giovedì 30 novembre 2017

Una manciata di ricordi

(racconto ispirato dall'esercizio Guardare per conoscere. Il dado ha scelto per me la descrizione numero 4: Questa donna ricorda un tornado minaccioso. Ha grandi occhi, neri come ossidiana. Ha capelli folti, ondulati, verde berillo, tagliati a una lunghezza media e portati in uno stile semplice e casto. È molto bassa e snella. La pelle è pallida, ha la fronte larga e un naso elegante. Indossa abiti attraenti e misteriosi, completamente blu.)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Non ero andata fin là per lei. Furono i suoi capelli a chiamarmi. Morbide onde di un verde berillo sparse su un cuscino candido. Zondra aveva sempre sostenuto che i suoi erano naturali, e quando la vidi ne ebbi la prova: tutti i chip-colore dei dormienti erano stati disattivati per non interferire con le apparecchiature che li mantenevano in vita.
Non eravamo mai state amiche, noi due. Eppure, Zondra mi mancava.
Il nostro era più quel tipo di rapporto che ti lega alla persona che gioisce di ogni tuo fallimento, che è pronta a rinfacciarti ogni errore, che ti sbatte in faccia il successo che ha ottenuto a tuo discapito. Qualcuno più debole di noi sarebbe stato spinto da un simile atteggiamento a rinunciare a tutto, forse persino alla vita. Per due come noi, col nostro spirito competitivo, l'altra era lo stimolo di cui avevamo bisogno per riuscire a fare di più, meglio, più in fretta.
Eravamo rivali. Non l'avevo mai sopportata, ma non riuscivo a credere che tutto ciò che era rimasto di lei fosse un guscio vuoto e una manciata di ricordi.
L'avevo vista in piedi per l'ultima volta nell'ufficio-prigione di Arend, quattro giorni prima. Io partivo per una missione e lei tornava, tronfia e soddisfatta. Ricordo che mi sventolò davanti due richieste di cattura e i rispettivi bolli. – Guarda e impara, pulce. – Zondra mi chiamava sempre così, anche se probabilmente era l'unica persona al mondo che non mi superasse in altezza. – I fratelli del Caos. L'ultima volta c'è voluta un'intera squadra per catturarli. Io invece ho fatto tutto da sola.
Si lisciò il lungo abito color zaffiro che le fasciava le curve, sogghignando. Era un'impresa notevole, ma io avevo un asso nella manica. Letteralmente.
Tirai fuori dal polsino della sinistra la richiesta di cattura che sapevo l'avrebbe mandata su tutte le furie: Amos l'Asso. L'avevo sentita più di una volta lamentarsi di essere nata nell'epoca sbagliata, e di come tutti i più grandi criminali della storia fossero già stati presi.
La grande fuga mi dava l'opportunità unica di soffiarle quella sfida da sotto il naso per la seconda volta.
Vidi la rabbia colmarle gli occhi di ossidiana. Quando Zondra si infuriava, l'aria attorno a lei sembrava elettrica. Era come avere a che fare con un tornado, solo che non c'era pace all'interno del suo centro: Zondra era solo vento, un vento implacabile e tremendo, capace di strapparti i capelli e stracciarti i vestiti e graffiarti la pelle. Voleva quella richiesta di cattura e non si sarebbe fermata finché non l'avesse ottenuta, in un modo o nell'altro.
In quell'occasione le sfuggii per un soffio.
Quattro giorni dopo, il vento si era placato per sempre. Zondra era lì, più pallida che mai, in un letto d'ospedale tra i tanti di una lunga fila.
Tutti duevite. Tutti Bollatori.
Nadir aveva ragione, stava accadendo qualcosa di strano, ma io non riuscivo a pensarci in quel momento. Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era che avevano commesso un errore, che non andava affatto bene, no, che c'era qualcosa di profondamente sbagliato perché quella camicia da notte rosa antico con i fiocchetti non poteva essere sua, no, Zondra avrebbe detestato vedersi addosso qualcosa di così pacchiano e non-blu.
Io non ero mai stata un eroe, o una paladina della giustizia. Facevo questo mestiere perché mi pagavano bene, e perché era divertente. Per resistere alla forza che ci stava abbattendo a uno a uno, catturarla addirittura, non potevo concentrarmi su decine di estranei. Ma potevo concentrarmi su Zondra. Su Hashum. Su me.
Ed era quello che avrei fatto.

