lunedì 16 luglio 2018

Non guardare

(racconto ispirato alla Sfida numero 1. Ho scelto di provare il livello difficile, per guadagnarmi la Piuma di Passero d'oro. In neretto i termini tratti dalle parole del sabato)
 
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.



Eilonwy era pericolosa. Quando ero con lei, non sapevo mai da quante ore mancassi da casa, né quante sorsate d'aria avessi già aspirato dal mio inalatore.
A peggiorare le cose, io non ero lungimirante. Arrivavo sempre al limite, quando sentivo mancarmi le forze e la mia carne farsi pesante, prima di simulare un accesso di tosse come mi aveva insegnato mio fratello, prendere l'inalatore e spruzzarmi in gola il mana concentrato. Sapevo che non avrei dovuto, ma non volevo che lei mi vedesse debole e malato.
Eppure c'era qualcosa di peggio che lei non doveva vedere.
Quel pomeriggio, come al solito, avevo atteso troppo prima di decidermi a usare l'inalatore. Ma quando lo feci, non avvertii alcuno sbuffo d'aria, né il familiare odore d'ozono del mana concentrato. Imprecai e mi appoggiai con l'avambraccio al tronco di un albero.
– Jake, che cosa succede? C'è qualcosa che non va? – mi chiese lei.
– No – mentii. – Va' a casa. Ci vediamo domani.
Spinsi col palmo contro il tronco e arrancai lontano da lei. La testa mi girava e un doloroso languore mi affaticava le membra a ogni passo. Lento. Deliberato. Strascicato.
C'era una soluzione che mi avrebbe dato più tempo, ma non l'avrei usata di fronte ai suoi occhi. Aspettavo di udire i suoi passi che si allontanavano, calpestando i rametti celati nel sottobosco, e invece la sentii avvicinarsi al mio fianco, sollevarmi un braccio e metterselo sulle spalle.
– Che fai? – borbottai, tirandomi indietro, ma lei non mollò la presa.
– Come, che faccio? Vengo con te. Così faremo prima. Avanti, in marcia e niente discussioni.
Non avevo comunque il tempo per tentare di dissuaderla.
– Ok – accettai. – Ma devi fare come ti dico. Niente discussioni.
Eilonwy annuì.
Era una pessima idea. Estremamente rischiosa. Soprattutto perché conoscevo la sua curiosità.
Ma non arrivare in tempo lo era altrettanto. Mio fratello mi aveva rivelato la prognosi, se avessi smesso di respirare il mana che mi manteneva in vita: ottundimento dei sensi, paralisi, morte. Già mi sembrava di vederci sfocato, e di avere un tappo a chiudermi le orecchie.
– Guarda avanti – le dissi, mentre infilavamo un passo dopo l'altro, io appoggiato a lei. – Non ti voltare. Non guardare in giro, non guardare me. Guarda solo avanti.
– Va bene –  mormorò Eilonwy. Uscimmo dalla cortina d'alberi e il sole mi accecò, ma non osai rallentare per abituarmi alla luce. Casa mia non era lontana, conoscevo la strada, ma non mi era mai sembrata così distante. Non sentivo altro che il rumore dei nostri passi sul sentiero e il respiro di Eilonwy al mio fianco, molto più lieve del mio rantolo. Lei non parlava, e andava bene così.
Mancavano pochi metri alla porta quando avvertii qualcos'altro: la mia carne che si ritirava, la pelle che s'induriva e aderiva alle ossa, nera e lucida come una statua di ossidiana.
– Guarda avanti – le dissi ancora, per evitare che si voltasse verso di me alle prime parole dopo tanti minuti passati in silenzio. – Qualunque cosa accada, voglio che tu ti ricordi di una cosa. Sono sempre io. Sono sempre Jake. Non sono diverso, sono sempre il ragazzo che incontri nel bosco, puoi ricordarti di questo, vero?
Lasciai che fosse lei ad aprire la porta mentre mi rispondeva con un "sì" un po' incerto. Impossibile che non sentisse il mio gomito aguzzo premerle contro le scapole, la differenza nella mia voce che raschiava in gola. Non osai immaginare quali domande le passassero per la testa in quel momento, ma non si era voltata, e questo mi bastava.
Entrammo in sala da pranzo. Da qualche parte, in un'altra stanza, veniva una salmodia di voci, e una apparteneva a mio fratello. Chiamai il suo nome e quello di Kàli. Ero a casa, tra coloro che sapevano chi ero e di cosa avevo bisogno.
Mi illusi di essere in salvo.
– Chiudi gli occhi e va' via – ingiunsi a Eilonwy, sentendo che scivolavo a terra, le gambe ormai incapaci di sorreggermi. – Lasciami qui.
– No, io non ti lascio, non finché non c'è nessuno che possa...
– Va' via! – urlai.
Un urlo inarticolato si sovrappose al mio. Alzai lo sguardo da terra, da dove ero rimasto prostrato. Eilonwy mi fissava a occhi aperti, folli di terrore. Portò le mani a tapparsi la bocca, tremando.
Allungai un braccio che sembrava quello di una mummia annerita. Eilonwy indietreggiò, mugolando.
– Ricorda... quello che ho detto – la supplicai, ma lei si voltò e scappò via.
– Questa non ci voleva... Kàli! – chiamò la voce di mio fratello, mentre mi spingeva la maschera di un respiratore sulla bocca e sul naso. Vidi la sciamana superarci, lanciata all'inseguimento. – Respira – mi disse mio fratello, e mi abbandonai alla sensazione benefica del mana che mi riempiva i polmoni in un refolo corroborante. – Va tutto bene, sei al sicuro adesso. Ma dobbiamo fare qualcosa per la ragazza, lo capisci? Non possiamo lasciare che parli a qualcuno di ciò che ha visto.
Annuii. Lo capivo. Ma in quel momento, con il suo ribrezzo e la sua paura stampate nella mente, avrei tanto desiderato di non averla mai conosciuta.

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