sabato 30 marzo 2019

Vaticinio

Tra i vari sinonimi di profezia, trovo che questa abbia un sapore più antico. Merito forse di quel "vate" contenuto nella parola. Il resto, secondo l'etimologia, rimanda a un canto. Poetico, no?

Vaticinio [va-ti-cì-nio] s.m. (pl. -ni) Predizione, profezia.

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Ho diversi profeti e diverse profezie, ma fin da subito ho capito su quale volevo scrivere. Quella che ho già citato nel racconto Il passato di Helanna. Anche se la sua è troppo breve per essere un canto profetico come vorrebbe l'origine della parola.


Un ultimo passo e le fui vicina. Guardai l'occhio della bestia, e lei guardò me, con la pupilla verticale che si stringeva alla luce del sole. Quella era l'ultima prova.
Sollevai la mano sinistra e rimasi lì, tremante, in attesa della sua mossa. Il Teraptide non era un drago, ed era erbivoro, ma era ugualmente enorme e pericoloso. Gli bastava una zampata o una scrollata della testa per uccidermi, e non era un'eventualità così impossibile. Ma il Teraptide si allungò e appoggiò la sua testa verde e squamosa contro la mia mano. Avvertii un fremito, una gioia incontenibile.
Era il momento più bello della mia vita.
I festeggiamenti continuarono fino a notte inoltrata. Ovunque mi girassi c'erano canti e suoni di tamburi, bocconcini di pane dolce e carne piccante, boccali di vino e crema di formaggio che donne e uomini si offrivano mangiando con le mani. Nel cielo sfrecciavano gli alianti dal colori vivaci, e io li seguivo con bramosia: all'alba sarei entrata tra le loro schiere. Ma prima mi attendeva il vaticinio della Voce del Drago.
Mia madre mi accompagnò fino alla tenda lungo il sentiero di lanterne. Io non ero ansiosa di scoprire come sarei morta, ma era una tradizione, e un passaggio indispensabile per potermi librare in cielo con un aliante. Mia madre notò che stavo tremando come al cospetto del Teraptide.
– Non avere paura di scoprire la cagione della tua morte – mi disse. – Saperlo ti renderà libera. Capirai che nient'altro può nuocerti.
Con le sue parole nelle orecchie scostai il tessuto che copriva l'ingresso e avanzai tra il profumo d'incenso e i bagliori che centinaia di ninnoli luccicanti rimandavano dalla penombra.
La sciamana sedeva su una panca con un'ancella ai suoi piedi. Alzò il viso rugoso, mi indicò di sedermi sui cuscini e mi scrutò a lungo.
Era quasi l'alba quando infine decretò: – Morirai per amore.
E fu come se le sue parole fossero bastate a uccidermi. Mia madre si sbagliava: il suo vaticinio mi aveva resa tutt'altro che libera.

giovedì 28 marzo 2019

La risposta è nel silenzio

Oggi sarebbe toccato alla terza recensione, ma ahimè, il libro che sto leggendo in questi giorni è lungo, e per com'è scritto lo sembra ancora di più. Motivo per cui ho deciso di concedermi altro tempo, rimandarla di due settimane, e lasciare spazio nel frattempo a una riflessione.

C'è un consiglio che ho letto una volta, non mi ricordo più dove. Ricordo solo che era in mezzo a tanti altri, e che probabilmente di tutti è l'unico che mi sia rimasto dentro. Perché è qualcosa di molto semplice, ma evidentemente piuttosto difficile da mettere in pratica, dato che quando c'è da parlar male di certi personaggi o opere che mal si sopportano, in pochi si tirano indietro. Senza rendersi conto che, nel criticare ciò che non va a genio, in realtà si sta facendo proprio il suo gioco, diffondendo comunque il suo nome e la sua immagine. Lo aveva capito già Oscar Wilde, in tempi di minore connessione globale, ma non per questo meno ricchi di chiacchiere e scandali: "Parlarne bene o parlarne male, purché se ne parli".

E allora il consiglio, forse lo avrai già capito, è questo: non parlarne. Non perdere tempo a puntualizzare i difetti, a enumerare i peccati, a criticare gli errori. Non nominare neppure l'oggetto del tuo sdegno. La vita è troppo breve per dedicare il tuo tempo a ciò che non stimi. Allontanati dal coro delle voci che ripetono plausi o maledizioni, lascia che si assottigli fino a venir sovrastato da altri e più potenti cori, per cadere infine nell'oblio. Perché sì, rimarranno al suo fianco gli estimatori, ma la loro voce non sarà più così potente senza l'eco che tu gli fornisci con la tua critica. Giacché la portata di un fiume è aumentata da ogni torrente, che porti acqua limpida o torbida di fango, fai ciò che a ben guardare è la cosa più ovvia: crea una diga, e smetti di alimentarlo.

Non è facile, lo so. Quando hai un'opinione così forte su un determinato argomento, è dura astenersi dal parlarne. E pur con la timidezza e quel consiglio che ho fatto mio in tasca, capita anche a me talvolta di cadere nella trappola, e aggiungere la mia voce a un canto che invece preferirei smettere di ascoltare.

lunedì 25 marzo 2019

L'eroe buono

Il tipo di personaggio di cui voglio parlare oggi è molto simile a quello del Prescelto di due settimane fa, ma non coincide interamente. Non tutti i Prescelti sono eroi buoni, come non tutti gli eroi buoni sono dei Prescelti.
Ma vediamo in dettaglio di cosa si tratta.

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La figura dell'eroe buono si trova prevalentemente in quelle storie in cui c'è una netta separazione tra bene e male. È tutto bianco o nero, nessuna sfumatura di grigio, perciò le virtù, onore, umiltà, coraggio, generosità, misericordia, persino la bellezza. sono tutte incarnate dal protagonista, che si ritrova a essere un modello senza difetti, o quasi. I cavalieri delle leggende, come Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda, sono senza dubbio eroi buoni. E dato che tutte le virtù pendono da una parte, dall'altra deve per forza esserci un mostro, come il drago affrontato da San Giorgio, o quelli presi di mira da Bowen in Dragonheart, sebbene nel suo caso la questione su chi sia il mostro si riveli un po' più complessa del previsto. Tra l'altro, nel film in questione è esplicitamente citato il codice secondo cui un eroe buono dovrebbe vivere: "Un cavaliere giura di essere valoroso, il suo cuore conosce solo la virtù, la sua spada difende gli inermi, la sua forza sostiene i deboli, la sue parole dicono solo la verità, la sua ira abbatte i malvagi."

Essendo l'eroe buono modellato secondo la figura del cavaliere, tipicamente la sua arma, se ne usa una, è la spada. Questo accade anche nelle ambientazioni in cui portare una spada potrebbe essere anacronistico, come ad esempio in Star Wars, che ha adattato l'arma medievale in una futuristica spada laser usata da tutti i cavalieri Jedi tra i quali Obi-Wan Kenobi e Luke Skywalker (ma ancora lui... non è possibile, tre su tre! Ora basta!). Oppure nel presente, dove l'interesse di Connor MacLeod per le spade antiche in Highlander, nonché la sua abitudine di portarne una con sé, appare bizzarro a chi non sappia quando è nato e chi è davvero.

Ma anche se gira armato, l'eroe buono cerca di solito, per prima cosa, di parlare e di redimere il suo avversario, laddove possibile. Un eroe buono combatte quando non ha altra scelta, ma crede nella non violenza e nel perdono, e ritiene che ci sia sempre speranza, e un po' di buono in ognuno. Come nel caso di Goku in Dragon Ball, che conta tra i suoi amici numerosi avversari o ex nemici che è riuscito a far passare dalla parte del bene (dopo averli sconfitti e risparmiati, dato che le chiacchiere prima del combattimento raramente funzionano). O del Professor X degli X-men, l'idealista del gruppo, sempre pronto a comprendere e perdonare sia le paure degli esseri umani, che le azioni del suo amico-nemico Magneto: un classico i loro duelli verbali in cui ognuno dei due cerca di portare l'altro a considerare le proprie ragioni.

