lunedì 31 maggio 2021

Bar e ristoranti

Tra una tappa e l'altra in questo viaggio tra cinema e letteratura, che ne dici di fermarti per uno spuntino? O magari anche per un pranzo completo... è tempo di passare al bar o al ristorante!



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Per le storie ambientate in bar e ristoranti c'è subito una distinzione da fare, ovvero se il punto di vista appartiene a chi ci lavora (cuochi, camerieri, baristi) come nel film Chef - riderete di gusto, o ai clienti e commensali che li frequentano per un pasto o una bevuta, da soli o in compagnia, come nella famosa scena del film Harry ti presento Sally. Di solito la distinzione è netta, ed è facile da capire osservando chi sono i protagonisti, ma in rari casi capita anche di avere una commistione tra i due, che è ciò che accade nel film Le ragazze del Coyote Ugly, in cui la protagonista passa da una parte all'altra del bancone con il proseguire della storia.
Prenderò in considerazione per prime le storie che riguardano gli addetti ai lavori. Queste si sviluppano prevalentemente nelle cucine, il dietro le quinte rispetto al palcoscenico rappresentato dalla sala principale, sia perché mostrano la frenesia della preparazione dei pasti o dei drink per i clienti in attesa, sia perché gettano luce su tutto ciò che avviene prima e dopo, a ristorante o bar chiuso (ideazione di nuovi piatti, problemi economici, corsi di cucina da frequentare o da tenere come insegnanti). Sembra bizzarro, dato che la cucina è generalmente vista come interesse e attività femminile, tanto da unire attraverso un ricettario la sua autrice e una blogger che ne esegue le ricette molti anni dopo nel film Julie e Julia, eppure quello della cucina di un ristorante rimante tuttora un ambiente molto maschilista, perciò un filone molto sfruttato è quello della rivalità tra un uomo e una donna in cucina; rivalità che talvolta può sfociare nell'amore come nel film Sapori e dissapori. Il connubio tra cibo e affetto è uno dei temi più classici, tanto che nelle storie può accadere che alcuni piatti diventino afrodisiaci per magia, come nel film Semplicemente irresistibile. Un altro classino è quello che vede l'aspirante cuoco, di qualunque specie sia, cercare di realizzare il suo sogno a dispetto delle difficoltà oggettive. Cosa che avviene con il duro lavoro, un incontro fortuito e un pizzico di magia nel finale di La principessa e il ranocchio. Altrettanto vero è che alcuni sapori, così come gli odori, hanno il potere di risvegliare i ricordi e riportarci indietro nel tempo, ed è il caso della scena che dà il titolo al film animato Ratatouille.
Ma qui si passa a considerare l'altro lato della questione, ovvero chi si trova al ristorante o al bar in qualità di cliente. E qui devo dire che inevitabilmente nel mangiare si ritrovano connotazioni culturali, perché non solo ci sono piatti tipici diversi per ogni zona o nazione, ma diverso sarà anche il rapporto con il cibo. A volte questo rapporto nei film è visto in modo anche un po' stereotipato, come accade nel film Mangia Prega Ama, in cui l'Italia è vista solo come la patria della buona cucina, e delle buone forchette. Andando oltre alla semplice soddisfazione della gola, come scrivevo prima a proposito del connubio tra cibo e amore, molte storie romantiche possono raccontare di un primo incontro, di un appuntamento fisso, o di una dichiarazione di fronte al bancone di un bar o al tavolo di un ristorante. I protagonisti di Lost in translation si ritrovano con una certa frequenza proprio al bar dell'hotel dove alloggiano, elì scatta la scintilla. E invece, in caso di un rifiuto, è sempre al bancone di un bar che è possibile trovare conforto negli alcolici o nei consigli di un saggio barista, sempre pronto a porgere orecchio a un cliente depresso. Curioso come spesso nelle storie i baristi fungano da psicologi, quando non sono frutto della follia del cliente e allora tenderanno a dare pessimi consigli come avviene nella scena al bar dell'hotel in Shining.
A proposito di bar e pericoli: spesso nelle storie poliziesche il bar tende a essere un posto malfamato, covo di gente violenta pronta a scatenare una rissa per un nonnulla, dove andare a cercare informazioni dietro compenso. Non è un classico? Fin dai tempi del film Casablanca, tipi loschi conducono i loro affari di contrabbando in bar e locali dalla dubbia fama. Tuttavia anche il ristorante non è esente dal pericolo che ci scappi il morto nel caso il luogo appartenga a un film giallo come accade in Invito a cena con delitto, sebbene in altri contesti il mistero da risolvere sia solo un appagante enigma per saziare anche la mente nel dopo cena, e qui mi vengono in mente I racconti dei Vedovi Neri di Isaac Asimov.
Tornando a storie più allegre e leggere, non bisogna dimenticare infine che molte commedie e storie comiche hanno come sfondo bar e ristoranti, dalla serie di racconti dei libri che seguono il primo Bar Sport di Stefano Benni, con la carrellata di personaggi e situazioni assurde, alla doppia cena che nel film Mrs. Doubtfire - Mammo per sempre vede il protagonista alternarsi alla sua alter ego in una girandola di equivoci e situazioni sempre più strampalate.
E dopo averti fatto un po' ridere nel ricordarti queste storie divertenti, gustose come un dolce, penso di aver completato il menù per la giornata odierna. La prossima cena... ops, appuntamento, è per giovedì con un invito a uno dei bar o ristoranti di mia ideazione.

sabato 29 maggio 2021

Disdoro

Disdoro [di-sdò-ro] s.m. Vergogna, disonore.

Etimologia: dal latino dedecus, sincoparo dalla forma aggettivale dedecorus, "indecoroso" attraverso lo spagnolo desdoro. Secondo altri deriva invece da desdorar, "togliere le doratura".



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Lei rideva, rideva con mille voci prese in prestito, guizzando come nebbia impalpabile da un punto all'altro.
– Eco! – Battei i pugni contro la lastra di vetro che mi imprigionava, pur sapendo che non avrei potuto romperla, poi mi accasciai a terra. Il mio dono, che era anche la mia maledizione, continuava a mostrarmi immagini di come il suo gesto avrebbe cambiato il mondo, riverberando dalla superficie dello specchio nel nulla che mi circondava. Messi bruciate e fiumi in secca e una cappa di aridità e stanchezza su tutta la terra. Nessun riposo sotto una coltre di neve in inverno, nessun sollievo dall'arsura e dalla fame. Solo un'eterna apocalisse rovente. – Che cos'hai fatto...
Fin dall'alba dei tempi vigeva un patto tra i Divini che reggevano entrambi i mondi. Il loro alternarsi sui troni al centro di Mith, nella sala denominata Chiave di Volta, dava origine alle stagioni sulla terra. Questo fino al terribile giorno della scomparsa dei Divini. Nella guerra che era seguita tra il popolo degli Ardentes e quello dei Glacies, io ed Eco ci eravamo schierati dalla parte del male minore.
Da anni vegliavamo sulla pace dalla Chiave di Volta e consigliavamo i Glacies seduti sui troni. Lei riportava le voci dal mondo, io mostravo loro ciò che avevano bisogno di vedere. O almeno lo avevo fatto finché lei non mi aveva distratto, impedendomi di avere una visione di ciò che stava accadendo, poi mi aveva rubato.
Tradire i reggenti Glacies per consegnare le stagioni a coloro che le avrebbero bruciate. Al confronto il mio crimine, quello che gli altri definivano il mio crimine, mi pareva un risibile disdoro. In fondo, che cosa avevo fatto? Mi era stato detto che i Floràe non erano stati creati per amarsi l'un l'altro, bensì per essere ammirati e adorati da estranei. Eppure, nell'amare qualcuno così simile a me, il mio riflesso, io non avevo fatto del male.
Eco non solo aveva gettato disdoro sul suo nome, ma aveva messo in pericolo tutti quanti, Floràe e Faunòe compresi.

giovedì 27 maggio 2021

Un lavoro qualunque

Mi sembra così strano, ma di racconti ambientati in ufficio ne ho scritti davvero pochi per il blog. Ho dovuto cercarli col lanternino, e anche così, giusto per fare numero ne ho aggiunto uno ambientato in un ufficio "domestico" giusto per la parte in cui è descritta la scrivania. Eccoli qui, i miei racconti in ufficio:

La ragazza del capo (http://lapiumatramante.blogspot.com/2016/12/la-ragazza-del-capo.html)
Eroi di carta (http://lapiumatramante.blogspot.com/2017/01/eroi-di-carta.html)
Il diario del caos (http://lapiumatramante.blogspot.com/2020/04/il-diario-del-caos.html)


Mi sono sempre trattenuta dal descrivere questo lato dell'ambientazione che chiamo "Doubleface", perché... non succede niente, almeno finché gli eventi non precipitano e la storia inizia a farsi interessante anche qui. Ma per questa volta provo a darne un'idea, e scriverò questo brano usando come tappeto sonoro Office Ambience (https://www.youtube.com/watch?v=6sQXSdzk6U4) di Winter Whale.



