giovedì 13 maggio 2021

Avyon City

Tante tra le mie storie sono ambientate in questo o quell'altro edificio di una città piccola o grande. Qui riporto solo quelle in cui viene descritta la città dall'esterno o dalle sue strade:

Gibigiana (https://lapiumatramante.blogspot.com/2016/12/gibigiana.html)
Quadrivio (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/07/quadrivio.html)
Un fiuto eccezionale (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/07/un-fiuto-eccezionale.html)
Anacronismo (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/08/anacronismo.html)
Caligine (https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/09/caligine.html)
La città nel bosco (https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/11/la-citta-nel-bosco.html)


Tra le città di cui ho già scritto, ho scelto di ambientare il racconto di oggi nella Avyon City di "Caligine", ma stavolta volevo mostrarla da una prospettova diversa. Per farlo, ho usato come tappeto sonoro Night City Ambience (https://www.youtube.com/watch?v=U9lVjpuvkss) di The Hall of Ambience.



Immagine liberamente disponibile su 
Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Aleksandar Pasaric da Pexels


A Celine non piaceva camminare. Non le piaceva la confusione che si respirava a terra, tra le voci degli altri abitanti di Avyon City, le loro risate, il frastuono dei droni e il sibilo delle cabine di trasporto che scorrevano nelle tubovie adossate agli edifici, a vari livelli sopra la sua testa. Non le piaceva l'opprimente senso di claustrofobia che le davano le pareti dei grattacieli visti dal basso, e il non riuscire a scorgerne la cima, o la lucida superficie della Bolla, oltre lo strato di caligine che formava un muro pallido tra lei e il cielo. Agitò le ali, inquieta, e cercò di tenere il passo della madre. Si sentiva sempre un po' goffa e impacciata a terra, come se non fosse il suo elemento quello, e i suoi passi sgraziati le facevano sempre pensare a quella creatura mitologica di cui aveva letto nei libri di scuola, e che veniva ricordata nel detto: goffa come una papera.
Celine guardò Jean, che trotterellava contento al fianco della madre, mentre guardava tutt'intorno con un sorriso. Malgrado il fratello minore avesse gambe più corte delle sue, quanto al camminare sembrava cavarsela meglio. E, al contrario di lei, si stava godendo quella passeggiata.
La madre si fermò, e trattenne i due bambini mentre un aviomezzo d'emergenza, l'unico autorizzato a spostarsi al livello della strada, sfrecciava davanti a loro con la sua sirena ululante, per poi tuffarsi in una strada in discesa che portava nel cuore pulsante della Bolla, dove si trovavano il centro di comando e i motori e tutta quella serie di complicati meccanismi che consentivano alla loro città di fluttuare tra le nubi. Celine approfittò di quella pausa per chiedere alla madre: – Mamma, ma perché non ci andiamo in volo?
Jean le rivolse uno sguardo preoccupato, poi alzò gli occhi alla madre in una supplica senza parole. Non era mai stato tanto bravo a volare, non come lei, che si lanciava dal terrazzo di casa ogni volta che ne aveva l'occasione. Il mondo sopra la caligine era azzurro e trasparente, leggiadro e silenzioso. Non poteva dire di essere completamente da sola, perché alcuni droni e aviomezzi si sollevavano talvolta al di sopra della caligine, e d'altra parte non era la sola abitante di Avyon City a preferire le proprie ali alle proprie gambe. Ma a Celine non importava, anzi: immaginava di essere sola, lei e la città, così bella ed elegante con le punte affusolate dei grattacieli che svettavano oltre il mare di caligine, e sopra tutti gli altri Torre Libertà, scintillante nel sole. Libertà, un nome perfetto per la sensazione dell'aria che le accarezzava le ali.
– Ah, ma da sopra la caligine non vedi niente, tesoro – le rispose la madre, mentre riprendevano a camminare nel caotico labirinto della città. – Non è modo di muoversi quando sai dove andare.
Celine abbassò la testa e mugugnò. Il mondo sotto la caligine era grigio e opaco, pesante e chiassoso. Tutti quelli che riempivano le strade brulicanti, adulti o bambini, avevano un paio d'ali telate come le sue, che come le insegnavano i libri di scuola erano un dono dell'evoluzione dopo che i "normali" avevano avvelenato la terra. Eppure la maggior parte di loro era contenta di tenerle chiuse sulla schiena come un inutile ornamento.
Le sue invece no, scalpitavano per muoversi, per cominciare a battere e sollevarla in volo. Anche se non erano fatte per partire dal basso, bensì per sfruttare le correnti planando da un punto sopraelevato, Celine lo voleva così tanto. Almeno un po'. Un po' soltanto, giusto per staccare i piedi da terra, e si sarebbe sentita meglio.
Celine non sarebbe mai stata felice laggiù. Non era il suo posto, quello. Lei apparteneva al cielo.

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