Tra i supereroi, molti sebbene non tutti possono essere riconosciuti come degli eroi buoni. Superman è l'esempio più eclatante, ma anche l'Uomo Ragno, pur non essendolo all'inizio, lo diventa in seguito a una tragedia e al suo senso di colpa, che lo forza ad adottare un codice semplicissimo: "da grandi poteri derivano grandi responsabilità". Ma non è necessario essere "super" per essere un eroe buono, basti pensare ai numerosi libri e film in cui a incarnare questo ruolo è un poliziotto onesto che lotta contro la corruzione oltre che con i criminali, o un vigile del fuoco che rischia la vita, o i quattro trivellatori di Armageddon, che dimostrano come un eroe buono è disposto anche al sacrificio in vista di un bene superiore, che sia il rispetto degli ideali del proprio codice o la salvezza di altre persone.

Infine, una precisazione: la maggior parte degli eroi buoni, è vero, sono uomini. Ma non mancano esempi di eroine buone, da una figura storica come Giovanna d'Arco a una invenzione mitologica come Xena, senza dimenticare Mulan costretta a celare la sua identità e Wonder Woman che invece è stata creata proprio come simbolo della forza femminile, o anche Kathryn Janeway, capitano dell'astronave che dà il titolo a Star Trek: Voyager, per finire con Sailor Moon, che pur non essendo priva di difetti, quando si impegna non ha nulla da invidiare agli altri eroi buoni fin qui citati.


La figura dell'eroe buono è così trasversale che ci vorrebbe una vita solo per nominarli tutti. Qui mi fermo e ti lascio, come al solito, con il doppio esercizio.

Se sei uno scrittore, cerca esempi di eroe buono tra i personaggi delle tue storie. Trovane uno, e scrivi un brano sul suo momento di dubbio, quel terribile giorno in cui la vita o la sua nemesi lo pongono di fronte a una scelta che rischia di mettere in crisi i suoi valori o la sua fedeltà al codice che regola la sua esistenza.

Se sei un lettore (o uno spettatore), ripensa alle storie che hai seguito di recente o a quelle che ti piacciono di più o che ricordi meglio: quali sono gli eroi buoni che riesci a rintracciare? Scrivimi pure nei commenti i personaggi che ti vengono in mente.

sabato 23 marzo 2019

Uosa

No, nessun refuso nel titolo. Non è "uova", non è "a iosa", non è "osa". Ma allora, questa strana parola che cosa vuol dire? Per svelare il mistero, continua a leggere!

Uosa [uò-sa] s.f. (spec. pl.) 1. Sorta di stivale molto alto, usato anticamente; anche, calzare metallico delle antiche armature. 2. Ghetta.

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Non ho trovato alcuna immagine del primo tipo di calzatura, perciò ho optato di usare il termine solo nel suo secondo significato. In questo caso può indicare un copri stivale o copri scarpa con una ghetta che si allaccia sotto la suola, il che mi ha ispirato la domanda: e se non fosse usato per coprire una calzatura ma... qualcos'altro? E così è nato questo brano.


Demi non si vedeva, perciò non mi restava altro da fare che esplorare da solo il campo per capire in che razza di posto ero finito. Sbirciai in giro, perso nel labirinto di tende e caravan sgangherati e strambi quanto i loro abitanti. Una donna con occhi e coda da gatto, fasciata in un costume di pelliccia tigrata, mi soffiò contro nell'incrociarmi in direzione opposta. Mi girai a guardare la coda dondolante, e mi chiesi se fosse vera, o se era solo legata a una mano con un filo di nylon. In quel posto, i confini tra realtà e finzione si facevano più sottili, ed era difficile capire dove fossero esattamente.
Gironzolando senza meta ritrovai il camper dove avevo visto le due zingare dagli arti strani giocare a carte. Quella con gli zoccoli caprini era seduta sui gradini d'ingresso, china sui suoi piedi, la gonna sollevata sulle ginocchia. Mi avvicinai, e vidi che stava allacciando le stringhe di un paio di uose di cuoio.
Non capivo a cosa servissero a una donna con piedi del genere.
– Che fai? – le chiesi.
La zingara mi guardò scocciata. – Non si vede? Mi preparo per andare in città.
Feci una smorfia e mi grattai la testa. – Sul serio?
Mi pareva strano che Antares non avesse da ridire sulla gita. Una donna con zoccoli al posto dei piedi era abbastanza bizzarra da attirare l'attenzione. – Mi era sembrato di capire che il segreto di questo posto dovesse restare, beh... un segreto.
La donna mi rivolse un sorriso beffardo. – E secondo te, perché me le sto mettendo?
Indicò le uose, poi tirò il bordo inferiore fino a terra. A un'occhiata distratta parevano comuni stivali, e una volta che ebbe sistemato la gonna non si notava più che le sue calzature non avevano la suola.
– Bene. – La zingara afferrò un pacco di fogli. – Se permetti, vado a distribuire i volantini per lo spettacolo. Tu, invece, resti qui. Antares dice che non sei pronto per mescolarti di nuovo alla gente.
La guardai andar via. Io ero la persona più normale in quel campo di mostri. Cosa voleva dire che non ero pronto?

giovedì 21 marzo 2019

Personaggio: Tia Midsummer

E adesso è il turno del secondo personaggio che ho deciso di presentare come esempio di Prescelto, solo che nel suo caso c'è una sorpresa. In realtà le cose sono un po' più complicate di come appaiono.

Immagine creata con Mega Anime Avatar Creator di Rinmaru Games


Tia, per alcune circostanze che riguardano la sua nascita e che sono pure responsabili del suo cognome, è la Figlia della Terra, Promessa di Primavera. Un titolo e un'origine che la distinguono da altri abitanti del suo villaggio, e di cui Tia, fin da piccolissima, tende ad approfittare. Ed è così che cresce rispettata e viziata, con la convinzione di poter parlare con la Madre Terra e con la presunzione di poter minacciare i raccolti di chiunque non soddisfi i suoi desideri. Questo, almeno, fino al giorno in cui scopre che le cose non stanno proprio come credeva. Dopo quella scoperta, Tia sfugge per dispetto alla madre tra le vie di una grande città sconosciuta, la sua vita cambia completamente, e ha inizio la parte della sua storia che mi interessa raccontare.
Tia è una Prescelta atipica. Principalmente perché, a differenza di tanti personaggi che ricoprono questo ruolo, lei sa di esserlo. Nessuno glielo deve dire. In secondo luogo, non c'è una profezia che la riguardi, un destino da realizzare o un'impresa da compiere: il "compito" della Figlia della Terra è semplicemente quello di essere nata, perché la sua nascita preannuncia raccolti abbondanti e ogni cosa buona per il villaggio. Tutto qui. E non ha nemmeno segni particolari, oggetti magici, poteri o talenti speciali, a parte una buona dose di immaginazione che la aiuta ad autoconvincersi di poter comunicare con la Terra e che le sarà molto utile più avanti.


Questi i brani già scritti in cui compare Tia Midsummer. Il primo è in realtà un episodio ipotetico, in cui ho provato a immaginare come sarebbe diventata Tia se la sua vita avesse preso un'altra piega, in classico stile "sliding door". Gli altri, invece, sono tutti ambientati dopo la sua fuga, quando ormai sa di non essere una Prescelta.
Se Tia non fosse scappata...
Tia bambina impara dal Corvaccio
Tia si guadagna da vivere con l'inganno
Uno sconosciuto segue Tia
Un piano pericoloso per una sfida interessante


L'esercizio richiede di scrivere il momento in cui al Prescelto viene rivelato di essere tale. Dato che Tia sa o ritiene fin dall'inizio di essere speciale, ho pensato di rovesciare le carte in tavola e scrivere di quando le viene rivelato che invece non lo è affatto.


