lunedì 29 marzo 2021

Benvenuto nella giungla

In un primo momento avevo pensato di inserire la giungla nel post di lunedì scorso, assieme a boschi e foreste. Ma la giungla, sia per la sua natura che per l'uso e il significato di questa ambientazione nelle storie, è così diversa dalle foreste nostrane che merita di essere trattata a parte.



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La giungla è per antonomasia il luogo dove la natura è più selvaggia e incontaminata. Possiede dunque molte delle caratteristiche già viste per boschi e foreste, ma nella giungla queste raggiungono i massimi livelli. Perciò il pericolo proviene non solo dagli animali che la popolano, che nelle storie possono raggiungere dimensioni anche ragguardevoli come il serpente del film Anaconda o il classico e più volte rappresentato King Kong, o da creature misteriose come il mostro di fumo del telefilm Lost, ma anche i nativi, come accade in Civiltà perduta, possono essere ostili o addirittura mortali per i protagonisti (a loro discolpa, gli estranei stanno invadendo, talvolta distruggendolo, il loro territorio... quando non sono rappresentati come cannibali, e allora la motivazione per attaccare è un'altra), per non parlare poi di malattie, umidità, e talvolta anche piante velegnose o carnivore, ben più attive di quelle che esistono nella realtà. Non è un caso se il più famoso tra i giochi "diabolici" che attirano i giocatori nel loro universo, il cui nome avrai capito essere Jumanji, ha per tema e ambientazione principale proprio la giunga.
Come accade nella foresta, nella giungla si può perdere l'orientamento, in senso sia reale che metavorico. Così può capitare di perdere anche se stessi, la propria identità o i propri valori, fino a essere preda di allucinazioni o di una regressione a uno stato selvaggio e primitivo, come accade nei romanzi Cuore di tenebra di Joseph Conrad e Il signore delle mosche di William Golding. Anche quando all'inizio la giungla appare come un luogo affascinante, paradisiaco ed esotico, l'inferno è sempre dietro l'angolo, come dimostra il film The Beach.
Con tutti questi pericoli in agguato non stupisce se tanti film di guerra sono ambientati in una giungla, e non solo quando rappresentano un conflitto che si è realmente svolto in zone del mondo dove predomina un tale tipo di ambiente, come la guerra del Vietnam in Apocalypse Now (che, tra l'altro, è una rilettura di Cuore di tenebra), o il fronte del Pacifico nella seconda guerra mondiale ben rappresentato in La sottile linea rossa, ma anche quando la storia non riprende una battaglia reale bensì inventata, come può essere la caccia dell'alieno Predator, la vendetta di Rambo, o la lotta per sopravvivere ai giochi di Hunger Games.
Se da un lato però la giungla ci spaventa con i suoi mille pericoli, dall'altro ci affascina, e in essa possiamo ritrovare il piacere di un'avventura esotica, come le tante raccontate da Emilio Salgari, tra cui ricordo I misteri della jungla nera anche se in questo caso il suo celebre Sandokan non è coinvolto. La giungla rappresenta l'ignoto, l'inaccessibile, ed è così lontana da tutto ciò che conosciamo che è possibile immaginare di trovare in essa ciò che altrove è scomparso, come i dinosauri sopravvissuti del romanzo Il mondo perduto di Arthur Conan Doyle. Ricca di risorse, ma in contrapposizione con gli esseri umani, tanto che non è difficile rivedere nella giungla aliena di del film Avatar lo sfruttamento e la deforestazione della foresta pluviale amazzonica. In fondo, come viene detto a Mowgli ne Il libro della giungla, la giungla non è il posto più adatto per l'uomo... a meno che, naturalmente, quell'uomo non sia Tarzan.
Ma mi fermo qua, prima di perdermi anch'io in una giungla storie e di riferimenti. L'appuntamento, come sempre, è per giovedì, quando ti porterò a esplorare una giungla che si trova dalle parti della mia fantasia.

sabato 27 marzo 2021

Affabile

Affabile [af-fà-bi-le] agg. Disponibile al colloquio; estens. che dimostra umana simpatia verso il prossimo, cordiale, socievole.

Etimologia
: dal latino affabĭlis, "a cui si può parlare", derivato da affari, "rivolgere la parola", a sua volta composto da ad, "a", e il verbo fari, "parlare".