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La gente diceva che mi ero accontentata di poco. Che ero intelligente, che potevo aspirare a molto di più, che ero troppo qualificata per quel lavoro.
Solo io sapevo che non mi stavo affatto "accontentando". La verità, anche se nessuno qui mi crederebbe, è che ho due vite, due corpi a disposizione, ma sufficiente attenzione per uno soltanto. E così avevo fatto una scelta, quella più logica.
Avevo scelto di vivere la vita che sognavo là dove la mia peculiarità era nota, riconosciuta come reale e definita un vantaggio, piuttosto che dove sarebbe stata trattata come un'anomalia della mente, una malattia da diagnosticare e guarire.
Così, per poter intraprendere la carriera più remunerativa e prestigiosa di Essensis, quella di Bollatore, avevo bisogno di un lavoro qualunque sulla Terra. Uno di quei lavori ripetitivi, noiosi, semplici, che avrei potuto fare anche a occhi chiusi, o meglio, con quella specie di pilota automatico che prende il sopravvento quando la mia consapevolezza è altrove, nell'altra me, la più giovane Bollatrice di Essensis a essersi affrancata dal suo maestro e ad aver cominciato a lavorare in proprio.
Ma questa non è la storia di Maryna Hìevis, il Furetto dai Capelli Azzurri.
Questa è la storia di Michela Valenti, la stagista. Incastrata tra lunghe e monotone giornate di fotocopie da fare, documenti da riordinare, pinzare e infilare nei raccoglitori ad anelli, dati da inserire nel gestionale al pc e l'occasionale telefonata di routine, al ritmo soporifero delle molte tastiere percorse da altrettante mani, e col fruscio in sottofondo delle penne e dei fogli A4 spostati di scrivania in scrivania accompagnato da ronzii vari e da un coro di sussurri. Ma. Che. Strazio.
Fortuna che non ero lì, la maggior parte delle volte.
Le cose cambiavano quando qualcuno dell'ufficio mi chiamava. Solo che, di solito, non mi chiamava "Michela", né usava il mio cognome. Sarebbe stato meglio, per quanto freddo e impersonale potesse suonare.
– Stage!
Lo odiavo. Mi avevano raccontato, il primo giorno, che avevano preso l'abitudine di chiamare così tutti gli stagisti che si avvicendavano stagione dopo stagione, non avendo voglia né tempo da perdere per impararne il nome. Io, in due vite, avevo accumulato diversi nomi e nomignoli, alcuni scelti da me, e alcuni affibiati da altri. Eppure quello "Stage" proprio non mi andava giù. Mi faceva sentire come se avessi perso la mia individualità e fossi diventata un pezzo sostituibile di un meccanismo, non più me stessa, meno che umana. Già solo per quel fatto era comprensibile che reagissi a chi mi aveva chiamato così con una occhiata sprezzante e un cipiglio imbronciato, senza dover spiegare all'inopportuno disturbatore che probabilmente altrove il ricercato che stavo inseguendo mi era sfuggito, sempre ammesso che non avesse approfittato della mia distrazione per attaccarmi.
– Stage, sempre con la testa tra le nuvole, mi ascolti o no?
Ovviamente era Giovanna la modaiola, la più antipatica di tutto l'ufficio. Sospirai e mi accinsi a prestarle attenzione, confidando che dall'altra parte il mio corpo sapesse come reagire a un eventuale attacco, dopo tutte le sessioni di allenamento con Hashum il Lupo a cui mi ero sottoposta. Su Essensis, avere un pilota automatico che non mi uccidesse restandosene inerme di fronte a un pericoloso criminale era essenziale. Sulla Terra, il massimo che rischiavo era un taglio da carta. O almeno era quello che credevo, prima che Giovanna iniziasse a farmi una ramazina al vetriolo di fronte a tutto l'ufficio per quello che io ritenevo un errore banale e facilmente sistemabile. In fondo non era mai morto nessuno per una cifra sbagliata, no?
Ma evidentemente quelle persone non si erano mai trovate davvero in pericolo, con un'arma puntata contro o con le mani di qualcuno strette alla gola.
Il silenzio calò nell'open space solitamente brulicante e frenetico, mentre le molte mani si sollevavano dalle tastiere, le penne più non scorrevano e i fogli smettevano di frusciare nel loro itinerario da una postazione all'altra. Tutti ascoltavano, avidi di pettegolezzi, l'ultimo capro espiatorio che veniva arrostito a fuoco lento.
Io, intanto, me ne tornavo su Essensis.

lunedì 24 maggio 2021

Al lavoro, in ufficio!

Avevo annunciato che lo avrei fatto, anzi, era in programma già la settimana scorsa e poi l'ho rimandato... ma ora eccoci qua. Un giro tra uffici grandi o piccoli all'interno delle storie, e lo so che potrebbe sembrare una meta non così entusiasmante, eppure sono certa che questa tappa può riservare qualche sorpresa e anche un po' di divertimento.



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Al sentire la parola "ufficio" la prima immagine che potrebbe venire in mente è quella di un ambiente asettico, grigio, uniforme, composto da stretti cubicoli tutti uguali in cui l'individualità degli occupanti si perde in una serie di compiti ripetitivi che spengono ogni slancio creativo, fino a condurre alla stessa apatia che colpisce Bartleby lo scrivano nel racconto di Herman Melville. Spesso in questo immaginario posto di lavoro c'è una differenza abissale tra gli uffici angusti e con mobili economici degli impiegati alla base della catena di comando, e i meravigliosi, ampi, e riccamente ammobiliati uffici singoli dei direttori, che si trovano in un piano più alto tanto più sono ascesi nella gerarchia della loro impresa, e qui è facile che venga in mente il Megadirettore Galattico di Fantozzi.
Passando dalle caratteristiche del luogo in senso stretto a quelle dei colleghi, quando l'ambiente di lavoro degli impiegati promuove la competitività e le rivalità è facile che anche una persona integerrima possa cedere alla tentazione di compiere azioni poco etiche pur di favorire la propria carriera, e questa è la storia della telefonista di Tutta la vita davanti; alla fine qualcuno, come capita nel film Wall Street, cerca di rimediare tornando sui propri passi e denunciando i complici ancor più avidi di lui, ma in altri casi, specialmente se si trovano in un film d'azione come The Accountant, i protagonisti risolvono la situazione con la fuga e le pistole.
A proposito di sparare: nelle storie l'ambiente anonimo ed estraniante dell'ufficio, quando non conduce all'apatia, può portare al pensiero folle di eliminare i colleghi o il proprio capo. Ma trattandosi appunto di storie inventate, i protagonisti potrebbero tentare davvero di mettere in pratica l'idea con risultati tanto catastrofici da risultare esilaranti, che è ciò che si vede nel film Come ammazzare il capo… e vivere felici; oppure, nel migliore dei casi, capita di passare di colpo da aspirante carnefice a eroe della situazione, ciò che accade a Un uomo qualunque.
Un caso a parte riguarda gli uffici di riviste che si occupano di moda, in cui soprattutto le donne che vi lavorano vengono spinte a conformarsi allo standard di eleganza e bellezza che la rivista stessa promuove, e se da un lato c'è la segretaria personale della dispotica direttrice in Il diavolo veste Prada che inizialmente cede perdendo se stessa, dall'altro c'è la protagonista della serie Ugly Betty che di fronte alle angherie e alle difficoltà dell'inserirsi come "diversa" in un tale ambiente matura e diviene più capace di affermare sé stessa e seguire i suoi sogni. Ma la questione del mobbing in ufficio non è un caso isolato relativo all'ambiente delle riviste di moda: lo si vede affrontato, con le sue conseguenze, in modo realistico e drammatico nella multinazionale di Mi piace lavorare (Mobbing), e in modo più leggero e ironico nel posto fisso in pubblica amministrazione del film di Checco Zalone Quo vado?.
Ovviamente, nella vita reale come nelle storie, ci sono eccezioni a questi tipi di ufficio. Ci sono ambienti come quello visto nel film Lo stagista inaspettato, creati apposta per stimolare idee originali e innovative. E ce ne sono altri, come quello della serie The Office, che pur rispecchiando lo stereotipo del normale ufficio si rivelano ambienti in cui prevale la goliardia e in cui si intrecciano storie d'amore tra colleghi. E a proposito di questo ultimo tipo, una menzione speciale va a Camera Cafè, serie di brevissimi sketch comici che mostrano le dinamiche tra il personale di un'azienda dall'unico punto di vista della macchinetta del caffè, senza mai rivelare come sono effettivamente strutturati gli uffici.
Il mio giro turistico degli uffici nelle storie si conclude qui, ma resta nei paraggi, perché giovedì ti inviterò a sederti alla scrivania di uno dei miei personaggi.

