte le pergamene di disegni e richieste che le erano state portate fino a quel momento. I fogli volteggiarono pigramente nell'aria mentre la regina si strofinava il naso che ancora le pizzicava, e ricaddero a terra in ordine sparso. – Oh, beh – si disse la regina, che non aveva affatto voglia di ricominciare tutto daccapo. – Vorrà dire che il castello lo costruiremo così.
Il giorno dell'inaugurazione, con tutti gli abitanti del nuovo castello (compresi cavalli, asini, cavalli, rapaci e coccodrilli del fossato) riuniti all'esterno, la regina pronunciò un breve discorso di due-tre ore circa, e concluse la cerimonia con il classico lancio dell'ariete contro le mura. Questo atto, che avrebbe dovuto provare a tutti la solidità e la resistenza del nuovo castello, fece invece tremare le torri sghembe e malferme, aprì un enorme buco nelle mura esterne (dipinte a stelle rosa e cuori gialli come aveva alla fine voluto il giullare di corte ex costruttore, dopo avere cambiato idea ben tredici volte) e finì col far crollare l'intera struttura su sé stessa come un fragile castello di carte.
Si resero conto solo allora che tra le richieste che erano arrivate alla regina, nessuno aveva domandato di costruire le fondamenta.

sabato 13 gennaio 2024

Assiso

Assiso [as-sì-so] agg. lett. Seduto.

Etimologia: dal latino, participio passato di assidere, composto dalla particella ad, "a" e da sidere "porsi a sedere".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Miguel Cuenca da Pexels


– Che razza di guida mi è toccata! – considerò tra sé e sé Whiteray, nel farsi strada da sola nella foresta. – Scompare, riappare, va e viene come gli pare, senza considerare i suoi discorsi assurdi di cui capisco meno che metà.
Era dalla seconda prova e dal terzo incontro in quella foresta di nebbia e di piante intricate che non aveva più visto colui che la guidava, il viandante che per primo aveva incrociato all'inizio della sua ricerca. Whiteray sentiva di non aver fatto alcun progresso, e quando gli alberi si diradarono lasciando spazio a una radura, per un attimo le parve di aver girato in cerchio e di essere tornata al punto di partenza, al luogo dove aveva incontrato Thiss.
Ma non c'era alcun monolito in questa radura, né un prigioniero incatenato alle pietre. Al loro posto, Whiteray scorse due troni e due persone assise su di essi, un uomo e una donna. Indossavano abiti pregiati e insegne regali, e il loro portamento fiero e impassibile emanava un'aura di autorità.
Whiteray esitò ad avvicinarsi, intimorita dalla loro immobilità e dal loro sguardo altero.
Ci fosse stata la sua guida, avrebbe chiesto a lui come comportarsi di fronte a quelli che parevano i sovrani di quel regno, ma essendo da sola, non si risolse a far nulla di più di ciò che stava facendo, ovvero niente.
– Davvero, bambina? – l'apostrofò a quel punto la donna assisa sul trono di sinistra. La sua voce aveva un tono severo, ma era soprattutto dolce e gentile. – Tu sai quello che devi fare, il cammino che ti aspetta per giungere alla meta. Perché allora esiti?
Spronata dalle sue parole, Whiteray lasciò il riparo degli alberi e le si avvicinò con riluttanza. La verità era che non capiva molto di tutta quella storia, e non si sentiva affatto all'altezza del compito che stava affrontando, ma non l'avrebbe mai ammesso di fronte a una donna così sicura di sé e del suo potere.
– Parla – disse la donna, come se avesse capito che le frullava in testa. – Io sono l'Imperatrice, e ti presto udienza.

giovedì 11 gennaio 2024

Audioracconto - Sotto la pioggia, sopra la neve


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Evelyn Chong da Pexels


Ecco che succede a lasciare un progetto importante nelle mani di una sorellina curiosa e un po' pasticciona.

