giovedì 29 novembre 2018

Prossimamente... recensioni?

Ho già descritto da qualche parte in questo blog la mia propensione a quello che io chiamo "editing segreto", ovvero l'esame certosino dei romanzi o racconti pubblicati dai miei colleghi italiani. A questo scopo ho una libreria di e-book che sto leggendo con occhi da scrittore, o meglio, come se li avessi scritti io. Ne ho incontrati alcuni che riscriverei da capo a piedi, e per i quali mi metterei le mani nei capelli. Ne ho incontrati altri, invece, che mi hanno meravigliato, e tenuto avvinta alla storia fino all'ultima pagina, e dei quali posso dire "questo vorrei davvero averlo scritto io". Ed entrambi mi hanno insegnato qualcosa.

C'è un'idea che mi frulla da un po' nella testa. L'idea è di rendere il mio editing segreto... un po' meno segreto. Non potendo trascrivere un pezzetto di testo con le mie annotazioni e i cambiamenti che effettuerei (cosa che posso fare, in pubblico, solo con un brano che ho scritto io... su una storia altrui, senza il consenso dell'autore, è un atto decisamente sgarbato, contrario al galateo della scrittura!), un buon compromesso mi pare una recensione. Una recensione che riveli i punti dolenti e quelli sorprendenti, le mie annotazioni in forma condensata, con il minimo di spoiler possibile. Per renderla più ordinata potrei raggruppare le mie note in cinque categorie, e assegnare a ciascuna un punteggio da zero a due piume, che mi torna comodo sia per dare un numerino sul gradimento totale da zero a dieci, che per convertirle poi nella valutazione a stelline di Amazon, con una piuma che equivale a mezza stellina. Le cinque categorie sono:
  • Stile
  • Trama
  • Personaggi
  • Ambientazione
  • Altro
In ciascuna di esse potrei inserire ciò che segue, tenendo conto che almeno una parte di ciò che valuto come positivo o negativo è dovuto al mio gusto personale, o che ciò che risulta un problema in una storia potrebbe essere invece un tocco di classe in un'altra... tutto dipende da come si inserisce nel contesto, e dall'effettiva realizzazione.

Stile

Qui c'è la base della lettura, e della scrittura. Refusi, errori di grammatica, frasi poco scorrevoli o incomprensibili diminuiranno le piume assegnate allo stile, così come il salto continuo del punto di vista, se tale da confondere il lettore. Uno stile personale, coerente lungo tutto il romanzo, un narratore interessante da leggere e di cui riesco a sentire la voce nella testa, oltre a un numero di refusi ed errori molto esiguo (non dico zero, se ne scappa qualcuno non mi scompongo, l'importante è non trovarne uno ogni pagina o quasi!) sono note positive per quanto riguarda lo stile.
E dato che la lingua e lo stile è alla base del romanzo, sarò schietta: per me, un libro che non raggiunga le due piume in questa categoria non andrebbe pubblicato. Non almeno senza un buon giro da un correttore di bozze o l'aiuto di un lettore beta che aiuti l'autore a sistemare tutti quei piccoli o grandi problemi che attirano l'attenzione sulla superficie, distogliendola dal piacere della storia.

Trama

In negativo, una o più incoerenze nella trama, troppi spunti lasciati aperti e mai ripresi, una forzatura in un evento deciso a tavolino da una qualche divinità (l'autore!) per spingere la trama in una direzione senza altre giustificazioni all'interno della storia, oppure un ritmo troppo lento, o troppo veloce (e lo so, qui è anche questione di gusti) mi portano ad abbassare il numero di piume assegnate a questa categoria. Se non mi incuriosisce abbastanza da chiedermi che cosa succederà dopo e voltare pagina per scoprirlo, vale davvero la pena di leggere quella storia?
La prevedibilità o meno merita una nota a parte, perché se è vero che mi piace essere sorpresa da un colpo di scena che non avevo previsto, di recente ho rivalutato le mie idee sulla questione. Essere in grado di predire un evento nella storia o la battuta in un dialogo non significa necessariamente che la trama sia scontata: al contrario, potrebbe voler dire che l'autore ha anticipato nel punto giusto un indizio che ho saputo cogliere, o che ha fatto in modo da farmi conoscere così bene i suoi personaggi, che potrei quasi scambiarli per amici.

Personaggi

Quando i personaggi sono scritti bene, nella mia testa succedono tre cose. Uno, nei dialoghi riesco a immaginare la loro voce. Due, mi provocano delle reazioni, soffro e gioisco con loro, li odio con tutto il cuore se mi sono antipatici, o cerco di psicanalizzarli per capirne le motivazioni. Tre, immancabilmente, se i personaggi sono scritti bene, ce n'è sempre uno che spicca tra gli altri, che seguo con maggior attenzione, che mi piace, anche se non necessariamente significa che mi identifico in lui o in lei. E non sempre, anzi, raramente, è il protagonista.
Se invece i personaggi sono piatti, stereotipati, tutti più o meno simili tra loro, o se il/la protagonista è una proiezione dell'autore circondata da ombre adoranti (quella che si chiama, in gergo, Mary Sue), allora quelle tre cose non succedono, il numero delle piume cala, e la loro sorte mi è indifferente come quella di una serie di sagome di cartone piazzate contro uno sfondo.

Ambientazione

Qui è necessario distinguere tra ambientazioni realistiche e mondi fantastici, con la premessa che non valuto nessuna delle due superiore all'altra. Semplicemente, per essere credibili, hanno regole diverse.
In una ambientazione realistica, hanno un punto di merito le storie che si svolgono in Italia. Ma questa, appunto, è una scelta personale, e non c'è decurtazione di piume per l'autore italiano che scelga di raccontare una storia ambientata altrove... purché me lo faccia sentire, che siamo altrove e non in Italia. Che ci sono altre strade, altri sapori, altre lingue, altri usi e costumi. La stessa cosa vale per un mondo fantastico, dove però chi scrive si può sbizzarrire, e dove vale un'unica regola: coerenza. Non dimenticare le regole di quel mondo, le sue leggi fisiche e magiche e le caratteristiche delle razze che si sono inventate, e tutte le conseguenze e le differenze che comportano rispetto alla nostra realtà.