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– Quello Zohar è un affabile serpente! – sbottò la regina, camminando avanti e indietro nelle sue stanze. Aveva mantenuto dignità e contegno nella sala del trono, ma una volta al sicuro alla mia sola presenza si permise di parlare in modo schietto.
Non avevo idea di cosa intendesse con "affabile", ma quanto al "serpente" ero d'accordo con lei.
– E ancora non sono certa che non sia uno stregone. – La regina sospirò e si sedette sul letto. – Che cosa dovrei fare, Anna? La sua offerta è... allettante. E so che mio padre lo avrebbe accettato come mio pretendente. Diceva sempre, della gente di Torri di Smeraldo, che è meglio averli per amici che come nemici. E che siano stregoni come si mormora oppure no, penso che avesse ragione.
Abbandonai il mio posto di guardia accanto alla porta e mi avvicinai. Sembrava più fragile che mai, presa nella confusione che le causava quella scelta, eppure io conoscevo la sua forza. Avevo visto come aveva tenuto testa a Zohar di fronte ai dignitari del regno, mentre io ero stata sviata da uno dei suoi doni. A mia discolpa non avevo mai visto una spada simile, tanto leggera e ben bilanciata da parer davvero frutto della magia.
Mi inginocchiai. – Mia regina – le dissi, – è vero, le Torri di Smeraldo hanno molto da offrire al regno. Ma la questione è un'altra. Siete sicura di potervi fidare di lui? – mi umettai le labbra mentre le lasciavo un istante per riflettere. Non le parlai di sposarsi per amore come facevamo da bambine, ormai era una questione superata, lei sapeva che nella sua posizione sarebbe stato un sogno tanto arduo da risultare impossibile. Ma doveva proteggere la sua autorità, tutto ciò che aveva conquistato nel corso degli anni, da ogni arrivista che vedeva in lei solo un trono vacante. – Siete certa che come vostro marito accetterà di essere vostro pari, e non il vostro signore e padrone?
La regina sorrise e mi accarezzò i capelli. – Anche tu sei astuta quanto affabile, mia cara Anna. E io sono felice di averti al mio fianco.

giovedì 25 marzo 2021

La foresta di Aven Roè

Boschi e foreste sono tra le mie ambientazioni preferite, e ho scritto diversi brani anche sul blog. Per brevità riporto solo quelli in cui la descrizione dell'ambiente è più dettagliata, e che si svolgono interamente in quei luoghi:

Zufolo (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/03/zufolo.html)
Bramire (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/02/bramire.html)
Galaverna (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/03/galaverna.html)
Il bosco degli amanti sfortunati (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/11/il-bosco-degli-amanti-sfortunati.html)
La città nel bosco (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/11/la-citta-nel-bosco.html)
Il fiore Selvanima (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/12/il-fiore-selvanima.html)
Personaggio: Thiss (https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/06/personaggio-thiss.html)
Falena (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/03/falena.html)


Il racconto che ho scelto di sviluppare si colloca subito prima di quest'ultimo brano, "Falena". Per scriverlo ho utilizzato, come tappeto sonoro, Enchanted Forest (https://www.youtube.com/watch?v=W-94JGuYef0) di The Vault of Ambience.


