sabato 30 dicembre 2023

Gnomico

Gnomico [gnò-mi-co] agg. (pl.m. -ci, f. -che) Sentenzioso, moraleggiante.

Etimologia: dal greco gnōmikós, derivato di gnóme, "sentenza, massima", propriamente "modo di pensare", da gnóo, "conosco".


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Yan Krukau da Pexels


Nella grande piccola città nella foresta, il Vecchio Saggio era noto per essere il più gnomico tra tutti gli gnomi. Da mattina a sera e da sera a mattina, non faceva che intromettersi nei discorsi altrui sentenziando, ad esempio: – Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace – oppure – La pazienza è la virtù dei forti – o ancora – Una buona azione e un sorriso sincero rendono lo gnomo più felice davvero.
Era talmente nota questa sua abitudine, che i più appena lo vedevano arrivare, soprattutto se andavano di fretta, lasciavano cadere ogni discorso, si accomiatavano dall'interlocutore e poi via, ognuno per la sua strada, molto prima che il Vecchio Saggio, con la sua flemma, raggiungesse il luogo in cui si trovavano. L'anziano gnomo non lo avrebbe mai dato a vedere, ma un po' ci rimaneva male quando accadeva. E non capiva come mai ciò accadesse sempre più spesso.
Da parte sua, infatti, era convintissimo di dispensare consigli originali e assai utili, molto più delle chiacchiere pigre che si scambiava la maggior parte degli gnomi. Era del tutto ignaro che le sue massime fossero ormai note a tutti per aver studiato, da giovani gnomi, il compendio della sua saggezza raccolta nel corso degli anni, e altresì ignorava che ogni sua interruzione faceva perdere agli altri il filo del discorso, e ritrovarlo poi in mezzo alla foresta era assai complicato.
Così il Vecchio Saggio non si perdeva d'animo, e annunciando: – La fretta è una cattiva consigliera – se ne andava altrove a cercare chi gli prestasse orecchio.
Il Vecchio Saggio non si scompose nemmeno quando una giovane gnoma, esasperata dalle continue intromissioni, gli ritorse contro un suo commento gnomico, e più precisamente quello che fa: – È da maleducati interrompere chi parla.
– Ah, sì, certo – fece il Vecchio saggio, quella volta. – Ma è da ricordare che noi gnomi abbiano due orecchie e una sola bocca, per ascoltare di più e parlare di meno.
Eh già, non c'era proprio verso di spuntarla con il Vecchio Saggio.

giovedì 28 dicembre 2023

Audioracconto - Storia di un indesiderato


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Foto di
 Pixabay da Pexels


Natale, tempo di regali, tempo di giocattoli che trovano una casa nuova. Ma non tutti sono così fortunati.

Storia di un indesiderato
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/12/storia-di-un-indesiderato.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Oh, Little Town of Bethlehem di Kevin MacLeod (https://incompetech.com/)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=YP3KcHj8rTM).

Immagine di: Pixabay (https://www.pexels.com/it-it/foto/bambola-triste-del-pagliaccio-nel-cestino-208087/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 25 dicembre 2023

La principessa pesce


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Foto di Becerra Govea Photo da Pexels