Altro

Mi serviva un'ultima categoria e non sapevo come chiamarla, se non... altro. Un contenitore per tutte le note che non riguardano lo stile, o la trama, o i personaggi, o l'ambientazione. Qui c'è spazio per quel tocco in più, quello che trasforma una storia buona (da otto, se ha già il massimo nelle altre categorie, ovvero quattro stelline di Amazon) in una lettura memorabile. Può trattarsi di qualcosa che esula dalla storia vera e propria, come una bella copertina particolarmente azzeccata, illustrazioni originali all'interno, una mappa, un gioco di parole nel titolo che si scopre solo leggendo. O di un modo originale e particolare di scrivere (mi vengono in mente, come esempi famosi, il testo bicolore e i capitoli che iniziano ciascuno con una diversa lettera dell'alfabeto in "La storia infinita" di Michael Ende, o i racconti a matriosca di "L'atlante delle nuvole" di David Mitchell, in cui il primo racchiude il secondo che racchiude il terzo, e così via...). Oppure di... altro.
Se però non ho nulla da aggiungere e la categoria altro rimane a zero piume, nessun problema. A volte una storia è già perfetta così com'è, senza inutili effetti speciali che rischiano invece di rovinarla. A volte una storia non ha bisogno di nient'altro, per essere piacevole, se non della storia stessa.

lunedì 26 novembre 2018

Sfida numero 11 - Piuma di Picchio

Continua la serie di sfide a difficoltà variabile, facile, intermedio e difficile. Il meccanismo è semplice: ti proporrò tre livelli cumulativi, con istruzioni man mano più complesse e specifiche. A te scegliere se completare il livello più semplice, aggiungere le indicazioni di quello intermedio o seguire tutte le istruzioni per arrivare al livello difficile.

Se hai perso le prime sfide e vuoi recuperarle, le trovi qui:
Sfida numero 1 - Piuma di Passero
Sfida numero 2 - Piuma di Merlo
Sfida numero 3 - Piuma di Piccione Viaggiatore
Sfida numero 4 - Piuma di Colibrì
Sfida numero 5 - Piuma di Gabbiano
Sfida numero 6 - Piuma di Pappagallo
Sfida numero 7 - Piuma di Gallo Combattente
Sfida numero 8 - Piuma di Corvo
Sfida numero 9 - Piuma di Fringuello
Sfida numero 10 - Piuma di Falco


Se sei pronto, si comincia con la sfida di oggi!

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.

Sfida numero 11

Ispirandomi a "Esercizi di stile" di Raymond Queneau, ti sfido a mettere in pratica qualche principio della revisione di un testo. Il picchio che batte e ribatte il becco sullo stesso punto del tronco mi pareva il volatile adatto per rappresentarla, quindi...  completando questa sfida, vincerai una virtuale Piuma di Picchio, di bronzo, d'argento o d'oro a seconda del livello scelto.

Livello facile: scrivi un breve brano. Un paragrafo. Dieci frasi, o dieci righe circa.
Non è importante l'argomento o il genere del tuo scritto. Se prosegui con gli altri due livelli, puoi anche usare un pezzo che hai in un cassetto, o qualcosa che hai scritto in questa ultima settimana di NaNoWriMo. Se invece hai tempo solo per questo livello, la sfida è scrivere qualcosa di completo avvicinandoti il più possibile alle dieci frasi o righe. Se sei troppo sintetico, impara a espandere. Se sei troppo prolisso, impara a stringere.

Livello intermedio: riprendi il brano. Modificalo nel contenuto. Togli, o aggiungi, o altera qualcosa.
A volte tagliare un evento, un personaggio, o una spiegazione superflua può servire ad alleggerire il testo e renderlo più gradevole. Altre volte potresti sentire che manca qualcosa, che sia una descrizione o una transizione tra due parti mal collegate. O ancora, è sufficiente cambiare qualcosa per dare un senso più profondo a un brano

Livello difficile: riprendi nuovamente il brano. Modificalo nello stile.
Troppi aggettivi? Frasi poco scorrevoli da rimescolare, o ribaltare? Punto di vista e tempi verbali ballerini da risistemare? O magari, perché no, hai voglia di azzardare un esperimento come quelli proposti da Raymond Queneau, qualcosa come un tautogramma, ovvero un testo composto esclusivamente da parole con la medesima iniziale, o anche un lipogramma, un testo in cui sia del tutto assente una lettera (solitamente una vocale)?


Aspetto i tuoi commenti, suggerimenti o il brano che questo nuovo tipo di esercizio ti ha ispirato a scrivere. Come al solito avrai la possibilità, se lo desideri, di mettere sotto i riflettori le tue parole nel post di giovedì della settimana prossima. Riuscirci è semplice: ti basta sorprendermi!

sabato 24 novembre 2018

Becero

Non tutte le parole si riferiscono qualcosa di gradevole e desiderabile. Incontrare qualcuno che corrisponde alla definizione di questa parola può peggiorare notevolmente la giornata, ma almeno da oggi saprai come descriverlo.

Becero [bé-ce-ro] agg., s. 1. agg. Volgare, sguaiato. 2. s.m. (f. -ra) Persona rozza, maleducata.

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Non è una parola da tutti, e non è facile infilarla, soprattutto in un dialogo. La mia prima idea era una scena alla Rossella O'Hara, con un litigio tra una donna e un uomo. Poi mi sono ricordata di questi personaggi... e ho modificato leggermente la mia prima idea.


