giovedì 31 maggio 2018

Il GPF

(racconto ispirato dall'esercizio Nelle sue zampe. Ho scelto di mettermi nelle zampe di un gatto bianco e nero che ho incrociato)
 
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Me ne andavo tranquillo tranquillo per la mia strada riflettendo sul GPF, quand'ecco che da lontano mi viene incontro quell'esemplare umano che cammina baldanzoso come se la strada fosse sua. Non sono un grande esperto di umanologia, ma così a naso ho l'impressione che sia una femmina... no, un maschio... anzi, no: una femmina. Va be', non importa. L'importante è che l'umana occupa la mia strada, e per tutta l'erba gatta, per questo affronto si merita una lezione. Così, prima che si avvicini troppo, mi defilo tra l'erba alta a bordo strada, da dove posso portare un attacco a sorpresa che di sicuro la stenderà...
Oh, madre felina, mi ha visto. L'umana mi ha visto. Ma come ha fatto, dico io, con quei suoi occhietti strambi?  E va bene, niente agguato, ti sei salvata per questa volta, umana. Ti concedo il permesso di passare sulla mia strada, ma niente mosse brusche, non facciamo scherzi, capito?
L'umana si ferma. Mi fissa come se non avesse mai visto un gatto. Che c'è da guardare? Muoversi, circolare, circolare... e invece no: quella resta lì impalata e inizia a fare quei versi e quegli schiocchi tipicamente umani.
Che c'è, umana? Che cosa vuoi? Ma è mai possibile che nessuno di voi abbia ancora imparato a miagolare chiaro? Le faccio segno con la coda di andare via, che io ho altro da fare, ma niente, non capisce. Più passa il tempo, e più gli umani regrediscono. Almeno migliaia di anni fa, all'epoca di quei disegni di profilo sui muri e di quelle montagne a punta, gli umani avevano capito qual era il nostro posto nell'universo.
Finalmente l'umana comincia ad annoiarsi e se ne va. Ottimo, giusto in tempo, perché mi stavo annoiando anch'io. Sbadiglio. E poi mi torna in mente quello che si era detto alla riunione felina. Ma certo, il GPF. Come ho fatto a dimenticarmi del GPF.
E allora, invece di andare avanti per la mia strada, giro il posteriore e la seguo. Coda dritta. Occhi, orecchie, vibrisse e naso all'erta. In modalità perfetta spia felina.
L'umana si gira, mi fissa, rallenta. Non guardare me, umana, non c'è niente da vedere qui, solo un gatto come un altro. Vai pure avanti per la mia strada e fai quello che devi fare, senza badare all'inquietante figura alle tue spalle che ti tallona come un'ombra.
In fondo, non devo fare niente di cui tu ti debba preoccupare: solo raccogliere le ultime informazioni sulle abitudini umane prima del GPF.
Il Grande... Piano... Felino.
Più tardi, questa sera, ho un appuntamento con Ginetto, il mio tiragraffi personale, per affilarmi le unghie. E poi con la mia lingua, per lucidarmi il pelo. Devo essere pronto perché domani è il gran giorno.
A meno che non piova, costringendoci a rimandare di nuovo come l'ultima volta. Ma se non piove ormai è deciso, il gran giorno è domani.
Domani, i gatti conquisteranno il mondo.

lunedì 28 maggio 2018

La gabbia per umani

(racconto ispirato dall'esercizio Nelle sue zampe. Ho scelto di mettermi nelle zampe e nelle piume di un passerotto alla finestra di bambino)
 