sabato 22 maggio 2021

Desultorio

Desultorio [de-sul-tò-rio] agg. (pl.m. -ri) Che è particolarmente abile a saltare; in senso figurato, irregolare, caratterizzato da frammentarietà, discontinuità.

Etimologia
: dal latino desultorius, aggettivo di desŭltor, "saltatore", derivato dal verbo desilīre, "saltar giù".


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Gli avevamo fornito il miglior cavallo della città, uno stallone possente e desultorio, così che nessun ostacolo potesse interrompere o rallentare il cammino del messaggero. Eppure, quando tornò, Aevos giunse in città a piedi, un solitario e stremato baluardo della nostra speranza che andana spegnendosi.
Le guardie reali lo avevano già interrogato quando giunsi al suo cospetto, accompagnata dalla mia scorta personale, l'unico di cui potessi davvero fidarmi, l'Errante Jossintaur. Mi dissero che non molto era possibile dedurre dal suo discorso sconnesso, desultorio e allucinato.
Tuttavia volli provare a parlargli, augurandomi che una visita da parte della sua regina fosse sufficiente a fargli ritrovare la calma e la lucidità.
Non fu così.
Il suo resoconto fu un delirio inframmezzato da singhiozzi, in cui il ricordo di incubi alati si mescolava all'oscurità della notte e alle urla di dolore, che a quanto mi era dato di capire provenivano da altri prigionieri, presi prima di lui e mai liberati.
Aevos non era riuscito a salvarsi: ci era stato inviato come messaggio. Le guardie reali gli avevano dato una coperta con la quale si nascondeva ai miei occhi per pudore, eppure anche così riuscivo a scorgere il suo volto tumefatto e i tagli rimarginati da una magia oscura sulle sue gambe.
Uscita dalla stanza mi appoggiai a una parete. Il mio respiro desultorio rivelava le impressioni che mi aveva lasciato quell'incontro. Jossintaur, al mio fianco, era pronto a sorreggermi.
– Che cosa ne pensi? – gli chiesi, alzando gli occhi sulla mia roccia.
– Penso che dovresti parlarne con il tuo consorte, non con me. – Jossintaur fu freddo e diplomatico, come richiedeva il suo ruolo. Ma, dopo un istante di esitazione, aggiunse: – Dirgli di preparare i cavalieri di Laeverth a un attacco, e la città a un assedio. Spero di sbagliarmi, ma i demoni si fanno più audaci e violenti di giorno in giorno.
Speravo di sbagliarmi anch'io, ma le sue parole riflettevano esattamente i miei pensieri.

giovedì 20 maggio 2021

La scuola di Leda

Tra i miei personaggi ho tanti ragazzi e bambini, quindi è normale che ci siano scene ambientate a scuola. In molti casi avevo la loro stessa età quando ho iniziato a scrivere quelle storie, dunque gran parte di esse è influenzata dalla mia esperienza diretta. Ma che siano frutto di ricordi o di immaginazione, ecco qui i brani ambientati a scuola che ho scritto per il blog:

Ciangottare (https://lapiumatramante.blogspot.com/2016/11/ciangottare.html)
Sonder - Storia di una comparsa (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/04/sonder-storia-di-una-comparsa.html)
Le cicatrici che non vedi (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/01/le-cicatrici-che-non-vedi.html)
La ragazza che suona il piano (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/07/la-ragazza-che-suona-il-piano.html)
Le nuvole di Luke (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/08/le-nuvole-di-luke.html)
Onusto (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/09/onusto.html)
Le conseguenze (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/03/le-conseguenze.html)
La Poesia in tasca (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/04/la-poesia-in-tasca.html)


Questa volta l'ispirazione mi è venuta dalla foto qui sotto, e da una classe formata da ragazzi di varie età che ho visto in un anime: le ho combinate, e ho calato nella situazione uno dei miei personaggi. Per scrivere il racconto seguente, ho usato come tappeto sonoro Classroom ASMR Ambience (https://www.youtube.com/watch?v=8L719_ap3iE) di Winter Whale.



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La pioggia batteva il suo ritmo melodioso sui vetri della stanzetta angusta, mescolandosi al graffio sommesso delle matite sui fogli. Gli occupanti, una dozzina in tutto tra ragazzi e bambini più un adulto, quella mattina erano insolitamente tranquilli. Forse era merito della pioggia, che avrebbe comunque impedito loro di godersi la giornata all'aperto; forse era l'argomento che stavano affrontando, che per alcuni necessitava di più attenzione che per altri.
Quella stanzetta era la scuola, l'unica in tutto il villaggio, con una sola classe mista che radunava alunni di tutte le età. Quella stanzetta era il regno di Leda.
Ora di matematica, la sua preferita.
Combinare cifre e trovare soluzioni agli enigmi numerici le riusciva facile. A dire la verità tutto le riusciva facile, non solo la matematica; ma in quel caso, finiti i compiti, Leda poteva rilassarsi e pensare ai fatti suoi.
– Va bene così, Leda? – Patrél richiamò la sua attenzione sul foglio scarabocchiato in cui aveva trascritto e poi risolto alcune delle operazioni alla lavagna. Era uno dei bambini del secondo anno, perciò i suoi esercizi erano di una semplicità elementare per Leda, a cui bastò un colpo d'occhio per individuare l'errore.
– No, hai sbagliato. Di nuovo – ripeté Leda in tono piatto. Sbirciò la maestra, che in fondo all'aula era alle prese con gli altri del terzo anno. Sebbene fosse più giovane rispetto a loro, quello era il terzo anno anche per Leda; lei però se ne stava ben lontana dal gruppetto dei suoi pari. Aveva cominciato un anno prima degli altri bambini, e fin dall'inizio aveva assorbito tutta la conoscenza possibile, anche quella destinata ai rari casi che rimanevano sui banchi per il quarto o quinto anno di seguito, non per il bisogno che gli venisse ripetuto un concetto che non gli entrava in testa, bensì perché i genitori speravano che l'istruzione offrisse loro un futuro migliore in città. Leda avrebbe potuto frequentare questi ultimi, dato che pure lei aveva un obiettivo simile, se non più ambizioso; eppure anche quegli "eruditi" del villaggio, predestinati a grandi cose, parevano a Leda fin troppo infantili.
E così lei, la solitaria bambina del terzo anno dell'età di quelli del secondo, era diventata l'assistente non ufficiale della maestra, e quelli che avevano qualche difficoltà a imparare, come Patrél figlio del pastore, le ronzavano intorno. Leda ne approfittava per esercitarsi in altri insegnamenti, quelli ricevuti dalla madre, la Tessitrice, che reggeva tra le sue mani i fili di innumerevoli vite tra gli abitanti di questo e dei villaggi vicini.
Leda sorrise. Una volta assicuratasi che la maestra fosse troppo occupata per badare a lei, tra il crepitio della pioggia e il sibilo delle punte di grafite mormorò a Patrél: – E va bene, ti aiuto. Ti insegno un metodo per ricordarti più facilmente come arrivare alla soluzione. Però... tu dovrai ricordare che sono stata gentile con te.
Patrél annuì, ma a lei non bastava. Doveva conservare una prova di quell'accordo, nel caso Patrél si fosse rifiutato di darle quanto le doveva, una volta giunto il tempo della riscossione. Così Leda trasse da una tasca nascosta, cucita nella gonna, un quadernetto nero, piccolo e consumato dall'uso, e con la matita del compagno scrisse la data nella sua grafia elegante, seguita da: "Lezione di matematica. Aiutato Patrél, mi deve un favore". Lasciò che il ragazzino scrivesse il suo nome in lettere sghembe, prima di riporre il quadernetto al suo posto e sissurrargli nell'orecchio una scorciatoia mnemonica di sua invenzione.
Mentre l'ascoltava Patrél aggrottò la fronte, poi si illuminò, le sorrise e si mise a correggere i compiti.
Leda tornò a guardare la finestra rigata dalla pioggia, e a pensare ai fatti suoi con il sottofondo del sussurro di matite che lentamente si consumavano nello studio. Patrél non era furbo, ma era robusto per uno della sua età, e crescendo, Leda poteva solo immaginare che lo sarebbe diventato ancora di più. Le sarebbe stato utile se qualcuno avesse tentato di infastidirla mentre suo fratello, che di solito era il suo più strenuo difensore, era per mare assieme al padre.
In ogni caso, utile o meno, era un'altra aggiunta alla sua collezione di debitori, e Leda non poté che sentirsi fiera di essersi dimostrata così brava nella materia che sua madre le aveva insegnato.