lunedì 27 novembre 2017

Un mentore reticente

(racconto ispirato dall'esercizio Guardare per conoscere. Il dado ha scelto per me la descrizione numero 3: Questo gentiluomo fa venire in mente un lupo solitario. Ha occhi arancioni come il sole al tramonto. I suoi capelli castani, ricci e setosi, di media lunghezza, sono portati in uno stile semplice. È alto, magro, con pelle color cioccolata e un mento forte. Indossa abiti stretti, con molto grigio e verde.)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Non fu difficile individuarlo, anche se avevo soltanto un nome e un luogo: Hashum il Lupo, Ritrovo del Ranger. Era uno di quei locali con il bancone in vero legno e le pareti di pietra, una trappola per nostalgici in vena di ricordi. Uno di quei posti in cui capivi che il mondo era andato avanti, ma non tutti si erano affrettati a seguirlo.
E Hashum il Lupo era tutto ciò che il suo nome prometteva che fosse.
Un individuo scuro, silenzioso, allampanato. Curvo sul suo bicchiere, ma con lo sguardo attento di un predatore negli occhi color ambra scura, come due piccoli soli al tramonto.
E lui al tramonto sembrava esserlo davvero. Gli abiti stretti addosso dimostravano che non mangiava bene da tempo. Per un attimo mi chiesi se era davvero lui l'uomo che poteva aiutarmi.
Se non altro, da qualche parte dovevo pur cominciare.
Mi sedetti sullo sgabello accanto al suo e ordinai un bicchierino di gin con una cannuccia.
Hashum mi fissò con quei suoi occhi strani, così intensi. – Non sei un po' troppo piccola per bere?
Scrollai le spalle. – Ho un altro posto dove stare mentre smaltisco la sbornia.
Pensavo non fosse male come primo contatto. Volevo apparire adulta, competente, sicura di me.
Ma Hashum esalò il fiato e tornò a curvarsi sul suo drink. – Senti, testablu, gira alla larga, che oggi non è giornata. E no, non prendo apprendisti, se è per questo che sei venuta. – Hashum tracannò il contenuto del suo bicchiere e scosse la testa. – Una duevite, dovevo immaginarlo – brontolò tra sé. – Solo quelli come noi sono così eccentrici.
Succhiai un sorso dalla cannuccia. L'alcol mi bruciò la gola e mi diede la sensazione di galleggiare sul bancone. Davanti ai miei occhi banchi di scuola, schiene di ragazzi, una lavagna. Lo stridio del gessetto, e una voce monotona di donna. No, devo restare qui, da questa parte, in questa vita. Ho bisogno di quell'uomo, mi dissi.
Quando tornai del tutto qui, vidi Hashum e la sua occhiata di sdegno. Mi vergognai, perché sapevo che aveva capito. Avevo quasi perso la presa su questa realtà a favore dell'altra.
– È per quanto è successo con Mereborn, vero? – gli chiesi. – È per quello che non vuoi apprendisti.
Non era un mistero ciò che Hashum era stato costretto a fare. Sapevano tutti che, dopo aver imparato da lui tutto quel che sapeva del mestiere, Mereborn era finito sulla lista nera e il suo maestro era stato mandato a catturarlo. Nessuno si era meravigliato del voltafaccia del signor Emme. D'altra parte, un duevite tendeva a diventare solo due cose: un criminale, o un Bollatore, ovvero un cacciatore di taglie. È la nostra maledizione. Abbiamo bisogno di emozioni forti. C'erano poche eccezioni a questa regola.
– Io non farò come Mereborn. Io sono diversa – gli assicurai. – Insegnami, e lo vedrai.
Lo sentii sbuffare. Non mi credeva.
– Dammi almeno una possibilità. Tu me lo devi. – Non avevo intenzione di giocarmi questa carta, di dirglielo. Non subito, almeno. Ma Hashum il Lupo non mi aveva lasciato altra scelta.
– Sono la figlia di Amya.
Hashum raddrizzò la testa. Si frugò in tasca e lasciò qualche moneta sul bancone, scivolò giù dallo sgabello e mi diede la schiena. – Sbrigati a bere il tuo gin, testablu, e vieni con me. Abbiamo del lavoro da fare.
Mi affrettai a buttare giù il liquido chiaro e a seguire il cappotto grigio del Lupo. E ancora oggi non saprei dire se il calore che sentii pervadermi quel giorno era dato dall'alcol, o dall'eccitazione per il mio primo passo da apprendista Bollatore.

sabato 25 novembre 2017

Ostracizzare/Ostracismo

Oggi una parola doppia! Volevo il verbo ma mi sono resa conto che da sola la definizione non spiegava molto, così ho dovuto aggiungere anche il sostantivo. Tra l'altro, questa è la prima parola di cui ho conosciuto l'etimologia, da ostrakon, il coccio su cui si scriveva il nome del cittadino da bandire. 

Ostracizzare [o-stra-ciz-zà-re] v.tr. lett. Bandire con l'ostracismo.

Ostracismo [o-stra-cì-smo] s.m. 1. Nell'antica Grecia, esilio comminato ai cittadini ritenuti pericolosi per la sicurezza dello stato; estens. bando. 2. fig. dare l'ostracismo a qualcuno, assumere un atteggiamento persecutorio nei confronti di qualcuno per impedirgli di affermarsi o di svolgere la propria attività.

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Di esiliati ne ho più d'uno nei miei racconti. Jasmen per esempio, o Vesta che pur non subendo un esilio vero e proprio, viene ostracizzata dai concittadini a causa del suo dono. Ma credo di voler approfittare di questo termine per raccontare qualcosa di più della storia di Julian.


Quando dico che le fate sono crudeli, nessuno mi crede. Come possono essere crudeli le eterne fanciulle, bellissime e delicate, che vengono da oltre le nebbie per scacciare con il loro fulgore i demoni... per una sola notte l'anno? Quale dono generoso ci fanno!
Gli esseri umani non hanno idea di quale sia il prezzo della loro immortalità. Io lo so perché, esattamente come loro, sento il peso dei miei anni e le mie ferite gravare colei che hanno eletto a regina, e gli sforzi che la sua corte fa per mantenerla in vita il più a lungo possibile.
C'è stato un tempo in cui ho desiderato ardentemente di essere accettata tra loro. Un tempo in cui le ho cercate nella Notte di Ebion, smaniosa di unirmi alla processione per svanire con loro in un regno incantato. Non capivo perché mi avessero ostracizzato. Non poteva essere a causa del mio padre umano: tutte le fate ne avevano uno. A meno che non li tenessero nascosti oltre le nebbie, non c'erano uomini tra loro.
Le pregai di prendermi e di portarmi via.
– Perché dovremmo? – mi chiese una di loro. – Tu non sei come noi.
Tentai di protestare, ma lei indicò con un gesto aggraziato la sua pelle luminosa, poi la lanterna che reggevo.
– Non avresti bisogno di quella se lo fossi. Non c'è una briciola di potere in te.
Non avevo fatto tanta strada per ricevere un altro ostracismo. – Non sono umana, è evidente. – Le mostrai il pugnale che mio nonno aveva creato per me, e che era una parte di me perché da me veniva. Era l'unico che potessi maneggiare. Il ferro e l'acciaio mi bruciavano la pelle. – Ma se non sono umana, e non sono una fata, allora cosa sono?
La fanciulla, con un sorriso crudele, replicò: – Niente.
Caddi in ginocchio e piansi nella Notte di Ebion.
Anni dopo le dimostrai che si sbagliava. Io sono qualcuno. Avevo inventato un nome per me, per tutti noi, gli sbagliati, i diversi, i vagabondi della terra.
Noi siamo gli Erranti.
Da soli eravamo niente. Uniti, siamo una forza che nessun popolo o nazione può più permettersi di ignorare.