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Toh, una gabbia per umani. Ne avevo sentito parlare, ma non ne avevo mai vista una. Questa è rettangolare, con le sbarre che salgono su come tronchi di arbusti e che dei tronchi hanno pure lo stesso colore. La bestiolina umana, che è più piccola di quelle che di solito mi rincorrono per cercare di mangiarmi, se ne sta distesa e schiacciata contro le sbarre. Ha gli occhi chiusi. Sta dormendo? Ma come fa se non ha la testa sotto il braccio, anzi, è il braccio a essere sotto la testa, vorrei avvertirlo che è tutto sbagliato. Io fin da quando ero nel nido sapevo come si dorme! Chissà, forse è solo stanco perché ha provato a scappare dalla gabbia tutto il giorno e adesso non ce la fa più, povero cucciolo. Forse ha provato a raggiungere quelle belle cose colorate che ci sono fuori dalla gabbia, sono dappertutto, di tante forme, lisce, pelose, grandi, piccole, rosse, verdi e gialle… sfido io che si sia addormentato. Meglio che me ne voli via prima che si svegli e pigoli per chiamare gli altri umani. Anche se un dubbio mi rimane: ma se a mettere gli uccellini in gabbia sono gli umani, chi può essere tanto più grande e crudele da mettere in gabbia uno di loro?

sabato 26 maggio 2018

Tenzone

Forse riconoscerai nella parola di questo sabato il significato di combattimento, avendolo sentito nell'espressione "singolar tenzone", ovvero duello. Ma lo sapevi che la tenzone era in origine una sfida poetica?

Tenzone [ten-zó-ne] s.f. 1. In epoca medievale, scambio di componimenti poetici, in forma di botta e risposta, tra due poeti che si confrontavano, talora scherzosamente, su argomenti vari. 2. lett. Aspro contrasto verbale, disputa. 3. lett. Combattimento, scontro armato.

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La mia idea? Usare più di uno dei suoi significati nel medesimo brano. Quanto ai protagonisti, poesia come il solito equivale a Jasmen, e conoscendo Jasmen, il suo avversario non può che essere uno.


E infine decidemmo di risolvere il nostro diverbio con una tenzone. Non vedevo altro modo di appianare le nostre divergenze, se non quello di sfidarci e decretare un vincitore.
– Domani, a mezzodì, in piazza. E che vinca il migliore!
Ci lasciammo così, e ognuno si ritirò per prepararsi. Non sapevo che luogo avesse scelto mio fratello per comporre i suoi versi; quanto a me, la biblioteca della nostra dimora era sempre stata la stanza che mi era più congeniale. Passai il pomeriggio e parte della sera a ideare strofe salaci. Alla fine avevo un sonetto e un poema composto da otto ottave. Ero soddisfatto, ma la mia opinione non mi bastava.
Mi concessi una cena leggera e declamai le mie opere di fronte a una domestica. Il suo entusiasmo per entrambe non fu d'aiuto, e rimandai al giorno dopo la scelta di quale tra le due armi usare per la sfida.
Il giorno della tenzone non riuscii a mangiare. Ero troppo nervoso. Non avevo mai letto le mie poesie di fronte a un vero pubblico. I versi satirici dei manifesti che appendevo nottetempo erano noti, ma li scrivevo sotto pseudonimo.
Scelsi all'ultimo minuto il sonetto. Mentre uscivo, incrociai mio padre.
– Tua madre ieri ha cercato di convincere Josiac a ritirare la sfida – mi disse. – Non lo ha mollato un attimo, perciò partirai in vantaggio, riposato e pronto. Quasi mi sento di puntare su di te... comunque vada, era ora che voi due vi decideste a crescere. Sono fiero di voi.
I suoi complimenti mi risultarono strani. Non aveva mai apprezzato la mia inclinazione per la poesia: per lui ero solo "scribacchino buono a nulla".
Non capii finché non raggiunsi la piazza, e mentre mi avvicinavo alla Predella del Poeti vidi mio fratello con a un domestico a fargli da scudiero e un vasto assortimento di armi. Mi concesse di scegliere, e allora compresi che avevamo sempre inteso un tipo diverso di tenzone.
– La penna – dissi, sventolando la pergamena col sonetto. – È la mia scelta.
Per quella volta terminò tutto con una risata e una folla delusa.

giovedì 24 maggio 2018

Protagonisti bestiali

Avere per personaggi di una storia degli animali non è una scelta così insolita. Fin dai tempi di Esopo e delle sue favole, i personaggi animali sono stati sulla scena... e non come comprimari, ma come protagonisti. Erano per la maggior parte, più che animali veri e propri, una metafora delle varie tipologie umane; con il tempo e con il progredire delle conoscenze del comportamento animale, si è cominciato a scriverne in modo sempre più realistico. Ma il fascino delle favole non è ancora tramontato.