lunedì 17 maggio 2021

Scuola

Pensavo di cominciare il giro tra i vari edifici della città da un luogo di lavoro come gli uffici, poi mi sono detta: perché non partire dalle origini? Il primo luogo che tutti sicuramente abbiamo frequentato nella nostra vita, a parte la nostra casa e quella di amici, vicini e parenti, è la scuola.



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Se una storia è ambientata (per la maggior parte del tempo) a scuola, di sicuro ci saranno bambini, ragazzi o giovani dell'età di studenti universitari, e spesso il protagonista sarà uno di loro; a seconda dell'età presa in considerazione per i personaggi, il pubblico a cui è destinata potrebbe cambiare. Così potrebbero esserci storie scritte o girate appositamente per l'infanzia, e uno dei primi di questo genere è il libro Cuore di Edmondo de Amicis; altre per un pubblico adolescente come la serie di film High School Musical; e altre ancora per uno più maturo, come è il caso di Will Hunting - Genio ribelle; sebbene nulla vieta che le prime siano godibili anche per gli adulti, come accade alla saga di Harry Potter scritta da J.K. Rowling.
Vi sono poi storie pensate appositamente per un pubblico femminile, come il romanzo La piccola principessa di Frances Hogdson Burnett e le sue varie trasposizioni tra film e cartoni animati, che appunto si svolge in un collegio per ragazze; sebbene, essendo tra i miei libri preferiti, io lo consiglierei a chiunque, senza distinzione di genere ed età.
Un'altra differenza da prendere in considerazione riguarda l'aderenza o meno alla realtà. Se alcune storie sono tratte da episodi realmente avvenuti, come gli strafalcioni del libro Io speriamo che me la cavo di Marcello D'Orta che poi è stato trasposto in un film, o almeno ricalcano in linea generale la situazione attuale della scuola nel paese in cui viene ambientata, come nel film Pensieri pericolosi, in altre viene presentata una scuola speciale per soggetti speciali, che siano maghi come il già citato Harry Potter o gli studenti del telefilm The Magicians, oppure supereroi, come la scuola di Charles Xavier nei fumetti e nei film sugli X-men. E poi ci sono i casi misti, in cui la scuola in sé è comune, ma si trova in un luogo che tende ad attirare studenti o problemi soprannaturali, come quella frequentata da Buffy l'ammazzavampiri.
In ogni caso le storie ambientate a scuola sono quasi sempre storie di formazione, in cui i personaggi prendono coscienza della propria identità e delle proprie capacità, affrontando l'insicurezza, il desiderio di essere accettati, di sentirsi normali, come anche l'ostracismo da parte dei compagni e le angherie dei bulli, tutti temi che è possibile ritrovare nel film Wonder. Talvolta la presa di coscienza passa attraverso le strade sbagliate, e il protagonista diventa uno di quei bulli che si tentava di combattere, come nel film Mean girls. Trovare un insegnante che stimoli gli studenti a sviluppare senza paura la propria individualità, la creatività ma anche il senso critico e l'accettazione dell'unicità propria e altrui è fondamentale, e le storie spesso rappresentano questo passaggio: si veda il film School of Rock, in cui sebbene le motivazioni del professore non siano proprio altruistiche, questo è ciò che ottiene negli studenti; oppure il classico L'attimo fuggente. A volte questo mentore non appartiene all'ambiente scolastico, come si vede in Scoprendo Forrester, ma la sua influenza si fa sentire anche a scuola, oltre che come elemento formativo per il carattere.
Infine non bisogna dimenticare che proprio sui banchi di scuola possono nascere i primi amori, e che siano duraturi oppure no, sono comunque un'esperienza comune a molti dei lettori e spettatori che hanno il piacere di ritrovarle rappresentate nelle storie, come avviene nei film Il tempo delle mele e in Grease.
Per oggi è tutto, la campanella è suonata e la lezione è finita! Vi aspetto per la prossima, o meglio, per visitare una scuola tra quelle dei miei racconti, il prossimo giovedì.

sabato 15 maggio 2021

Lepido

Lepido [lè-pi-do] agg. Di persona o di parola, motto ecc., spiritoso, arguto.

Etimologia
: dal latino lèpidus, derivato da lèpos/poris, "grazia".


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Maarit fissò con malcelato fastidio la scenetta lepida in cui due fantocci a grandezza naturale, mossi da chissà quale meccanismo, si motteggiavano a vicenda con voce metallica per poi darsele di santa ragione con bastoni di gomma e calci nel sedere che non raggiungevano il bersaglio, sebbene ogni colpo risuonasse nell'aria con un netto rimbombo. Hilo rideva a più non posso, tenendosi la pancia. Maarit incrociò le braccia.
– Non vedo cosa ci sia di divertente in tutto questo. – Maarit sbuffò e sì guardò attorno: tutti gli altri ridevano di quella sceneggiata, perfino il Custode ridacchiava a tratti, abbandonando il suo sorriso austero in favore di un'ilarità più accentuata.
– Volevi vedere i sostituti, signorina... eccoli qua. – Il Custode le indicò i due automi. – Non sono di tuo gradimento?
Sul volto del Custode passò un'ombra di preoccupazione, ma la ragazzina non se ne curò. Si girò di colpo, slanciò le braccia all'indietro, strinse i pugni e sbottò: – Sono falsi! – Hilo, e con lui qualcun altro degli spettatori più vicini, le rivolsero occhiate incerte o in alcuni casi irritate, ma una nuova battuta di un automa catturò la loro attenzione.
– Sono falsi, falsi! – riprese Maarit. – Falsi com'è falso tutto quanto c'è qui dentro!
– Shhh! – la zittì il Custode, gli occhi sgranati dal timore. Agitò le mani verso il basso per cercare di placarla. – Non disturbate lo spettacolo, signorina! Naturalmente, con attori veri sarebbe più realistico, ma non possiamo certo obbligare qualcuno lavorare se non lo desidera, no? Qui alla Città dei Felici, la felicità dei suoi abitanti ha la priorità su tutto!
Il Custode allargò le labbra in un sorriso a trentadue denti e qualcuno applaudì come se le sue parole fossero parte del lepido copione della scenetta.
– Se è così, allora non potete obbligarmi a rimanere – brontolò Maarit. Afferrò il fratello per un braccio. – Hilo, noi ce ne andiamo.
Ma quello puntò i piedi e cominciò a fare i capricci, e tanti saluti all'uscita di scena.