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Si raccontavano strane storie sulla foresta di Aven Roè. Alberi viventi, spaventose creature carnivore, esploratori scomparsi. Le solite cose, insomma.
Dalle nostre parti non c'era angolo di terra che non avesse le sue leggende, eppure davanti ai primi alberi contorti che s'infittivano ci fermammo. Era quasi il crepuscolo, perciò avremmo dovuto attraversarla di notte: una prospettiva ben poco allettante se, a dar retta alle storie, la maggior parte delle sparizioni era avvenuta nelle ore delle tenebre.
Il velo scuro che copriva il volto di una delle mie compagne di viaggio fremette, e una voce pacata, mormorante, si levò dalle labbra celate: – Intendi proseguire, elfo?
Scrutai quelle profondità misteriose, velate da una bruma verdastra che s'infittiva a terra. Conoscevo le foreste, ed ero amico delle driadi e di altre creature che le abitavano, eppure non avevo mai visto nulla di paragonabile a questa. Così ostile, così aliena da tutto ciò che mi era noto. Sospirai. – Non abbiamo altra scelta.
La missione che Julian ci aveva affidato era della massima importanza, e tutti e tre ne eravamo consapevoli. Eppure Nyx volse le spalle alla foresta e disse, con un'ombra di sarcasmo nella voce: – Buona fortuna.
Non era un buon segno se perfino una notturna, una delle creature più temute dagli esseri umani, si rifiutava di affrontare i pericoli che potevano celarsi tra gli alberi di Aven Roè. – Intendi abbandonare? – la schernii, credendo che la sua fosse una rinuncia. Ma Nyx già stava aiutando Ailey a risalire a cavallo del baio che l'aveva condotta fin qui.
– Niente affatto. Noi costeggeremo la foresta, aggirandola. Non appena l'oscurità avrà spento le ultime luci del giorno, io potrò muovermi molto più rapidamente, e Raigo sarebbe comunque intralciato dagli alberi, se proseguissimo nella foresta. Ma tu vai pure. Per te, quella è la via più breve.
Nyx non aveva mai nascosto di non trovare particolarmente gradevole la mia compagnia. Gli elfi sono creature della luce, ed era di quel tipo la poca magia che ero in grado di evocare, essendo io un erede della stirpe elfica solo per metà. Eppure riusciva a sopportare benissimo Julian, la cui ascendenza apparteneva alla luce molto più della mia.
– Non è prudente separarci – le ricordai.
– Sei debole, e ti affatichi facilmente. Ci rallenteresti.
– Nyx! – protestò Ailey da sopra il cavallo. – Non essere scortese.
Ailey non parlava quasi mai, se non sottovoce, e solo alla sorella. Non l'avevo sentita che una o due volte, da quando con Nyx si era unita agli Erranti. Pensavo che fosse perché era l'unica umana di sangue puro ammessa nella nostra bizzarra compagnia, e dunque si sentisse un po' fuori posto in mezzo ad ibridi di tutte le sorti, ma forse c'era dell'altro.
– Non volevo offenderti – si scusò la notturna, con riluttanza. – Però è vero.
Aveva ragione. Fossi stato davvero un elfo, come lei era solita appellarmi, forse avrei potuto tenere il suo passo, nonostante un notturno nel suo elemento sia incredibilmente veloce. Ma se la sua metà umana non risentiva dello sforzo, per me la questione era diversa. Avevo bisogno di riposare almeno un paio d'ore in un dormiveglia leggero, e in quello stato non potevo correre.
Perciò, come aveva detto Nyx, Aven Roè era la mia strada più breve.
– Ci vediamo dall'altra parte! – mi assicurò Ailey, protendendosi verso di me da sopra il cavallo, mentre già Nyx lo conduceva lontano. Pensai che fosse strano, e che forse me lo avesse detto perché temeva per la mia incolumità fra quegli alberi, ma più probabilmente stava solo facendo ammenda per le parole sgarbate della sorella.
Con l'acciarino diedi fuoco a una rudimentale torcia. Mi serviva per rischiararmi il cammino e tenere lontane da me le creature feroci, reali o leggendarie che fossero. Col bagliore della fiamma che mi accompagnava, m'inoltrai nella foresta.
L'oscurità pesante tra i suoi rami divenne fonte di inquietudine una volta scesa la notte, e le forme sgraziate e contorte della vegetazione gettavano ombre minacciose nei dintorni. L'occasionale richiamo del gufo giungeva alle mie orecchie da ogni dove, a volte vicino, a volte lontano, ma sempre più brusco e tagliente di quello dei suoi simili in altre regioni. A parte qualche raro e lugubre ululato, il silenzio era quasi tangibile, e suonava come una musica arcana ai miei sensi, ingannati in quel vuoto dall'assenza di fruscii dei miei passi. E allora mi sembrava di immaginare strane presenze, al limite della mia percezione; occhi che mi seguivano, e bisbigli soffocati, come se l'intera foresta complottasse contro di me. Non mi meravigliai delle storie che raccontava la gente, se perfino su di me Aven Roè faceva quell'effetto. Erano solo gli alberi piegati in quelle forme inusuali a suggestionarmi, e solo il vento a sussurrare melodie incomprensibili.
Non vidi nulla di davvero pericoloso, nessun albero si mosse per farmi perdere l'orientamento, nessun mostro mi attaccò, e quando fui troppo stanco per proseguire fu con tranquillità che che accesi un fuoco con la torcia, per tenere lontane da me le ombre mentre mangiavo qualcosa e poi mi abbandonavo al poco riposo che mi era necessario. Ero ormai convinto che le leggende non fossero altro che quello: leggende.
Fu al mio risveglio, alla luce di una fiamma morente, che mi accorsi all'improvviso di non essere solo.

lunedì 22 marzo 2021

Boschi e foreste

Nel descrivere giardini e campagna ho accennato al fatto che fossero un tipo di natura "addomesticata", modificata per necessità o senso estetico dall'essere umano. Adesso il nostro viaggio ci porta a esplorare luoghi di natura (si spera) incontaminata: i boschi e le foreste.



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Boschi e foreste appaiono spesso come ambientazioni nelle fiabe per bambini: sono i luoghi in cui si possono incontrare creature pericolose (Cappuccetto rosso), in cui ci si può smarrire (Hansel e Gretel), ma allo stesso tempo sono anche i luoghi dove vivono in pace gli animali selvatici (Bambi), e i luoghi in cui si può trovare un inaspettato rifugio da un pericolo mortale (Biancaneve e i sette nani). Dunque, da sempre, il bosco e la foresta hanno nelle storie questa duplice valenza di luogo minaccioso, covo di creature oscure e letali tanto da dover vietare di inoltrarsi in essa, se non in caso di estrema necessità e con cautela, come accade per la Foresta Proibita nella saga di Harry Potter, mentre in altri casi rappresenta il luogo più sicuro perché lontano e nascosto, quasi inaccessibile, come può essere la foresta di Sherwood per il bandito buono Robin Hood, oppure perché al di fuori delle comuni leggi del mondo, come la Foresta di Arden nella commedia di Shakespeare Come vi piace.
E proprio per questa sua caratteristica di essere lunghi "al di fuori del comune", boschi e foreste sono le terre della fantasia, dove abitano creature fantastiche come gli Ent della Foresta di Fangorn nella trilogia Il Signore degli anelli, raggiungibili solo in un modo speciale, come avviene nel film Un ponte per Terabithia, luoghi in cui si va per mettersi alla prova e crescere, ma da cui alla fine è necessario tornare, come i ragazzi di Captain Fantastic. Luoghi affascinanti, e non occorre essere un cane per sentire Il richiamo della foresta. Luoghi in cui però si può perdere tutto e rischiare persino la morte, come accade per il Revenant - Redivivo Di Caprio, o, se si è così sfortunati da essere i personaggi di un film horror, come ad esempio The Blair Witch Project, luoghi da cui di sicuro non si tornerà mai più.
Per ora è tutto, ti lascio a esplorare altri boschi e altre foreste delle storie (attento a non perderti!), mentre per fare un viaggio tra gli alberi di una delle mie dovrai attendere ancora qualche giorno.

