lunedì 13 novembre 2017

Patrizio Boscoscuro

(racconto ispirato dall'esercizio Piacere di conoscerti, mi chiamo.... Il nome che ho scelto è Patrizio Boscoscuro)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Quando cominciai a lavorare al Carpe Diem Café, Patrizio Boscoscuro lo frequentava già da molto tempo. Questo, ovviamente, lo seppi solo più avanti. Nei miei primi giorni come cameriera sapevo solo che era un individuo sgradevole, diverso dal resto dei nostri clienti. Erano quasi tutti studenti universitari, ciarlieri e allegri, o impiegati che si fermavano per un caffè e sparivano in fretta.
Lui no, non era così.
Sedeva sempre allo stesso tavolo vicino alla finestra. Veniva da solo, ordinava qualcosa (di solito, niente che contenesse caffeina o alcool, e anche questo era bizzarro per uno dei nostri clienti) e restava lì anche una mezza giornata, con la sola compagnia del suo smartphone e di un blocchetto per gli appunti dalla copertina nera. Era più vecchio degli studenti che passavano da noi il tempo tra una lezione e l'altra. Mi sembrò sulla trentina, perciò all'inizio pensai che fosse un qualche tipo di professionista, uno di quelli dal nome inglese e complicato. Pensai che stesse lavorando.
Ma quando sbirciai il blocchetto, nel portargli un tè al ginseng, scoprii che aveva diviso la pagina in due colonne, "vecchio" e "nuovo". La prima colonna era quasi piena, nella seconda aveva scritto a malapena due righe.
Non riuscii a leggere il contenuto delle colonne, perché lui alzò gli occhi dallo smartphone, chiuse il blocchetto e mi liquidò con un affettato: – Puoi andare.
Quella fu la prima volta che mi diede sui nervi. Ma non fu l'unica.
Ogni tanto lo sorprendevo a fissarmi. Patrizio ha occhi scuri, di una sfumatura troppo fredda per essere definita marrone. Sono quasi più sul grigio, in realtà. Questo, unito al suo modo di fissare così intenso, senza quasi battere ciglio, come se ti stesse valutando, rendeva la cosa estremamente inquietante.
Lo riferii a una delle cameriere che lavoravano al café da più tempo, chiedendole se dovevo preoccuparmi, se per caso non si trattasse di un maniaco o qualcosa del genere.
– Sei proprio sicura che stia guardando te? Forse ti sei sbagliata, io non l'ho mai visto alzare gli occhi dal cellulare. Ad ogni modo, stai tranquilla, è del tutto innocuo.
Non mi fidai della sua rassicurazione. Parlando con le altre, venni a sapere il suo nome e pensai che fosse appropriato. Aveva proprio l'aria da Patrizio, quel fare snob, da nobile che il suo nome suggeriva. Era biondo, sempre perfettamente rasato, e indossava spesso un completo da uomo d'affari, camicia bianca, giacca e cravatta. Qualche volta, molto raramente, passava da noi con un paio di jeans e un maglione color crema, ma anche vestito così l'impressione era la stessa di sempre: un'eleganza altezzosa che traspariva da ogni gesto, da ogni occhiata, e dalle poche frasi che gli occorrevano per ordinare qualcosa con un tono di voce sgarbato, con un leggero rotacismo.
Continuai a sorprenderlo a fissarmi. Non sapevo perché lo facesse, che cosa volesse da me o quali pensieri sul mio conto nascondesse dietro i suoi occhi grigi.
Un giorno presi coraggio, mi sedetti di fronte a lui e sbottai: – Ora basta. Si può sapere che cavolo hai da fissare?
Lui mi rivolse lo sguardo indagatore di sempre e mi chiese, con un candore che giudicai fasullo: – Lo hai notato?
– L'ho notato sì, l'ho notato! E sarebbe meglio se tu la smettessi...
Patrizio scoppiò a ridere. Lo scrutai a occhi socchiusi, sentendo montare la rabbia. Quello che disse dopo mi sorprese.
– Scusa, non mi capita spesso. Questa è una novità. Gli altri non vedono mai quando li guardo.
Quello fu il giorno in cui capii che la mia prima impressione su di lui era completamente errata. Che la sua facciata di arroganza era solo questo: una facciata. Che conoscendolo meglio, il suo nome sembrava non descriverlo affatto. Scoprii il suo senso dell'umorismo, e compresi che, come la sua freddezza, aveva dovuto svilupparlo per affrontare il mondo sapendo quello che lui sapeva.
Patrizio e io parlammo a lungo, sia in quell'occasione, che in altre. Mi spiegò il senso delle due colonne, e il perché della prima quasi piena. Faticò a convincermi che non stava mentendo, che le assurdità che mi diceva erano vere. Mi spiegò da dove gli veniva la sensazione che tutto fosse già stato visto, fatto, vissuto.
Patrizio Boscoscuro ha un segreto. Ma sarei pazza a rivelartelo. E, tanto, se te lo dicessi, non mi crederesti.

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