giovedì 30 novembre 2017

Una manciata di ricordi

(racconto ispirato dall'esercizio Guardare per conoscere. Il dado ha scelto per me la descrizione numero 4: Questa donna ricorda un tornado minaccioso. Ha grandi occhi, neri come ossidiana. Ha capelli folti, ondulati, verde berillo, tagliati a una lunghezza media e portati in uno stile semplice e casto. È molto bassa e snella. La pelle è pallida, ha la fronte larga e un naso elegante. Indossa abiti attraenti e misteriosi, completamente blu.)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Non ero andata fin là per lei. Furono i suoi capelli a chiamarmi. Morbide onde di un verde berillo sparse su un cuscino candido. Zondra aveva sempre sostenuto che i suoi erano naturali, e quando la vidi ne ebbi la prova: tutti i chip-colore dei dormienti erano stati disattivati per non interferire con le apparecchiature che li mantenevano in vita.
Non eravamo mai state amiche, noi due. Eppure, Zondra mi mancava.
Il nostro era più quel tipo di rapporto che ti lega alla persona che gioisce di ogni tuo fallimento, che è pronta a rinfacciarti ogni errore, che ti sbatte in faccia il successo che ha ottenuto a tuo discapito. Qualcuno più debole di noi sarebbe stato spinto da un simile atteggiamento a rinunciare a tutto, forse persino alla vita. Per due come noi, col nostro spirito competitivo, l'altra era lo stimolo di cui avevamo bisogno per riuscire a fare di più, meglio, più in fretta.
Eravamo rivali. Non l'avevo mai sopportata, ma non riuscivo a credere che tutto ciò che era rimasto di lei fosse un guscio vuoto e una manciata di ricordi.
L'avevo vista in piedi per l'ultima volta nell'ufficio-prigione di Arend, quattro giorni prima. Io partivo per una missione e lei tornava, tronfia e soddisfatta. Ricordo che mi sventolò davanti due richieste di cattura e i rispettivi bolli. – Guarda e impara, pulce. – Zondra mi chiamava sempre così, anche se probabilmente era l'unica persona al mondo che non mi superasse in altezza. – I fratelli del Caos. L'ultima volta c'è voluta un'intera squadra per catturarli. Io invece ho fatto tutto da sola.
Si lisciò il lungo abito color zaffiro che le fasciava le curve, sogghignando. Era un'impresa notevole, ma io avevo un asso nella manica. Letteralmente.
Tirai fuori dal polsino della sinistra la richiesta di cattura che sapevo l'avrebbe mandata su tutte le furie: Amos l'Asso. L'avevo sentita più di una volta lamentarsi di essere nata nell'epoca sbagliata, e di come tutti i più grandi criminali della storia fossero già stati presi.
La grande fuga mi dava l'opportunità unica di soffiarle quella sfida da sotto il naso per la seconda volta.
Vidi la rabbia colmarle gli occhi di ossidiana. Quando Zondra si infuriava, l'aria attorno a lei sembrava elettrica. Era come avere a che fare con un tornado, solo che non c'era pace all'interno del suo centro: Zondra era solo vento, un vento implacabile e tremendo, capace di strapparti i capelli e stracciarti i vestiti e graffiarti la pelle. Voleva quella richiesta di cattura e non si sarebbe fermata finché non l'avesse ottenuta, in un modo o nell'altro.
In quell'occasione le sfuggii per un soffio.
Quattro giorni dopo, il vento si era placato per sempre. Zondra era lì, più pallida che mai, in un letto d'ospedale tra i tanti di una lunga fila.
Tutti duevite. Tutti Bollatori.
Nadir aveva ragione, stava accadendo qualcosa di strano, ma io non riuscivo a pensarci in quel momento. Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era che avevano commesso un errore, che non andava affatto bene, no, che c'era qualcosa di profondamente sbagliato perché quella camicia da notte rosa antico con i fiocchetti non poteva essere sua, no, Zondra avrebbe detestato vedersi addosso qualcosa di così pacchiano e non-blu.
Io non ero mai stata un eroe, o una paladina della giustizia. Facevo questo mestiere perché mi pagavano bene, e perché era divertente. Per resistere alla forza che ci stava abbattendo a uno a uno, catturarla addirittura, non potevo concentrarmi su decine di estranei. Ma potevo concentrarmi su Zondra. Su Hashum. Su me.
Ed era quello che avrei fatto.

Nessun commento:

Posta un commento