sabato 20 marzo 2021

Pugnace

Pugnace [pu-gnà-ce] agg.  Battagliero, combattivo, bellicoso.

Etimologia
: dal latino pugnacem, derivato da pugnare, "combattere", con la desinenza acem che indica propensione a compiere l'azione.


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Le rosse causano problemi. Quel frammento di saggezza popolare non aveva mai mancato di rivelarsi vero: mai avevo incontrato una di loro che non fosse battagliera, ostinata, fiera. Quand'anche sapevano fingersi arrendevoli, bastava una parola sbagliata, o una mano nel posto sbagliato, ed ecco che mi ritrovavo ad affrontare una leonessa.
Perciò, quando il ragazzino che avevo tirato su portò in casa nostra, o meglio, nel magazzino in cui avevamo temporaneamente preso residenza, una bimba sperduta dai capelli rossi, capii subito che sarebbe stata una fonte di guai.
– Che ti ha detto il cervello? – lo apostrofai. Rapire una bambina era vantaggioso se la sua famiglia era ricca, ma gli abiti da contadina della marmocchia mi rivelavano che non era questo il caso.
La piccola mi squadrò con un'occhiata pugnace. Non poteva avere più di sei o sette anni, eppure mi rivolse parole sfrontate. – Tu sei il suo papà? Sei tanto vecchio! – Fece una smorfia e piantò gli occhi sul ragazzino. – E dov'è la torta? Mi avevi promesso una torta!
Bofonchiai una sequela di parolacce. Sulle rosse, ancora una volta, la saggezza popolare aveva ragione. La bambina era una popolana, eppure si comportava come una principessa e non aveva paura di me. Non aveva paura di me, né del mio piccolo aiutante, anche se avrebbe dovuto: il Furetto sapeva essere un vero bastardo, ma altrettanto bene sapeva rivestire la sua astuta cattiveria di una patina accattivante. Glielo avevo insegnato io. Senza di me sarebbe diventato un marmocchio di strada selvatico e pugnace, un gatto randagio destinato a combattere con gli altri orfani per un tozzo di pane e a finire ammazzato in un vicolo. Lui mi doveva tutto.
E infatti capii che mi aveva portato un regalo quando le sue labbra si piegarono in un ghigno crudele e mi rivelò in tono roco: – È una Midsummer.
Come a dire: lo sgravio di un'orgia che non sarebbe mancato a nessuno. A quel punto sapevo che cosa fare, che cosa dire, per essere temuto e rispettato.

giovedì 18 marzo 2021

Non succede mai niente in campagna

Non ho scritto molte storie ambientate in campagna. Non so  perché, ma in vari anni di attività del blog, queste sono le uniche che sono riuscita a rintracciare:

Serata di burrasca in campagna (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/05/serata-di-burrasca-in-campagna.html)
Neghittoso (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/04/neghittoso.html)
Buoni vicini (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/08/buoni-vicini.html)
Vivagno (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/11/vivagno.html)
Adombrarsi (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/11/adombrarsi.html)
Greppia (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/12/greppia.html)


Posso sempre rimediare aggiungendone una oggi. Per scriverla ho utilizzato, come tappeto sonoro, Farm House (https://www.youtube.com/watch?v=W-94JGuYef0) di The Vault of Ambience.