Cercare di tenere assieme quei due era come tentare di mescolare l'acqua e l'olio. A mani nude. Senza alcuna scodella o bicchiere a contenere i due liquidi.
Non avevo chiesto io di avere un seguito. Non lo volevo. Ma non ero certa di riuscire a portare a termine il mio compito, con l'ombra dei falsi dei che mi divorava da dentro e mi rendeva sempre meno me stessa, e sempre più qualcos'altro. Mi aggrappavo con ostinazione ai pochi ricordi che mi rimanevano, ed era un pensiero consolante sapere di avere loro due a completare ciò che avevo lasciato in sospeso, quando di me non sarebbe rimasto più nulla.
Se solo fossi stata in grado di farli andare d'accordo.
– Siete un becero bandito! – La voce nasale dello storiografo si levò nella quiete pigra del mattino mentre scendevo le scale della locanda. – Un bugiardo, un malfattore della peggior specie, un volgare ladro...
Mi fermai ai primi gradini. Potevo raggiungerli, ed evitare che quella contesa degenerasse; ma non ero a conoscenza del motivo del loro screzio, quindi non sapevo se soffocandola in quel momento, la fiamma non sarebbe divampata più violenta in seguito.
– Pensala come vuoi, pomposo idiota – replicò Kal Tydas. Il tono della sua voce era basso e roco, sicuro di sé. – Ma è la verità. Io posso dormire con lei e tu no.
Scossi la testa. Uomini. Non avevo tempo per cose del genere.
– Una lady non permetterebbe mai...
Sir Maizorean si interruppe quando scesi le scale calcando ogni passo. Volevo che mi sentissero. Per fare in modo che mi capissero entrambi, dovevo essere più becera del peggiore dei Kalaan.
Li raggiunsi, sfilai il pugnale dallo stivale e lo sbattei sul bancone. – Ascoltatemi bene. Non me ne frega niente di quello che pensate di poter ottenere, io non sono il premio in una vostra schifo di gara, perciò il primo che mi tocca, perderà qualcosa a cui tiene molto più della mano. Intesi?
Li fissai con aria truce. L'uomo ignaro di essere stato reclutato in una guerra, e l'uomo che ancora sperava di potermi salvare.

giovedì 22 novembre 2018

Se avessi avuto un drago

(racconto ispirato alla Sfida numero 10. Non sono sicura che stavolta il cambio di prospettiva sia abbastanza netto, ma il cambio di tempo verbale c'è e ho omesso di rivelare che... no, non anticipo nulla!)
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Lo avevo immaginato più di una volta, quello che avrei potuto fare con lo strano compagno che mi ero ritrovata accanto. Avremmo volato assieme, il drago e io, e giorni di cammino sarebbero diventanti una decina di battiti d'ala. Avremmo superato con facilità la massa informe di scheletri e corpi che costituivano l'esercito dello stregone Zohar, e che dalle Torri di Smeraldo sciamavano a invadere le terre fertili e verdi della mia regina. Lo avrei spronato a soffiare il suo respiro rovente sui redivivi e sui negromanti, i loro generali, lasciando sentieri di fiamme alle nostre spalle.
Avremmo puntato poi sul castello dalle bianche torri, prendendoci solo qualche istante per sorvolare le case del villaggio ai piedi della collina, e spronare alla battaglia, con la mia voce e la sua maestosa presenza, tutti gli uomini e le donne che avrebbero alzato lo sguardo con meraviglia e sgomento. Avremmo fatto loro capire che con un drago dalla loro parte valeva la pena combattere, che la resa e la sottomissione non erano le uniche opzioni. Poi avremmo volato in alto, sopra la collina, sopra il castello dalle mura di pietra, sopra la torre più alta, per atterrare lì, per frapporsi tra Zohar e la mia regina, per salvarla dalla maledizione come da sola non ero stata in grado di fare.
Con il mio strano compagno avrei sconfitto lo stregone Zohar, l'uomo che non accettava un no come risposta, e avrei condiviso con il drago la gioia del trionfo.
Assieme avremmo guardato le cime degli alberi mossi dal vento, la mia regina, il drago e io, avremmo ammirato l'oceano di rami che si stendeva intatto in ogni direzione, e in cui avevo combattuto finte battaglie nei giorni della mia infanzia per prepararmi a quella vera, l'unica che sarebbe valso la pena di vincere.
Lo avevo immaginato più di una volta, il giorno del mio ritorno a casa. Ma quando davvero ritornai, non feci nulla di ciò che avevo immaginato. Perché la figura bionda che mi guardava non era che il fantasma di un passato che non si poteva cambiare, e sotto i miei piedi scricchiolava la polvere di pietra di una torre crollata, e camminando tra i sentieri del villaggio non vedevo altro che tombe e scheletri di case. Nessun albero filtrava la luce del sole in una verde cupola di fresco e di muschio. Il regno che avrei dovuto proteggere era perduto, così come la sua regina, scomparsa oltre l'orizzonte, condannata a volare per sempre con ali di falco nel sole, e di pipistrello nelle ore dell'oscurità.
Se solo avessi avuto un drago allora, le cose sarebbero andate diversamente. Ma avevo incontrato troppo tardi il mio strano compagno con cui condividevo la gioia e il dolore, la rabbia e il rimpianto.
Era troppo tardi per salvare la mia regina, ma l'eco del mio furore amplificato dal petto del drago mi diceva che non era troppo tardi per una vendetta.

lunedì 19 novembre 2018

La città nel bosco

(racconto ispirato alla Sfida numero 10. Come richiedeva la sfida ho fatto il cambio di prospettiva, di tempo verbale dal passato al presente, e ho omesso un dettaglio importante... ma per non rovinare la sorpresa, non rivelo qual è!)
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