giovedì 23 novembre 2017

Giudicare dalla copertina

Non so se ti è mai capitato. Sei alla fermata ad aspettare l'autobus. In fila alle poste. A fare la spesa tra le corsie di un supermercato. In treno con un libro aperto e il mondo che corre fuori dal finestrino. Dovunque, ma in mezzo a estranei di cui non sai che quello che vedi. Tra tutti c'è una persona, qualcuno che spicca in mezzo agli altri, qualcuno che colpisce la tua immaginazione. Forse ha un colore di capelli inconsueto. Un dettaglio bizzarro nella sua fisionomia. Un vestito eccentrico. Oppure, è per quello che sta facendo. Non importa: quello che conta è che lo hai notato, e adesso non puoi fare a meno di chiederti chi sia, come si chiami, quale sia la sua storia. E cominci a inventare basandoti su ciò che vedi. Forse è una storia che scriverai, forse no; ma intanto, la stai pensando.

Non so se ti è mai capitato. Ma ciò che so è che di sicuro, almeno una volta nella vita e probabilmente anche più di una, hai giudicato un libro dalla copertina, una persona dal suo aspetto. È normale. È umano. Ed è un meccanismo psicologico che puoi sfruttare in entrambi i sensi quando scrivi. Ovvero partire dall'aspetto e abbinargli il carattere che gli si addice, o partire dal carattere o dal ruolo nella storia e dargli la forma che quel ruolo richiede. Esiste, in letteratura, fin dai tempi dei miti e delle fiabe: i buoni, principesse ed eroi, sono belli, giovani, riccamente abbigliati e di sovente biondi; i cattivi, streghe e orchi, sono brutti, vecchi, vestiti di stracci e in molti casi hanno la pelle di un colore innaturale, ad esempio verde. Si può obiettare che siano stereotipi superati, ma allora come mai gli eroi e le eroine dei film sono sempre interpretati da attori e attrici affascinanti?

Puoi rompere il cliché. Sorprendere chi legge, e questa è una cosa che adoro fare. Creare un antagonista che appare avere tutte le caratteristiche fisiche associate di solito a un personaggio buono e innocuo: uno sguardo dolce, un sorriso innocente, vesti bianche, riccioli biondi. Un angelo, che si rivela essere un diavolo nelle sue azioni. O anche un protagonista bruttino e anonimo, che sale alla ribalta per i suoi atti eroici. Ma nell'invertirli li stai comunque usando, quei cliché. Stai giocando con le aspettative del lettore, ma quelle aspettative non le elimini.

Da qualche parte, non mi ricordo dove, ho letto: "La strada che si allontana da Roma, porta lo stesso a Roma".

È normale. È umano. Finché ci saranno occhi per guardare, e aspettative create da tutta una vita, non smetteremo di giudicare dalla copertina.

lunedì 20 novembre 2017

Guardare per conoscere

Benvenuto, osservatore di persone inesistenti!

Oggi la tua missione assomiglia un po' a quella di un detective. Ti sarà chiesto di prestare attenzione e di dedurre a partire da quello che vedono i tuoi occhi. Come un novello Sherlock Holmes, avrai a disposizione degli indizi per costruire un quadro più completo.

Ma ecco qui i dettagli della missione:

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Hai a disposizione sei diverse descrizioni. Scegli quella che preferisci, o lancia un dado.
Le descrizioni sono le seguenti, ottenute tramite un generatore casuale di personaggi.

1 Questa ragazza fa pensare a una mortale anguilla elettrica. Ha gli occhi viola, una coppia di ametiste con una pupilla verticale. I capelli setosi, ricci, di media lunghezza sono di un ricco color crema, e li porta in una acconciatura affascinante e bizzarra. È molto alta, ha i fianchi larghi e la pelle scura. Ha la bocca piccola e mani dalle lunghe dita. Indossa capi d'abbigliamento casti ma attraenti, principalmente nei colori del giallo e del blu.

2 Questo giovane nobile ha occhi tondi e gialli come pepite di oro falso. I suoi capelli lisci, color della ruggine, sono lunghi e acconciati in uno stile attraente. La sua pelle è pallida. Ha la fronte ampia e il naso all'insù. Le sue vesti sono professionali ed eleganti, sui toni del marrone e del grigio.

3 Questo gentiluomo fa venire in mente un lupo solitario. Ha occhi arancioni come il sole al tramonto. I suoi capelli castani, ricci e setosi, di media lunghezza, sono portati in uno stile semplice. È alto, magro, con pelle color cioccolata e un mento forte. Indossa abiti stretti, con molto grigio e verde.

4 Questa donna ricorda un tornado minaccioso. Ha grandi occhi, neri come ossidiana. Ha capelli folti, ondulati, verde berillo, tagliati a una lunghezza media e portati in uno stile semplice e casto. È molto bassa e snella. La pelle è pallida, ha la fronte larga e un naso elegante. Indossa abiti attraenti e misteriosi, completamente blu.