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Foto di William Green da Pexels


Non succedeva mai niente in campagna. Era tutto così pacifico e tranquillo. Ogni giornata era noiosamente identica alle precedenti, a cominciare dal mattino che iniziava tutte le volte col suo stupido canto del gallo e con quegli uccellini così fastidiosamente rumorosi, fino alla sera, quando le cicale erano talmente ripetitive da mandarti fuori di testa. Tutti facevano le stesse cose giorno dopo giorno dopo giorno, le mucche dondolavano la testa suonando i campanacci e dappertutto c'era un odore terribile, come quello di un bagno alla stazione dei treni, ma senza l'olezzo acre del cloro sottomarca usato per disinfettarlo. Così la pensavano i ragazzini di città, le rare volte in cui venivano a trovare i nonni o soggiornavano assieme ai genitori nell'agriturismo della zona.
I ragazzi di campagna erano stufi di questi pregiudizi e già da tempo avevano ideato, per i compagni di città più sprezzanti, un'esperienza assai poco ordinaria che aveva il potere di farli ricredere in un lampo. Cominciavano a parlarne fin dai primi giorni di permanenza della vittima designata. La storia della strega Asana Mei era un frammento del folclore locale a cui nessuno di loro credeva, eppure non esitavano a tirarla fuori nei loro discorsi mentre percorrevano a piedi assieme all'ignaro o ignara abitante di città una delle tante stradine di ciottoli bianchi, avendo cura di aggiungere alla storia particolari raccapriccianti che aumentavano ogni volta che la ripetevano, e di narrarli nel modo più vivido e impressionante possibile. Immancabile era la visita alla parte vecchia del locale cimitero, dove le lapidi s'inclinavano in ogni direzione all'ombra di un'enorme quercia e del suo compare faggio. Sfidare il ragazzo o la ragazza di città a trovare la tomba di Asana Mei era una goduria, una sfida vinta in partenza perché era noto a tutti che quella tomba non esisteva. A tutti, meno che all'ignaro cittadino.
L'ultima tappa di quel tour delle bellezze turistiche locali consisteva nell'accompagnare il loro coetaneo attraverso campi di grano e oltre il labirinto di granturco, fino a sbucare di fronte alle file parallele e serrate dei vigneti, a un piccolo crocevia di stradine bianche segnato da una pietra alta più di un uomo: la Pietra del Crocevia, appunto. Era lì che si diceva fosse sepolta la strega Asana Mei, in attesa di svegliarsi al richiamo di un'anima innocente.
Per arrivarci, naturalmente, bastava seguire la strada che fiancheggiava i pascoli del maneggio, ma non c'era gusto se il loro compagno di città non si perdeva in mezzo agli alti steli di mais almeno una o due volte, costringendo gli altri a tornare indietro a prenderlo spronati dalle sue grida angosciate. Quando arrivava alla Pietra del Crocevia in quella maniera era già cotto a puntino, e pronto a credere a qualunque assurdità gli avessero raccontato o mostrato i campagnoli.
L'ennesima sfida, chiamare la strega per dimostrare di non averne paura, era il segnale.
Era a quel punto che Melissa e Sergio, i due fratelli ideatori di quel terribile scherzo, saltavano fuori. Si erano preparati per tempo: Marco aveva prestato loro la falce del nonno, e Jolanda, la più giovane del gruppo, seppure con riluttanza accettava ogni volta di sottrarre dal suo posto nella teca la Mano dell'Avo, una vera mano umana mummificata che era un cimelio di famiglia. Bastava poi un fanale di bicicletta col suo inquietante bagliore rosso legato attorno al collo di Melissa, e un vecchio mantello nero col cappuccio, talmente lungo da coprirli entrambi, anche quando Melissa saliva a cavalcioni sulle spalle del fratello, di quasi dieci anni più grande. Il tempo, per Jolanda e Marco, di accompagnare il nuovo arrivato tra campi e campisanti, ed era fatta.

Non succedeva mai niente in campagna. Era tutto così pacifico e tranquillo. Ma a volte l'urlo di un ragazzo o di una ragazza di città si levava a spezzare la quiete, e quei noiosi uccelletti per un momento la smettevano di cinquettare e si sollevavano tutti assieme, all'improvviso, in volo.

lunedì 15 marzo 2021

In campagna

E mentre ci ritroviamo di nuovo a non poterci muovere più di tanto da casa, il mio viaggio tra luoghi letterari e cinematografici prende il largo, perché quest'oggi mi allontano finalmente dal punto di partenza e ti porto in campagna.