La città era un immenso brulicare di esili guglie color avorio e massicce torri brune, che sorgevano da un tappeto d'erba e si elevavano verso il cielo lontano. Era cresciuta disordinatamente nel corso dei secoli, e le sue vie si incrociavano in un labirinto di sentieri in cui ogni straniero si perdeva. Dalle torri, qui e là, si protendevano una serie di piatte terrazze a ombreggiare le strade, e cupole candide o dipinte di un rosso acceso sovrastavano gli edifici più importanti: il municipio, con il suo tetto appuntito e chiaro, dagli spioventi più ripidi; il tempio con le sue forme morbide e regolari, quasi sinuose, tinte di bianco e di cremisi; il museo, largo e basso, brunito dal tempo; e la biblioteca, un tripudio di spazio e luce, con una fila di colonne e più tetti costruiti l'uno sull'altro.
Tende verdi stese tra un edificio e l'altro riparavano gli abitanti della città dal sole nel bel tempo, e dalla pioggia nel cattivo tempo. La vita scorreva tranquilla, nella città nel bosco. Nulla aveva mai turbato la quiete dei cittadini che lì vivevano. Fino a oggi.
Oggi è spuntata un'ombra oscura che cala sopra le nostre teste e si allarga sulle vie e sulle piazze, sulle case e sui giardini. Si muove lenta, ma inesorabile, e tutti noi ne siamo consapevoli: se non facciamo qualcosa, l'ombra ci distruggerà. Perciò siamo stati chiamati a raccolta noi, i più coraggiosi, i più abili. Guardo alla mia destra, le gemelle, due facce identiche con il medesimo sorriso e trucioli arricciolati sulla chioma. A sinistra mi affianca il mio migliore amico: massiccio e forte, è sempre pronto a tutto, e infatti ha portato una rete che trattiene in una mano, e una lunga spina nell'altra. Ma sono io quello più veloce.
Scherzo con lui: sarò io il primo ad arrivare in cima e a liberarci dal pericolo. Poche istruzioni e poi partiamo: io e il mio amico scaliamo due diverse torri, mentre le gemelle scelgono di affrontare il gigante dall'altro, con i corvi. Scuoto la testa: i corvi sono lenti quasi quanto il gigante, e io non ho tutta questa pazienza. Quando decollano, io e il mio amico già stiamo saltando dalle torri al corpo del gigante. Il mio amico è sull'enorme scarpa che minaccia la nostra bella città, mentre io mi aggrappo alla cintura e risalgo velocemente verso l'orecchio. E quando arrivo, sussurro con la mia vocina di gnomo, rallentando il più possibile ogni parola per cercare di farmi capire da te, grande uomo che non guardi dove metti i piedi, o che cosa potresti inavvertitamente distruggere lungo il tuo cammino. Sussurro ma non vedo mutamenti nella lenta discesa della scarpa, solo il mio amico a cavalcioni di un laccio, che solleva la spina e poi la cala giù, spingendola il più possibile dentro la calzatura. Il tuo volto piano piano cambia, vedo grinze formarsi agli angoli degli occhi e delle labbra, che si sollevano sui denti. I corvi stanno arrivando, ma sono ancora troppo lontani perché le gemelle possano fare qualcosa. E non so, davvero non lo so, se quello che sta avvenendo è il miracolo che chiedevamo, o se questa mossa non scatenerà un disastro peggiore di quello che siamo venuti a scongiurare.

sabato 17 novembre 2018

Adombrarsi

Ricomincio alla grande da un verbo. Di riflessivi mi pare di non averne ancora scelti, vero? Allora, eccolo qua!

Adombrarsi [a-dom-bràr-si] v.rifl. [sogg-v] 1. Detto di animali, spaventarsi vedendo un'ombra. 2. fig. Rabbuiarsi nello spirito, indispettirsi.
 
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Come unire i due significati della parola? Per prima cosa, c'è bisogno di un animale. Poi, di qualcuno che guarda quell'animale. E infine, di qualcosa che indispettisce quel qualcuno... ho unito questi elementi, e ne è venuto fuori un racconto sull'antenata di un paio di personaggi che hanno già popolato le pagine della Piuma.


Suré è immobile, sdraiata sulla pancia a braccia conserte per sostenere il mento, e fissa il topo con l'aria di una gattina famelica. Lo ha trovato appena fuori dal fienile. Mentre riempio le mangiatoie nel recinto dei maiali, ogni tanto la guardo.

So qual è la tentazione che sta respingendo. Gliel'ho visto fare molte volte, quando eravamo nell'altro mondo. Ma qui... qui non può permettersi di seguire il suo istinto.
È stato già difficile trovare qualcuno che ci accogliesse, nonostante le squame sul suo corpo e il suo viso. Una malattia della pelle. O almeno, questo è ciò che ho detto alla gente di qui.
Nessuno deve sapere che mia figlia è la figlia di un drago. Siamo venute qui per essere al sicuro, lontano da lui. Ma non siamo al sicuro da altri tipi di pericolo.
– Suré, no – la rimprovero, notando che ha sciolto le braccia e alzato una manina sopra al topo. Una fiamma le guizza all'angolo della bocca mentre si gira e mi guarda. Sollevo un po' la gonna e la raggiungo. Appena la mia ombra supera la sua testa, il topo che annusava il sacco di granaglie si adombra e fugge.
Suré si puntella sulle mani per rimettersi in piedi e inseguirlo, ma io la trattengo per un braccio. Lei mette il broncio e abbassa la testa.
– Ti ricordi quello che ho detto sul mangiare topi e sputare fuoco? – sussurro nell'accosciarmi al suo fianco.
Suré annuisce. – Che non si fa – mugugna contrariata.
– Perché...?
– Perché se mi vedono farlo, gli uomini cattivi mi portano via, mi fanno del male e poi mi bruciano. – Suré alza la testa. – Ma tanto, il fuoco non mi fa niente.
Sospiro e le accarezzo le squame sulla guancia. – Lo so. Ma brucerebbe me. E loro troverebbero altri modi per farti del male. Forse ti butterebbero in acqua.
Suré sgrana gli occhi. L'acqua non le è mai piaciuta.
– Va' dentro, ora – le dico quando il padrone della fattoria si avvicina.
– Non mi piace questo mondo, mamma – Suré si adombra e sbotta: – Voglio tornare a casa!
Non glielo dico, ma lo vorrei tanto anch'io, se solo fosse possibile.

giovedì 15 novembre 2018

La perfezione del primo romanzo

Ultimamente mi è capitato di parlare con degli amici che sono in varie fasi del loro primo romanzo. Una delle cose che mi sorprende è che la loro storia è molto più spesso "in pausa" che in fase di effettiva scrittura. Perché stanno aspettando l'ispirazione o l'idea giusta, perché hanno troppi impegni in questo momento della loro vita, perché non sanno scegliere tra vari possibili sviluppi. E allora restano lì, bloccati.