5 Quest'uomo ricorda un avvoltoio in attesa. Ha occhi stretti, verdi. I suoi capelli rossi sono setosi e lisci, ma portati in modo da sembrare una balla di fieno. Ha i mustacchi. È alto e muscoloso. Ha pelle rossastra e la fronte larga. Indossa abiti dignitosi, perlopiù neri o blu.

6 Questa giovane nobile ha occhi stretti, dello stesso blu delle acque tropicali. Ha ciocche castane, spesse e dritte, acconciate in uno stile gradevole. È alta e formosa. Ha pelle rosea, sopracciglia quasi inesistenti e il mento largo. Porta solo vestiti di classe.


Quale sia carattere, il lavoro, le abitudini, la storia, sarai tu a deciderlo. Scrivi un brano che illustri il personaggio.
Mostra le caratteristiche che hai inventato, assieme ai tratti già presenti nella descrizione. Per rendere il brano più dinamico, puoi far interagire due dei personaggi che trovi qui sopra, oppure fare interagire quello che hai scelto con un tuo personaggio originale.


Come al solito, puoi mandarmi il risultato della tua investigazione nel commento a questa pagina. Non vedo l'ora di scoprire dove ti ha portato la tua fantasia! A presto, osservatore!

sabato 18 novembre 2017

Naiade

Mi sembra sia da un po' che non scelgo una parola che identifica una creatura mitologica, o sbaglio? Quindi è il momento di rimediare. Eccola qui.

Naiade [nà-ia-de] s.f. Nella mitologia classica, ninfa delle acque sorgive, dei fiumi, dei laghi, protettrice del matrimonio.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Se penso alla mitologia e alle creature fantastiche, so già dove trovarle tra i mondi di cui ho scritto. In più, avevo già accennato a questa in particolare nel brano ispirato alla parola Ninfeo. Caso strano, e me ne rendo conto solo ora, torno a parlare di lei alla lettera N!


Mio padre era morto da poco in quelle che si definiscono circostanze misteriose, perciò era comprensibile il mio desiderio di isolarmi dal resto del mondo. O almeno, così mi dicevo.
In realtà sapevo che andando a spasso nei boschi, risalendo i torrenti montani, infilandomi nelle caverne avevo più probabilità di attirare l'attenzione delle creature che mi volevano uccidere. E forse, ora lo riconosco, il mio era un desiderio di morte, o di vendetta.
Ero l'ultimo della mia linea di sangue e nessuno, in questo mondo o nell'altro, era come me.
La creatura che mi trovò non era affatto ciò che mi aspettavo.
Emerse da una sorgente una mattina. L'acqua le risaliva le gambe e le braccia in gocce distinte, come file di perle che splendevano sulla sua pelle sfumata d'azzurro.
La riconobbi: una Naiade delle fonti. Il solo fatto che venisse dall'Oltre mi rese nervoso. Sentii pizzicare le piante dei piedi e i sassi più vicini si misero a tremare.
Le gocce si raccolsero in una veste di spuma che scese a ricoprirla dalle spalle alle ginocchia. La parte inferiore delle gambe era ancora immersa nell'acqua. Sembrava una creatura innocua, aggraziata, ma io sapevo che l'acqua poteva lasciare senza fiato chi viveva d'aria.
Le storie si tramandavano nella mia famiglia di generazione in generazione. Sapevo tutto dell'altro mondo, pur non essendoci mai stato.
Sfilai dalla tasca dei pantaloni l'accendino e lo tenni pronto nella mano destra.
– Fuoco contro acqua – disse la Naiade con voce musicale, quasi liquida. – Una pessima scelta, se volessi il tuo male.
Le rivolsi un sorriso scaltro. – Anche l'acqua può scaldarsi. Bollire. Evaporare.
– Se volessi il mio male – replicò lei. – Ma non sono qui per combattere, figlio del drago. Mi vuoi sposare?
La sua domanda mi spiazzò.
La Naiade mi spiegò che cercava un altro matrimonio per evitare un pretendente sgradito. Ma tenne per sé che per averla avrei dovuto battermi contro il mio rivale.
Quello lo seppi solo dopo averla conosciuta meglio e aver accettato.

giovedì 16 novembre 2017

Malcolm Millipedegutter

(racconto ispirato dall'esercizio Piacere di conoscerti, mi chiamo.... Il nome che ho scelto lanciando un dado tra i sei che avevo proposto è Malcolm Millipedegutter)

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Malcolm Millipedegutter non esiste. Se lo era inventato mio fratello, quando eravamo bambini.
Era il suo amico immaginario e la sua scusa quando mangiava di nascosto i biscotti e voleva addossare a qualcun altro la colpa.
– Non sono stato io! – diceva. – È stato Malcolm Millipedegutter, lo giuro!
Poi correva ad appoggiare l'orecchio al muro. – È ancora qui, lo sento masticare. Venite a sentirlo, venite, è vero!
Io una volta ci avevo provato, ad ascoltare. Gli avevo dato retta. Com'era prevedibile, però, non c'era niente, nessun rumore, e mi ero sentita una stupida con l'orecchio incollato alla parete.
Mio fratello, col dito sulle labbra, aveva già la scusa pronta. – Ssshhh! Ha capito che lo stiamo ascoltando. Dobbiamo fare piano piano, aspettare un po', così ricomincia a mangiare...
Ma io a quel punto mi ero già stufata.
Mio fratello non faceva che parlare di Malcolm Millipedegutter, così nel tempo avevo imparato tutto su di lui. Avevo imparato che viveva nelle pareti di casa nostra. Che era vecchissimo, con la pelle marrone come quella degli alberi e tante rughe. Che sapeva parlare con i topolini e con le lucertole. Che non gli piacevano i gatti. Che aveva un cappello verde a punta, pantaloni di muschio e un gilet color giallo sporco. Che preferiva i biscotti con le gocce di cioccolato.
Alla fine avevo imparato a evitare mio fratello quando cominciava con la sua tiritera.
Lo evitavo anche quando lo scoprivo a bussare sulle pareti e parlare fitto fitto con il nulla. Era il suo momento di follia privata.
Lui ci credeva davvero. Ma credeva ancora a tante cose a quell'età: anche a Babbo Natale e alla Fatina dei Denti. Io, che avevo quattro anni di vantaggio su di lui, sapevo come stavano davvero le cose. E ne so ancora di più ora che sono adulta.
Malcolm Millipedegutter non esiste.
E allora che cos'è questa creaturina bruna che mi fissa con occhi neri e tondi come capocchie di spilli sotto un cappello verde a punta, si toglie dalle labbra il pezzetto di biscotto con gocce di cioccolato, lo indica con l'altra mano dalle dita lunghe, sottili e nodose come ramoscelli e mi chiede, con una vocina gracchiante: – Di questi, ne hai ancora?