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La campagna condivide con giardini e parchi molti dei temi che ho citato per questi ultimi: essendo tutti e tre zone di "natura addomesticata", le ambientazioni agresti ben si prestano a fare da sfondo a vicende romantiche, come accade in molti romanzi di Jane Austen, ma anche nella saga di Poldark, in cui, a differenza dei primi, la campagna non ha solo funzione di sfondo scenografico ma entra nelle vicende per il lavoro nei campi e i problemi che una stagione poco favorevole comportano. La bellezza di un'atmosfera bucolica però non sempre garantisce un lieto fine: ambientato in campagna è anche Cime tempestose di Emily Brontë!
Un tema rappresentato più e più volte, con o senza storia romantica, è il confronto tra la vita di campagna e quella di città: la prima rappresentata come più semplice, genuina, ma anche fonte di ignoranza a causa dell'isolamento, mentre la seconda nelle storie ha spesso la caratteristica di essere più sofisticata e agiata, sebbene più artificiale. Di solito in questo genere di confronti vince la campagna: sia che un abitante di città debba trasferirsi in una zona rurale e inizialmente faccia fatica ad adattarsi, oppure non desideri proprio restate come in Un'ottima annata, sia che un contadino provi a trasferirsi in città come nel film Il ragazzo di campagna, spesso con risultati comici a causa dell'ingenuità del campagnolo fuori posto. In entrambi i casi i protagonisti finiscono per restare, o tornare, alla vita tra i campi, magari trasformati dalle esperienze vissute.
L'isolamento e i legami più stretti delle comunità di campagna si prestano bene a trasformare quella che generalmente è un'atmosfera pacifica e romantica in qualcosa di molto più cupo e inquietante. L'idea è ben sfruttata in The Village, un villaggio rurale isolato dal resto del mondo, come anche in numerosi gialli di Agatha Christie, perché là dove tutti si conoscono, tutti hanno anche un motivo per odiare la vittima, e dunque un movente. Quando poi nella comunità di campagna circolano storie di fantasmi o di altre creature soprannaturali, si può essere certi che qualcuno più scaltro degli altri sfrutterà il folclore locale a suo favore, come nel racconto Il mistero di Sleepy Hollow, oppure che si riveleranno fondate, come in Un lupo mannaro americano a Londra.
Ma, su una nota più allegra, una fattoria in campagna è anche la dimora di varie specie animali, addomesticate per la loro utilità per l'uomo al pari della natura che le circonda, e numerosi film e racconti prendono dpunto proprio dagli animali da fattoria per offrirci uno scorcio sul loro punto di vista, come nella storia La tela di Carlotta, o nella serie di film su Babe - Maialino coraggioso.
Per ora mi fermo qua, di sicuro ci sono altri tipi di storie ambientate in campagna e altri esempi iconici che non ho considerato, ma lascio a te continuare la riflessione e scovarli. L'appuntamento, come al solito, è a giovedì per il mio racconto.

sabato 13 marzo 2021

Deleterio

Deleterio [de-le-tè-rio] agg. (pl.m. -ri) Dannoso per qualcosa o per qualcuno, nocivo.

Etimologia
: dal greco deletérios, derivato da delèomai, "distruggo, uccido".


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Non desideravo che qualcuno che conoscevo e a cui volevo bene attraversasse la mia stessa ordalia. Sembra banale dirlo, ma non l'avrei augurato al mio peggior nemico. Perciò, quando alla riserva giunse la notizia che Jake, il mio fratellino Jake era stato rapito dal suo tempo e portato in questo terribile futuro, ero a dir poco furioso.
– Li prenderemo – mi assicurò Kàli mentre si preparava a fare uno dei suoi incantesimi, qualcosa che ci avrebbe aiutato a localizzare Jake. – E, credimi tesoro, si pentiranno amaramente di ciò che hanno fatto.
Nemmeno la luce minacciosa nei suoi occhi poteva placare la mia ira e la mia disperazione.
Ormai era fatta. Anche se avessimo liberato Jake, lui era in questo tempo da ore. Centinaia di respiri avevano inondato il suo corpo di un tipo assai subdolo di veleno.
Il mana presente nell'aria di questo secolo era deleterio. Di lì a qualche giorno lo avrebbe ucciso, oppure trasformato in una creatura emaciata, deforme, dalla pelle che pareva bruciata, com'ero io. E la metamorfosi era così dolorosa che era in quel modo che io immaginavo che fosse la morte. Jake era solo un bambino, e la cosa peggiore era che si trovava in quella situazione per causa mia: ero io il riscatto che i miei rapitori volevano, perché ciò che ero diventato era una variante umana che si credeva estinta. Molte persone avrebbero voluto potermi studiare, non ultimi gli elfi di Metronas.
Perciò, per salvare Jake, un'alleanza con loro fu una scelta naturale. Loro avevano la tecnologia che poteva ripulire il sangue e le cellule di Jake dal mana prima che la trasformazione o la morte fossero inevitabili, e per quanto basse le probabilità, io avrei dato qualunque cosa in cambio. Anche accettare un patto che con tutta probabilità si sarebbe rivelato deleterio per me.
Loro avrebbero cercato di salvare Jake e in cambio io, qualunque fosse stato il risultato, avrei messo me stesso a disposizione per un anno per i loro studi ed esperimenti.

giovedì 11 marzo 2021

Compagni di silenzi

Ho scritto più di un racconto ambientato in un giardino, ma solo uno in un parco su questo blog. Se ti va di leggerli, ti segnalo per i giardini:

Ninfeo (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/06/ninfeo.html)
Libagione (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/03/libagione.html)
Schizzo (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/01/schizzo.html)
Malerba (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/03/malerba.html)
Il giardino della driade (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/09/29-garden-giardino.html)
Vetusto (https://lapiumatramante.blogspot.com/2021/01/vetusto.html)

E per il parco:

Passeggiata artistica (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/03/passeggiata-artistica.html)


E ora passiamo al racconto di oggi. Per scriverlo ho utilizzato, come tappeto sonoro, Painting Outdoors Ambience (https://www.youtube.com/watch?v=TXraWaTsSJI&t=1987s) di Chetta Monster.