Era lì per una semplice commissione, ritirare un falcetto per sua madre. O meglio, Tia lo sarebbe stata, se non si fosse persa a curiosare nella bottega del fabbro mentre quest'ultimo era affaccendato a caricare un nuovo aratro e un paio di vanghe sul carretto di Ahrim. Norran, il figlio del fabbro, un giovanotto dai capelli scuri che era poco più di un ragazzo ma che a Tia già sembrava già un adulto, si era messo tra lei e gli oggetti più interessanti: quelli affilati.
– Spostati! – gli ordinò Tia. Era una bimbetta dai capelli rossi di appena sei anni, ma col cipiglio di un generale di fronte alle truppe.
Il ragazzo più grande non si lasciò intimidire. Con un sorrisino compiaciuto, quello che di solito aleggiava sulle labbra della bambina, ribatté: – Ho smesso di dar retta ai tuoi capricci. Tra poco non sarai più l'ultima arrivata, la beniamina di tutti. Goditi questi ultimi mesi finché puoi, piccoletta.
– Io non sono una piccoletta – ribatté la bambina con voce acuta, dal basso. – Io sono la Figlia della Terra, Promessa di Primavera. Chiedimi scusa, oppure...
– Oppure cosa? Farai inaridire i miei campi, chiederai alla Terra di sollevarsi contro di me? Ha! Ti rivelo un segreto: nessuno ha mai creduto a queste sciocchezze. – Norran ridacchiò, e con una mano spinse indietro Tia che si faceva avanti, corrucciata e minacciosa, per quanto potesse esserlo una bambina. Il ragazzo si chinò su di lei e in un mormorio confidenziale proseguì: – È ora che qualcuno ti dica come stanno le cose, piccoletta. – La parola, sottolineata da un tono di scherno, fu sufficiente a far affiorare un broncio e un'occhiata di sdegno sul volto della bambina. – E tanto vale che sia uno di noi a farlo, visto che ci siamo passati tutti. Tu hai avuto solo più tempo di noi, ma adesso basta. A primavera nascerà un altro Figlio o Figlia della Terra, e tu smetterai di essere la cocca del villaggio. Sarai solo un'altra Midsummer, come ce ne sono tanti.
– Bugiardo! – sbottò Tia, e prese a urlargli contro. – Non esiste un'altra Figlia della Terra, non esistono altri Midsummer! Io sono l'unica!
Norran scosse la testa. – Apri gli occhi, piccoletta. Se sei così speciale, perché sei ancora bloccata qui in mezzo ai contadini e ai pastori? Perché non è mai venuto qualcuno di importante a prenderti per farti diventare... che so, una sacerdotessa di Madre Terra o qualcosa del genere? Non lo sai, eh?
Norran spintonò la bambina, che parve vacillare più per le parole pronunciate che per la mano del ragazzo sulla sua spalla. Tia respirò in affanno, e sembrò sul punto di piangere, gli occhi lucidi e il volto arrossato. Ma strinse i pugni e ribatté caparbia. – Io... io devo stare qui! Devo aiutare qui, far crescere gli alberi e i fiori, me lo ha detto Madre Terra. Smettila di dire bugie, tu sei invidioso, solo invidioso, e non ne sai niente di Madre Terra. Lei parla a me. Non a te che sei solo buono a fare stupide cose di ferro – concluse Tia, sbirciando le lame appese alle spalle del ragazzo: semplici coltelli da caccia, scuri da boscaiolo e mannaie da macellaio, ma per la bambina, anche se non lo avrebbe mai ammesso, avevano lo stesso fascino delle spade dei racconti.
Norran sbuffò. – Ne so più di quanto credi, però non mi ricordo di essere mai stato così matto. – Il ragazzo la lasciò andare, si raddrizzò e incrociò le braccia. – Se uso il nome di mio padre, è perché è lui che mi vuole bene e che mi ha insegnato tutto quello che so, non certo uno sconosciuto che ha ballato con mia madre una sola volta alla Festa di Mezzestate. Ma io sono come te, piccoletta. Mi chiamo Norran Midsummer. E non sono il solo: c'è la figlia della mugnaia, Helga Midsummer, e suo padre pure era uno di noi. E Tash e Mildred, che sono venuti un paio d'anni prima di te. Li chiamavamo "i gemelli Midsummer", perché sono nati la stessa primavera, anche se da famiglie diverse. Oh, e Ahrim pure, che se non sbaglio è il più vecchio Midsummer ancora in vita...
Mentre Norran snocciolava nomi, Tia si tappò le orecchie con le mani, ripetendo ossessivamente: – Bugiardo, bugiardo, sei solo geloso, bugiardo, ti odio, smettila, stai zitto!
I suoi strepiti convulsi continuarono fino a che, con Norran che ancora declamava nomi, Tia non si voltò e corse via, oltre la porta della bottega, oltre il carretto di Ahrim, oltre la staccionata del frutteto, dimentica della commissione che sua madre le aveva affidato.
E fu allora che Tia Midsummer incontrò il profeta.

lunedì 18 marzo 2019

Personaggi: Anyla

I primi due personaggi che mi vengono in mente se penso ai miei esempi di Prescelti... non li posso presentare. Rischio di rivelare troppo delle loro storie: uno dei due non si sa chi sia fin quasi alla fine, l'altro nemmeno si sa che esiste. Quindi, tocca ripiegare su qualcuno che ho già più o meno presentato
in quel ruolo nel blog, e che viene ritenuto speciale da altri personaggi abbastanza presto... anche se non se ne rende conto.

Immagine creata con Mega Anime Avatar Creator di Rinmaru Games


Anyla all'inizio della storia è una bambina di pochi anni, trovata da un cacciatore nella foresta. Di lei non si sa nulla, nemmeno il nome, perché Anyla, "figlia della foresta", è il quello che ha scelto per lei il suo padre adottivo. L'unica cosa che la lega alle sue origini è un medaglione con un simbolo proibito, un simbolo di potere che nessuno dovrebbe indossare. Questo la fa riconoscere, da qualcuno più colto di Arg, come "la bambina della profezia", appartenente alla stirpe antica. Privata del medaglione e resa schiava per impedire l'avverarsi della profezia, Anyla viene inconsapevolmente aiutata dalla principessa Skalyssa a realizzare il suo destino.
Anche nel caso di Anyla non ho mai scritto una sua descrizione. Per certo so che non ha i capelli neri, poiché Skalyssa viene descritta, dal punto di vista di Anyla, come "la bambina con i capelli neri"; inoltre, per la sua condizione di schiava siahta è obbliga a indossare dei bracciali particolari sugli avambracci e a tenere sempre le braccia scoperte affinché siano ben visibili. Di carattere schivo, gentile e obbediente: così è stata cresciuta dalla sua seconda madre adottiva, la siahta Eme. Anyla può sognare solo in segreto una vita diversa, che però non si illude di poter avere. Almeno, finché non scopre la verità che le è stata tenuta nascosta.


Questi i brani già scritti in cui compare Anyla:
Arg trova Anyla nella foresta
Skalyssa porta Anyla allo Specchio della Vita


L'esercizio richiede di scrivere il momento in cui al Prescelto viene rivelato di essere tale. In parte per Anyla questo momento arriva la prima volta che si trova di fronte allo Specchio della Vita, ma lei rifiuta la rivelazione, ed è solo in seguito che ne diventa consapevole e accetta il suo ruolo. Quindi ho deciso di scrivere di questo secondo incontro con lo Specchio.