Questa ti sembrerà una fiaba, una di quelle che iniziano con "c'era una volta, tanto tempo fa, in un regno lontano lontano", e in verità avrei potuto iniziare proprio così, se non fosse che tutto questo è successo a me, proprio a me, quand'ero un ragazzo, quindi non proprio tanto tempo fa, e in questa stessa città, dunque neanche troppo lontano.
Quindi, se non posso iniziare in quel modo, come comincio? Ah, ho capito, inizierò così: ho sempre amato gli acquari.
Non quelli piccoli, le bocce da pesce rosso e gli altri da tenere in casa, con un minuscolo scorcio di oceano in cui nuotano pesciolini formato mignon. Intendo le vasche enormi dell'acquario cittadino, quelle quasi infinite per gli occhi di un ragazzo che non abbia mai visto il mare, lunghe vetrine dove poter schiacciare il naso e guardare gli squali passarti a pochi centimetri dalla faccia, e i delfini nuotare veloci, e meduse e anguille e barracuda e ogni sorta di pesce tropicale, colorato e sinuoso che danzava nell'acqua, solitario o in grossi banchi in cui tutti si muovevano all'unisono, sincronizzati.
Fu solo naturale che, non appena ebbi l'età e il tempo per farlo, mi offrii volontario per dare una mano nell'acquario cittadino. Dapprima mi misero a spazzare i pavimenti e a lustrare i vetri appannati dal fiato dei bambini curiosi com'ero stato io, e mi andava anche bene, perché mentre mentre passavo lo straccio e lo spazzolone fin dove le mie braccia riuscivano ad arrivare, potevo continuare a guardare oltre il vetro l'andirivieni ipnotico dei pesci. Non passò molto prima che si fidassero a mandarmi in immersione nelle vasche a sistemare coralli e rocce e a raccogliere le conchiglie abbandonate dai paguri, o altri lavoretti simili. Allora non c'erano bombole e mute da sub, ci andavo così com'ero, io che mi ero dimostrato particolarmente bravo a trattenere il fiato a lungo, anche più degli adulti che lavoravano lì da tanto, e di questo potevo andare fiero. Ovvio che mi mandavano giù solo nelle vasche che non erano pericolose, niente nuotata tra gli squali o le meduse: per la manutenzione di quelle vasche ci andava un esperto con un'ingombrante attrezzatura da palombaro. Ma io mi accontentavo, era già bello sentirmi sfiorare dai delfini, i cui schiocchi parevano una risata alle mie orecchie ovattate dall'acqua, o sentire il gorgogliare delle bolle man mano che il fiato mi sfuggiva di bocca, e la carezza delle alghe sulle mani mentre le spostavo per vedere il fondo, e la lotta a colpi di gambe e bracciate contro una forza che cercava di tirarmi su, verso il confine tra l'acqua e l'aria.
Quella che mi piaceva di più era una vasca d'acqua dolce che rappresentava uno scorcio di fauna acquatica lacustre, e che si trovava in parte all'esterno, così che il sole nelle ore diurne, e la luna in quelle notturne, scendeva coi suoi raggi a illuminare le squame dei pesci guizzanti e le rocce sfaccettate che costellavano il fondo tra grovigli d'alghe e aggregati di mitili. Adoravo tuffarmi in quella vasca, tanto che più di una volta ci ero andato anche di nascosto, quando l'acquario era chiuso, data la sua particolare collocazione mi rendeva facile intrufolarmi in quella zona dell'acquario.
Ora, nel periodo di cui ti voglio parlare era successa una cosa particolare, che aveva attirato la mia attenzione. Non era raro che un pescatore o un allevatore di pesci affidasse all'acquario un esemplare che riteneva insolito o degno di nota, e a volte si trattava davvero di un pesce esotico abbandonato da qualcuno, ma più spesso era una semplice trota o carpa con una colorazione diversa dal solito.
Quello che ci portò uno dei soliti pescatori quella volta, però, era qualcosa di totalmente nuovo. Il pesce, lungo quanto il mio braccio, aveva squame iridescenti e pinne viola molto lunghe, che nell'acqua si agitavano come strisce di tessuto, e un cerchio dello stesso colore sulla sommità del capo, con punte che lo facevano assomigliare a una corona. Non s'era davvero mai visto un pesce del genere nell'acquario, tanto che, in attesa dell'esperto dalla capitale per classificarlo, il pesce grazie a quella sua caratteristica coroncina venne soprannominato "pesce principessa" e messo assieme agli altri nella vasca d'acqua dolce, visto che era proprio in un lago che era stato pescato.
Non mi lasciarono, per quel giorno, tuffare nella vasca dov'era conservato quell'esemplare unico. Ma potevo io farmi scappare l'occasione di nuotare assieme al pesce principessa, prima che l'esperto dalla capitale venisse a portarcelo via per renderlo famoso? No, non potevo. Proprio non potevo.
Così, quella notte, m'intrufolai oltre il cancello dell'acquario come avevo già fatto tante volte, e sgattaiolai fino alla solita vasca, ma quando ci arrivai, scoprii che non ero stato il solo a scegliere proprio quella nottata per un tuffo tra i pesci. A nuotare a fior d'acqua, sotto i raggi di luna, c'era la donna più bella che avessi mai visto, una donna dalla pelle scintillante e un lungo abito viola, il cui strascico e le cui maniche fluttuavano nell'acqua come le pinne del pesce che ero venuto a trovare. Sulla testa, tra i ricci scuri, era posata una coroncina di fiori dello stesso colore dell'abito.
– Mi ricordo di te – disse la donna, con una voce che aveva in sé la melodia gorgogliante dell'acqua. – Mi guardavi proprio così oggi, così come fai adesso.
Alle sue parole mi resi conto di avere la bocca spalancata dalla meraviglia, allora mi diedi un contegno e le dissi, col tono più professionale che riuscii a dare alla mia voce ancora un po' infantile: – Non lo sai che non si può nuotare qui? È vietato.
Ero consapevole che era la stessa cosa proibita che ero venuto a fare io, ma nella mia testa la questione era diversa: io lì ci lavoravo, mentre lei era un'estranea che passava per caso.
– Ah no? – ribatté la donna. – Se non si può, perché dunque mi avete messo qui?
Aggrottai la fronte, e solo qualche istante dopo capii: la donna voleva farmi credere di essere il pesce principessa, trasformato... no, non poteva essere. Eravamo in pochi a sapere dell'esistenza dell'insolito esemplare, il pescatore e noi dell'acquario, e io non lo avevo detto a nessuno. Prima che potessi chiederle chi le aveva parlato del pesce, la donna proseguì: – Io sono davvero una principessa.
Scoppiai a ridere: ce la stava mettendo tutta per ingannarmi e farmi credere di essere il pesce che era stato portato all'acquario nel pomeriggio. Frugai con gli occhi la vasca: le sue lunghe pinne viola e il suo corpo iridescente non dovevano essere difficili da scorgere, anche alla luce tenue della luna, eppure non lo vidi da nessuna parte. Nel frattempo, la donna si era avvicinata a nuoto al bordo della vasca dove stavo io.
– Sembri un ragazzo a modo, e vorrei poter continuare a parlare con te, ma il tempo sfugge. Devo tornare da dove sono venuta prima che il sole sorga, o non potrò cambiare forma mai più, e il mio regno sarà perduto. Ma non conosco la strada... – si lamentò la donna nella sua voce gorgogliante, con l'abito che le fluttuava attorno in una macchia viola nell'acqua. Da vicino vidi che aveva le gambe, normalissime gambe e non la coda da pesce come una sirena. Uno si aspetta che una donna pesce sia almeno un po' pesce, quello avrebbe reso veritiera la sua storia assurda, e invece no, era in tutto e per tutto una donna come le altre, a parte la pelle scintillante come madreperla o come riflessi di luce sulle onde.
– E quindi vorresti il mio aiuto – le dissi. Ero scettico, ma decisi di stare al gioco.
– Sì! – fece subito la donna. – Sì, per favore. In cambio, esaudirò un tuo desiderio, grande o piccolo che sia. Na devo arrivare prima che sorga il sole, o tutto sarà perduto.
Sapevo qual era il lago dove il pescatore aveva trovato il pesce principessa, e non era nemmeno tanto distante. Ci potevo arrivare comodamente in bici, ma lei come avrebbe fatto?
Glielo dissi. – Certo, se fossi piccola come un pesce, ti potrei mettere dentro un sacchetto con un po' d'acqua nel cestino...
Non ebbi neanche il tempo di finire la frase che la sua pelle scintillante risplendette di più, fino ad abbagliarmi, e quando la luce che diffondeva si affievolì, di fronte ai miei occhi non c'era più una donna in abito viola, bensì il pesce iridescente dalle lunghe pinne di quello stesso colore, e un cerchio viola come una coroncina sulla sommità del capo. Mi strofinai gli occhi un paio di volte, ma il pesce continuò a restare un pesce.
Non potevo crederci. La sua storia era vera. Tutto quel che mi aveva detto la principessa pesce era vero!
Stando così le cose, capii che non potevo permettere che un sedicente esperto la portasse via dalla sua casa per metterla in mostra. Così la caricai con un po' d'acqua della vasca nel cestino della bicicletta, come le avevo detto, e pedalai più svento che potevo verso il lago dov'era stata pescata.
Chi ha detto che i pesci sono muti, non ha mai sentito una principessa pesce lamentarsi e incitare a far più in fretta man mano che avverte l'alba avvicinarsi. La notte non era ancora del tutto trascorsa quando infine si tuffò nelle acque del suo regno, e fu così salva dal destino infelice che mi aveva annunciato.
Tornata donna, la principessa pesce mi ringraziò con un bacio sulla fronte, e dopo di allora, non la vidi mai più. Fine della storia.
Ah, il desiderio, dici? Sei tanto curioso di sapere che cosa ho chiesto come ricompensa?
Ti dirò solo che da quel giorno non ho avuto alcun problema a tuffarmi nelle vasche degli squali o delle meduse senza timore, e che quando i delfini si scambiano schiocchi e risate chioccianti, alle mie orecchie suonano come parole.