giovedì 13 maggio 2021

Avyon City

Tante tra le mie storie sono ambientate in questo o quell'altro edificio di una città piccola o grande. Qui riporto solo quelle in cui viene descritta la città dall'esterno o dalle sue strade:

Gibigiana (https://lapiumatramante.blogspot.com/2016/12/gibigiana.html)
Quadrivio (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/07/quadrivio.html)
Un fiuto eccezionale (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/07/un-fiuto-eccezionale.html)
Anacronismo (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/08/anacronismo.html)
Caligine (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/09/caligine.html)
La città nel bosco (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/11/la-citta-nel-bosco.html)


Tra le città di cui ho già scritto, ho scelto di ambientare il racconto di oggi nella Avyon City di "Caligine", ma stavolta volevo mostrarla da una prospettova diversa. Per farlo, ho usato come tappeto sonoro Night City Ambience (https://www.youtube.com/watch?v=U9lVjpuvkss) di The Hall of Ambience.



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Foto di Aleksandar Pasaric da Pexels


A Celine non piaceva camminare. Non le piaceva la confusione che si respirava a terra, tra le voci degli altri abitanti di Avyon City, le loro risate, il frastuono dei droni e il sibilo delle cabine di trasporto che scorrevano nelle tubovie adossate agli edifici, a vari livelli sopra la sua testa. Non le piaceva l'opprimente senso di claustrofobia che le davano le pareti dei grattacieli visti dal basso, e il non riuscire a scorgerne la cima, o la lucida superficie della Bolla, oltre lo strato di caligine che formava un muro pallido tra lei e il cielo. Agitò le ali, inquieta, e cercò di tenere il passo della madre. Si sentiva sempre un po' goffa e impacciata a terra, come se non fosse il suo elemento quello, e i suoi passi sgraziati le facevano sempre pensare a quella creatura mitologica di cui aveva letto nei libri di scuola, e che veniva ricordata nel detto: goffa come una papera.
Celine guardò Jean, che trotterellava contento al fianco della madre, mentre guardava tutt'intorno con un sorriso. Malgrado il fratello minore avesse gambe più corte delle sue, quanto al camminare sembrava cavarsela meglio. E, al contrario di lei, si stava godendo quella passeggiata.
La madre si fermò, e trattenne i due bambini mentre un aviomezzo d'emergenza, l'unico autorizzato a spostarsi al livello della strada, sfrecciava davanti a loro con la sua sirena ululante, per poi tuffarsi in una strada in discesa che portava nel cuore pulsante della Bolla, dove si trovavano il centro di comando e i motori e tutta quella serie di complicati meccanismi che consentivano alla loro città di fluttuare tra le nubi. Celine approfittò di quella pausa per chiedere alla madre: – Mamma, ma perché non ci andiamo in volo?
Jean le rivolse uno sguardo preoccupato, poi alzò gli occhi alla madre in una supplica senza parole. Non era mai stato tanto bravo a volare, non come lei, che si lanciava dal terrazzo di casa ogni volta che ne aveva l'occasione. Il mondo sopra la caligine era azzurro e trasparente, leggiadro e silenzioso. Non poteva dire di essere completamente da sola, perché alcuni droni e aviomezzi si sollevavano talvolta al di sopra della caligine, e d'altra parte non era la sola abitante di Avyon City a preferire le proprie ali alle proprie gambe. Ma a Celine non importava, anzi: immaginava di essere sola, lei e la città, così bella ed elegante con le punte affusolate dei grattacieli che svettavano oltre il mare di caligine, e sopra tutti gli altri Torre Libertà, scintillante nel sole. Libertà, un nome perfetto per la sensazione dell'aria che le accarezzava le ali.
– Ah, ma da sopra la caligine non vedi niente, tesoro – le rispose la madre, mentre riprendevano a camminare nel caotico labirinto della città. – Non è modo di muoversi quando sai dove andare.
Celine abbassò la testa e mugugnò. Il mondo sotto la caligine era grigio e opaco, pesante e chiassoso. Tutti quelli che riempivano le strade brulicanti, adulti o bambini, avevano un paio d'ali telate come le sue, che come le insegnavano i libri di scuola erano un dono dell'evoluzione dopo che i "normali" avevano avvelenato la terra. Eppure la maggior parte di loro era contenta di tenerle chiuse sulla schiena come un inutile ornamento.
Le sue invece no, scalpitavano per muoversi, per cominciare a battere e sollevarla in volo. Anche se non erano fatte per partire dal basso, bensì per sfruttare le correnti planando da un punto sopraelevato, Celine lo voleva così tanto. Almeno un po'. Un po' soltanto, giusto per staccare i piedi da terra, e si sarebbe sentita meglio.
Celine non sarebbe mai stata felice laggiù. Non era il suo posto, quello. Lei apparteneva al cielo.

lunedì 10 maggio 2021

Le luci della metropoli

La settimana scorsa ho scritto di aver finito con i luoghi all'aperto... mi sbagliavo. Mancava una visita tra le metropoli rappresentate nelle storie, che pur se comprendono molti edifici, hanno comunque ampi spazi sotto un tetto di stelle costituiti dalle strade trafficate e dalle piazze affollate. O, se non proprio stelle, sotto sfolgoranti luci al neon.


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La quantità di storie ambientate in una metropoli è tale che devo necessariamente ridurre al minimo il numero di esempi per non finire con lo scrivere un romanzo. D'altra parte, è anche vero che le grandi città sono luoghi familiari alla maggioranza del pubblico e dei lettori di tali storie, che se non ci hanno vissuto per almeno una parte della loro vita, è molto probabile che ci siano stati in visita come turisti. E chiunque lo abbia fatto conosce perfettamente il senso di straniamento rappresentato nel film Lost in translation - L'amore tradotto che può venire dal trovarsi catapultati in mezzo a una folla di estranei con abitudini e una cultura differente dalla nostra. Restando in tema di commedie romantiche, tanto spesso ambientate nelle grandi città, Quando L'amore è magia - Serendipity è un film che mostra quanto sia difficile per due persone ritrovarsi in mezzo a così tanta gente senza altri punti di riferimento che non siano un nome e un vecchio indirizzo. Anche se alla fine, essendo una commedia, la magia del grande schermo forza la storia a concludersi nel migliore dei modi. Kate & Leopold è un altro film d'amore ambientato a New York (sembra che quando si parla di metropoli non esista che quella!), che con un pizzico di fantasia mostra le differenze tra una New York ottocentesca ancora in fase di costruzione e la metropoli che conosciamo oggi, e sottolinea l'importanza dell'invenzione dell'ascensore per una città costituita in buona parte da altissimi grattacieli!
Passando a un altro filone che fa battere il cuore, sì, ma di paura, il tema dei grattacieli che diventano trappole mortali è presente in molti film, tra i quali L'inferno di cristallo e il più recente Skyscraper, creando storie ad alta tensione che tengono incollati allo schermo. Iconica è anche l'immagine di King Kong che si arrampica sull'Empire State Building, e il finale in cui i Ghostbusters - Acchiappafantasmi combattono contro un gigantesco uomo marshmallow dal tetto di un palazzo storico. Perché occorre ricordare che una metropoli non è costituita soltanto da moderni grattacieli, mostri di vetro scintillante, ma conserva ancora edifici di grande valore storico... forse non antichissimi, nel caso delle metropoli americane, ma comunque con il loro carico di memorie e fantasmi.
Nelle storie ambientate in una metropoli c'è una costante, ovvero che da una grande città deriva un alto tasso di criminalità; non è solo vero nella città fittizia del fumetto e film Sin City, o ma anche nella realtà mostrata in Gangs of New York. Perciò non è un caso se tante storie di supereroi sono ambientate nelle metropoli, anche per poter aumentare l'impatto visivo ed emotivo dei danni collaterali, come accade in The Avengers e nelle varie incarnazioni di Spiderman. Quest'ultimo non potrebbe certo destreggiarsi in evoluzioni aeree con le ragnatele tra le villette a schiera di una periferia, perciò la scelta del luogo è quasi scontata. C'è però metropoli e metropoli, soprattutto quando si può liberamente inventare: la luminosa e moderna Metropolis Superman di è molto diversa dalla cupa e opprimente Gotham City di Batman.
In una grande città spesso convivono molte culture, e persone provenienti da luoghi differenti tendono a raggrupparsi in comunità più o meno isolate e autosufficienti. Così alcune storie si focalizzano su una di queste comunità, come Grosso guaio a Chinatown, mentre altre mostrano le differenze, le contraddizioni ma anche la diffidenza può nascere dalla convivenza forzata, come nella città inventata di Zootropolis.
Infine non è da dimenticare che una città è composta anche da una fitta rete di strade, che fungono da set perfetto per storie di inseguimenti in auto, e si veda la serie di Fast & Furious, così come ambientazione per scene di guerriglia e una corsa contro il tempo rappresentate in 1997: Fuga da New York e Fuga da Los Angeles. Qualunque sia la storia ambientata in una città, perfino come queste ultime in cui le città sono devastate e trasformate in immense prigioni, siamo talmente abituati alla folla e al rumore delle metropoli che la New York deserta alla luce del giorno, salvo per un ultimo abitante, di Io sono Leggenda ci appare come la più bizzarra e innaturale delle visioni.
Ma qui mi fermo, e mi scuso se stavolta mi sono concentrata solo su film e fumetti ma volevo presentare esempi da media in grado di amplificare l'impatto visivo. Sarà dura essere all'altezza delle immagini, ma giovedì proverò a trasportarvi in una metropoli di mia invenzione.