Quando vediamo qualcosa che ci spaventa, la prima reazione istintiva, benché inutile, è quella di chiudere gli occhi. Inutile, poiché ciò che ci ha spaventato non scompare per il semplice fatto che non riusciamo più a vederlo. È ancora lì, in tutta la sua sconcertante esistenza. E, dal momento che abbiamo gli occhi chiusi, siamo alla mercé di ciò che ci spaventa, e l'unica cosa che ci resta da fare è chiederci che cosa sarà di noi.
Anyla aveva chiuso gli occhi, la prima volta che le voci dello Specchio le avevano parlato. Aveva scelto di ignorarle, e aveva cercato di dimenticare ciò che aveva visto e udito nella grande sala dello Specchio. E in parte ci era riuscita, ma da quando si era trovata di fronte a quell'immensa finestra sulla sua anima, i bracciali del serpente le erano parsi più stretti che mai.
Non avrebbe voluto tornare a guardarci attraverso. Ma la regina Skalyssa l'aveva dapprima supplicata, poi le aveva ordinato di seguirla. E Anyla non aveva potuto fare altrimenti.
– Non so più cosa fare, Any – le aveva confessato la regina. – Tu hai visto qualcosa. Hai detto che hai visto qualcosa. E sentito. Io non lo sento, ma tu... tu puoi guardare per me e dirmi se vedi qualcosa che mi può aiutare?
– Nulla di ciò che ho visto ti può essere d'aiuto, mia regina – rispose Anyla in tono dimesso, mentre la seguiva oltre le grandi porte della sala dello Specchio. Subito fu sopraffatta dai bisbigli, dalle innumerevoli voci confuse che provenivano da quella superficie abbacinante che rifiutò di guardare, come aveva già fatto tanti anni prima.
– Sciocchezze. L'ho letto in un libro, un libro antico. "Lo Specchio della Vita parlerà alla vera regina nell'ora più buia". Tu sei la mia siahta. Quindi è a me che lo Specchio sta parlando, quando ti parla. – Skalyssa si voltò e scorse Anyla con gli occhi chiusi e le mani alle tempie. – Lo stai sentendo, adesso, vero? Dimmi che cosa dice.
Anyla annuì. La maggior parte delle voci mormoravano frasi sconnesse, ma alcune le si stavano rivolgendo direttamente. Ripetevano "regina, regina"... ma il nome che seguiva quella parola non era quello di Skalyssa. Anyla esitò qualche istante, prima di ribattere: – Sì. Ma non ti piacerà, quello che dice.
– Può salvare il regno? – la interrogò Skalyssa. A un ulteriore cenno affermativo da parte di Anyla, la esorto: – Allora parla.
Anyla alzò la testa e aprì gli occhi. Senza dire nulla, si incamminò lungo la rampa che conduceva al centro dello Specchio. Lo Specchio della Vita la stava chiamando con un nome che Anyla non conosceva, ma che sapeva appartenerle da prima di essere una siahta, da prima di essere l'orfana figlia della foresta. Tese la mano alle immagini cangianti che attraversavano la superficie d'argento, fuggevoli come fantasmi. Da vicino, la superficie stessa pareva ribollire come l'acqua di un calderone.
– Non lo toccare! – l'avvertì Skalyssa, allarmata, dalla base della rampa. – Chiunque lo tocchi, muore.
Anyla si voltò e le sorrise. – Non io.
Ne era certa. Non era solo una promessa delle voci. Lei era nata per quel momento.
Anyla toccò lo Specchio della Vita, e le visioni si riversarono nei suoi occhi, e le voci si affollarono nella sua gola. E Anyla seppe davvero, finalmente, chi era.
Signora della terra e del mare.
Figlia della stirpe antica.
Regina Marpeleysan.

sabato 16 marzo 2019

Tralignare

Sarò io, ma in questo vocabolo leggo tutta la ribellione, la sfida e l'avventatezza di chi sceglie di oltrepassare la linea.

Tralignare [tra-li-gnà-re] v.intr. (aus. avere o essere; 1a pl. traligniamo) [sogg-v-prep.arg] Allontanarsi dalla retta via o dalle tradizioni familiari, deviare, degenerare.

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Per il sapore antico della parola e del suo significato, lo vedrei bene usato da un personaggio o da un narratore anziano, colto, o appartenente a un'epoca del passato. E così, mentre cercavo il personaggio e la situazione adatti in cui calarlo, mi sono imbattuta in qualcuno i cui trascorsi non avrei mai immaginato di approfondire.


Non ero certo che la fanciulla di nome Samasa fosse la scelta giusta per la Biblioteca. Ovviamente nella sua anima la luce e l'oscurità si compensavano, facendo di lei una perfetta custode neutrale, come ci si aspettava dall'essere umano destinato a quel ruolo. E, come coloro che l'avevano preceduta, Samasa era inesplicabilmente in sintonia con il sapere della Biblioteca, tanto da riconoscere per istinto il libro adatto alle necessità del richiedente, che esso giungesse dalle pure infinità celesti o dalle profonde fiamme della dannazione.
Ma in una cosa Samasa tralignava dalle caratteristiche dei suoi predecessori: Samasa sapeva leggere.
La Biblioteca non aveva mai avuto una bibliotecaria che potesse comprenderla e amarla così tanto. Gli altri, quelli che erano venuti prima, lo avevano fatto per senso del dovere, per l'onore che ritenevano l'essere stati chiamati a quello scopo dai poteri più alti. Lei lo faceva per appagare la sua insaziabile curiosità.
Così, mentre svolgeva il suo compito, Samasa apprese da un libro a manipolare le energie della natura, da un altro, a dare coscienza e parola agli animali. Sperimentò ciò che aveva letto su un gatto e un pipistrello trovati nel giardino della biblioteca, facendo di loro i suoi famigli. Gli altri, sia i miei compagni di luce che le ombre che strisciavano tra gli scaffali, plaudivano ogni suo successo e ogni suo nuovo sforzo di trascendere la natura umana per mezzo del sapere racchiuso nella Biblioteca.
Io, invece, guardavo con orrore alla meta a cui quel cammino l'avrebbe condotta.
Chiunque frequentasse la Biblioteca era a conoscenza del Libro Proibito. Quello era il solo libro in tutta la Biblioteca che né i lucenti né gli oscuri potevano toccare, un libro sulle cui pagine era custodito il segreto di un potere talmente spaventoso che persino Dio aveva preferito nasconderlo. Mi auguravo che la curiosità e l'ambizione di Samasa non la spingessero a tralignare dal rispetto che tutti noi avevamo per la proibizione divina.

giovedì 14 marzo 2019

Romanzo vs Racconto

Giovedì scorso ho scritto la recensione per "La dannazione della Sirena" di Ornella Calcagnile, che trovi qui. E come ho già fatto per il libro precedente, oggi vorrei soffermarmi su un aspetto che mi ha particolarmente colpito.

Nel caso della storia di Ornella Calcagnile, è stato difficile scegliere, poiché c'erano molti elementi positivi che ho apprezzato nel suo testo. Avrei potuto spendere ancora altre parole sul dialogo, come se non avessi mai scritto nulla su questo argomento nel blog; oppure offrire la mia opinione sul modo di reinventare una creatura mitologica per renderla credibile e parte integrante di un'ambientazione che rispecchi in tutto il resto il nostro mondo; o ancora, riflettere su come sia possibile far innamorare di un personaggio in poche pagine, e come portarlo via al lettore nel modo più crudele possibile (scherzo... o forse no?). Potevo altrimenti rivolgere un pensiero ai rari aspetti negativi di quel testo e a come evitarli, ad esempio come descrivere l'aspetto fisico dei personaggi con espressioni diverse dalle solite due o tre già lette mille volte, o come rifuggire dalla tentazione di abbellire il proprio stile fino a correre il rischio di usare espressioni ridicole e antiquate.

Ma sono sicura che ritroverò questi spunti nei prossimi libri che leggerò, e d'altra parte questo racconto mi offre una questione più interessante da affrontare. Ovvero, la sua lunghezza.