Sotto la pioggia, sopra la neve
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2021/11/sotto-la-pioggia-sopra-la-neve.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Out of the Skies, Under the Earth di Chris Zabriskie (https://chriszabriskie.com/reappear/)
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Immagine di: Evelyn Chong (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-che-tiene-una-foto-in-scala-di-grigi-dell-ombrello-790104/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

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lunedì 8 gennaio 2024

L'alchimista che voleva essere re


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Tima Miroshnichenko da Pexels


Una risata di incontenibile, folle gioia riecheggiò nel laboratorio, sovrastando per un instante il gorgoglio delle misture negli alambicchi, il sobbollire delle pozioni nei crogioli e l'occasionale esplosione in miniatura, con tanto di emissione di zaffata fetida, quando una goccia precipitava da un tubicino attorcigliato a spirale in una delle boccette, causando un cambiamento di colore nel liquido che conteneva.
– Eureka! – urlò la stessa voce della risata di poco prima. La voce apparteneva a un individuo minuscolo dagli enormi occhi sbarrati, una gran massa di capelli bianchi scomposti e un lungo camice dello stesso colore, che proseguì in tono concitato: – È possibile, è davvero possibile! La sintesi è fatta, la sublimazione è avvenuta! Ci sono riuscito, stavolta ci sono riuscito ed è mia, tutta mia, mia e di nessun altro!
Poi proruppe in un'altra risata, una ancora più potente, di gola, e con accenno di perfida soddisfazione. E ne aveva ben donde, d'altra parte: era per quel risultato che aveva lavorato tutta la vita, era per ottenere quello specifico composto che si era lambiccato il cervello e si era rifiutato di portare avanti qualunque altra attività fosse consona per qualcuno come lui, un uomo comune, ma con un'ambizione e una determinazione senza pari. Persino mangiare gli pareva superfluo, finché non avesse raggiunto il suo obiettivo.
Ma per capire che cosa desiderava così fortemente l'alchimista folle, bisogna prima comprendere la terra in cui era nato.
Nel Mondo Scacchiera esistevano da sempre due re, che non riuscivano mai a mettersi d'accordo su nulla. Se uno diceva bianco, l'altro diceva nero; se uno diceva nero, l'altro diceva bianco. Essendo da sempre in disaccordo, i due re erano da sempre in guerra, ed essendo re, non si limitavano a risolvere la disputa tra loro, bensì avevano coinvolto tutti i sudditi in battaglie dalle complicate manovre e strategie. Non c'era fante, cavaliere, portabandiera, ingegnere che manovrava complesse macchine da guerra a forma di torre, e persino vescovo che non fosse chiamato a dare il suo contributo sul campo di battaglia, e le perdite da ambo le parti a fine giornata erano sempre numerose.
Qualunque fosse il motivo che aveva scatenato le ostilità, l'ometto che si destreggiava tra alambicchi e pozioni aveva deciso fin da subito che non sarebbe stato una pedina nella causa di qualcun altro. Perciò si era dato tanto da fare per perseguire una carriera che non fosse quella militare, l'unica ormai ammessa in entrambi i regni.
– Non lo faccio per me, bada bene! – Era quel che diceva a chiunque il re mandasse per interrogarlo su quella follia e ricondurlo al posto a cui apparteneva. – Il nostro mondo ha bisogno di pace e solo un re dei re, né bianco né nero, ma entrambi allo stesso tempo, può far cessare la guerra. Questa è la sola speranza per il Mondo Scacchiera!