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Foto di Rachel Claire da Pexels 


Il giardino sul retro era la mia parte preferita della casa. Ci si poteva arrivare solo dopo aver attraversato un lungo corridoio di rampicanti abbarbicati a una serie di tralicci ad arco, così da formare una volta verde che filtrava i raggi del sole in una penombra profumata di fiori. Al termine, pochi gradini conducevano a un varco nel muro che si allungava tra la parete della casa e la siepe di confine, e una volta oltrepassato, si veniva inondati dalla luce.
Amavo trascorrere ore tra le aiuole che curavo io stessa e gli arbusti di rododendro e di ginestra. Quasi nessun altro dei condomini nutriva il mio stesso smodato interesse per il giardino, tanto che quando presi in affitto un appartamento in quel palazzo, il giardino era in rovina. I tralicci, dopo anni di incurie, erano diventati una selva rigogliosa, difficile da attraversare, in cui mi ero spinta con la caparbietà della mia bizzarra inumana natura, scoperta da poco grazie a Mirto. Non sapevo ancora bene come fare, ma mi bastava un tocco affinché le piante arretrassero e mi lasciassero passare. Il varco era tutt'altra storia: ostruito da una vecchia porta scardinata, non avrei proprio saputo come raggiungere il tesoro al di là, che sentivo chiamarmi, se non fosse stato per il mio dirimpettaio, il pittore Bertrand. Non so se il mio silenzioso vicino, un uomo sulla sessantina, con una barbetta bianca da capra e una testa pelata circondata da una lanugine candida, avesse notato il cambiamento che Mirto aveva portato in me, la mia nuova sicurezza e la curiosità che aveva sostituito la paura. Ma quel giorno mi vide, e si avvicinò, e a gesti si fece capire, e insieme spostammo la porta e trovammo ciò che restava del giardino: piante secche, vasi rovesciati e rotti, pietre del vialetto divelte da radici affioranti e una selva senza fine di erbacce.
Ci volle pazienza. Cominciai dai pressi del varco e sistemai un angolo alla volta. Il mio lavoro si svolgeva solo in parte con le mani e con le braccia. Il resto del tempo lo passavo immobile, a piedi nudi sulla terra, o seduta con le dita affondate tra l'erba, mentre la mia coscienza era altrove, negli steli e nei semi e tra le venature del ramo di un albero. Ogni tanto Bertrand veniva a farmi compagnia, ma non parlava mai e non mi aiutava. Portava una tela bianca e si metteva a dipingere, e l'unico rumore che faceva era il delicato tintinnare sordo e liquido del pennello contro le pareti del bicchiere pieno d'acqua, quando lo sciaquava per pulirlo prima di cambiare colore. Così ascoltavamo entrambi le chiacchiere dei fringuelli e dei tordi e di tutti gli altri alati compagni nascosti chissà dove tra le fronde, mentre eravamo intenti ai rispettivi compiti.
Bertrand non commentava nemmeno quando mi vedeva assorta, immobile, immersa in un mondo diverso da quello umano. Non che fosse muto, ne ero certa perché una volta, rincasando, lo avevo sentito parlare da solo in una lingua straniera dietro la porta del suo appartamento, probabilmente francese, e probabilmente al telefono. Ma non diceva una sola parola, nemmeno nella sua lingua, per tentare di svegliarmi da quello stato di torpore. Quando tornavo, talvolta lo coglievo a sbirciarmi con un sorriso, come se avesse capito quello che stavo facendo. Come se sapesse.
Fu solo quando il giardino e il corridoio di rampicanti che conduceva a esso furono tornati al vecchio splendore, o ancor meglio di com'erano un tempo avendo me a curarli, che Bertrand decise che a quel punto toccava a me comprenderlo. O forse, dopo tanti giorni passati assieme in silenziosa compagnia, quell'ometto cortese riuscì infine a rompere la sua naturale ritrosia e le barriere linguistiche che ci separavano. Mi aspettò con la porta aperta all'ora in cui di solito scendevo in giardino e mi indicò di seguirlo nel suo appartamento. Mi fidai.
Le pareti erano ingombre di quadri di ogni dimensione e sfumatura di colore, in ognuno un diverso paesaggio, scorci di laghi e campi di lavanda in fiore e giardini principeschi con fontane e alberi ornamentali di tutte le fogge. Tutti recavano l'inconfondibile tratto sognante di Bertrand, e non sapevo se provenissero dai suoi ricordi o dalla sua immaginazione, ma quello di cui ero certa, dopo averlo visto dipingere nel giardino sul retro, era che Bertrand non copiava mai sulla tela quello che i suoi occhi avevano di fronte. Ma non era per mostrarmi i suoi quadri che il pittore mi aveva invitato.
C'era un'unica foto all'angolo di uno scrittoio antico, la sola immagine, da quello che potevo vedere della casa, che ritraeva come soggetto un paio di persone, e non un paesaggio disabitato. Bertrand posò un bacio sulle dita di una mano e con quella accarezzò il vetro dietro cui riposava la foto, prima di passarmela con uno sguardo addolorato.
Nella foto, una ragazza dai lunghi capelli neri stava in piedi accanto a un uomo che riconobbi come una versione più giovane, forse con vent'anni di meno, di Bertrand. Lei non poteva avere più di diciassette o diciott'anni, e mentre lui era girato di fronte, impacciato e rigido davanti al fotografo, lei sorrideva con il viso rivolto all'obbiettivo ma il busto girato di tre quarti e la mano sinistra appoggiata alla spalla del pittore. La foto non era molto grande, ed era meno definita di quelle che si possono ricavare adesso da un comune cellulare, eppure riuscivo a vederle: sul dorso della sinistra, tra il pollice e l'indice, il simbolo delle tre rose era lo stesso che avevo io. Lo stesso che aveva ogni driade, a partire dal giorno in cui si risvegliavano i suoi poteri.
– Amarante – bisbigliò piano Bertrand nel suo accento straniero, richiamando il mio sguardo sul suo volto affranto.  – Ma nièce.