Non era stata un problema per me: come si suol dire, le dimensioni (di un testo) non contano. Conta molto di più il suo contenuto, che la storia, corta o lunga che sia, riesca ad appassionarmi, emozionarmi, divertirmi. E se c'è un po' di sfida nel cercare di capire un mistero, meglio ancora. Eppure, scorrendo i commenti di altri lettori di questo ebook, ho scoperto che molti erano rimasti delusi dalla brevità del racconto, al punto di abbassare la valutazione solo per questo dettaglio. E qualcuno ha suggerito all'autrice di aggiungere decine di pagine, o trasformare il racconto in un romanzo. E questo mi spinge a chiedermi: come mai un racconto è così sottovalutato rispetto al suo cugino più imponente?

Nella "guerra" tra racconti e romanzi, è comprensibile che in passato abbiano sempre trionfato questi ultimi. Gli editori preferivano pubblicare i romanzi più che i racconti per ovvie ragioni: per fare un libro, un solo racconto non basta. Il testo più breve aveva la sua collocazione ideale tra le pagine di un giornale o di una rivista, anche se... perfino in quel caso, molto meglio un romanzo a puntate, che obbligava il lettore ad acquistare le uscite successive per scoprire come continuava la storia. Oggi, con una vita più frenetica e con l'avvento degli ebook, che hanno risolto finalmente il problema della pubblicazione di un racconto singolo, si potrebbe immaginare che ci sia stata una rimonta di questo formato... e invece, niente. I lettori rimangono ancorati alle loro preferenze, restii a concedere a questo "fratellino minore" uno status di pari dignità. E non capisco proprio perché.

Intendiamoci, non sono ignara del fatto che quando ci si affeziona a un gruppo di personaggi, si vorrebbe poterli seguire fino in capo al mondo, e che le loro avventure non avessero fine. Non sono immune da quella sensazione dolceamara che ti coglie una volta girata l'ultima pagina, e che capita sempre dopo aver letto una bella storia, indipendentemente dalla lunghezza, che sia un racconto, un romanzo, o una saga da tredici libri. Ma preferisco di gran lunga leggere un racconto in cui ogni scena è fondamentale e ben inserita nella trama, che un romanzo pieno zeppo di digressioni, sottotrame, capitoli interi di antefatti, paragrafi di spiegazioni dell'ambientazione, e via dicendo. A che pro sfilacciare una storia fino a renderla irriconoscibile e, soprattutto, noiosa?

C'è forse la tendenza a pensare che il romanzo sia un formato più serio e più maturo rispetto al racconto, con quest'ultimo riservato alle favole, alle storie illustrate per bambini, e ai concorsi letterari. Per la sua rapidità di scrittura e di lettura, si immagina una corrispondente facilità di scrittura. Perlomeno, rispetto al romanzo. Ho avuto modo di provare a scrivere entrambi, quindi parlo per esperienza quando dico che sono due tipi di difficoltà diverse. Se per il romanzo l'impegno è costituito dal tempo necessario a completare l'opera e dai problemi di coerenza (di stile, di voce e descrizione dei personaggi...), per il racconto si tratta di capire che cosa è essenziale, e cosa invece si può tagliare senza rischiare di rendere la storia incompleta. Condensare le proprie idee, specialmente entro un limite di battute/parole/pagine imposte da se stessi o da altri, non ha niente di facile. Riversare sulla pagina fiumi di parole privi di argini, al contrario, è fin troppo semplice. Basta iniziare.

Strano, ma anche di questi tempi, il dono della sintesi è un talento molto raro. Qualcosa che io stessa sto ancora cercando di apprendere. E qui mi fermo, o rischio di dare una dimostrazione concreta di quanta strada ho ancora da percorrere. Ma vorrei sapere di te. Preferisci i racconti o i romanzi, e perché? Non chiedo molto. Mi bastano appena due righe di commento. O anche una.

lunedì 11 marzo 2019

Il Prescelto

Nelle settimane precedenti ho analizzato La persona comune come tipo di personaggio, prima in letteratura, nei film, nei fumetti e negli anime, e in secondo luogo tra i personaggi delle mie storie. Oggi voglio passare all'estremo opposto, quello di:

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Quella del Prescelto è una storia antica quanto il mondo... o, almeno, quanto le più vecchie storie mai raccontate. Tanto che la si può rintracciare perfino nei racconti mitologici e religiosi. Nella maggior parte dei casi, una divinità o una profezia identifica un individuo con un determinato compito, prevalentemente quello di vincere il male o di sovvertire uno status quo negativo e instaurare un nuovo ordine, si spera, migliore del precedente. Un esempio è il mito della nascita di Zeus, al cui padre Crono era stato predetto che uno dei suoi figli lo avrebbe spodestato. Per evitare il compiersi della profezia Crono divorò tutti i suoi figli tranne Zeus, nascosto dalla madre Rea, che una volta cresciuto realizzò quanto era stato detto riuscendo a salvare anche i fratelli. Ma quello di Zeus è solo uno dei tanti racconti che coinvolge un Prescelto, e qualunque sia il tuo credo, sono certa che riuscirai a ricordare almeno una figura di questo tipo nella tua o in altre religioni di cui hai sentito parlare.

Che sia antica o recente, la letteratura fantasy fa ampio uso del tema del Prescelto, declinandolo in tutte le salse; ma per quanto diversi, esistono dei dettagli in comune tra i personaggi che ricoprono questo ruolo. Spesso il Prescelto può essere identificato da un segno particolare, qualcosa che ha fin dalla nascita o che ha acquisito. Un esempio è la cicatrice di Harry Potter. Oppure dal fatto che sia l'unico in grado di maneggiare o recuperare un oggetto magico o un'arma leggendaria, come Artù con la spada nella roccia. Un altro tratto in comune di molti dei personaggi citati è la loro discendenza da una famiglia di potere, che si tratti di nobili, eroi, divinità o maghi, che però viene loro tenuta nascosta mentre trascorrono l'infanzia come orfani o accolti in una famiglia adottiva di umili origini. Tratto condiviso anche da Luke Skywalker di Guerre Stellari.

In altre storie non è una profezia o un dio che indica il prescelto. A volte è legame con una creatura leggendaria. Mi viene in mente Saphira, il drago di Eragon, ancora più prezioso in quanto è uno degli ultimi rimasti. Se l'aver trovato l'uovo di drago può essere stato un evento fortuito per Eragon, quel che è certo è che l'uovo non si sarebbe schiuso, se il Saphira non l'avesse ritenuto degno. Altre volte sono le azioni del personaggio che lo mettono nella posizione del Prescelto. In La storia infinita, Bastiano è destinato a sconfiggere il Nulla e a salvare il regno di Fantàsia, e lo è proprio perché sta leggendo il libro, come altri prima di lui. Katniss, nei romanzi e nei film della saga di Hunger Games, si offre volontaria per i giochi, ma a renderla una Prescelta è una complessa operazione di marketing da parte dei ribelli che l'hanno eletta a simbolo della rivolta, facendo di lei una sorta di "Prescelta artificiale".

Può capitare che il Prescelto, invece di essere destinato a sovvertire lo status quo, lavori a sua insaputa per mantenerlo. È il caso del personaggio di Neo del film Matrix, ultimo di una serie di eletti creati proprio dal sistema artificiale del titolo, o di Yuna nel videogioco Final Fantasy X, che al pari di altri invocatori è pronta a sacrificarsi per concedere al mondo un po' di pace dal terribile mostro Sin, ignara che il suo sacrificio è parte del ciclo di rinascita periodica del mostro. In entrambe le storie non esiste un solo Prescelto, ma una serie di essi, con poteri e compiti molto simili. Accade lo stesso anche alle Cacciatrici, di cui Buffy è una rappresentante, non la prima e nemmeno l'ultima. E dalla storia di Buffy l'ammazzavampiri è possibile comprendere quanto il ruolo di Prescelto sia pericoloso e non molto desiderabile: le Cacciatrici hanno solitamente vita breve, dato il tipo di avversari che si trovano ad affrontare, e mentre l'ultima ancora combatte già esiste una futura predestinata a cui toccherà prendere il testimone in caso di un disgraziato evento.