sabato 8 maggio 2021

Garrulo

Garrulo [gàr-ru-lo] agg. 1. Che garrisce. 2. Di persona, loquace, ciarliero; estens. festoso, rumoroso.

Etimologia
: dal latino garrulus, derivato da garrio, "garrisco, ciarlo". La radice gar- ha il significato di "strillare, gridare".



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Io amavo il silenzio. Davvero, era l'unica cosa a cui anelassi e non dico solo in quel momento, ma in tutta la mia vita. Il silenzio, come dice il detto, è d'oro, e io una volta tanto ero più che d'accordo con le massime popolari. Il canto del silenzio, dell'isolamento, della solitudine, ah, quale sublime voce pervadeva quei rari, rarissimi momenti in cui avevo il privilegio di ascoltarlo! Io ero davvero vivo solo nel silenzio, io vivevo per il silenzio, e invece...
...e invece, eccomi lì, sotto un cielo denso dello svolazzare di garrule rondini, costretto ad ascoltare gli schiamazzi di due comari i cui strepiti non mi parevano tanto diversi dai fischi e dagli schiocchi che uscivano dai becchi dei volatili sopra la mia testa. Perché stavano facendo tanto chiasso, io proprio non riuscivo a capirlo. Mi strofinai le tempie, e lasciai ad altri il compito di separarle quando presero ad azzuffarsi.
– Dunque, ricapitolando... – provai a dire, ma la mia voce abituata al silenzio si perse nel garrulo chiocciare del capannello di persone che si erano radunate, attirate dalla baruffa. C'era chi faceva il tifo per l'una o per l'altra, chi commentava la questione con gli amici, chi scommetteva su quale delle due avrebbe avuto la peggio: non su chi aveva torto o ragione, ma su chi avrebbe mandato al tappeto l'avversaria, come fossero di fronte a un incontro sportivo. E c'era anche chi semplicemente gridava qualcosa a caso, tanto per farsi sentire, per poter affermare "io c'ero" con tanto di testimoni. Quando invece io avrei volentieri preferito poter dire "io ero da un'altra parte".
Se non potevo dirlo, era per via della mia fama. Ero conosciuto come un eremita, ed essendo tale la gente mi attribuiva una saggezza che io non mi riconoscevo. Io ero un amante del silenzio e della solitudine, nulla più.
E solo per questo ero stato chiamato in qualità di giudice per questioni infime, triviali, la cui risoluzione sarebbe stata irrilevante nell'immenso schema cosmico degli eventi.

giovedì 6 maggio 2021

Acqua

Non ho molti racconti ambientati nel sottosuolo, perciò ho allargato la ricerca a forre e canyon, purché possedessero le caratteristiche delle caverne: buio, passaggi angusti, o il pericolo di restare intrappolati. Questi sono i brani che ho trovato:

Lungimirante (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/11/lungimirante.htmll)
Il passato perduto (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/02/il-passato-perduto.html)
Corroborante (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/07/corroborante.html)
Forra (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/07/forra.html)
Questo è il posto (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/08/questo-e-il-posto.html)
Terrore dall'alto (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/01/terrore-dallalto.html)
Tesoruccio (https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/02/tesoruccio.html)


A parte l'ultimo, che però è ironico e dal punto di vista del cattivo, non ho ancora usato questa ambientazione per un racconto horror... tempo di rimediare con il tappeto sonoro Watery Cavern Ambience (https://www.youtube.com/watch?v=hhcH1_eEzUc&t=3630s) di Chetta Monster.