Lo ammetto, sono l'ultima persona a poter giudicare, visto quanto ci sto mettendo per ultimare il mio. Però mi viene spontaneo confrontare la loro con la mia esperienza di scrittura di adesso, e di com'era all'inizio. Adesso scrivo almeno un po' ogni giorno, o quasi. Non sempre è facile iniziare, a volte devo forzarmi a farlo, ma quando inizio, nei giorni buoni (e sono tanti, più della metà delle volte), poi non vorrei fermarmi. Non sempre sono contenta di quello che scrivo, ma so che non serve che sia perfetto fin da subito. Da qualche parte, fra i mille consigli di scrittura che ho letto (oh, eccolo qui dov'era!) ho trovato questo: "dai a te stesso il permesso di scrivere completamente da schifo. Anzi, fanne il tuo obiettivo." Questo è il concetto di una stesura precedente alla prima "ufficiale", quella che poi sarà non perfetta, ma con almeno qualcosa di buono dentro da poter migliorare, e viene chiamata "stesura zero". Ora, non dico che sono arrivata al punto da cercare deliberatamente di scrivere male, ma questo concetto mi ha liberato dall'idea di arrivare subito a una versione definitiva e perfetta, tanto che non mi preoccupo se mi succede di scrivere qualche brutto passaggio. Va bene, già so che sarà da rifare. Mi segno un appunto, e vado avanti.

Una volta, all'inizio, non era così. Non avevo alcun bisogno di forzarmi a scrivere attraverso il fango e le paludi della prima stesura, o di quella zero. Forse ero più vicina al modo di scrivere dei miei amici, perché scrivevo quando ne avevo voglia, quando avevo tempo e quando mi sentivo in vena. La differenza era che ne avevo voglia sempre. E il tempo... oh, il tempo. In un mondo senza smartphone, di tempi morti ce n'erano in abbondanza. Durante la ricreazione, sull'autobus, in treno, in visita dai parenti, in un'ora buca con l'assenza di un insegnante, sapevo di avere il mio fido pacco di fogli e una penna a disposizione per passare il tempo. Scrivevo così di frequente, che una volta la mia compagna di banco si dev'essere stufata... e, dal mio punto di vista, ha osato rovinare il mio capolavoro con un "BASTA SCRIVERE!" a grandi lettere di traverso sulla pagina che stavo finendo, proprio lì sopra le mie parole. Che a differenza di oggi, credevo fossero quelle definitive, o quasi. A parte qualche errore di grammatica da sistemare qui e là, pensavo che non ci fosse alcun bisogno di migliorarlo in seguito. Che fosse già perfetto così com'è. Che le scene sarebbero rimaste quelle, che i personaggi fossero già ben definiti, che non ci fosse alcun problema di coerenza o di ritmo. Quanto. Mi. Sbagliavo.

Perciò, oggi, sono contenta di riuscire a vedere non appena le scrivo che ci sono parti da sistemare, e di non sentire quella paralizzante esigenza di rifinirle subito. E vorrei con tutta me stessa riuscire a trasmetterlo ai miei amici bloccati dal bisogno di perfezione. Risparmiare loro anni di lotta contro la pagina bianca e di frasi che non riescono come le avevano immaginate. Offrire loro una scorciatoia per la tranquillità d'animo che ho trovato solo dopo numerose bozze di quel primo romanzo, confrontando la prima stesura con quella di ora e scoprendo quanto è migliorato, e quanto io ho imparato. Dire loro che non impareranno mai se non si buttano, se non scrivono, se non si permettono di sbagliare e di scriverlo male. Senza ispirazione. In sessioni da cinque minuti, appena li hanno.

Io ci provo, a farglielo capire. Ma non so se serve a qualcosa.

Forse non ci sono scorciatoie e ognuno impara da solo, al suo ritmo, inseguendo l'impossibile perfezione del primo romanzo.

lunedì 12 novembre 2018

Sfida numero 10 - Piuma di Falco

Continua la serie di sfide a difficoltà variabile, facile, intermedio e difficile. Il meccanismo è semplice: ti proporrò tre livelli cumulativi, con istruzioni man mano più complesse e specifiche. A te scegliere se completare il livello più semplice, aggiungere le indicazioni di quello intermedio o seguire tutte le istruzioni per arrivare al livello difficile.

Se hai perso le prime sfide e vuoi recuperarle, le trovi qui:
Sfida numero 1 - Piuma di Passero
Sfida numero 2 - Piuma di Merlo
Sfida numero 3 - Piuma di Piccione Viaggiatore
Sfida numero 4 - Piuma di Colibrì
Sfida numero 5 - Piuma di Gabbiano
Sfida numero 6 - Piuma di Pappagallo
Sfida numero 7 - Piuma di Gallo Combattente
Sfida numero 8 - Piuma di Corvo
Sfida numero 9 - Piuma di Fringuello


Se sei pronto, si comincia con la sfida di oggi!

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Sfida numero 10

Col NaNoWriMo in corso ho cercato qualcos'altro di semplice da scrivere, che potesse essere incorporato nel tuo progetto in corso. Mi sono ispirata al volo del falco, che dall'alto si getta in picchiata: completando questa sfida, vincerai una virtuale Piuma di Falco, di bronzo, d'argento o d'oro a seconda del livello scelto.

Livello facile: comincia descrivendo una scena da lontano o dall'alto, per poi avvicinarti al centro dell'azione.
Non importa che tipo di azione sia. Può essere una battaglia, un pericolo incombente, un evento sportivo, ma anche qualcosa di più tranquillo come un dialogo al tavolino di un bar, o un incontro romantico in un parco. L'importante è che tu dia prima una visione d'insieme, poi una più ravvicinata o addirittura dalla prospettiva di uno dei personaggi coinvolti.