Altre storie, infine, giocano con il tema del prescelto rimescolando con ironia le carte in tavola. Po, in Kung Fu Panda, pare il più inadatto a ricoprire il ruolo di eroe. Eppure proprio la caratteristica che sembra essere un ostacolo si rivela fondamentale per il suo trionfo. E in LEGO Movie, la profezia che indica l'improbabile Emmet come "speciale" si scopre essere stata inventata. Ma forse, come in altri dei casi citati, è sufficiente la fiducia nella profezia, sia da parte di chi desidera che si realizzi che da parte di chi cerca di contrastarla, a trasformare una persona comune in un Prescelto e a dargli la motivazione di cui ha bisogno per compiere grandi imprese.


Ci sarebbe ancora tanto da dire sulle caratteristiche del ruolo di Prescelto, ma penso che quanto fin qui ho scritto sia sufficiente a darti un'idea del suo significato e del modo in cui questo archetipo è stato sviluppato nel mito, nella letteratura, nei film e in altri media. Come due lunedì fa, ti lascio con un doppio esercizio.

Se sei uno scrittore, cerca esempi di Prescelto tra i personaggi delle tue storie. Trovane uno, e scrivi un brano sul momento in cui gli viene rivelato di essere tale, e la sua reazione alla notizia.

Se sei un lettore (o uno spettatore), ripensa alle storie che hai seguito di recente o a quelle che ti piacciono di più o che ricordi meglio: quali sono i Prescelti che riesci a rintracciare? Scrivimi pure nei commenti i personaggi che ti vengono in mente.

sabato 9 marzo 2019

Succedaneo

Questa parola è un succedaneo di surrogato, da usare tutte le volte in cui ti interessa evitare le implicazioni più negative legate alla scelta di un rimpiazzo.

Succedaneo [suc-ce-dà-ne-o] agg., s. 1. agg. Di sostanza che può ricoprire le stesse funzioni di un'altra, surrogato. 2. s.m. Nel significato dell'aggettivo.

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Torna Leda, la figlia della Tessistrice, dato che la parola e le spezie nella fotografia mi hanno ispirato una situazione in stile "lezione di pozioni di Harry Potter". E le misture, non magiche ma naturali in questo caso, sono materia sua.


Ero capitata in coppia con un'incapace, la peggiore tra i miei compagni di corso. E Miscele di sopravvivenza non era nemmeno difficile come argomento.
– Uh... non riesco a trovare i sali delle cave Delasorte, tu li vedi? – mi chiese mentre spostava boccette e vasetti. Ricontrollò la lista di ingredienti e aggrottò la fronte.
– Usa questo – le dissi, passandole una ciotola di polvere scura.  – Ma mettine la metà. Il grado di salinità è circa il doppio.
– Che roba è? – sussurrò lei. – Questi non sono i sali... forse si è dimenticato di metterli da noi, lo dico al professore.
Mi affrettai ad abbassarle il braccio alzato e le sibilai al di sopra della mistura che iniziava a sobbollire: – Ma sei impazzita? Vuoi davvero dirgli che non hai nemmeno capito il senso della prova? Ci farai bocciare entrambe!
La mia compagna mi fissò con gli occhi lucidi e un tremore all'angolo della bocca. Non avevo spostato indietro di due anni la mia data di nascita, né frequentato il doppio dei corsi, per farmi fermare da una ragazzina viziata di chissà quale famiglia nobile.
Sospirai. – Il fango essiccato della laguna di Aldaque'en è un ottimo succedaneo dei sali di Delasorte – le spiegai, aggiungendo la polvere bruna al liquido nel pentolino. – Metà degli ingredienti elencati non li troverai, quindi devi usare il sostituto più appropriato. È questa la prova.
La mia compagna si illuminò. – Ho capito! Dunque, al posto della linfa acida dell'erba di pietra, si può usare la bile del topo di fuoco...
La bloccai prima che versasse una sola goccia dalla boccetta piccola e scura. – Sì, se vuoi trasformare la lozione repellente in un succedaneo della polvere pirica!
Gliela strappai di mano e le passai un'ampolla con un liquido lattiginoso. – Ecco qui. Filtralo e aggiungi due cucchiaini di residuo solido. E d'ora in poi fa' come ti dico, se vuoi passare l'esame.
Promuoverla non sarebbe stato corretto, ma non potevo permetterle di rallentarmi. E non sarebbe stata la prima che mi doveva un favore.

giovedì 7 marzo 2019

Personaggio: Eilonwy Polidoro

Continuando con i personaggi che rappresentano la Persona comune, su un versante completamente opposto mi torna in mente questo.

 
 
"Il mio nome è Eilonwy Polidoro. Un nome non comune, per una ragazza fin troppo comune - almeno, per 362 giorni all'anno."
Così Eilonwy comincia a raccontare la sua storia. A differenza di Lisa, che ha fin dall'inizio un legame con un altro mondo, a Eilonwy capita per caso di conoscere Jake: lui, e la sua famiglia, sono gli elementi fantastici in una storia altrimenti normale di due ragazzi che si incontrano, anno dopo anno, durante le vacanze estive in riva al lago. Ma le stranezze di Jake continuano a sommarsi fino all'inevitabile "esplosione".
Eilonwy non solo ha un nome più complicato, ma è anche come carattere l'opposto di Lisa: è una ragazza ciarliera, curiosa, estroversa, e a volte fin troppo impulsiva. Il suo modo di raccontare, la sua voce, i suoi commenti spiritosi, la rendono un personaggio divertente da scrivere. E, spero, anche da leggere.


Questo il brano già scritto in cui compare Eilonwy Polidoro:
Eilonwy scopre il segreto di Jake


Anche se il primo vero contatto con l'aspetto straordinario del suo mondo avviene nel brano precedente, è in questo, che si svolge il mattino dopo, che Eilonwy comincia davvero a esplorare e a cercare di capire in che cosa si sia imbattuta.