Questi sono i tre modi che mi sono venuti in mente di mettere nero su bianco un protagonista bestiale. Mi auguro ti possano essere d'aiuto per scrivere un brano per l'esercizio Nelle sue zampe.

  • Umanizzati

È il modo di renderli nelle favole, nei racconti umoristici e nelle storie per bambini. In questo caso, pur mantenendo la loro forma, gli animali hanno pensieri, obiettivi e comportamenti tipici degli esseri umani. Talvolta camminano eretti su due zampe, parlano o indossano dei vestiti. È il caso, ad esempio, del Gatto con gli stivali, oppure del Grillo parlante, del Gatto e della Volpe nella storia di Pinocchio. Gli animali umanizzati smettono di essere animali e diventano simboli di vizi e virtù: attraverso di loro, come in uno specchio, vediamo rappresentato il nostro mondo interiore.

  • Semplificati

Se vuoi scrivere di animali che siano davvero animali, ma non hai conoscenze approfondite di etologia, quello che ti conviene fare è semplificare. Puoi anche non sapere che colori percepisce il cucciolo di casa, o cosa significano esattamente i movimenti della sua coda, ma l'hai osservato abbastanza a lungo da sapere cosa preferisce fare durante il giorno, cosa lo spaventa e cosa lo attrae. D'altra parte, i bisogni primari sono ormai universalmente noti, e sai riconoscere come ti comunica che ha fame, o che vuole un po' di coccole. Non occorre una laurea per raccontare la vita e la psiche del cocco di casa.

  • Realistici

Sei cresciuto a Piero Angela e Superquark, e quindi nemmeno l'ornitorinco ha più segreti per te. Scrivere di un cane, di un gatto, di un canarino o di qualunque bestiola accompagni le tue giornate è un gioco da ragazzi, e arriverai probabilmente molto vicino a indovinare il suo pensiero del momento interpretando la postura, come tiene orecchie e coda, come intona suoi versi. Il tuo brano sarà interessante e istruttivo da leggere, ma per favore, non esagerare. Come avviene per la costruzione di un mondo fantastico, la conoscenza che hai dell'argomento non deve essere l'obiettivo della tua scrittura, bensì un mezzo per raccontare una storia o descrivere una scena. Altrimenti diventerà solo uno sfoggio fine a se stesso.


Ovviamente questi tre modi di rappresentare un animale non sono compartimenti stagni, ma possono essere mescolati e trovarsi in vari gradi in diversi punti del testo. Ora tocca a te: come hai voglia di scrivere il tuo brano per l'esercizio Nelle sue zampe?

lunedì 21 maggio 2018

Nelle sue zampe

È di nuovo lunedì, e con il lunedì eccomi pronta a proporti una nuova missione.

Questa volta si tratta di qualcosa di speciale. E, allo stesso tempo, qualcosa che potresti scrivere senza guardare più in là della stanza in cui ti trovi. O della tua casa, se mentre leggi queste righe sei altrove.

Ti ricordi quel detto sul camminare nelle scarpe di qualcun altro per comprenderlo meglio? Dimentica le scarpe, perché la creatura in cui ti dovrai immedesimare le scarpe non le porta. Ti toccherà metterti direttamente nelle sue zampe.

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Se hai un gatto, un cane, o qualsiasi altro amico dotato di zampe (il numero non conta), guardalo, chiediti cosa sta pensando, e scrivi un brano.

Ammettilo: di sicuro ci saranno stati momenti in cui te lo sei chiesto. Ma cosa gli starà passando per la testa? Con l'esercizio di oggi, puoi provare a trasferire su carta, o su uno schermo, una risposta a questa domanda. E come non importa il numero di zampe del tuo soggetto, non importa nemmeno che la risposta scritta da te sia più o meno verosimile, oppure più affine a una favola o a un monologo comico. Provaci. E lasciati sorprendere dal risultato.