Quelli che in altre circostanze sarebbero stati i suoi compagni di battaglione ogni volta ridevano a sentirlo parlare di irraggiungibili utopie, e lo prendevano in giro per ciò che consideravano una futile ossessione. Ma se qualcuno di loro si fosse spinto a chiedergli di più, avrebbe scoperto che il suo intento non era poi così altruista come l'alchimista folle sosteneva.
Una volta preparata la pozione che gli aveva richiesto tanti anni e tanti sacrifici, una volta compiuti tutti i passi per trasformare una teoria strampalata in una realtà raggiungibile, non c'era nessuno a cui l'alchimista avrebbe potuto essere indotto a cederla. No, come il più classico degli scienziati pazzi, era su sé stesso che avrebbe provato la formula, giustificandosi con la scusa che non sarebbe stato etico rischiare la vita di qualcun altro, in caso di fallimento.
Tra il ribollire degli ingredienti che ancora emanavano vapori che percorrevano i tubicini ritorti, e il gocciolio delle essenze condensate che ricadevano nelle boccette, l'alchimista folle sollevò una mistura monocroma contenuta in una piccola beuta, la osservò con desiderio e un'altra folle mezza risata e infine la trangugiò tutta d'un fiato.
Il sapore era disgustoso. L'alchimista folle trattenne un conato di vomito convincendosi che, se tutto andava come previsto e sarebbe andato di certo come previsto, valeva la pena di sopportare qualunque spiacevole e temporaneo inconveniente. Appoggiò sul tavolo da lavoro ingombro di carte, boccette, mortai e fiale la beuta ormai vuota. E attese.
Dapprima non avvenne nulla. Non avvenne per un tempo così lungo che l'alchimista iniziò a essere assalito dai dubbi, e a chiedersi che cosa avesse sbagliato. Ma proprio quando stava per rimettere mano agli alambicchi e ripetere ogni passaggio, un formicolio gli invase le membra e gli fece tremare le mani così forte che le fialette tra le sue dita tintinnarono l'una contro l'altra, rovesciando gocce del loro prezioso contenuto. L'alchimista folle si affrettò a riporle e si trascinò piegato in due al più vicino specchio.
Voleva gustarsi ogni istante della meravigliosa metamorfosi che stava per compiersi. – Un individuo quale nessuno ha mai visto su questa terra – mormorò tra sé, quasi senza fiato, inframmezzando le parole con una risatina degna di uno squilibrato. – Un re la cui autorità è al di sopra di ogni re...
Lo specchio rifletteva ogni cambiamento nel suo corpo minuto, dimostrandogli che ciò che avvertiva stava avvenendo davvero. Non era la sua immaginazione se sentiva le membra gonfiarsi e tirarsi, stava realmente diventando più alto. Non era suggestione quel solletico che danzava sul suo volto, era la sua pelle che cambiava colore assumendo una variegata alternanza di riquadri bianchi e neri. Non era il suo desiderio che gli dava l'impressione che la sua testa fosse cinta da una fascia, era una corona che si stava materializzando sul suo capo, come cresciuta dalla fronte e dalle tempie.
– Funziona, funziona! – esclamò l'alchimista trionfante, e man mano che cresceva di statura anche la sua voce si faceva più acuta, come sbalzata verso altezze vertiginose dall'eccitazione. – Sarò re, più che re, e tutti mi obbediranno, persino quei due sovranucci da nulla, e dovranno inginocchiarsi di fronte a me, e fare tutto quello che io chiedo, o me li mangerò in un sol boccone...
La voce dell'alchimista, tanto acuta da essersi fatta femminea, zittì di colpo. Quello che era stato un tempo destinato a marciare come un soldato semplice si rimirò nello specchio, incredulo di fronte a ciò che vedeva. L'alta corona sulla sua testa era ciò che si era aspettato di ottenere, ma le curve nella sua figura longilinea, le labbra piene, la lunga chioma che scendeva oltre le spalle rivelavano che c'era stato un piccolo effetto imprevisto nel trangugiare la pozione così attesa e accuratamente preparata.
Il pedone alchimista era diventato una splendida regina.