sabato 23 dicembre 2023

Reprobo

Reprobo [rè-pro-bo] agg., s. 1. agg. non com. Condannato dalla giustizia divina; dannato. 2. agg. estens. Malvagio, empio. 3. s.m. (f. -ba) Nei significato dell'aggettivo.

Etimologia: dal latino reprobus, composto da re, "indietro, in senso contrario", e da probus, "buono, onesto, retto".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Sacha Moreau da Pexels


L'alba sorgeva quel giorno su un nuovo me, più consapevole, ma anche più triste e spaventato. Era una seconda metamorfosi, dopo quella subita mio malgrado nella Valle, ma stavolta il mio corpo non era cambiato; solo la mia conoscenza di me stesso era mutata.
– Non l'ho cercato per nobiltà d'animo – confessai al saggio bendato che mi aveva condotto lontano dagli altri dormienti, una volta ottenuta la risposta in sogno. – Non sapevo che lo avrei trovato. Ero là per rubare un tesoro.
Non volevo parlarne, ma il saggio bendato aveva uno strano calore in sé, un calore paziente, che sciolse la mia lingua.
– Liri aveva ragione, non sarei dovuto venire. Lei non ha idea di quello che ho fatto, di tutte le atrocità, la sofferenza...
Mi premetti le mani sulla fronte, e fui a tanto così dal perdermi in una vampata di fuoco al pensiero di quei ricordi ritrovati. Liri non sapeva, eppure mi aveva dato il consiglio giusto, quello che io non avevo ascoltato: non cercare.
– Come ha potuto scegliere me? Come ha potuto il fuoco di drago offrirsi a me, a un'anima dannata, a un reprobo senza speranza di redenzione? Avrebbe dovuto bruciarmi, non salvarmi.
– Ah – fece il saggio, lentamente. – Come ti definisci, non è quel che vedo e sento.
– Non mi conosci. – Mi alzai in piedi e camminai avanti e indietro nella cella disadorna. – Non posso tornare nella Valle. Ora che ricordo chi sono, se il vecchio me ritornasse, e con tutto il potere che ho adesso...
Era un pensiero terrificante. Non volevo far del male a Liri o ai pacifici Guardiani della Valle, che mi avevano accolto dopo il cambiamento pur ricordando ciò che avevo fatto loro.
– Ma tu devi tornare. Se non perché appartieni a quel luogo, per ciò che hai lasciato là.
Pensai che il saggio si riferisse a Liri, ma poi rammentai. I miei scagnozzi, uomini altrettanto reprobi e privi di scrupoli, erano ancora nella Valle, e non sarebbero rimasti prigionieri a lungo. Erano una mia responsabilità, un residuo del passato di cui dovevo occuparmi.

giovedì 21 dicembre 2023

Audioracconto - La cometa di Colmarino


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Foto di Ertabbt da Pexels


Una cometa compare nel cielo di Colmarino la notte tra il 24 e il 25 dicembre. Negli stessi giorni, una strana presenza si aggira tra le strade del paese... che i due eventi siano collegati?