In caso contrario, scegli una specie, domestica o selvaggia, e prova a immaginare l'incontro con un umano attraverso gli occhi dell'animale.

Se non hai un soggetto in carne, ossa e pelo o piume nelle cui zampe provare a metterti, la tua missione sarà un po' più difficile, ma non impossibile. Ti occorre solo più fantasia per saltare un po' più in là con l'immaginazione. Forse farai appello alla tua memoria di un documentario, o della visita in un parco faunistico. O forse risalirai più indietro, a un amico della tua infanzia (e no, non mi riferisco a quel compagno di banco che imitava alla perfezione questo o quel verso animale).


In qualunque modo sceglierai di intraprendere questa missione, lascia il tuo brano nei commenti, o fammi sapere in quali zampe hai deciso di provare a infilarti, e se l'esercizio ti ha fornito una prospettiva diversa da cui partire a scrivere.
E se hai altri commenti o idee che ti va di condividere, mi troverai qui, all'ombra di una piuma.

sabato 19 maggio 2018

Solluchero

Per questo sabato ho scelto una parola allegra, dal suono quasi comico. Io conoscevo la variante con due ci, ma come altre parole italiane (obiettivo/obbiettivo, per esempio) sono corretti entrambi i modi di scriverlo.

Solluchero [sol-lù-che-ro] o sollucchero s.m. Soddisfazione provata nel sentirsi appagato; è usato quasi solo nelle locuzioni andare, mandare in solluchero, provare, suscitare tale sentimento.

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Sono andata in sollucchero al pensiero di sfruttare, per il brano in cui uso questo termine, il contrasto tra un termine buffo e un personaggio crudele e oscuro. Pensiero che ho messo da parte quando ho trovato l'immagine con cui accompagnare il post, che mi ha suggerito quanto sarebbe stato simpatico mandare in sollucchero il brontolone Castai di Fratelli degli alberi. Riesco a immaginarmelo proprio con questa espressione! Alla fine però non ho trovato niente che riuscisse a farlo sorridere, quindi sono tornata al precedente cattivone gongolante.


– Ma dai, perché quella faccia, piccola? – Thiss imitò il broncio della ragazza, ma le fiamme oscure delle sue pupille guizzarono di divertimento nelle iridi rosse. – Sssolo perché ti ho appena confesssato che mi manda in sssollucchero l'idea di torturare un ragazzo innocente? – chiese, con il sibilo che tornava a infilarsi tra le sue parole ogni volta che pronunciava una esse.
Whiteray strinse tra le mani la Bacchetta del Giglio, quasi avesse potuto usarla come uno scudo contro l'altro. – Tu sei un mostro! – lo accusò.
Thiss cacciò la lingua biforcuta fuori dalle labbra e agitò l'indice della mano destra. – Non è affatto carino giudicare qualcuno dal sssuo assspetto, capelli bianchi. La tua mamma non te lo ha insssegnato? – Thiss s'interruppe e pose la mano dinnanzi alla bocca, ma da entrambi i lati gli angoli delle labbra si sollevarono. – Opsss! Ssscordavo: tu hai mandato la tua povera mamma sssottoterra, nascendo. Il che sssolleva qualche dubbio sssu chi sssia il vero mossstro, qui.
Whiteray curvò le spalle e sentì un tremito, che era per metà rabbia e per metà dolore, scuoterla da dentro. Thiss riusciva a toccare gli angoli polverosi in cui aveva chiuso il suo sconforto notte dopo notte. Mentre se ne stava lì occhi a terra, sotto il baldacchino verde della selva lussureggiante, la ragazza sentì un sibilo carezzarle l'orecchio.
– Sssai cosss'altro mi fa andare in sssollucchero?
Whiterai si tirò indietro. Non lo voleva sapere, ma l'altro proseguì ugualmente.
– Le persssone che mi consssegnano ciò che ho chiesssto. – Le fiamme negli occhi di Thiss danzarono ipnotiche. – Accontentami, capelli bianchi, e possso consssiderare l'idea di lasciar andare quel povero diavolo che sssi è trovato invissschiato in una sssituazione che non lo riguarda affatto. Oppure non farlo, e lui resssterà nelle mie grinfie, a divertirmi. In ogni cassso, io sssarò appagato.

