lunedì 30 luglio 2018

La ragazza che suona il piano

(racconto ispirato alla Sfida numero 2. Ho scelto di provare il livello difficile, per guadagnarmi la Piuma di Merlo d'oro)
 
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.

 
L'avevo vista da molto prima che venisse a picchiettare con l'indice sulla mia spalla. Non ero andato da lei perché ero curioso: ce l'avrebbe fatta ad avvicinarsi prima che suonasse la campanella?
E inoltre, le ragazze che guardavo io erano di un tipo diverso.
– Emh... ciao! – mi ha detto appena mi sono voltato.
– Ciao.
– Ti ricordi di me?
– Certo. Sei quella che mi è venuta addosso in corridoio. Niente di rotto, spero?
Lei è diventata rossa e ha scosso la testa. Ha rigirato il cellulare tra le mani. Non staccava gli occhi dal display. Pensavo che non avrebbe più detto una parola dopo che le avevo ricordato dell'incidente, perciò ne ho approfittato per presentarmi. – Lo so che non c'è stato il tempo in quel momento, ma... rimediamo ora? Io mi chiamo Leonardo, e tu?
– Do! – ha risposto lei. O almeno, per qualche secondo ho pensato che quella fosse la sua risposta, per quanto stramba, finché non mi ha spiegato: – C'è una nota musicale nel tuo nome. Do.
– Ah, sì, giusto! Non ci avevo mai fatto caso. – Ho visto allora che aveva una chiave di violino legata al collo, così le ho indicato la collana e le ho chiesto: – Ti piace la musica?
Ha annuito e ha stretto il pendente con una mano. – Suono il pianoforte.
– Che coincidenza! Io la chitarra elettrica. Suono con degli amici. Niente di serio, siamo un gruppo di casinisti rock ma... ci divertiamo.
Mi è venuto da ridere. Lei non ha riso con me. Ho visto che guardava il telefono e poi si guardava attorno. Sul display c'era l'ora.
– Ehi, se devi andare, vai pure. Io ho i miei amici che mi aspettano. – Le ho indicato i tre idioti che si erano allontanati quando lei era venuta a salutarmi. Stavano sulla soglia dell'aula, a ridere e a sgomitarsi come dei deficienti.
Lei mi ha fissato con una smorfia triste. Se all'inizio pensavo che mi avesse avvicinato perché le piacevo, a quel punto non avevo la minima idea di che cosa volesse da me.
– Senti... – ha cominciato lei. La campanella ha suonato. Lei ha alzato la voce per farsi sentire, ma per capirla mi sono dovuto avvicinare lo stesso. – Ci... ci scambiamo il numero di telefono... vuoi?
– Ah, sì, certo!
Le ho dettato il mio numero. Lei lo ha salvato, poi mi ha fatto uno squillo per passarmi il suo. Solo a quel punto mi sono reso conto che ancora non sapevo il suo nome. – Scusa, com'è che ti chiami? A meno che non vuoi che ti salvo come "la ragazza che suona il piano"...
– Alessia! – ha risposto subito lei. – Alessia Bentivoglio. Allora, emh... ci sentiamo! – ha detto, agitando il telefono mentre mi sorrideva.
L'ho guardata voltarsi e correre via, finché non è sparita dietro l'angolo del corridoio. Era carina. Non bella come le ragazze a cui andavo dietro io, e stramba, ma... carina.
Alessia Bentivoglio.
Lì per lì non avevo capito se mi aveva detto il suo cognome o fatto una dichiarazione.
Adesso che la conosco meglio mi rendo conto che forse era un po' tutt'e due.

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