lunedì 13 novembre 2017

Patrizio Boscoscuro

(racconto ispirato dall'esercizio Piacere di conoscerti, mi chiamo.... Il nome che ho scelto è Patrizio Boscoscuro)

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Quando cominciai a lavorare al Carpe Diem Café, Patrizio Boscoscuro lo frequentava già da molto tempo. Questo, ovviamente, lo seppi solo più avanti. Nei miei primi giorni come cameriera sapevo solo che era un individuo sgradevole, diverso dal resto dei nostri clienti. Erano quasi tutti studenti universitari, ciarlieri e allegri, o impiegati che si fermavano per un caffè e sparivano in fretta.
Lui no, non era così.
Sedeva sempre allo stesso tavolo vicino alla finestra. Veniva da solo, ordinava qualcosa (di solito, niente che contenesse caffeina o alcool, e anche questo era bizzarro per uno dei nostri clienti) e restava lì anche una mezza giornata, con la sola compagnia del suo smartphone e di un blocchetto per gli appunti dalla copertina nera. Era più vecchio degli studenti che passavano da noi il tempo tra una lezione e l'altra. Mi sembrò sulla trentina, perciò all'inizio pensai che fosse un qualche tipo di professionista, uno di quelli dal nome inglese e complicato. Pensai che stesse lavorando.
Ma quando sbirciai il blocchetto, nel portargli un tè al ginseng, scoprii che aveva diviso la pagina in due colonne, "vecchio" e "nuovo". La prima colonna era quasi piena, nella seconda aveva scritto a malapena due righe.
Non riuscii a leggere il contenuto delle colonne, perché lui alzò gli occhi dallo smartphone, chiuse il blocchetto e mi liquidò con un affettato: – Puoi andare.
Quella fu la prima volta che mi diede sui nervi. Ma non fu l'unica.
Ogni tanto lo sorprendevo a fissarmi. Patrizio ha occhi scuri, di una sfumatura troppo fredda per essere definita marrone. Sono quasi più sul grigio, in realtà. Questo, unito al suo modo di fissare così intenso, senza quasi battere ciglio, come se ti stesse valutando, rendeva la cosa estremamente inquietante.
Lo riferii a una delle cameriere che lavoravano al café da più tempo, chiedendole se dovevo preoccuparmi, se per caso non si trattasse di un maniaco o qualcosa del genere.
– Sei proprio sicura che stia guardando te? Forse ti sei sbagliata, io non l'ho mai visto alzare gli occhi dal cellulare. Ad ogni modo, stai tranquilla, è del tutto innocuo.
Non mi fidai della sua rassicurazione. Parlando con le altre, venni a sapere il suo nome e pensai che fosse appropriato. Aveva proprio l'aria da Patrizio, quel fare snob, da nobile che il suo nome suggeriva. Era biondo, sempre perfettamente rasato, e indossava spesso un completo da uomo d'affari, camicia bianca, giacca e cravatta. Qualche volta, molto raramente, passava da noi con un paio di jeans e un maglione color crema, ma anche vestito così l'impressione era la stessa di sempre: un'eleganza altezzosa che traspariva da ogni gesto, da ogni occhiata, e dalle poche frasi che gli occorrevano per ordinare qualcosa con un tono di voce sgarbato, con un leggero rotacismo.
Continuai a sorprenderlo a fissarmi. Non sapevo perché lo facesse, che cosa volesse da me o quali pensieri sul mio conto nascondesse dietro i suoi occhi grigi.
Un giorno presi coraggio, mi sedetti di fronte a lui e sbottai: – Ora basta. Si può sapere che cavolo hai da fissare?
Lui mi rivolse lo sguardo indagatore di sempre e mi chiese, con un candore che giudicai fasullo: – Lo hai notato?
– L'ho notato sì, l'ho notato! E sarebbe meglio se tu la smettessi...
Patrizio scoppiò a ridere. Lo scrutai a occhi socchiusi, sentendo montare la rabbia. Quello che disse dopo mi sorprese.
– Scusa, non mi capita spesso. Questa è una novità. Gli altri non vedono mai quando li guardo.
Quello fu il giorno in cui capii che la mia prima impressione su di lui era completamente errata. Che la sua facciata di arroganza era solo questo: una facciata. Che conoscendolo meglio, il suo nome sembrava non descriverlo affatto. Scoprii il suo senso dell'umorismo, e compresi che, come la sua freddezza, aveva dovuto svilupparlo per affrontare il mondo sapendo quello che lui sapeva.
Patrizio e io parlammo a lungo, sia in quell'occasione, che in altre. Mi spiegò il senso delle due colonne, e il perché della prima quasi piena. Faticò a convincermi che non stava mentendo, che le assurdità che mi diceva erano vere. Mi spiegò da dove gli veniva la sensazione che tutto fosse già stato visto, fatto, vissuto.
Patrizio Boscoscuro ha un segreto. Ma sarei pazza a rivelartelo. E, tanto, se te lo dicessi, non mi crederesti.