giovedì 17 maggio 2018

Dietro una porta chiusa

(racconto ispirato dall'esercizio Un tocco di fantasia. Ho scelto come creatura di fantasia una mutaforma di Penterra, che come altri esseri abituati alla libertà ha qualche problema con gli spazi chiusi)
 
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L'umano se ne va e la porta si chiude alle sue spalle. Resto da sola, in un posto così bianco e luminoso da farmi bruciare gli occhi. L'umano mi ha tradito.
Sono in trappola.
Allungo le unghie in artigli mentre percorro i confini di quella superficie bianca. Salto sopra ogni ostacolo, alcuni cedevoli come la terra bagnata, altri solidi come tronchi. Non trovo alcuno spiraglio, per quanto piccolo, in cui potermi infilare. Nessuna via di fuga.
Questa è una gabbia. Diversa da quelle che mi ha descritto Galkna. Ma pur sempre una gabbia.
La porta che prima si è mossa da sola sembra essere la parte più debole e la più sottile. Mi dico che forse, indurendo i miei artigli e graffiandola abbastanza a lungo nello stesso punto, posso riuscire ad aprirmi una via verso l'esterno.
Mi siedo e mi metto all'opera.

Non ho ancora finito, e non so quanto tempo sia passato dato che non vedo il cielo da qui, quando sento i passi dell'umano avvicinarsi alla porta della gabbia. Mi tiro indietro e mi tengo pronta a saltargli addosso, se aprirà la porta.
La porta si apre. Ma subito un buon profumo di carne mi arriva alle narici e le mie viscere si aggrovigliano, ricordandomi da quanto non mangio.
– Sono venuto a portarti qualcosa che spero sia di tuo gradimen... che hai fatto qui? – L'umano alza la voce alle ultime parole, poi sibila qualcosa che non capisco, ma che mi pare un ringhio. Gli ringhio anch'io contro, mentre i miei denti fuoriescono dalle labbra in forma di zanne lunghe e affilate.
– Ylenia! – urla l'umano. Appoggia di lato quello che teneva in mano e che profuma di carne, fa un passo avanti e la porta si chiude alle sue spalle. – Avevamo un accordo. Non posso proteggerti dagli altri umani se riveli il tuo vero aspetto in questo modo, ricordi?
La voce dell'umano sembra diversa mentre lo dice. Ringhio ancora, e gli rammento a mia volta, nella sua lingua: – Tu tradito accordo. Tu messo me in gabbia.
– Questa? – L'umano rivolge gli occhi alla superficie bianca dietro di me. – Ma questa non è una gabbia. Questa è una camera. Un luogo dove gli esseri umani come me vanno a dormire. Se devi fingere di essere una di noi, ti conviene abituarti. E non ti lamentare delle dimensioni, la mia è poco più grande di questa!

lunedì 14 maggio 2018

Fiori recisi

(racconto ispirato dall'esercizio Un tocco di fantasia. Ho scelto come creatura di fantasia una fata, alle prese con una controversia sul modo di trattare i fiori)
 
 
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13° giorno di Rosapetalo, Taverna del Buon Ristoro, Alteys