Non avevo mai visto Jake in quel modo. E non intendo seduto a terra a gambe incrociate, con la schiena appoggiata al tronco di un albero. Quello era un classico.
Non lo avevo mai visto con un volto simile. Sembrava il suo, sì, ma allo stesso tempo sembrava anche quello di una bambola di porcellana, tanto la sua pelle era chiara, levigata e perfetta. Artificiale. Come se avesse avuto addosso una maschera, impressione confermata anche dalle orecchie a punta e dal taglio allungato degli occhi. Ma non era una maschera, e me ne accorsi quando Jake aprì gli occhi e scattò in piedi: non appena mi vide, la punta affusolata delle orecchie si ritirò in una curva più naturale e sul suo volto comparvero tutti quei difetti, le asimmetrie e le imperfezioni che lo rendevano umano.
Soltanto il giorno prima, se lo avessi visto cambiare in modo così repentino, avrei pensato a uno scherzo della mia mente assonnata. Ma dopo il modo in cui mi era apparso quando lo avevo riaccompagnato a casa, quella metamorfosi meravigliosa non mi sembrava poi così impossibile.
– Che ci fai tu qui? – sbottò Jake, una volta tornato quello di sempre.
Sbuffai. – Mi nascondo dai tuoi parenti che vogliono uccidermi. Tu, piuttosto, che ci fai qui?
Non che fosse tanto inconsueto trovarlo nei boschi attorno al lago. Era dove c'incontravamo sempre. E infatti Jake ignorò la mia domanda, mi squadrò con espressione sorpresa e poi scosse la testa. – Mi dispiace che ti abbiano dato questa impressione. Ma non vogliono ucciderti. Vogliono soltanto cancellarti la memoria.
Ah. Detta così suonava molto meglio. Non mi soffermai a chiedermi come fosse possibile. Incrociai le braccia. – Senza nemmeno chiedere il mio parere? E se io non volessi?
Jake aggrottò la fronte e si mosse verso un larice alla sua destra. – Impossibile. Non dirmi che non vuoi che tutto torni come prima. – Jake si appoggiò con un braccio al tronco del larice e mormorò, senza guardarmi. –  Io lo farei, se potessi. Dimenticare.
Piegai le labbra in una smorfia. – Certo. Perché sei tu quello che ha visto un... – Stavo per dire "mostro", ma mi interruppi. Giusto in tempo. – ...una cosa troppo strana per sembrare vera.
– No. Ma ho visto il modo in cui mi hai guardato. – Jake mi sbirciò. – E non potrò mai dimenticare. I trucchi di Kàli non funzionano su di me.
Spalancai gli occhi. Non ci avevo proprio pensato. Che stupida. Sentii le braccia che si scioglievano e si rilassavano lungo i miei fianchi mentre muovevo lenti passi in avanti, verso Jake. – Quella... quella era la reazione di una persona che è stata presa alla sprovvista. Che non ha saputo ascoltare. – Non volevo trovare una scusa per giustificarmi. Ma era la verità. Proseguii, mentre Jake si voltava verso di me. – Ma qualcuno, qualcuno di molto saggio e di molto importante, mi ha detto che non conta come appari, che tu rimani sempre Jake, il mio ragazzo del bosco. E io... avrei dovuto dargli retta.
Jake mi rivolse un mezzo sorriso. Gli ero arrivata di fronte: guardandolo negli occhi, alzai una mano e gli accarezzai la guancia.
– Io so chi sei. Perciò, puoi mostrarti.
Jake si ritrasse dalla mia mano. – No, tu non... – Tentò di dire, ma io lo zittii con uno "shhhh" perentorio.
– Lo vuoi davvero? – Mi chiese Jake. Annuii. Lui esitò, ma alla fine si appoggiò con la testa e la schiena al tronco del larice, chiuse gli occhi, sospirò, e lo fece.
Al contrario di lui, io mantenni gli occhi ben aperti. Volevo vedere tutto, stavolta. E lo vidi. Vidi la pelle ritirarsi sulle sue guance e farsi nera come un pezzo di carbone, le labbra assottigliarsi e sparire, così come i capelli e i naso, trasformato in un paio di fessure tra i denti e le sue palpebre chiuse. Trasalii, ma solo perché Jake sembrava essere stato consumato da un incendio senza fiamme.
Mentre lui non guardava, posai di nuovo la mano sulla sua guancia. Nonostante il suo aspetto, la sua pelle non era friabile come carta bruciata, bensì dura come pietra.
– Ti fa male? – gli chiesi, intimorita dalla magrezza che vedevo nelle sue braccia e sotto agli abiti.
Jake aprì gli occhi. Quelli, non erano affatto cambiati. – No. È tutto il contrario – rispose lui, mentre sollevava la mano lentamente, lasciandomi il tempo di sfuggire al suo tocco, se lo avessi voluto. Era cauto.
Ma io no. Io ero curiosa. Avevo mille domande, e non sapevo da quale iniziare. Lasciai che Jake posasse la sua mano scheletrica e nera sulla mia, mentre le domande scendevano dalla mente e mi si affollavano in gola. – Vuoi dire che stai male quando sei umano? È per questo che ti serve l'inalatore? E quello di prima, quella specie di elfo, cos'era? Come fai a cambiare così, sono tipo delle illusioni, degli ologrammi o cosa? E tu, il vero te... tu sei così, giusto? Ma da dove vieni, insomma, di sicuro non è normale, devi essere una specie di alieno o...
Jake rise. Mi ritrassi e gli rivolsi una smorfia seccata. – Non prendermi in giro!
– Variante umana – spiegò Jake. Mi feci attenta e bevvi ogni sua parola. – Ci chiamano così. O Aberrazioni. La mia è una tra le più rare. – Jake si voltò in direzione di casa sua. – Io e mio fratello siamo nati qui, ma abbiamo viaggiato in avanti nel futuro. Molto avanti. In un tempo in cui c'è qualcosa nell'aria che cambia le persone, o le fa morire. Si può dire che sono stato fortunato.
La pelle attorno ai suoi denti scoperti si tese un po' di più, forse in un tentativo di trasformare quel perenne ghigno da teschio in un vero sorriso.
– Quando mi vedi diverso, non è un ologramma. Mi trasformo davvero. Ma è stancante, per me. È come... come tenere addosso un abito pesante, rigido e scomodo.
Annuii. – Quindi, quando invece sei così... è come essere nudo? – Sentii un po' di calore arrossarmi le guance. Ridacchiai.
– In tutti i sensi. – Jake abbassò il capo. – Compreso il fatto che mi imbarazza, che tu mi veda così.
Il calore lasciò le mie guance e si spostò nello stomaco, dove si trasformò in un fremito ansioso. Avvicinai il mio viso al suo prima ancora di capire che cosa volevo fare. Jake lo comprese prima di me e iniziò a mutare, a riguadagnare il suo aspetto florido e roseo, da essere umano.
– No – soffiai sulle sue labbra che si riformavano. – Resta come sei. Per favore.
Jake non mi chiese se era quello che davvero volevo. Attesi che tornasse a essere completamente se stesso, il Jake che avevo appena conosciuto, eppure, allo stesso tempo, il ragazzo che conoscevo da tante estati, tre giorni alla volta. E a quel punto posai le mie labbra su ciò che rimaneva delle sue in un bacio casto.
Era il mio primo bacio. E lo stavo dando alla bizzarra creatura che era stata il mio amico d'infanzia.
Pensavo che la mia vita non potesse diventare più complicata e strana di così.
Ma era evidente che mi sbagliavo.

lunedì 4 marzo 2019

Personaggio: Lisa Segni

Se penso a quale tra i miei personaggi rientra nella tipologia della Persona comune che ho presentato lunedì scorso, il primo che mi viene in mente è questo.

 
 
Lisa all'inizio della sua storia è una ragazzina fantasiosa e timida che frequenta la scuola media, dove ha un'unica amica, Emma Miotti, che caratterialmente è il suo opposto: cinica, diretta, e talvolta un po' aggressiva. La sua storia appartiene all'ambientazione che identifico con il nome "Oltreconfine", in cui esistono due terre parallele: una che potrebbe essere paragonata alla nostra, e una in cui esistono la magia e buona parte delle creature presenti nelle favole e nella mitologia, oltre ad alcune di mia invenzione. E, al contrario di quanto si potrebbe pensare, "Oltreconfine" è il nome che gli abitanti dell'altra terra danno a quella che potremmo definire normale.
In questa ambientazione si muove Lisa Segni, che seppure sia al corrente dell'esistenza di una realtà diversa, all'inizio è all'oscuro di buona parte delle sue usanze e delle creature che la popolano. Il suo ruolo per me è sempre stato quello dell'osservatrice, della testimone: la Storia è stata già scritta, a lei spetta solo di ricostruire qualcosa che è avvenuto in passato, traendo spesso le conclusioni sbagliate, e finendo nei guai per questo.


Questi i brani già scritti in cui compare Lisa Segni:
Lisa vista dalla sua compagna di banco Emma
Lisa in fuga (un cameo all'inizio del brano)
Lisa parla con la "fata" Julian
Un'anziana Lisa si abbandona ai ricordi


L'esercizio richiede di scrivere il momento in cui la persona comune entra in contatto con il mondo non ordinario. Il brano qui sotto si posiziona cronologicamente tra il primo e il secondo di quelli riportati qui sopra, e per Lisa, questo è il momento del contatto... letterale.