sabato 11 novembre 2017

Madrigale

La parola di oggi mi è stata suggerita da Marina (Grazie Marina! Ottima scelta!) sul gruppo "Non solo scrittura - Le storie della Piuma Tramante" (https://www.facebook.com/groups/525191217825250/). Vuoi suggerire la parola per il prossimo sabato, condividere consigli su libri, film, musica e artisti che ti piacciono, partecipare a giornate a tema e provare a immedesimarti in un personaggio? Iscriviti al gruppo!

Madrigale [ma-dri-gà-le] s.m. 1. mus. Composizione polifonica, talvolta con accompagnamento strumentale, sviluppatasi tra il secolo XIV e il XVII. 2. Componimento poetico, generalmente breve, di tema amoroso e bucolico, tipico dei secoli XIV-XVII.

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Non è facile trovare un'ambientazione in cui la parola madrigale non suoni usata a sproposito, o fuori contesto. Fortunatamente il romanzo che sto scrivendo per il NaNoWriMo mescola tecnologia e famiglie nobili tradizionaliste perciò... ho colto l'occasione per approfondire il passato di uno dei protagonisti.


Mio fratello mi aveva convinto a comporre madrigali sulle musiche che il nostro mentore insisteva a farci studiare. La delegazione da Aldaque'en sarebbe arrivata a breve, e si diceva che le figlie dell'ambasciatrice fossero bellissime.
Naturalmente, Josiac non poteva toccarle.
Si sarebbe accontentato delle dame da compagnia, con le quali aveva intenzione di riciclare le poesie sconce che gli avevo passato per la cameriera bionda della Locanda De' Viaggiatori Stanchi.
Ma, più che convinto, sarebbe meglio dire che mi aveva ricattato.
– Andiamo, Jasmen. E dammi una mano, no? Io ci sono sempre per le tue scorribande notturne. – Guardandosi le unghie, mio fratello sussurrò la sua minaccia. – E a proposito di quelle scorribande... lo sai che nostro padre sarebbe molto felice di conoscere il delinquente che scrive quei manifesti, vero? Lo fanno tanto arrabbiare...
– Non oseresti...
Josiac rise. – Dammi un modo migliore per impiegare la bocca, e me ne starò zitto. O forse non tanto zitto, ma tutto quello che ne uscirà sarà...
Lo spinsi indietro prima che potesse esibirsi nella sua migliore imitazione di una serie di gemiti di piacere e oscenità varie.
– Va bene, va bene, mi metto subito a scrivere, sei contento?
Josiac fu contento, e lo fu anche nostro padre quando vide il volto dell'ambasciatrice illuminarsi al suono dei liuti e delle più belle voci che il denaro aveva potuto portare a palazzo. Un'ambasciatrice felice era un'ambasciatrice più propensa a concludere affari. Penso di poter dire che lei, il marito e le figlie, non tanto belle quanto le descrivevano, gradirono molto i testi amorosi, più lieti e ritmati. Io invece ero orgoglioso delle poche composizioni drammatiche che ero riuscito a infilarci dentro senza destare i sospetti di mio padre.
Lo sentii nominare me e Josiac come autori dei madrigali. Non provai a correggerlo, a dire che Josiac aveva soltanto avuto l'idea. Mi bastava sapere che, per una volta, era fiero di noi.
Questo, naturalmente, prima della rissa.

giovedì 9 novembre 2017

Nomen omen

Il tuo nome è la parola che sentirai pronunciare di più nel corso della tua vita.

Pensa al tuo nome: non lo hai scelto tu, eppure, che ti piaccia o meno, è diventato una parte fondamentale della tua identità. Forse conosci il suo significato, forse no. E se lo conosci, forse ti sembra appropriato alla persona che sei diventato, o forse ti sembra completamente sbagliato, al punto da provarne repulsione. Forse preferisci usare un soprannome, soprattutto con gli amici.

Ma in ogni documento ufficiale, in ogni occasione formale e ogni volta che guardi la tua carta d'identità, eccolo lì, che rispunta fuori come a volersi far beffe di te. Sì, non mi hai scelto. Ma io ci sono, esisto, e siamo legati per la vita.

Non mi capita spesso di creare un personaggio partendo dal suo nome. Ma ho voluto sfidare te e me a provarci. I rari casi in cui mi è capitato, è stato per due motivi:

  • Mi piaceva il suono di una parola. Non necessariamente un nome, quella parola lo è diventata nel momento in cui ho immaginato di associarla a una persona. È nato così il primo racconto che ho scritto in inglese, "Serenely". Nella sua versione originale, per la mia insegnante di inglese, l'ho fatto precedere da una nota in cui spiegavo: "Stavamo leggendo Mrs Dalloway, e al suono di quella parola ho immaginato una fanciulla su uno scoglio, circondata dal mare, come una sirena. Forse era inverno, perché non c'era nessuno sulla spiaggia. Cosa sarebbe accaduto se qualcuno l'avesse vista e chiamata?" Quella storia è stata la mia risposta alla domanda.
  • Ho bisogno in velocità di un nome per un personaggio secondario che magari compare solo di passaggio, o in un dialogo tra altri. Più tardi, invece, mi rendo conto che quel personaggio entra a far parte della storia. E a quel punto dal nome devo creare tutto il resto. Questo è il caso di Evangeline di Glissare. La prima volta l'ho nominata in un esercizio (non presente nel blog). Solo nominata. Quando ho scelto di approfondire il suo personaggio nel brano, ho fatto una rapida ricerca sul nome... e ho trovato qualche riferimento interessante.