Livello intermedio: nella prima parte, ometti un dettaglio importante, che presenterai solo nella seconda.
Non dev'essere una quisquilia trascurabile, che non cambia quasi nulla della storia, ma un particolare che a sua volta rovescia la prospettiva presentata all'inizio. Un alleato che si rivela essere un traditore alle spalle del protagonista, una trappola, un ostacolo nascosto che ha fatto inciampare uno dei personaggi, una persona che sta registrando una conversazione compromettente, o una lettera di addio tra le mani di uno dei due amanti sono solo alcune idee che mi sono passate per la mente, e sono certa che tu saprai trovare quella migliore per movimentare il brano che stai scrivendo.

Livello difficile: al cambio di prospettiva, cambia anche il tempo verbale della narrazione.
Da uno storico passato a un più attivo presente, da un presente immutabile a un passato epico... o perché non sperimentare un racconto al futuro? A te la scelta, ora però, lo sai che tempo è? È il tempo... di cominciare a scrivere!


Aspetto i tuoi commenti, suggerimenti o il brano che questo nuovo tipo di esercizio ti ha ispirato a scrivere. Come al solito avrai la possibilità, se lo desideri, di mettere sotto i riflettori le tue parole nel post di giovedì della settimana prossima. Riuscirci è semplice: ti basta sorprendermi!

sabato 10 novembre 2018

Zolfanello

Questa, penso, è una di quelle parole che rivelano l'età di chi la usa. Chi si ricorda di quando i fornelli non si accendevano da soli, e toccava usare un accendino, o ancora prima, uno di questi?

zolfanello [zol-fa-nèl-lo] s.m. Fiammifero di legno rivestito di zolfo nella parte superiore per permettere la combustione.

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Lo so, hanno già hanno fatto la loro comparsa la settimana scorsa, avrei dovuto cambiare personaggi per questo sabato, eppure... non ho potuto farci niente. Mi è venuta in mente la storia della Piccola Fiammiferaia, e quando penso alle fiabe, penso anche a come alterarle per inserirle nella storia di Trevis Grebor e Alcyone la ragazza-cigno.


– Zolfanelli magici? – ripetei. Alcyone sapeva come la pensavo sulla magia. Sperai che il mio tono esasperato la convincesse a ritirare la sua idea, ma come al solito, quando Alcyone aveva un'idea, era fin troppo presa per riuscire a prestare attenzione ad altro.
Alcyone annuì, camminando senza calpestare coi piedi nudi le linee del lastricato. – Perché no? Ci vorrebbero più zolfanelli magici nel mondo. E non è come quella fregatura dei fagioli, questi sono davvero magici! Pensa a quella povera bambina di cui parlavano in taverna. Se ne avesse avuto uno, si sarebbe salvata.
– Pensavo avesse gli zolfanelli magici – replicai. Quella storia, comunque, faceva acqua da tutte le parti. Come facevano a sapere che cosa avesse visto la bambina, se prima di morire di freddo non ne aveva parlato con nessuno?
– Uh-huh – mugolò Alcyone. – Quelli non erano veri zolfanelli magici. Quelli erano zolfanelli illusori, che sono una copia taroccata degli zolfanelli magici. Ti fanno solo vedere quello che desideri, ma non ti aiutano a raggiungerlo, al contrario dei...
– D'accordo, d'accordo! – la interruppi. Incrociai le braccia e mi appoggiai a un muro. – Ma la questione rimane. Come faccio a vendere dei fiammiferi in piena estate? Lo sai che non sono mai stato un buon mercante.
Alcyone si fermò e si girò di scatto verso di me. La gonna rossa le turbinò attorno. – Oh, andiamo, Trevis, sono magici! Arriveranno a frotte da tutta la regione per averli. È come vendere un cigno magico, è facilissimo.
Roteai gli occhi. – Non devo ricordarti che ho fallito anche in quello, vero? Dai, perché non ci atteniamo al piano originale e non andiamo a prendere la seta di Potior?
Alcyone sbuffò e mi girò le spalle. – Uffa, sei sempre così noioso!
Mi staccai dal muro e avanzai verso di lei. Un pensiero mi si era affacciato nella testa, ed era un pensiero terrificante. – Alcyone? – la chiamai. Lei non si mosse. – Alcyone, dimmi che non ti sei dimenticata dove posso trovare la seta di Potior!

giovedì 8 novembre 2018

Il bosco degli amanti sfortunati

(racconto ispirato alla Sfida numero 9. Ho estratto a caso i due generi e stavolta ho completato il primo, rosa o romantico, prima di scoprire che la storia continuava come... un horror! Con solo due personaggi, ho spostato il punto di vista da uno all'altro.)


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
 
 
Non potevamo che incontrarci nel bosco. Di notte.
Guidati ogni volta dai nostri sussurri, da una fioca luce e dalla paura di essere scoperti. Lei mi accoglieva con un bacio, poi si rintanava contro il mio corpo, facendosi piccola affinché nemmeno le foglie potessero vederla, avvolta com'era nell'abbraccio del mio mantello. Bisbigliava parole contro le mie labbra, parole di timore e di speranza, alle quali rispondevo accarezzandole i capelli per rassicurarla, per infonderle una fiducia che nemmeno io avevo.
Non ci saremmo mai dovuti innamorare. Eppure, era successo. E dato che il mondo non sarebbe mai cambiato, non per noi, non avevamo che quegli attimi notturni rubati al tempo.
Mentre la stringevo a me, non riuscivo a fare a meno di pensare a cosa sarebbe accaduto se qualcuno ci avesse scoperti. Non l'avrei rivista mai più.
Sapevo che la nostra punizione avrebbe comportato molto più della nostra separazione, ma di tutto il resto non m'importava. Avrei potuto sopportare la tortura, o la prigione, o la morte, se fossi potuto restare con lei fino all'ultimo istante. Le accarezzai le guance e la zittii con un altro bacio... e quello che fu poi di noi, solo gli alberi lo sanno.
Non avevamo alcuna idea che quella sarebbe stata la nostra ultima notte. L'avremmo prolungata fino alle luci dell'alba, se lo avessimo saputo.
Ci dicemmo addio che era ancora buio.