Un singolo disegno stonava con il resto. Era strano sfogliarli, perché non mi ricordavo di averli fatti io, così come non ricordavo le poesie, o profezie se tali erano, che uscivano dalla mia penna. Quel disegno sembrava realistico e ricco di dettagli come gli altri, ma al contrario di loro ritraeva un paesaggio cupo, oscuro, angosciante. Lo voltai: sul retro era scritto “Le caverne dei cattivi”, ma non ero in grado di ricordare se anche quel titolo fosse stato distorto dallo zelo di un adulto.
Era appropriato, però, dato che sul davanti vi era raffigurata una parete di pietra nera su cui si aprivano una serie di grotte. Da una di esse emergeva un accenno purpureo di artigli che stringevano e graffiavano la roccia, e più in alto, un volto allungato e spigoloso mi fissava con occhi crudeli dal foglio. Quegli occhi... quegli occhi mi catturarono e mi fecero prigioniera. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, né a gettare via il disegno, né a muovermi. Il mio cuore accelerò e l'aria si fece pesante nei miei polmoni. Non vedevo più i confini di quella scena, che pareva invece espandersi intorno a me, inglobandomi senza scampo.
La creatura si mosse, uscì dalla caverna, si diresse verso di me...
Strappai il foglio urlando, poi raccolsi le gambe al petto e piansi in preda al terrore. Non ero impazzita, sapevo benissimo che la figura non si era mossa, che non poteva farmi del male. Non in quel momento. Perché mi aveva già fatto del male in un altro tempo. Lo ricordavo. Quella creatura era il demone che mi aveva...
Sentii dei passi ovattati nella stanza. Tacqui e mi feci ancora più piccola quando una mano si posò sulla mia spalla. D'istinto, dissi: – So cos'hanno in comune. Sono tutti luoghi che ho visto con i miei occhi. E si trovano nella Terra dei Sogni.
Mi voltai e scoprii che la mano apparteneva a Jossintaur, e che lui mi appariva reale e tangibile come chiunque altro. Jo rise e si chinò ad abbracciarmi.
– Bentornata a casa, Emily.
Era confortante il suo abbraccio, dopo tutto quel tempo carico solo di sguardi e parole. Ma era anche qualcosa di più. Era come ritrovare un amico perduto. Mai mi ero sognata di poterlo sfiorare: lui era solo il mio amico immaginario, il ragazzo di un altro mondo. Mi strinsi di più a lui, a occhi chiusi, come se temessi di trovare qualcun altro al suo posto se li avessi aperti.
– Mi sei mancato – mormorai. Non sapevo perché lo avevo detto: in realtà la sensazione del ricordo era già svanita, lasciandomi più confusa e smarrita di prima.
Riaprii gli occhi e lo osservai con attenzione. Era lui, senza alcun dubbio, ma era così strano poterlo toccare! Era ancora più bello di quanto avessi immaginato. Staccai la destra dalle sue spalle per posarla sulla sua guancia, ridendo, senza chiedermi come fosse possibile. Ero sbalordita ed estasiata. Jo mi sorrise, quindi, con mio rammarico, si sottrasse alle mie mani e al mio abbraccio. Solo allora lasciai vagare lo sguardo nella stanza, accorgendomi di non essere più a casa. Non c'era il mio letto, la scrivania, i poster, l'armadio. Mi alzai in piedi.
La stanza aveva le stesse dimensioni, eppure non era la mia. E sembrava abbandonata da tempo. Sui muri e sul soffitto, affreschi che dovevano essere stati incantevoli nel loro periodo migliore stavano cadendo a pezzi, divorati dagli anni e dall'edera che si arrampicava sulle pareti. L'intonaco, staccandosi, aveva creato una polvere finissima, più densa vicino al battiscopa, che velava i colori vivaci del marmo e dei tappeti. I mobili non se la passavano meglio: il letto a baldacchino e l'armadio avevano un paio di colonne e le ante spaccate, mentre il resto del legno stava marcendo. In un angolo, invece, giacevano le macerie di un tavolo da toeletta. Ovunque c'era odore di muffa e d'umido, un odore di soffitta. Mi portai la mano davanti al naso, cercando di respirare il meno possibile.
– Non è confortevole, ne sono al corrente, ma non ho di meglio da offrire al momento – mi disse Jo, eseguendo di fronte ai miei occhi un inchino che mi apparve strano, dato che lui indossava abiti moderni.
– Dove siamo? – gli chiesi, intimorita da quella desolazione.
– A casa – ripeté lui, specificando poi: – Nel nostro mondo.
Non riuscii a ragionare, all'inizio; poi ricordai che quando Jo parlava del "nostro mondo", in realtà intendeva l'altro mondo, la Terra dei Sogni.
– Cosa? – dissi, indietreggiando fino a toccare l'armadio con la schiena. Non era così che l'avevo immaginato. Questo fu il mio primo pensiero. Poi un altro, istantaneo, mi colpì bloccandomi il respiro e aggrovigliandomi le viscere. Com'ero arrivata fin lì?
Io ero solo una come tante, il cui sguardo non riusciva del tutto a oltrepassare il confine. Com'era potuto succedere?

sabato 2 marzo 2019

Rada

Se si scrivono storie di viaggi per mare, ci sono determinati termini che si devono conoscere. I nomi dei venti, i verbi che indicano le azioni che si svolgono sulla nave, specialmente se utilizza le vele; e poi, tutta una geografia diversa, che tra le altre comprende anche questa parola.

Rada [rà-da] s.f. Insenatura riparata dalle onde e dal vento adatta all'ancoraggio delle navi.

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Avendo scelto una parola che riguarda un luogo in cui c'entrano le navi, sapevo che nel brano avrei dovuto inserirne almeno una. E dato che ho già scritto di recente più di un frammento di testo riguardo alla storia di Rachele e Talon, non volevo proseguire con loro (anche se sarebbero stati perfetti). Piuttosto, ho ripreso Le vele della Fortuna, e ho dato spazio a un paio di personaggi che ancora non avevo presentato (scusa Tia, fatti da parte per stavolta!).


Le braccia incrociare sulla balaustra del portico, Ekira guardava fuori, oltre la spiaggia finissima e bianca, oltre l'azzurro cristallino delle onde, oltre le vele ammainate delle navi che riposavano placidamente nella rada. Guardava il cielo oltre l'orizzonte, e io sapevo a cosa stava pensando. Perché era la stessa cosa a cui pensavo anch'io da quando avevamo appurato che la mia teoria funzionava. Io avevo avuto l'idea, lei l'aveva realizzata. Insieme, eravamo una bella squadra.
– Voglio provarci davvero. Più in grande, però – mi disse quando mi affiancai a lei, a inspirare l'odore sottile di sale.
Ne avevamo parlato a cena, un paio di sere prima. Era stata solo un'ipotesi, ma già ne avevamo discusso come se fosse sicuro che saremmo partiti.
– Ci vorranno più persone. Sognatori come noi. Gente che crede nell'impossibile – le ricordai. Mi appoggiai alla balaustra e le sfiorai il braccio col mio nel calore del sole.
Ekira fece spallucce. – Le troveremo.
Vagai con lo sguardo sulla rada, tra pareti di roccia macchiate dal verde di una vegetazione bassa che abbracciavano quel tratto di mare. Era un luogo protetto, un luogo per noi due soltanto, quello in cui avevamo costruito la nostra casa. Ogni tanto avevamo ospiti dalle navi che si fermavano per rifornirsi d'acqua fresca o riparare i danni di una tempesta, ma sostanzialmente, eravamo soli. E a lei non bastava più.
Aprii la mano e liberai il modellino di una barca, appena un guscio di noce. Pensai a quello che stavamo per fare, e la barchetta iniziò a fluttuare sopra il mio palmo.
– Ti ricordi quando siamo venuti a vivere qui? La geomante ha tracciato quelle righe sulla sabbia, proprio laggiù. – Ekira, indicò un tratto di spiaggia sovrastato dalla parete di roccia. – Ci disse il nome di quella figura, e ci predisse il futuro. Un bel futuro.
Poi si girò e afferrò la mia barchetta volante. – Voglio dare quel nome alla nostra nave. Se sei d'accordo, intendo.
– Fortuna Maior – mormorai tra me. – Mi sembra un'ottima idea.