Se devo iniziare dal solo nome, per me è fondamentale conoscere il suo significato, o se come nel caso di Evangeline ha dei precedenti letterari. Se il nome è molto particolare, mi chiedo che cosa possa aver influito nella scelta di chi lo ha voluto (i genitori, la società, una persona influente o il personaggio stesso, a seconda dei casi). Il suo significato è benaugurante? È casuale, o scelto con cura? A volte, soprattutto nei casi più difficili da ricostruire, scelgo di inserire dei piccoli indizi. Come nel caso di Nyxi (dal greco Nyx, "notte") e Ailey (di origine irlandese, il significato è "luce") di Nictofobia. Ma come utilizzare quello che sai sul nome del tuo futuro personaggio? Questi sono solo alcuni suggerimenti:

  • Affidati al tuo intuito. Fa ciò che non faresti con uno sconosciuto reale, ovvero abbandonarsi alla tua prima impressione. Solo sulla base di un nome. Ti piace, ti sembra il nome adatto a una persona simpatica, o a qualcuno con cui non riusciresti ad andare d'accordo? Dove ti aspetti di incontrare il proprietario di quel nome? Come te lo immagini?
  • Usa il significato del nome in modo creativo. Certo, Bruno potrebbe essere, come dice il suo nome, una persona castana. Ma che accadrebbe se a portarlo fosse un uomo biondo? Forse sarebbe stanco delle battute che gli rivolge chi, dopo averlo sentito al telefono, lo incontra per la prima volta? O la prenderebbe con spirito? Sceglierà di adattarsi al suo significato tingendosi i capelli, o lo combatterà con tutte le sue forze? Lo stesso discorso che qua ho portato su un piano ovvio e fisico, potrebbe essere fatto sul significato di un nome che si riferisce al carattere.
  • Ogni nome ha origini storiche e geografiche. Alcuni sono facilmente riconoscibili. E non mi riferisco solo ai nomi inglesi associati a un cognome italiano. Anche solo restando in Italia, alcuni nomi sono più usati al sud, altri al nord. Un cognome sardo salta subito all'orecchio. E alcuni nomi, che un tempo erano frequenti, ora sono caduti in disuso, denunciando l'età di chi li porta, o l'atteggiamento tradizionalista di una famiglia che ancora li tramanda di generazione in generazione.

Di sicuro ho trascurato tante altre considerazioni sui nomi, ma spero che queste ti diamo già una base di partenza per cominciare a riflettere. Hai già pensato a quale nome avrà il tuo personaggio? Io ho fatto la mia scelta: Patrizio Boscoscuro. Una scelta casuale, infatti il nome l'ho preso da William Patrick Corgan, di cui ho sentito la canzone Aeronaut tornando a casa dal lavoro (William già l'ho usato per un personaggio, quindi ho italianizzato il secondo nome), mentre il cognome l'ho sentito citare da qualcuno lo stesso giorno. Essendo molto evocativo e non conoscendo nessuno che lo porta... l'ho preso!

Scrivi pure qui sotto il nome del personaggio che ti piacerebbe descrivere, o il tuo testo se già hai svolto l'esercizio di lunedì!

lunedì 6 novembre 2017

Piacere di conoscerti, mi chiamo...

Buongiorno creatore di mondi!

Ci siamo. Si ricomincia. Pronto per una nuova avventura?

Oggi incontrerai uno sconosciuto. Di lui, o di lei, sai solo il nome. Ecco i dettagli della missione di questa settimana:

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Scegli un nome. Assicurati che non appartenga a qualcuno che conosci.
Chiedi a un parente o a un amico di suggerirtene uno. Sceglilo tra quelli presenti in un sito come Nomix (con il bonus di sapere anche il significato, che potrebbe ispirarti). Per qualcosa di più fantasioso, puoi provare un generatore casuale di nomi.
Per una decisione rapida puoi sempre lanciare un dado e usare il nome corrispondente, creato tramite i generatori di nomi usando le parole "Piuma Tramante" (o scegliere semplicemente il tuo preferito):
1 Maria Crawford
2 Stella Marina
3 Lilia Lombardi
4 Malcolm Millipedegutter
5 Feather Winddancer
6 Gianni Gallo

Chiudi gli occhi e prova a immaginare la persona che porta quel nome.
Dove si trova? Che aspetto ha? Com'è vestita? Che cosa sta facendo?
C'è qualcosa in particolare del suo aspetto che ti ha colpito, che spicca fra il resto?
Prova a immaginare di avvicinarti e di presentarti, com'è la sua voce? Che cosa ti dice? Come usa le parole e il linguaggio del corpo?
E giusto per coinvolgere anche un altro dei cinque sensi, indossa un profumo?

Scrivi un breve brano che la riguarda.
Usa le informazioni che hai immaginato. Scegli le più significative, se pensi che siano troppe. E che si tratti di una semplice descrizione o di un brano più elaborato, non importa: ciò che conta è cominciare.


Per ogni commento, domanda, o per leggere il resoconto della tua missione, mi puoi trovare qui. Giovedì scriverò qualcosa in più sulla creazione di un personaggio a partire dal nome. Nel frattempo, ti ricordo solo che il personaggio che avrà stuzzicato di più la mia curiosità riceverà un posto in prima fila tra le pagine della Piuma Tramante, assieme all'autore che me lo ha presentato.

sabato 4 novembre 2017

Lungimirante

Mi piace questa parola, ed è anche molto semplice rintracciarne l'etimologia: lungi-mirante, ossia "che guarda lontano". Vorrei poter dire che mi descrive, ma sarebbe una bugia. Chissà, forse un giorno, con l'esperienza, ci arriverò.