sabato 6 gennaio 2024

Visibilio

Visibilio [vi-si-bì-lio] s.m. (solo sing.) 1. Piacere intenso, specialmente nella locuzione "andare in visibilio"; entusiasmarsi oltre misura. 2. fam. Grande quantità.

Etimologia: dal latino invisibilia (sottinteso negotia), "cose invisibili", probabilmente una reminiscenza delle parole del Credo cattolico visibilium omnium et invisibilium, "di tutte le cose visibili e invisibili".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Lada Rezantseva da Pexels


La vedevo andare in visibilio per piccole cose: il calore del sole sulla pelle, il fruscio del vento tra i rami di un salice, il profumo di un arbusto di rosa selvatica. Era una delle tante cose che la rendevano unica.
Oltre, naturalmente, ai miracoli che mi aveva dimostrato di saper compiere. Ma se avessi parlato ad alcuno di quelli, o delle sue convinzioni, avrebbero tacciato le mie parole di sacrilegio.
Noi non vedevamo il mondo, o Dio, nello stesso modo, ma stranamente la sua fede pagana non mi disturbava; anzi, discorrevamo tranquillamente delle differenze nel nostro credo, come non sarei stato in grado di fare con un qualunque infedele.
Quella parola non le si addiceva, come non si addiceva a lei l'appellativo di strega. No, non era affatto infedele, né malvagia: la sua fede era forte, anche più della mia, che non era bastata a trattenermi nell'ordine a cui mi ero votato, e le sue mani innocenti.
Non aveva mai fatto alcuna delle nefandezze che vengono attribuite alle streghe, ne ero certo, e non conosceva il demonio.
Per questo me ne innamorai. Non per un filtro magico, o per una malia.
Fu una notte, sotto un visibilio di stelle di cui lei mi raccontava i segreti con sguardo incantato, che scoprii di provare ardore per la mia fanciulla bionda divenuta donna, e che ci amammo per la prima volta.

giovedì 4 gennaio 2024

Audioracconto - Improbo


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Erik Mclean da Pexels


È tempo di dare la parola al cattivo della storia.

Improbo
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)

Improbo: Che manca di onestà, di rettitudine; che richiede una fatica e un impegno eccessivi.


Trovi gli altri racconti sul canale YouTube: https://www.youtube.com/@lavocedellapiuma

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/08/improbo.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Savoy Theatre di Twin Musicom dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=faRZskRUUo8).

Immagini di: Erik Mclean (https://www.pexels.com/it-it/foto/luce-uomo-arte-creativo-4157123/), Lyon Peru (https://www.pexels.com/it-it/foto/punto-di-riferimento-marrone-statua-chiesa-18427139/), cottonbro studio (https://www.pexels.com/it-it/foto/ristorante-misterioso-gangster-bw-7265996/) e (https://www.pexels.com/photo/extreme-close-up-photo-of-man-with-scar-on-his-face-7266016/), Andrea Piacquadio (https://www.pexels.com/it-it/foto/architetto-maschio-concentrato-che-lavora-alla-bozza-di-carta-3771098/), RDNE Stock project (https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-in-piedi-lealta-patriottismo-7467965/), (https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-abito-mani-felice-7005756/) e (https://www.pexels.com/it-it/foto/mani-uomini-tenendo-catena-7694691/), Vlado Pitbullgrif (https://www.pexels.com/it-it/foto/luce-persona-notte-scuro-6486885/), Spencer Selover (https://www.pexels.com/it-it/foto/foto-di-formazione-rocciosa-durante-il-giorno-3075090/), Jay Johnson (https://www.pexels.com/it-it/foto/recinto-di-legno-marrone-con-la-neve-6414377/), Vlad (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-in-cappotto-nero-in-piedi-vicino-al-corpo-di-acqua-3894874/), da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 1 gennaio 2024