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Era ovvio che saremmo andati a cercarli. Da quando la Grande Scoperta era diventata di dominio pubblico, ogni nazione e ogni gilda privata aveva fatto a gara per accaparrarsi quelli che fino a poco tempo prima erano stati solo degli inutili cristalli cerulei da usare come ornamento per signore. Pochi mesi dopo essere state promosse da orpelli di vanità a fonte di energia, ogni gemma rinvenuta era scomparsa dalla circolazione, e tuttavia non eravamo ancora appagati.
Ne volevamo di più.
Così chi aveva denaro sufficiente si rivolgeva ai geomanti, maghi specializzati nel sondare il sottosuolo e rinvenire filoni auriferi e giacimenti di petrolio. I cristalli azzurri non erano tra i minerali che venivano chiesti loro di solito, tuttavia le prime esplorazioni avevano dato buoni risultati.
Io facevo parte del gruppo che era stato mandato all'estremo nord di Varelya.
La nostra spedizione aveva dovuto affrontare qualche inconveniente a causa del ghiaccio e del freddo, ma a parte un fastidioso ritardo rispetto alla tabella di marcia, non avevamo subito danni. L'ingresso alle caverne sotto i ghiacci perenni di quella regione si era rivelato più stretto rispetto a quanto aveva previsto il mago. Tentare di allargarlo con gli esplosivi era troppo rischioso, perciò decidemmo di calare nelle grotte solo i componenti del gruppo più minuti, ovvero le donne e i ragazzi.
Io ero il membro più giovane dell'intera spedizione: sarei andato.
Ero emozionato, e nervoso, e non immaginavo che il mio ruolo sarebbe mai stato qualcosa di più che aiutare il cuoco, montare e smontare le tende, tenere in ordine i bagagli con le nostre scorte. Ma eccomi lì, appeso a una corda tramite complicate imbracature, mentre mi contorcevo come un verme per superare il budello di roccia che mi si stringeva addosso, con venature serpentine rischiarate dalla lampada del caschetto a un palmo dal mio naso. Fortuna che non soffrivo di claustrofobia.
Magda e Brìs erano passate prima di me e mi attendevano laggiù, mentre Shaul si sarebbe calato per ultimo.
Sbucai al termine della galleria e trovai il vuoto sotto di me. Mi avevano avvertito, ma vedere all'improvviso aprirsi quella voragine con un salto di una decina di metri mi mise paura e mi aggrappai alla corda. Le due donne mi rassicurarono e mi presero per le gambe non appena  fui alla loro portata. Erano scalatrici esperte, al contrario di me, e avevano partecipato già a numerose spedizioni sulle vette della Catena Lunga e tra le grotte di montagna. Io rabbrividii in quell'ambiente freddo e umido, e mentre attendevo l'ultimo componente del nostro gruppetto mi guardai attorno. Un suono liquido, un continuo gocciare dalle numerose stalattiti che s'intravedevano sul soffitto riempiva d'echi la galleria in cui ci trovavamo. Le donne avevano puntato un faretto sulla fenditura da cui eravamo entrati, un fascio di luce molto più intenso di quello dei nostri caschi, così da poterla ritrovare al nostro ritorno. Era davvero stretta, e mi chiesi come avremmo fatto a tornare su con un carico di cristalli.
Quando anche Shaul toccò terra e si sganciò dalla corda, ci mettemmo in marcia.
La nostra meta non era molto distante, appena una decina di minuti a buon passo. Facile, pensai. Poi la galleria cominciò a restringersi e a salire e io temetti di dover affrontare un altro passaggio angusto come quello che avevo già oltrepassato a fatica, ma i miei timori si rivelarono infondati.
Il gocciolio si amplificò e si sommò allo scroscio di un continuo fiotto d'acqua che rimbalzava sulla roccia, e oltre l'ennesima curva della galleria le pareti si allargarono in un'enorme sala. Alzai gli occhi al colmo della meraviglia quando Brìs si spostò a sinistra per lasciarmi passare. Sulla volta, innumerevoli forme cristalline intrappolate in gusci di ghiaccio riflettevano il fascio di luce del mio caschetto in bagliori vibranti, che si moltiplicavano colpendo altri cristalli o la superficie di un ampio lago sotterraneo. L'acqua riempiva quasi del tutto il fondo della caverna, lasciandoci soltanto un sottile cornicione sul quale procedere in fila indiana. Ma non serviva andare molto lontano, perché i cristalli ghiacciati ricoprivano ogni centimetro di roccia al di sopra del lago, e forse anche al di sotto. Stando lì si aveva l'impressione di essere dentro a un'enorme drusa.
– Come mai il lago non è ghiacciato? – chiese Shaul mentre preparava l'attrezzatura per estrarre i cristalli, e la sua voce riverberò di echi inquietanti nella caverna azzurra.
– Forse c'è una sorgente termale. Vuoi fare un tuffo? – scherzò Brìs.
– È acqua di scioglimento. – Magda indicò la parete opposta, da dove proveniva un suono argentino simile a un ruscello. – Normale che non congeli. Ma facciamo presto, prendiamo quello per cui siamo venuti e andiamocene, che questo posto mi dà una brutta sensazione.
– Mette i brividi... e intendo, in senso letterale! – disse Brìs, battendo le mani intirizzite avvolte dai guanti. Era l'unica tra noi che sembrava di buonumore. Quanto a me, non riuscivo nemmeno a parlare con tutti quegli echi spezzati che rendevano le nostre voci davvero strane.
Nel frattempo Shaul e Magda erano pronti con il seghetto tagliapietre. Il ghiaccio si sciolse sotto le lame come burro, ma quando Shaul attaccò a segare il cristallo, la pietra emise uno stridio simile a un urlo agghiacciante. Il ragazzo si fermò e ci scambiammo un'occhiata spaurita.
– Non fare il pusillanime, va' avanti! – lo spronò Magda, che raggiunto lo strato di cristallo, lo attaccò ignorando lo stridore prolungato che m'indusse a tapparmi le orecchie. – Visto, è facile! – urlò per sovrastare quell'ululato che si faceva sempre più intenso.
Rassicurato, Shaul fece per ripartire, ma Brìs esclamò: – Fermatevi! C'è qualcosa nel lago!
Anche se il suo tono di voce era serio, Brìs si attirò solo occhiate scettiche, tanto che fu costretta a precisare: – Non sto scherzando, l'ho visto davvero!
Ci fermammo e scrutammo tutti quanti l'acqua limpida. A me parve di vedere un'increspatura, come di un pesce che salga in superficie, ma subito Magda fugò i miei timori: – Sono solo le gocce che piovono dall'alto, ci vogliamo sbrigare, prima che mi spuntino le branchie?
– Guardate là! – l'interruppe Shaul, tendendo il braccio a indicare a sinistra. E noi guardammo.
Di fronte ai nostri occhi, rischiarata dai fasci di luce del caschetto, l'acqua si stava sollevando. S'innalzò per quasi due metri e si plasmò nelle sembianze di un essere umano, senz'occhi e senza bocca, con le gambe unite e immerse a metà nel liquido sotto di lui. Non lo sapevamo, ma stavamo guardando quella che il folclore locale chiamava un'ondina, e che secoli dopo sarebbe stata definita "acqua senziente".
Accadde tutto in un lampo. Il fascio di luce di Shaul s'inclinò, e lo sentii prendere un respiro spezzato, come di qualcuno che annaspa in cerca d'aria, e quando avvertii quacosa che mi toccava la caviglia e mi voltai, Shaul non c'era già più. Era scivolato o era stato trascinato in acqua, e si dibatteva sotto la superficie del lago, lottando contro qualcosa di invisibile. Mi chinai e protesi le mani verso il mio sfortunato compagno, ma prima che potessi toccare l'acqua Brìs urlò: – No! – in un tono così autoritario che io mi alzai di scatto. Non potei fare altro che guardare mentre altre figure d'acqua emergevano dal lago e il dibattersi disperato di Shaul si faceva sempre più debole, fino a fermarsi del tutto.
Poi fu la volta di Magda. Lo vedemmo chiaramente, stavolta, il tentacolo d'acqua che guizzò rapidissimo ad avvolgersi alla sua vita e a sollevarla. Brìs le afferrò un braccio con entrambe le mani. Magda urlava: – Non lasciarmi! – ma i guanti di Brìs scivolarono sulla manica della compagna di scalate, e il tentacolo d'acqua la strappò alla sua presa e la sollevò ancora fino a sbatterla con violenza contro le rocce ghiacciate del soffitto; poi si disfece all'improvviso e la lasciò ricadere nel lago, inondando me e Brìs di spruzzi. Il corpo di Magda galleggiò immobile a faccia in giù, sanguinante e col cranio spaccato.
Udii un lamento straziante da parte di Brìs, solo un lamento, poi la donna si asciugò il volto e mi spinse verso la galleria: – Andiamo via di qui, usciamo, presto!
Mi girai e corsi. All'imbocco della galleria mi resi conto di non sentire i suoi passi dietro di me, così mi voltai: Brìs aveva un piede intrappolato nel ghiaccio fin sopra al polpaccio, e si stava chinando a raccogliere un seghetto tagliapietre. – Scappa, stupido ragazzino! Avverti gli altri! – mi disse, e io la lasciai lì e ripresi a correre.
Dietro di me sentii il ronzio del seghetto tagliapietre, il gorgoglio dell'acqua, e l'urlo di Brìs. Poi più niente se non lo scrosciare dell'acqua che mi inseguiva, sempre più forte, sempre più vicino. Non mi guardai alle spalle, e non ascoltai le gambe che urlavano di dolore, o il cuore che sembrava pomparmi sangue direttamente nelle orecchie. La strada in discesa era d'aiuto, ma sapevo che anche l'acqua scorreva più rapidamente dietro di me. Di fronte a me iniziai a scorgere la luce del faretto, e seppi che la salvezza non era lontana. La corda era giù, a disposizione, l'avevamo lasciata così dopo aver sganciato Shaul. Lo sfortunato Shaul. Al pensiero, lacrime gelide mi punsero gli occhi, ma mi impegnai al massimo per raggiungere quello che era a tutti gli effetti un faro nella tempesta che stava per travolgermi. Non badai allo stillicidio continuo dalle stalattiti, non pensai a quanto si era fatto più rapido il suo ritmo rispetto a quanto avevo avvertito all'andata.
Non, almeno, finché non avvertii un rumore di vetri infranti e la luce del faretto si spense, lasciandomi al buio. Senza speranza.
Allora smisi di correre. Ero rimasto da solo, nell'oscurità.
Con il gocciolio dell'acqua nelle orecchie, e il ruggito dell'onda dietro di me che presto mi avrebbe travolto.

lunedì 3 maggio 2021

Nel ventre della terra

Ormai posso dire di aver terminato il viaggio tra i luoghi all'aperto creati dalla natura; ma prima di passare in rassegna le ambientazioni all'interno di edifici costruiti dall'uomo, mi sembrava il caso di esplorare anche una zona "di transizione" rappresentata dalle caverne, dalle gallerie del sottosuolo e dalle miniere. Che sono sì per la maggior parte formazioni naturali, ma che già offrono l'idea di spazi ristretti racchiusi tra pareti e soffitti (di roccia).