Lungimirante [lun-gi-mi-ràn-te] agg. Che, grazie alla propria acutezza e saggezza, intuisce il probabile andamento delle cose, prevede ciò che potrà accadere e provvede per tempo; di ciò che rivela tali caratteristiche.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Non descrive me, ma descrive molti dei miei personaggi. In particolare la tipologia di quelli che tramano nell'ombra, i tessitori di intrighi e le cosiddette "eminenze grigie"; ma anche qualcuno di coloro che si prodigano per sventare tali piani.
Secondo me però sono personaggi che vanno usati con parsimonia per evitare di sbilanciare l'equilibrio di una storia.


Fu solo quando i pezzi iniziarono a incastrarsi al loro posto che capii cosa aveva in mente.
La chiamavamo Lemailidan, colei che sussurra, l'ultima della prima generazione. Forse ancora troppo umana per capire che non potevamo intrometterci in una storia che non ci apparteneva più.
L'avevamo trovata sotto alla montagna, accanto alla fonte, quando eravamo tornati a cercare l'Acqua della Vita. Se fossimo saggi la metà di quanto facciamo credere, avremmo lasciato le cose come stavano. Glielo dissi.
– Lasciare le cose come stanno – mormorò Lemailidan. – Sono d'accordo.
– No, non siamo d'accordo – replicai. La seguii mentre si spostava alla luce dei cristalli azzurri. – Devi smettere subito.
– Comelyn, i tuoi occhi sono deboli. Non mi parleresti così, se fossi lungimirante quanto lo sono io.
– Noi la chiamiamo Comprensione – alzai il capo, fiero. Lemailidan poteva avere centinaia di anni più di me, ma io non ero, come lei mi aveva definito, un bambino. – Conosci la Maledizione che l'accompagna? Non possiamo interferire. Se lo facciamo, non siamo in grado di prevedere le conseguenze.
Lemailidan si voltò e mi sorrise. – Per questo – bisbigliò nell'avvicinarsi, con la veste che strusciava sul pavimento della grotta. – Non agisco direttamente. Solo un colpetto qua, una spinta là, per essere sicura che gli eventi facciano il loro corso. Per essere sicura che accada...
– Il cataclisma. – distolsi gli occhi da lei. – Tu c'eri. Tu sai com'è stato. Non riesco a capire perché desideri tanto che avvenga, al punto da esserne l'artefice.
– Come ho detto, per lasciare le cose come stanno. Senza il cataclisma, tu non saresti qui a parlarmi. Tieni così poco alla tua esistenza?
Lemailidan mi spinse qualcosa in mano. Guardai giù e vidi un frammento di cristallo dai bordi taglienti. – Puoi fermarmi, se lo desideri – Lemailidan allargò le braccia. –  Il futuro, e il passato, è ora nelle tue mani. Ma sei lungimirante abbastanza da capire se questo mondo sarebbe migliore, senza il cataclisma?

giovedì 2 novembre 2017

Persone, non personaggi

Come dare vita a un personaggio credibile?

Da qualche parte, non mi ricordo più dove e da chi, ho sentito dire che la soluzione è trattarlo non come se fosse un personaggio, ma come se fosse una persona. Guardati attorno. Non conosci ogni singolo dettaglio delle vite di ci ti circonda; una parte di loro sarà sempre un mistero per te, ma ci sono alcune cose che puoi scoprire tramite l'osservazione e la conversazione:

  • L'aspetto fisico e l'età saltano subito agli occhi
  • Il nome quando si presentano
  • Il carattere, i gusti, il modo di esprimersi e di muoversi cominci a notarli dopo una breve frequentazione.
  • Può capitare che ti parlino di professione, studi, passatempi, ricordi, parenti e amici man mano che si entra in confidenza.
  • Le loro emozioni, i loro obiettivi, ciò che desiderano o di cui hanno bisogno emergeranno più avanti, quando si sentiranno pronti a condividerle con te.

Quanto al metodo per arrivare a conoscere o ideare quei dettagli, nel corso del tempo ne ho sperimentati diversi, tra i quali:

  • Ispirarsi a un'immagine
  • Osservare uno sconosciuto interessante
  • Cercare uno spunto all'ultimo minuto con un generatore casuale
  • Esplorare il passato dei personaggi scrivendo brevi brani
  • Porsi domande
  • Pensare a volto-mente-cuore-anima del personaggio (metodo appreso da una rubrica di Andrea D'angelo
  • Compilare la scheda di un gioco di ruolo

Ovviamente, questi sono solo alcuni dei tanti modi in cui si può riflettere sulle caratteristiche di un personaggio. Inoltre la difficoltà aumenta quando ci si deve mettere nei panni di qualcuno che sia:
  • Esistente, ma diverso da noi in qualche aspetto fondamentale: un bambino, qualcuno del sesso opposto, qualcuno vissuto in periodi storici o culture diverse da quelle che conosciamo...
  • Una creatura di fantasia, meglio ancora se con appendici strane di cui ci si deve costantemente ricordare: ali, coda, un paio di braccia o una testa in più...
  • Un animale.
  • Un oggetto.

Senza scordare, infine, che anche il narratore è un personaggio. Sì, anche quello sconosciuto che parla in terza persona. Anche lui o lei è un personaggio con un suo modo di esprimersi e le sue motivazioni per raccontare la storia.

Ma a questo ci arriverò quando sarà il momento.

Lunedì cominceranno gli esercizi, ma per ora, che tu abbia un metodo già consolidato per fare conoscenza di un personaggio o che ne abbia provati diversi, ti andrebbe di condividerli?