La cometa di Colmarino
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Racconto bonus inedito di Natale.

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musiche: FairyTale Waltz di Kevin MacLeod (http://incompetech.com/)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=FYt6nTr80eY);
Deck The Halls (Christmas Cover) di myuu (https://soundcloud.com/myuu)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=-N4jXd30U30);
Christmas Homecoming di Aaron Kenny (https://www.youtube.com/channel/UCVAggfwI4hnkA2WO6-xC06Q)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=sS7bfMc2z_4).

Immagini di: Ertabbt (https://www.pexels.com/it-it/foto/citta-croce-stella-cadente-cristianesimo-11893055/), Tuấn Kiệt Jr. (https://www.pexels.com/it-it/foto/carino-modello-bokeh-natale-19364205/), Ali Pazani (https://www.pexels.com/it-it/foto/vacanza-donna-festivo-inverno-6224134/), Yaroslav Shuraev (https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-vacanza-natale-interni-6184679/), Dmitry Rodionov (https://www.pexels.com/it-it/foto/moda-uomo-ritratto-mutande-15293977/), RDNE Stock project (https://www.pexels.com/it-it/foto/piastre-persona-donna-tavolo-6517986/), JÉSHOOTS (https://www.pexels.com/it-it/foto/persone-in-piedi-di-fronte-all-albero-di-natale-con-luci-durante-la-notte-242422/), Vish Pix (https://www.pexels.com/it-it/foto/citta-traffico-notte-strada-19518257/), iddea photo (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-luci-festivo-ragazza-19480548/), Capture Blinks (https://www.pexels.com/it-it/foto/spettacolo-pirotecnico-di-colori-assortiti-285598/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 18 dicembre 2023

Piantar bandierine


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Foto di Lara Jameson da Pexels


Il Banco degli Ori e Tesori si fregiava di essere uno degli istituti più antichi e generosi al mondo, con tutto il denaro che offriva profusamente in prestito alle altre attività sparse per il mondo e molto spesso anche ai governi delle varie nazioni. Nonostante questa facciata da benefattore, però, i suoi dirigenti avevano lo stesso atteggiamento dei generali che pianificavano una strategia bellica, e il loro nemico era il mondo intero.
Nella sala riunioni campeggiava infatti un enorme mappamondo, su cui di volta in volta i dirigenti-generali piantavano una bandierina per ogni loro vittoria. Sapevano di stare combattendo una guerra silenziosa e implacabile, una guerra senza caduti, ma con molti sconfitti e un solo vincitore.
– Abbiamo in pugno la Kamchatka – diceva uno, piantando la sua bella bandierina con il logo del Banco degli Ori e Tesori. – Non possono pagare il loro debito nel tempo stabilito dal contratto, e noi gli proporremo una dilazione... alle nostre condizioni.
Oppure: – Tutte le attività industriali della Groenlandia ormai sono di fatto nostre. – Ghigno, e bandierina. – Possiamo aumentare la produzione oppure chiuderle come ci pare e piace.
– Delocalizziamo? – proponeva un altro. – Ci serve più presenza in Siam, in modo da convincere il governo a mettersi in affari con noi.
Così conducevano quotidianamente il loro concilio di guerra, immersi in una bolla in cui esistevano solo loro e un mappamondo sempre più zeppo di bandierine, mentre fuori dal loro tranquillo universo la banca fremeva d'attività, impiegati che andavano e venivano spostando documenti e contratti, cassieri che contavano il denaro versato ed erogato, clienti che imploravano per un altro po' di tempo, o che scongiuravano di non vedersi dichiarati in bancarotta, timbri che calavano implacabili con tonfi sonori, computer che elaboravano e archiviavano cifre e dati, fotocopiatrici che fotocopiavano, porte che si chiudevano, passi che rimbombavano sonori assieme ai sussurri e ai colpetti di tosse nel grande atrio dalla cupola a volta e le colonne come in una cattedrale gonfia d'echi.
Alla fine della giornata, i dirigenti-generali del Banco degli Ori e Tesori non erano mai soddisfatti, poiché sapevano che avrebbero potuto fare di più, conquistare più territori, piantare più bandierine.
Ma anche qualcun altro, fuori di lì, non era affatto contento del loro operato.
– Una volta appartenevo solo a me stessa – mormorava sconsolata la Terra, tra le foglie delle sue foreste. E poi, con le onde degli oceani, brontolava tra sé: – E adesso arrivano questi miei figli, i più matti tra tutti quelli che ho ospitato dall'inizio dei tempi, e si credono di potersi prendere per loro il mio corpo, un pezzetto alla volta?
– Era così bella la vista da quassù – le fece eco il Sole. – Tutta verde e blu. Poi sei diventata di tanti colori, frammenti variopinti di diverse bandiere che credo chiamino nazioni quei tuoi figli di cui parli, ed eri bella lo stesso, ma ora tutte le bandiere stanno diventando una, e una sola sfumatura ti ricopre, e Terra mia, te lo devo proprio dire, che noia!
– Dobbiamo fare qualcosa – propose la Terra. – prendere in mano la situazione.
E insieme, Terra e Sole confabularono sul da farsi.
Era una bella mattina di tarda primavera quando avvenne, e i dirigenti-generali del Banco degli Ori e Tesori erano impegnatissimi a cercare di coprire i pochi spazi sul mappamondo su cui ancora non avevano piantato una bandierina.
Per primo giunse un soffio di vento solare che frisse in un istante tutti i computer e i server in cui erano conservati non solo i contratti in corso e le cifre che segnavano il ponteggio di quella guerra, ma perfino l'essenza stessa del denaro, ridotto ormai a niente più che una sequenza di zero e uno.
Fuori dalla sala riunioni fu il panico. Impiegati e cassieri si bloccarono, incerti su come affrontare la situazione inaudita. I clienti si disperarono o si rallegrarono, a seconda di com'era la loro situazione: c'era chi aveva perso tutto, e chi si era visto cancellare da un istante all'altro un debito enorme.
Quando una segretaria finalmente decise che era necessario interpellare i dirigenti, che reagivano solitamente in maniera iraconda con chiunque osasse interrompere il concilio di guerra, avvenne la seconda cosa. Ovvero, precisamente, la Terra diede uno scossone che rovesciò il contenuto degli schedari, mischiando tutti i documenti, e sbalzò via dal mappamondo tutte le bandierine. Ed era inutile che i dirigenti si affannassero a rimetterle al loro posto, perché ogni volta che ci provavano, un nuovo scossone le faceva crollare nuovamente giù.
Dopo vari tentativi, capita l'antifona, i dirigenti-generali si guardarono sconsolati e muti.
Com'era possibile condurre una guerra se non c'era verso di segnare il punteggio?

