giovedì 25 marzo 2021

La foresta di Aven Roè

Boschi e foreste sono tra le mie ambientazioni preferite, e ho scritto diversi brani anche sul blog. Per brevità riporto solo quelli in cui la descrizione dell'ambiente è più dettagliata, e che si svolgono interamente in quei luoghi:

Zufolo (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/03/zufolo.html)
Bramire (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/02/bramire.html)
Galaverna (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/03/galaverna.html)
Il bosco degli amanti sfortunati (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/11/il-bosco-degli-amanti-sfortunati.html)
La città nel bosco (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/11/la-citta-nel-bosco.html)
Il fiore Selvanima (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/12/il-fiore-selvanima.html)
Personaggio: Thiss (https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/06/personaggio-thiss.html)
Falena (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/03/falena.html)


Il racconto che ho scelto di sviluppare si colloca subito prima di quest'ultimo brano, "Falena". Per scriverlo ho utilizzato, come tappeto sonoro, Enchanted Forest (https://www.youtube.com/watch?v=W-94JGuYef0) di The Vault of Ambience.


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Francesco Ungaro da Pexels


Si raccontavano strane storie sulla foresta di Aven Roè. Alberi viventi, spaventose creature carnivore, esploratori scomparsi. Le solite cose, insomma.
Dalle nostre parti non c'era angolo di terra che non avesse le sue leggende, eppure davanti ai primi alberi contorti che s'infittivano ci fermammo. Era quasi il crepuscolo, perciò avremmo dovuto attraversarla di notte: una prospettiva ben poco allettante se, a dar retta alle storie, la maggior parte delle sparizioni era avvenuta nelle ore delle tenebre.
Il velo scuro che copriva il volto di una delle mie compagne di viaggio fremette, e una voce pacata, mormorante, si levò dalle labbra celate: – Intendi proseguire, elfo?
Scrutai quelle profondità misteriose, velate da una bruma verdastra che s'infittiva a terra. Conoscevo le foreste, ed ero amico delle driadi e di altre creature che le abitavano, eppure non avevo mai visto nulla di paragonabile a questa. Così ostile, così aliena da tutto ciò che mi era noto. Sospirai. – Non abbiamo altra scelta.
La missione che Julian ci aveva affidato era della massima importanza, e tutti e tre ne eravamo consapevoli. Eppure Nyx volse le spalle alla foresta e disse, con un'ombra di sarcasmo nella voce: – Buona fortuna.
Non era un buon segno se perfino una notturna, una delle creature più temute dagli esseri umani, si rifiutava di affrontare i pericoli che potevano celarsi tra gli alberi di Aven Roè. – Intendi abbandonare? – la schernii, credendo che la sua fosse una rinuncia. Ma Nyx già stava aiutando Ailey a risalire a cavallo del baio che l'aveva condotta fin qui.
– Niente affatto. Noi costeggeremo la foresta, aggirandola. Non appena l'oscurità avrà spento le ultime luci del giorno, io potrò muovermi molto più rapidamente, e Raigo sarebbe comunque intralciato dagli alberi, se proseguissimo nella foresta. Ma tu vai pure. Per te, quella è la via più breve.
Nyx non aveva mai nascosto di non trovare particolarmente gradevole la mia compagnia. Gli elfi sono creature della luce, ed era di quel tipo la poca magia che ero in grado di evocare, essendo io un erede della stirpe elfica solo per metà. Eppure riusciva a sopportare benissimo Julian, la cui ascendenza apparteneva alla luce molto più della mia.
– Non è prudente separarci – le ricordai.
– Sei debole, e ti affatichi facilmente. Ci rallenteresti.
– Nyx! – protestò Ailey da sopra il cavallo. – Non essere scortese.
Ailey non parlava quasi mai, se non sottovoce, e solo alla sorella. Non l'avevo sentita che una o due volte, da quando con Nyx si era unita agli Erranti. Pensavo che fosse perché era l'unica umana di sangue puro ammessa nella nostra bizzarra compagnia, e dunque si sentisse un po' fuori posto in mezzo ad ibridi di tutte le sorti, ma forse c'era dell'altro.
– Non volevo offenderti – si scusò la notturna, con riluttanza. – Però è vero.
Aveva ragione. Fossi stato davvero un elfo, come lei era solita appellarmi, forse avrei potuto tenere il suo passo, nonostante un notturno nel suo elemento sia incredibilmente veloce. Ma se la sua metà umana non risentiva dello sforzo, per me la questione era diversa. Avevo bisogno di riposare almeno un paio d'ore in un dormiveglia leggero, e in quello stato non potevo correre.
Perciò, come aveva detto Nyx, Aven Roè era la mia strada più breve.
– Ci vediamo dall'altra parte! – mi assicurò Ailey, protendendosi verso di me da sopra il cavallo, mentre già Nyx lo conduceva lontano. Pensai che fosse strano, e che forse me lo avesse detto perché temeva per la mia incolumità fra quegli alberi, ma più probabilmente stava solo facendo ammenda per le parole sgarbate della sorella.
Con l'acciarino diedi fuoco a una rudimentale torcia. Mi serviva per rischiararmi il cammino e tenere lontane da me le creature feroci, reali o leggendarie che fossero. Col bagliore della fiamma che mi accompagnava, m'inoltrai nella foresta.
L'oscurità pesante tra i suoi rami divenne fonte di inquietudine una volta scesa la notte, e le forme sgraziate e contorte della vegetazione gettavano ombre minacciose nei dintorni. L'occasionale richiamo del gufo giungeva alle mie orecchie da ogni dove, a volte vicino, a volte lontano, ma sempre più brusco e tagliente di quello dei suoi simili in altre regioni. A parte qualche raro e lugubre ululato, il silenzio era quasi tangibile, e suonava come una musica arcana ai miei sensi, ingannati in quel vuoto dall'assenza di fruscii dei miei passi. E allora mi sembrava di immaginare strane presenze, al limite della mia percezione; occhi che mi seguivano, e bisbigli soffocati, come se l'intera foresta complottasse contro di me. Non mi meravigliai delle storie che raccontava la gente, se perfino su di me Aven Roè faceva quell'effetto. Erano solo gli alberi piegati in quelle forme inusuali a suggestionarmi, e solo il vento a sussurrare melodie incomprensibili.
Non vidi nulla di davvero pericoloso, nessun albero si mosse per farmi perdere l'orientamento, nessun mostro mi attaccò, e quando fui troppo stanco per proseguire fu con tranquillità che che accesi un fuoco con la torcia, per tenere lontane da me le ombre mentre mangiavo qualcosa e poi mi abbandonavo al poco riposo che mi era necessario. Ero ormai convinto che le leggende non fossero altro che quello: leggende.
Fu al mio risveglio, alla luce di una fiamma morente, che mi accorsi all'improvviso di non essere solo.

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