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Foto di Jeremy Bishop da Pexels


Ho già scritto qualcosa riguardo al sottosuolo quando ho parlato della montagna, ma questa ambientazione ha caratteristiche così peculiari che vale la pena di darle uno spazio a sé stante. Le caverne evocano fin da subito due elementi fonte di paura: il buio e un ambiente ristretto, claustrofobico. Non a caso molte storie sulle esplorazioni delle grotte da parte di speleologi trasmettono un senso di tensione, quando addirittura non sfociano nell'horror. Tra i tanti mi sento di citare il film The Descent - Discesa nelle tenebre, forse il migliore del suo genere, e Sanctum 3D, che unisce ai due già citati un terzo elemento fonte di problemi, ovvero l'allagamento di una parte del complesso di caverne, e si concentra sulla psicologia dei personaggi intrappolati messi a dura prova.
Allontanandoci da situazioni realistiche, le paure da affrontare nelle storie ambientate nel sottosuolo si moltiplicano. Non è da dimenticare che tradizionalmente l'inferno viene rappresentato sotto terra, e dunque a spingersi troppo in basso, ma anche a scavare troppo in profondità, si corre il rischio di finire in un girone infernale o di risvegliare un antico male. Ne sono esempi il film Il nascondiglio del diavolo - The Cave, come le già citate Miniere di Moria del romanzo Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell'Anello scritto da Tolkien. Lo stereotipo di male collegato al sottosuolo e bene connesso al cielo o alla superficie/aria aperta è così potente che è possibile ritrovarla persino nelle due fazioni in cui H. G. Wells divide l'umanità del futuro nel suo romanzo La macchina del tempo, rispettivamente i mostruosi cannibali Morlock, che abitano il sottosuolo, e i pacifici ma ignoranti Eloi, che vivono in una sorta di giardino dell'Eden in superficie. E a proposito di viaggio nel tempo, questo è un film meno noto ma mi andava di citarlo per l'originalità tra le storie ambientate in una caverna: Time Trap, in cui gli speleologi rimangono intrappolati da un diverso scorrere del tempo, molto più lento all'interno delle grotte, tanto che la parte di attrezzatura e di corde ancorate in superficie si consuma prima che possano risalire. Come se già non fosse abbastanza problematico e rischioso calarsi nelle viscere della terra.
Su una nota più allegra e confortante, non è da dimenticare che, prima di costruire palafitte e capanne, le grotte sono state il rifugio degli uomini primitivi, e anche in seguito hanno conservato la caratteristica di luoghi sacri. Romanzi e film ambientati nella preistoria, come la serie I figli della Terra di Jean M. Auel, ovviamente non possono esimersi dal raccontare la vita di questi primi uomini nelle caverne, così come la narrazione del ritrovamento di pitture rupestri in tempi più recenti, descritta nel film Altamira, dovrà per forza fare riferimento a questa funzione delle grotte per i nostri lontani antenati. Funzione che potrebbe riprendere piede se immaginiamo in una storia eventi catastrofici: oltre ai bunker, più vicini alla realtà storica, in libri e film vengono descritte intere città trasferite sotto terra, come Zion, l'ultima città abitata da uomini liberi nella trilogia di film che inizia con Matrix, o come quella descritta in Ember - Il mistero della città di luce. Quando invece ad abitare sotto la superficie non sono gli ultimi esseri umani scampati a una catastrofe, bensì altre creature ritenute estinte o mai esistite, come nella serie di libri su Artemis Fowl di Eoin Colfer, ecco che ritorna la contrapposizione tra popolo di superficie ignaro e popolo del sottosuolo che, seppure non ha le caratteristiche negative dei Morlock, è impegnato a esercitare il controllo sui primi per mantenere segreta la propria esistenza.
Che sia abitato o meno, quel che è certo è che ciò che si trova in profondità sotto i nostri piedi suscita, oltre a un certo timore di restare intrappolati al buio, anche una sorta di meraviglia, perché è da laggiù che provengono alcune delle risorse su cui facciamo affidamento, così come le pietre e i metalli preziosi, e perché come il fondale del mare resta in gran parte un territorio inesplorato. E allora non resta che immaginare, come nel romanzo Viaggio al centro della Terra di Jules Verne, ciò che potremmo trovare se fosse possibile spingersi fin là per spirito d'avventura, o per necessità come accade nel film The Core. Oppure, per sdrammatizzare, trovarci a sorridere per una fuga precipitosa a bordo di carrelli sui binari di una miniera, come quella che ha per protagonisti un famoso archeologo e i suoi compagni nel film Indiana Jones e il Tempio Maledetto, perché non è scontato che tunnel labirintici e oscuri debbano per forza essere un affare serio e spaventoso. Almeno in una storia.
Bene, con questa rassegna cinematografica e letteraria mi fermo qui, e tra qualche giorno mi cimenterò anch'io in un racconto ambientato tra pareti di roccia, sottoterra. Ci vediamo lì!

sabato 1 maggio 2021

Fandonia

Fandonia [fan-dò-nia] s.f. (spec. pl.) Cosa non vera, specialmente se raccontata per vanteria; bugia.

Etimologia: etimo incerto, forse connesso con il latino fari, "parlare", oppure è un derivato di fantosme, variante del francese fantôme, "fantasma", nel senso di "cosa vana, bugia". O ancora potrebbe provenire da fandone, "fanfarone", variante dell'accrescitivo di falda che aveva il significato metaforico di "imbroglio".



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Foto di Alexandr Podvalny da Pexels 


– Tutto ciò che ti hanno detto, tutto quello che credi di sapere... sono solo fandonie.
La voce della strega, provocatoria e suadente, e la sua apparente sicurezza stonano un po' con il suo volto bellissimo consumato a metà fino alle ossa brunite di un vecchio teschio. – Ti hanno mentito, Viola, così come hanno mentito a me.
Appoggio una mano sulla spalla di mia nipote prima che quel nome, il nome che la strega ha scelto per lei, possa causarle un altro scatto d'ira. Quella creatura è già pericolosa abbastanza senza che la affrontiamo con la mente meno che lucida. La Mano dell'Avo tesa verso di lei continua a tenerla a bada e a impedirle di avvicinarsi, ma non posso prevedere quando userà uno dei suoi malefici per aprire uno spiraglio nelle nostre difese.
– Non accusare gli altri con le tue parole fallaci, strega, come se non avessi mentito e manipolato chiunque, persino mia nipote, per sterminare tutti coloro che hanno il potere, e il dovere, di fermarti – rivolgo una breve occhiata ai genitori di Iolanda che dormono nel loro letto, prede inermi di una maledizione del sonno. Quando torno a prestare attenzione alla strega, posso notare che il suo volto sembra riprendere forma gradualmente, ricoprendo la metà scarnificata di nuova carne e nuova pelle. Per il momento, quella creatura malvagia sta concentrando la sua magia per curare la sua vanità, ma non c'è tempo da perdere. – Non ascolterà più le tue fandonie, mia nipote, ora che sa la verità. Svegliali, o la tua carne infernale brucerà fino alle ossa.
Con la coda dell'occhio vidi Iolanda prendere un altro pizzico di erbe benedette dal sacchetto. La sua espressione era risoluta, e la sua dedizione a combattere il male mi rese fiera.
– La verità! – disse la strega, e rise. – La verità, Protettori, è che volevo vendetta contro il sangue di colui che mi ha tradita, ma non posso. Perché ora so che il suo sangue è anche il mio. Esatto: voi. proprio voi che mi combattete, siete le ultime streghe della mia stirpe.