sabato 16 dicembre 2023

Erubescente

Erubescente [e-ru-be-scèn-te] agg. lett. Che tende al rosso; riferito a persona, che arrossisce.

Etimologia: dal latino erubescentem, participio presente di erubèscere "arrossire", composto dalla particella ex e da rubèsco "divento rosso". A sua volta incoativo di rùbeo "essere rosso, rosseggiare" che è derivato da ruber "rosso".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Lisa Fotios da Pexels


Stefania era scappata ridendo dal gatto parlante, quando la sua espressione e la sua voce furente le avevano detto che era meglio scappare. – Be', che gatto permaloso – si disse non appena capì di non essere più inseguita e dunque, forse, al sicuro. – Prendersela per una cosa da nulla come un fiorellino in testa!
La sua risata forzata si perse in echi tra gli alberi del bosco e si confuse nella pioggia. Fu allora che Stefania si sentì, come mai le era capitato prima, sola.
– Forse non sarei dovuta scappare – ammise tra sé con un sospiro. Si era persa, ed era bagnata fradicia nonostante la grande foglia che le faceva da ombrello, e infreddolita. Non ebbe il tempo di pentirsi a lungo della sua fuga.
Quando la pioggia smise, il mondo divenne rosso. Gli alberi erubescenti parevano aver risposto all'arrivo dell'autunno in un battito di ciglia, la terra si era fatta color mattone e persino il cielo al di là delle fronde di era infiammato di sfumature scarlatte. Qualcosa le disse che, se fosse stato lì, perfino il gatto parlante sarebbe mutato in un bel gattone rosso.
Sembrava una specie di magia.
– Ma no, sciocchina, hai una pietra in un occhio! – sbottò una voce sopra la sua testa. Il primo pensiero che le venne in mente, e che la fece avvampare dalla vergogna, fu che il gatto parlante l'avesse raggiunta giusto in tempo in tempo per quel commento tanto sprezzante quanto incomprensibile.
Stefania lasciò cadere la foglia-ombrello e si coprì le gote erubescenti con le mani. – Mi spieghi come posso avere una pietra in un occhio? Capisco una lacrima o una ciglia, ma una pietra... me ne accorgerei se ce l'avessi, non credi?
Stefania alzò lo sguardo ai rami dell'albero sopra di lei in cerca del gatto, ma il gatto non c'era. L'unico dettaglio degno di nota era una macchia più rossa delle foglie, che a ben guardare aveva le penne e un becco piegato in un sorriso.
– Lascia che te la tolga – disse l'uccellino, un cardinale rosso, e poi calò in picchiata ad artigli protesi verso di lei.

giovedì 14 dicembre 2023

Audioracconto - Io e il folletto


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Rachel Xiao da Pexels


Ascolta il primo racconto della serie qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2023/12/audioracconto-malcolm-millipedegutter.html

Da quando ero tornata nella vecchia casa dei miei genitori, la convivenza con il mio scomodo, piccolo coinquilino a sorpresa non era iniziata nel modo migliore. Ci volle tempo prima che io e Malcolm Millipedegutter cominciassimo ad andare d'accordo.

Io e il folletto
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2019/12/io-e-il-folletto.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musiche: Lullabye (Sting) di Twin Musicom (http://www.twinmusicom.org/)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=eKNUpcpfpxw);
Dog Park di Silent Partner
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=LBeDpbhJYwo);
Christmas Village di Aaron Kenny
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=yjIy5VrVZYM).