Il principe curioso


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Goran Dojčinović da Pexels


Il principe se ne stava in disparte, con un fazzolettino ricamato premuto davanti al naso. Il chirurgo reale non capiva perché avesse voluto a tutti i costi essere presente, visto che lì era solo d'intralcio, e che comunque gli sarebbe stato fatto un resoconto dettagliato in seguito.
In più, vedere la sua espressione schifata, quando di tanto in tanto scostava il fazzolettino e lo usava per sventolarsi, gli dava sui nervi.
Il suo assistente e il segaossa che trinciava le parti più dure del loro... paziente, se così si poteva chiamare, sogghignavano sotto i baffi ogni volta che il principe trasaliva per il ronzio della sega circolare, o per il risucchio di uno dei tubicini che ripulivano il tavolo di metallo dagli umori maleodoranti che fuoriuscivano dalla creatura.
– Allora, cos'è? – borbottò il principe, ma nessuno si diede la pena di rispondergli. Lì, nel laboratorio di chirurgia della Reale Accademia delle Scienze, il principe non era un principe, ma solo un ospite, nel migliore dei casi, e un intruso nel peggiore. Quello non era il suo regno.
Quello era il regno del chirurgo reale, tra macchinari che lampeggiavano ed emettevano ritmici bip, bisturi e aghi, odore di sangue e di altri più strani fluidi e di formalina ed etanolo. Quel lezzo era odore di casa per il chirurgo reale, tanto che in sua assenza si sarebbe trovato spaesato, e non avrebbe riconosciuto il laboratorio.
Al primo respiro, il principe aveva trattenuto un conato di vomito.
Sì, decisamente quello non era il suo posto.
– Incredibile che sia ancora vivo – commentò l'assistente, curvandosi sopra la creatura che stavano esaminando.
– Chi, il principe, o il nostro esemplare? – bisbigliò di rimando il segaossa, strappando una risatina al giovane assistente.
– Signori, un po' di contegno – ricordò loro il chirurgo reale. Non avrebbe mai ammesso ad alta voce che se lo era chiesto anche lui, nel segreto dei suoi pensieri. – Un po' di luce da questa parte... aspirare... vedete quella sacca là in fondo? Sotto la placca ossea...
– Non è uno stomaco? – chiese l'assistente, con una sbirciata al principe che era notevolmente impallidito da quando avevano esposto gli organi interni della creatura.
– No, qualcosa di diverso, suppongo – replicò il chirurgo reale.
Il principe si terse la fronte con il fazzoletto, poi lo riportò di fronte al naso e alla bocca. – Non sapete che cosa sia? – borbottò in tono allarmato.
Questa volta il chirurgo reale sbuffò e si degnò di rispondere, senza smettere di esaminare strato dopo strato il corpo della creatura: – No, maestà. Ma ci stiamo lavorando.
– Ma... – fece il principe, evidentemente in vena di proseguire con le domande.
Il chirurgo reale si raddrizzò, fissò il principe e disse in tono severo: – Maestà, con il dovuto rispetto, smetta di distrarci o dovrò mandarla fuori.
Il principe non parlò. Il chirurgo reale tornò a concentrarsi sull'ammasso di carne che era stato un tempo una creatura volante, con una lunga coda dotata di un pungiglione e un esoscheletro chitinoso.
– Dunque, dove eravamo rimasti? Ah sì, la sacca, e pure quest'organo qui, pare unico nel suo genere nel mondo animale. Qualche ipotesi? – chiese il chirurgo reale all'assistente, un po' per metterlo alla prova, e un po' per verificare se non gli fosse sfuggito qualcosa tra quelle che aveva già formulato lui stesso.
Nel suo angolo, il principe allargò il colletto con due dita. Sudava copiosamente in quel momento, più di quanto fosse giustificato dal consueto calore del laboratorio, rischiarato a giorno da lampade basse. Di tanto in tanto si sforzava di vincere il ribrezzo e guardare verso il tavolo operatorio, ma subito distoglieva gli occhi.
Non aveva più parlato dopo il rimprovero del chirurgo reale.
Fu solo quando avvertì oltre al caldo eccessivo e allo stomaco aggrovigliato anche un crescente pizzicore alle dita delle mani, che si decise a rompere il silenzio. – Ma almeno sapete dirmi se è velenoso?
Con un sospiro esasperato, il chirurgo reale rispose meccanicamente, tutto concentrato sul suo lavoro e senza degnare il principe di uno sguardo: – No, maestà. Ma ci stiamo lavorando.
– Non si può accelerare la cosa? Avrei un pochino fretta di scoprirlo – aggiunse il principe. – Quella bestia schifosa mi ha punto prima che il mio cavallo la calpestasse e che il mio paggio la portasse qui da voi.
Il chirurgo reale alzò lo sguardo sul principe, finalmente interessato. Ai suoi occhi quell'ometto sussiegoso con una corona in testa era appena passato da "intruso" a "prossimo soggetto di studio".