Non mi piaceva incontrarci lì, ma non avevamo scelta. Il bosco era l'unico luogo in cui eravamo sicuri di non essere sorpresi assieme. Nessuno andava nel bosco, soprattutto di notte: si diceva che fosse infestato da branchi di Creature dall'Oltre. Era solo una leggenda, naturalmente, ma sufficiente a tenere lontano ogni uomo o donna di buon senso.
Mi sentivo al sicuro quando eravamo assieme.
Ma quando ci separavamo, mentre da sola tornavo al mio villaggio... allora, diventavo anch'io una donna di buon senso, e credevo alle leggende.
Il fruscio del vento tra le foglie diventava il respiro di una creatura ostile. Le sagome dei rami contro la luna trasmutavano in artigli pronti a ghermirmi. E allora acceleravo il passo, e il mio cuore correva più forte.
Quella notte, però, era diverso. Avrei giurato che ci fosse davvero qualcosa dietro di me, che m'inseguiva. Cominciai a correre.
Una parte di me mi diceva che era un pensiero da sciocchi, che non c'era nessuno alle mie spalle. Ma un'altra parte ascoltava decine di respiri ansanti, scricchiolii di rami, fruscii nel sottobosco, ringhi e latrati eccitati.
Guardai indietro per un solo istante, e li vidi. Occhi rossi.
Predatori, e io ero la preda.
Corsi più veloce che potevo tra i tronchi di alberi neri, col cuore in tumulto e il fiato spezzato. La fiamma della mia lanterna ondeggiò e si spense. La maledissi in silenzio e gettai via la lanterna. Tesi le mani in avanti nel buio in cui ormai brancolavo.
Le Creature dall'Oltre erano sempre più vicine. Riuscivo a sentire il loro fiato mefitico, a intravedere i corpi d'ombra deformi tra gli alberi. Gli occhi rossi erano ovunque, attorno a me.
Le Creature dall'Oltre si accucciarono e si leccarono le zanne. Non riuscivo più a sentire nulla che non fossero i miei singhiozzi spaventati. Il rombo del mio cuore impazzito mi tappava le orecchie.
Mi guardai attorno, in cerca di una via di fuga che non c'era.
I mostri mi balzarono addosso.
Caddi a terra, e cercai invano di difendermi con le braccia. I loro denti affondarono nella carne, e io urlai di dolore.
La mia unica consolazione era che lui era lontano da me e da quei mostri, era in salvo. Questo pensavo, prima che una delle creature lasciasse cadere un brandello di carne quasi irriconoscibile, se non per un occhio spalancato. Uno dei suoi bellissimi occhi azzurri. Ma il resto di lui ormai non c'era più.
Urlai una seconda volta, e continuai a urlare per il resto della notte.

lunedì 5 novembre 2018

La posizione del cadavere

(racconto ispirato alla Sfida numero 9. Ho estratto a caso i due generi e mi è capitata un'improbabile sintesi di giallo e commedia, con il punto di vista spostato da un personaggio all'altro.)


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
 
 
Quando la signora Emilia urlò, in un primo momento non ci facemmo caso. Non era insolito che la nostra vicina trovasse qualcosa di sgradevole per il quale strillare, che fosse un insetto, o un cuscino fuori posto, o un velo di polvere su un mobile. Anche quando si trovava in casa d'altri, la signora Emilia non riusciva a non reagire con orrore di fronte alle grandi o piccole offese al buon gusto.
Da quando tutta questa storia era iniziata, inoltre, la signora Emilia vedeva omini grigi ovunque.
Eravamo tutti assiepati nella casa di Sabina per la consueta riunione post-avvistamento, ma conoscendo la signora Emilia, nessuno si scompose. Almeno, finché non la vedemmo arrivare in affanno dalle stanze sul retro, e tirarci per le maniche a turno. La signora Emilia, che era di solito la quintessenza della loquacità, non riusciva a parlare.
Allora capii che era successo qualcosa di grave.
Cercammo di farla sedere, per aiutarla a riprendere la voce perduta in modo da spiegarci che cosa avesse visto, ma lei non ne volle sapere. La signora Emilia non si calmò finché non la seguimmo in massa verso la camera da letto di Sabina, ma quando fummo lì, la signora Emilia si guardò attorno, confusa.
– Santo cielo, dove... dov'è, non capisco... era proprio qui... – balbettò, mezzo singhiozzando. – L'ho vista con i miei occhi, Orm... sdraiata a terra... pallida... fredda... oh, Orm! Sabina... la mia cara, carissima Sabina... è morta.
Non avevo motivo di dubitare delle sue parole. La signora Emilia sembrava veramente sconvolta, e sul pavimento una larga chiazza rossa pareva confermare la sua versione. Qualcuno, in quella casa, aveva ucciso e poi spostato il corpo di Sabina la veggente.
Per capire chi era stato, dovevamo prima di tutto scoprire la posizione del cadavere.
Chiesi a Michele di chiudere le porte: era l'unico che non si era mai mosso dal salotto. Il resto di noi, me compreso, era andato in bagno, o aveva gironzolato in attesa che arrivassero gli altri, o era uscito dalla porta sul retro per controllare un ospite speciale nel proprio capanno degli attrezzi.
Nessuno sarebbe entrato o uscito da quella casa. Eravamo tutti sospettati.