Immagini di: Rachel Xiao (https://www.pexels.com/it-it/foto/casa-di-marzapane-vicino-vaso-di-vetro-trasparente-riempito-di-caramelle-772399/), Ayşegül Akdaş (https://www.pexels.com/it-it/foto/cibo-dessert-dolce-biscotti-14518495/), Pixabay (https://www.pexels.com/it-it/foto/gattini-di-colore-assortiti-45170/), Andreas - (https://www.pexels.com/it-it/foto/bianco-e-nero-casa-rotto-tetto-14615663/), Sami Aksu (https://www.pexels.com/it-it/foto/mare-cielo-nuvole-foresta-9899096/), Eugene Golovesov (https://www.pexels.com/it-it/foto/regalo-decorazione-natale-composizione-19412192/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 11 dicembre 2023

I Non Visti


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Cameron Readius da Pexels


Voi la chiamate sfortuna. La chiamate caso, o sorte, o legge delle probabilità, o ancora dea bendata. La chiamate buona giornata, la chiamate "calzini portafortuna", la chiamate malocchio, la chiamate mano magica, la chiamate coincidenza e a volte, solo a volte, la chiamate destino.
In realtà, a far rotolare e fermare i dadi sul tavolo da gioco, a far saltare come impazzita la pallina nella roulette, a frenare le ruote della slot machine o a mescolare le carte prendendo il croupier per mano non è una forza impersonale o una fantomatica dea.
A farlo siamo noi, io e gli altri come me.
Ah, immagino che sorpresa se poteste vederci seduti sul bordo del tavolo da gioco, appoggiati alle macchinette mangiasoldi, protesi sopra il panno verde con le fiches delle puntate, con le vostre fiches, intenti a scegliere chi vince e chi perde. Mi chiedo, se poteste vederci, se ci accusereste di barare, o se ci supplichereste di favorire voi, proprio voi tra tutti.
Ma non ci vedete, accecati da mille luci sfavillanti, dai giri veloci delle ruote dietro il vetro, dal rapido gioco di mano del croupier che distribuisce le carte. Non ci vedete e, purtroppo, quasi mai ascoltate il messaggio.
Perché il trucco è questo: noi non distribuiamo vincite o perdite a caso, o per capriccio, o in base a una simpatia personale. Stiamo cercando di inviarvi un messaggio nell'unico modo che conosciamo, manipolando eventi in apparenza casuali. Se spingo i dadi ripetutamente su un numero basso non lo faccio perché ti ho preso di mira, ma perché ti sto dicendo che è ora di smetterla, e di tornare a casa dalla tua famiglia. Se metto in mano al croupier proprio la carta che ti serve, è perché voglio spronarti a credere di più nel tuo progetto, e a realizzarlo con i fondi inaspettatamente guadagnati. Ma voi non ascoltate, assordati dal tintinnio dei gettoni e dalla musichetta trionfale del jackpot, e dal ticchettio della ruota che gira, rien ne va plus, e dalle troppe voci che parlano e ridono e si disperano e urlano, gioia o dolore, vita o morte.
Succede la stessa cosa fuori da qui, la stessa identica cosa. Se parlo del casinò è solo perché questo è il luogo che conosco meglio, questa è la mia casa. Ma fuori di qui, molte di quelle che chiamate coincidenze sono opera nostra. Noi rallentiamo la corsa di un treno per darvi il tempo di accorgervi del paesaggio, facciamo scattare il rosso al semaforo per farvi arrivare in ritardo all'appuntamento che rovinerà la vostra vita, e per merito nostro tutto si allinea alla perfezione per farvi ottenere quel posto di lavoro che non pensavate di voler accettare. Ma voi quasi mai ascoltate il messaggio. Perché lasciate sempre andare quello sconosciuto che si trova nel posto giusto al momento giusto per darvi una mano?
Non capite che vi avevamo messo sulla strada di un amico, o di un compagno.
Gli astrofisici, che più di tutti sono arrivati vicino a comprendere la nostra esistenza, hanno stimato che la materia oscura costituisca all'incirca il 90% della massa dell'universo. Questo significa che, per ognuno di voi, ci sono nove di noi. E no, non siamo i fantasmi dei defunti, non siamo alieni da altre dimensioni, non siamo spiriti evoluti o emanazioni divine.
Noi siamo, semplicemente, i Non Visti. Gli Ignorati, i fautori di casi e coincidenze, latori di un messaggio che non riuscite a comprendere.
La prossima volta che vi succede qualcosa senza un perché, nel bene o nel male, specie se vi costringe a riconsiderare i vostri piani... provate ad ascoltare. Potrebbe sorprendervi scoprire che dietro un contrattempo o una fortuna inaspettata, in fondo in fondo, un motivo c'è.

sabato 9 dicembre 2023

Commistione

Commistione [com-mi-stió-ne] s.f. Unione, mescolanza, perlopiù con riferimento a concetti, idee, valori e simili.

Etimologia: da tardo latino commixtionem, derivato da commiscere, "mischiare insieme", composto dal suffisso con- e da miscere, "mescolare".