lunedì 8 marzo 2021

Parchi e giardini

Rieccomi, pronta a riprendere con l'argomento che volevo presentare la settimana scorsa. Il viaggio è cominciato ma non ci muoviamo troppo a dire il vero, perchè basta uscire dalla porta di casa per arrivare al giardino o, appena più in là, al parco.



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Mike da Pexels


Difficilmente un intero romanzo o film è ambientato quasi per intero in un giardino, a meno che non sia citato nel titolo, come nel caso di Il giardino segreto. Più comunemente sono solo alcune scene ad aver luogo in mezzo al verde, e quando si tratta di giardini o parchi il luogo in apparenza naturale racconta di una natura addomesticata, al contrario di quanto accade in campagna, per soddisfare il gusto estetico e non per ricavarne qualcosa di utile. Sarà perché rappresentano la bellezza che giardini e parchi, specialmente nella stagione della primavera con il suo tripudio di fiori, fanno spesso da sfondo a un incontro romantico, magari con tanto di dichiarazione. Accade di sovente nei romanzi ottocenteschi, uno fra i tanti Emma, di Jane Austen, ma un classico è anche la scena del balcone in Romeo e Giulietta. Senza contare il finale al parco nel film C'è posta per te. Ma se le commedie romantiche hanno gioco facile nell'usare questo tipo di ambientazione nelle loro scene clou, più difficile, ma non impossibile, è rintracciare giardini e parchi che assumono tutto un altro significato. Rari, ma non così difficili da rintracciare, le storie horror sulle piante da giardino: è il caso del del film La piccola bottega degli orrori, con la chiusura sul giardino con il bocciolo sopravvissuto della terribile pianta carnivora, finale reso ancor più cupo nella versione teatrale del musical; oppure l'inquietante inizio di E venne il giorno, ambientato a Central Park a New York, forse il più famoso tra tutti i parchi.
Generalmente i giardini rispecchiano l'indole dei padroni di casa, o dei giardinieri che li curano; e così ha senso mostrare sullo schermo, o descrivere sulla pagina, come si presenta un giardino per dare informazioni su un personaggio, anche qualora non accada nulla di eclatante in quell'ambiente. Ha senso per Edward mani di forbice  creare fantasiose sculture vegetali, così come per Morticia della Famiglia Addams tagliare via le rose lasciando solo i gambi, o per la Regina di cuori in Alice nel paese delle meraviglie pretendere di avere solo rose rosse nel suo giardino, pena il taglio della testa dei giardinieri incompetenti. E a proposito di quest'ultima storia: il labirinto vegetale è un altro tipo di presenza classica nei giardini d'altri tempi, simbolo di perdita dell'orientamento, ma anche di avventura e di prova da superare per crescere, come in Labyrinth, o di terrore nascosto dietro ogni svolta, come accade nel finale del film Shining. Oppure può essere il luogo ideale per un segreto incontro amoroso, sempre che gli innamorati riescano a trovarsi; ma qui si ritorna all'inizio, e dunque mi fermo.
E tu, conosci altri libri o film con scene ambientate in un giardino? In quale contesto? Con questa riflessione ti lascio, ci vediamo giovedì per il mio racconto in giardino.

lunedì 1 marzo 2021

La Piuma in pausa



Avviso i miei (pochi) lettori che questa settimana la Piuma Tramante si prenderà una pausa, causa problemi di salute della sua autrice. Nulla di grave, solo un po' di torcicollo (almeno spero!) che però mi impedisce di mettermi al pc a scrivere. Continueranno le recensioni dei racconti sulla pagina Facebook, ma i post del blog per il momento sono in sospeso.