Quando uscii dal bagno e raggiunsi gli altri in salotto, in salotto non c'era più nessuno. Era come se tutti fossero spariti da un momento all'altro, come se un raggio cosmico li avesse rapiti in cielo. Avevo appena terminato di rilassarmi con qualche posizione di yoga e un po' di meditazione, perciò ero disponibile ad accettare qualunque verità l'universo avesse in serbo per me.
A quanto pare, l'universo non gradiva il succo di lamponi e le stanze troppo affollate.
Scrollai le spalle e mi guardai allo specchio. Sulla casacca tinta a mano in stile batik si era aggiunta un'altra macchia di colore. Non potevo dire che non mi piacesse  quel rosso rubino che sfumava sulle frange. Forse ciò che l'universo mi stava dicendo, pensai, era che dovevo usare i lamponi nella mia prossima tintura.
Tornai in camera. Non c'era motivo per me di restare in salotto, se la riunione era rimandata.
Tanto valeva che andassi a spolverare uno per uno tutti i miei cristalli, prima di risentire l'urlo di Emilia. La sua aura era sempre così perturbata! Era sempre stata un po' miope dal terzo occhio, ma con gli altri due ci vedeva benissimo: riusciva a distinguere un granello di polvere o una grinza sul copridivano a centinaia di metri di distanza.
Comunque, Emilia avrebbe fatto meglio a rilassarsi. La pensava così anche l'universo, evidentemente, perché quando entrai nella mia camera da letto la trovai abbandonata tra le braccia di Orm, che un po' cercava di tenerla in piedi e un po' la sventolava con una delle mie riviste di astrologia.
Erano tornati. Erano tutti tornati. La maggior parte dei miei vicini sembrava commossa dal viaggio.
– Avverto... emozioni potenti, in questa stanza – mormorai, attirando lo sguardo dei miei vicini. Mi fissavano tutti, e qualcuno di loro digrignò i denti, qualcun altro strinse i pugni. – Se vi sentite sopraffatti, non temete: fa tutto parte del ritorno alla terra, alla nostra dimensione limitata e comune. Io lo so, credetemi: ho avuto più volte esperienze extracorporee e cose simili. Ora, per riconnetterci con il nostro io più profondo e riprendere i nostri ritmi naturali, sdraiamoci tutti a terra e rilassiamoci nella posizione del cadavere.
Forse era solo una mia impressione, ma avvertivo un'inspiegabile ostilità da qualche parte in quella stanza.

sabato 3 novembre 2018

Vivagno

La parola che ho scelto oggi non ha un suono che definirei gradevole (forse perché rima con ragno?), e i suoi significati sono o troppo tecnici, o un po' antiquati... ma mi andava di presentartela lo stesso.

Vivagno [vi-và-gno] s.m. 1. Margine laterale di una pezza di stoffa. 2. lett. Riva di un corso d'acqua, sponda; anche, stagno.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Mi ispirano parecchio le parole che apparentemente si riferiscono a due cose molto diverse tra loro, perché così posso moltiplicare le immagini presenti nel brano, e cercare un collegamento attorno a cui costruire la storia. Che ho sviluppato a partire da questa prima immagine.


La trovai accoccolata sul vivagno di un fosso, con un piede che dondolava mollemente sull'acqua. Volevo dirle che mi dispiaceva, ma le parole non mi uscivano di bocca.
Anche lei era insolitamente silenziosa. Avevamo fatto tanta strada per quel rifiuto.
– E così... siamo venuti fin qui per niente – dissi, tanto per rompere il silenzio. Un attimo dopo mi sarei preso a pugni. La mia voce suonava allegra e falsa.
Alcyone non si voltò.
Mi strofinai la nuca e mi guardai attorno. La bruma avvolgeva la campagna sonnolenta. Oltre un filare di gelsi s'intravedeva la casa delle sue sorelle.
– Senti, non importa se loro non ti vogliono – cercai maldestramente di consolarla. – Sì, sono la tua famiglia, ma chi ha bisogno di una famiglia, giusto?
Le rivolsi un ampio sorriso fasullo, poi strinsi le labbra e curvai le spalle.
Idiota, idiota, idiota. Non era proprio il momento di fare battute. Perciò mi sorprese molto sentirla ridere.
La sua era una risata genuina, in cui non c'era traccia dell'amarezza che mi sarei aspettato. Alcyone smise di ridere, tirò su il piede, si alzò, spolverò la gonna rossa dai residui di terra, si voltò e mi gettò le braccia al collo.
Anche questo era inaspettato. Quando mi ripresi abbastanza da cercare di ricambiare l'abbraccio, Alcyone mi prese per le spalle e si tirò indietro. – Tu non hai capito niente – mi disse e per un momento devo ammettere che equivocai. Pensavo si riferisse all'abbraccio, ma lei riprese: – Io non volevo tornare a casa. O meglio, all'inizio sì, lo volevo, ma dopo ho cominciato ad avere paura di ritrovare le mie sorelle. Perché pensavo che tutto questo andare da una parte all'altra, fare cose, incontrare persone, a quel punto sarebbe finito. La nostra amicizia sarebbe finita. E io non ti avrei rivisto mai più. Ma ora... ora non deve finire niente.
Alcyone rise di nuovo e sfilò da sotto la mia tunica il vivagno della seta di Potior, poi cominciò a spiegarmi con molte più parole del necessario da che parte dovevamo andare per trovarne altra.

giovedì 1 novembre 2018

Biografia

Lo avevo promesso, lo avevo annunciato, ed eccola qui. Anche se mi vergogno da morire... e scrivere in terza persona mi sembra così innaturale e presuntuoso!

Come ogni biografia che si rispetti ha la sua foto...
anche se avrei preferito recuperarne una vecchia
e sovraesposta, perché sono trooooooooppo timida!


Elisa Zaccaria è nata a Vicenza nel 1981, ha studiato lingue straniere e psicologia e lavora alla reception di un'azienda.
Fin da giovanissima inizia a scrivere di mondi fantastici e personaggi inventati, ai quali si rivolge nelle pagine di un diario dove mescola vita quotidiana e fantasia. I suoi diari sono stati i suoi primi racconti fantasy.
Quando non scrive e non risponde a voci incorporee provenienti dalla cornetta di un telefono, adora fare lunghe passeggiate sui sentieri montani del Triveneto, in luoghi incantati da cui trae ispirazione. Il suo corpo celeste preferito è la Luna.
Attualmente sta lavorando al suo primo romanzo.

Riga che poi diventerà: "Titolo è il suo primo romanzo." Il che è doppiamente vero, perché ho ripreso per sistemarlo il primo che avevo scritto, a sedici anni... ma questa è un'altra storia.


Allora, che te ne pare? Se hai qualche suggerimento per me scrivilo pure nei commenti, io ti ringrazio in anticipo per il tuo aiuto perché, come ho già scritto, questa è la parte più difficile per me. E niente, ora vado a nascondermi sotto a un sasso.