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Foto di MART PRODUCTION da Pexels


La prima volta che Virginia Blake sentì la canzone era nell'atrio della sua azienda, la VB Cosmetics. Nei sei maxischermi sistemati sulla parete di fondo passavano a ripetizione le pubblicità dei prodotti di punta, inframmezzate di tanto in tanto da un programma di notizie lampo dedicate al mondo della moda e dello spettacolo. Sfilate, eventi teatrali, novità della stagione non erano sufficienti di solito a distrarre Virginia Blake dalla conversazione con un cliente importante o con i suoi collaboratori più stretti, ma quella canzone lo fu.
Era una melodia fresca, diversa da qualunque altra Virginia avesse sentito negli ultimi anni, ed era difficilmente definibile. Era una commistione di stili e generi diversi, non esattamente pop, ma nemmeno lirica, nonostante la voce potente che la interpretava; non del tutto country, anche se in qualche passaggio ricordava quel tipo di melodia, ma nemmeno si poteva dire che fosse rock o blues o jazz, sebbene il tono qualche volta indugiasse su quei generi musicali.
Virginia si voltò a guardare, e fu allora che ebbe la sorpresa più grande. Gli spezzoni video dedicati a una giovane donna in sala di registrazione, le uniche immagini trapelate della misteriosa nuova star del momento, ritraevano un volto che lei conosceva. Aveva già spiato quel viso nelle foto sottratte a un laboratorio di robotica che aveva finanziato in segreto.
Quel progetto era morto e sepolto, o almeno così lei pensava.
Nella mente di Virginia Blake affiorò il pensiero che forse quella era la donna che aveva fatto da modello per l'aspetto dell'androide, ma se non lo fosse stata?
Se fosse stata, invece, la creatura scampata miracolosamente all'incendio, funzionante, reale, e così viva? Non appena se lo chiese, Virginia Blake capì che doveva scoprirlo. Doveva assolutamente scoprire quale meravigliosa commistione di programmazione ed esperienza aveva dato origine alle emozioni che leggeva nel volto di quella donna che cantava un'indefinibile melodia.

giovedì 7 dicembre 2023

Audioracconto - Malcolm Millipedegutter


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Foto di Skitterphoto da Pexels


Malcolm Millipedegutter non esiste. Se lo era inventato mio fratello, quando eravamo bambini.
O almeno questo era quel che credevo.

Malcolm Millipedegutter
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


Trovi gli altri racconti sul canale YouTube: https://www.youtube.com/@lavocedellapiuma

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/11/malcolm-millipedegutter.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musiche: Lullabye (Sting) di Twin Musicom (http://www.twinmusicom.org/)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=eKNUpcpfpxw);
By The Light of the Silvery Moon di E's Jammy Jams
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=G24S34R0Z7s).

Immagini di: Skitterphoto (https://www.pexels.com/photo/tilt-shift-lens-photography-of-brown-stand-twigs-630750/), Lisa Fotios (https://www.pexels.com/it-it/foto/la-fotografia-macro-di-una-pila-di-3-cookie-230325/) da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 4 dicembre 2023

La Spettrale Foresta Sottosopra


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Mizuno K da Pexels


Mi trovavo una notte a camminare nella Spettrale Foresta Sottosopra, quando all'improvviso capii perché la chiamavano così. Io ero là, nel bel mezzo di un sinistro banco di nebbia che amplificava la luce di chissà quale Luna, a camminare per i fatti miei con il sottofondo gradevolmente inquietante di un coro di lupi ululanti e un accompagnamento misto di gufi e civette, quando mi sentii afferrare stretto per una caviglia, e tirare, e quasi sbattei la faccia a terra mentre prendevo il volo. No, non ero inciampato in una radice, a meno che le radici non riescano a sollevarti i piedi sopra la testa. Non credo abbiano ancora imparato.
Sottosopra, appeso per una caviglia, incrociai le braccia al petto.
– A-ha, mi hai preso, complimenti – sbottai senza troppo entusiasmo alla volta del burlone forzuto. Sbirciai da sotto in su nella nebbia per cercare di capire con chi avevo a che fare, ma non c'era niente attorno a me, nemmeno una sagoma indistinta nella caligine. Fu allora che il resto del nome di quel posto mi venne in aiuto: Spettrale Foresta Sottosopra.
Foresta, ero in una foresta.
Sottosopra, ero sottosopra.
Spettrale, non era una metafora, o una generica indicazione circa l'atmosfera.
Io dico che sapere con chi hai a che fare è la metà di quel che ti serve per risolvere un problema. L'altra metà ce la devi mettere tu, ma quello non era un problema, ero diventato ormai parecchio bravo a risolvere i miei problemi, una volta saputo con chi avevo a che fare.
Perciò non mi agitai, e allo spettro che si divertiva a mettere la gente sottosopra, chiesi: – Bene. E adesso che mi hai preso, che intendi fare?
Dalla nebbia provenne un timido booooh? un po' perplesso.
– A questo punto, se fossi un orco, mi mangeresti – incalzai il buontempone incorporeo, – Se fossi un drago, mi bruceresti. Ma tu non sei né l'uno né l'altro, giusto?
Boooooohhhh! risuonò nella nebbia.
– E siamo arrivati a capire che cosa non sei – soggiunsi, con un pizzico di condiscendenza. – Quanto al chi sei, amico, non credo tu lo sappia davvero.
Uno sbuffo agitò in un turbinio di volute il bianco lattescente accanto al mio viso, e qualunque cosa mi tratteneva sottosopra in aria si agitò scuotendomi tutto.
– Calma, calma, non c'è bisogno di agitarsi! Segui il mio ragionamento, vuoi?
La mia testa smise di ballonzolare appesa al resto del corpo. Lo spettro era in ascolto.
– Punto primo: sai come ti chiami?
Booooooooooooohhhhhhh! fu il lungo, depresso ululato che riecheggiò nella nebbia.
– Appunto – confermai. – Ma non basta. Tante persone non sanno come si chiamano, eppure sanno lo stesso chi sono, o almeno sono convinte di saperlo, e io non le contraddico. Ora, punto secondo: ti sei mai visto una volta allo specchio? Sai di che colore sono i tuoi capelli, i tuoi occhi, che forma ha la tua faccia?
Il booooOOoooooOOOooohhhHHHHhhhh! che fu la risposta alla domanda risuonò più modulato, quasi lamentoso.
Lo ammetto: gli avevo tirato un colpo basso. Chiedere a un fantasma se si era mai visto allo specchio era come chiedere a un pesce di cantare.
– Su, su, non è poi così male – dissi in tono consolatorio al mattacchione intangibile. – Ce n'è di gente che non si è mai vista allo specchio. Tanto per cominciare, chi non ce l'ha, un specchio.
Boh. mugugnò sottovoce la presenza nella nebbia, come a confermare che nemmeno lei ce l'aveva uno specchio.
– E questo ci porta al nostro punto terzo, per capire chi sei. Punto terzo: sai che cosa sei in grado di fare? Per esempio, sai che puoi mettere la gente sottosopra, ma sai se sei anche in grado, cosa ancora più difficile, di rimetterla dritta e lasciarla andare per la sua strada?
La testa mi girava un po' per tutto quello stare sottosopra, ma interpretai il ....boooooh? piuttosto tardivo di chi mi teneva in quella scomoda posizione come un buon segno.
– Avanti, provaci. Coraggio. Se non ci provi non lo saprai mai... – interruppi di colpo la mia esortazione quando senza troppa creanza la forza che mi tratteneva in aria per la caviglia mi mollò di colpo a terra, e poi mi afferrò per le spalle e mi strattonò nel rimettermi in piedi.
Raddrizzai gli occhiali storti, mi sistemai i capelli spettinati da cui tolsi qualche foglia, e mi tirai giù sulla pancia l'orlo del maglione. Dopo essermi risistemato alla bell'e meglio, diedi il mio responso all'entità spettrale. – Ci devi lavorare un po' su, ma non è male, come inizio.
BOOOOOOOHHHHH! esalò più forte e più deciso dalla nebbia e dagli alberi che mi circondavano. Non riuscivo a capire dove fosse, perciò mi dissi che una direzione a caso, se continuavo a camminare abbastanza a lungo, mi avrebbe sicuramente allontanato dalla cosa che abitava la foresta.
– Felice di essere stato d'aiuto! – dissi nell'accomiatarmi, una mano agitata in aria a mo' di saluto. – E mi raccomando, continua a esercitarti a raddrizzare le persone, solo così capirai chi sei davvero!
Ed è così che si concluse la mia avventura nella Spettrale Foresta Sottosopra, che pochi mesi dopo seppi essere stata ribattezzata "Spettrale Foresta Soprasotto".

sabato 2 dicembre 2023

Abbacinare

Abbacinare [ab-ba-ci-nà-re] v.tr. (abbàcino ecc.) [sogg-v-arg] 1. Torturare qualcuno, accecandolo con un bacino rovente o riflettente i raggi del sole. 2. estens. Abbagliare qualcuno con una luce intensa; in senso figurato, illudere, confondere qualcuno.

Etimologia: derivato da bacino, nel senso di recipiente metallico, come da primo significato del termine.


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Lisa Fotios da Pexels


La luce che proveniva dalle mani della bambina non era sufficiente ad abbacinare chicchessia, non nel senso di accecare, almeno, ma la sua stranezza confondeva la mente e lasciava sgomenti i contadini ignoranti. Sospesi tra gridare al miracolo e additarla come strega, tanto per andare sul sicuro quei bifolchi si facevano il segno della croce ogni volta che passavano davanti alla casa di suo padre, specialmente se notavano, nelle ore di buio, una luce fievole come la fiamma di una candela.
In realtà, spesso, quella che vedevano era soltanto una candela.
Non fu così la sera in cui Raphael, che si faceva chiamare Padre pur non appartenendo alla chiesa, giunse all'umile casa in cui quella bambina speciale era nata. L'uomo, che aveva seguito le dicerie con la stessa avidità di una falena che cerca la luce, poté constatare di persona la verità dello strano fenomeno.
Erano anni che Padre Raphael girava il mondo, accompagnato da questo o quell'altro ragazzino. Era cominciato con Miguel, che portava l'immagine della croce sulla schiena. Poi c'era stata Candela, con le stimmate sulle mani. Boran sapeva rovesciare gli occhi all'indietro di proposito, e parlare in linguaggi sconosciuti che facilmente si potevano far passare per la lingua degli angeli, anche se non capiva una parola di spagnolo. Enrique era stato con lui più a lungo, scaltro come pochi, nessun segno particolare ma aveva una parlantina sciolta da imbonitore e un vero talento nel fingersi ciò che la gente voleva che fosse.
Un vero peccato che, crescendo, avesse provato a pretendere un po' troppo.
E adesso, la bambina. Ancora troppo piccola, ma tra tutti i fenomeni strani a cui gli era capitato di assistere, quello era il più vero. Fortuna che era arrivato a lei prima che lo facesse un prete.
– Quanto volete per la piccola?
Chiese Padre Raphael. Abbacinata dall'oro, la sua famiglia non si accorse di quello che stava vendendo.