Gli esseri umani sono creature strane. Ancora non ho capito se sono cattivi oppure no. Sono certa che Taliesin non lo sia. Degli altri, non saprei dire.
Gli altri guardano sempre le mie ali quando parlano con Taliesin, e con me non parlano mai. Ho sempre pensato che le stessero soltanto ammirando, ma ieri è accaduto qualcosa che mi ha messo un po' paura.
Ci eravamo fermati a mangiare in una taverna molto simile a questa, con panche attorno ai tavoli al posto di quelle scomode sedie che devo sempre girare di lato per accomodare le ali. Taliesin aveva appena terminato i suoi canti di terre lontane, e ci spettavano pane e formaggi e marmellate e frutta e acqua come ricompensa, ma prima delle pietanze, la donna che vive nella taverna portò qualcosa che non avevo mai visto prima. Era... mi fa ancora tremare al ricordo, e faccio davvero tanta fatica a ripensarci e a descriverlo. Era, per usare le parole di una delle ballate di Taliesin, una tomba d'acqua. E lo so che lui le dice per raccontare di qualcos'altro, ma quelle sono le parole più adatte.
Era una boccia trasparente, riempita d'acqua fin dove il vetro si apriva in forma di petali. E lì, ficcati dentro, innumerevoli corpi di fiori stretti l'uno all'altro, ognuno mutilato, strappato alla sua radice.
Non ci credevo, all'inizio; ma appena ho capito di aver visto proprio quello che avevo visto, ho gridato e ho nascosto il volto tra le mani.
"Non piacciono i fiori alla bella signora?" Così ha chiesto a Taliesin la donna della locanda, e sono quasi sicura di ricordarmi le parole esatte. "Perché fa così la vostra signora fata, forse non li trova di suo gusto? Vado a prenderne altri di fiori, fiori più belli, fiori più freschi, ne ho di splendidi nel giardino qui dietro, ma vi prego, calmatela, per favore... mi sta spaventando i clienti!"
Ho sentito Taliesin bisbigliarle di portarli via, e il rumore di passi, e il tocco di dita umane sul mio braccio. Ho ascoltato la voce rassicurante del bardo che mi diceva che potevo aprire gli occhi, e li ho aperti, e la tomba d'acqua non c'era più.
Più tardi, mentre mangiavamo, ho chiesto a Taliesin perché la donna della taverna avesse fatto quella cosa terribile ai fiori. Lui mi ha spiegato, ma ancora fatico a capire. Una cosa però mi è rimasta impressa: la donna umana ha strappato i fiori perché le piacevano, perché pensava che fossero belli.
E adesso, quando gli umani per la strada guardano le mie ali e bisbigliano tra di loro o chiedono a Taliesin se io sia davvero una fata e gli dicono di come sia incredibile a vedersi, io mi domando quanto ci metteranno a provare a strapparmi le mie belle ali per metterle in una boccia d'acqua.

sabato 12 maggio 2018

Rorido

Il termine di oggi è il parente aulico di "rugiadoso". E secondo me, anche se quest'ultimo è immediatamente comprensibile a intuito pure per chi non l'ha mai sentito prima, la parola qui sotto suona decisamente meglio.

Rorido [rò-ri-do] agg. lett. Bagnato di rugiada; estens. umido, madido di sudore.

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Rugiada per me è come dire prati e fiori, che è come dire driadi, che è come dire Lily Selvanima. È inutile, non posso farci niente: sempre da lei capito, con questo tipo di parole!


Quando Lily entrò, il dottor Emiliano Carrari stava guardando l'orologio.
– So che sono in ritardo, mi dispiace! Sono stata... trattenuta. – La ragazza aveva i capelli roridi e la suola delle scarpe bordata di fango; a un'occhiata dello psicologo, scovò e tolse una fogliolina dalle ciocche rosse.
Si sedette al solito posto e, come al solito, non seppe come iniziare. Non sapeva come dirgli che pensava di non aver più bisogno di quelle sedute.
– Nulla di brutto, spero – esordì lo psicologo.
Lily scosse la testa. – Oh, no, no! Tutto il contrario. – Lily accarezzò il disegno delle tre rose sul dorso della mano sinistra.
– Ne vuole parlare?
La ragazza arrossì e sbirciò la parete di fondo. – È che... è complicato. – Oltre quel muro si trovava lo studio del dottor Saverio Carrari, il suo Mirto, che probabilmente stava iniziando la seduta con uno dei suoi piccoli pazienti. Lily si augurò che avesse avuto più tempo di lei per tornare a casa a ricomporsi. Lei era riuscita solo a rinfrescarsi e a cambiarsi d'abito.
Sentì a malapena la domanda, assorta nelle reminiscenze della notte scorsa. – E pensa di essere pronta per qualcosa di complicato?
– Sì...
Di solito andavano nel bosco per fare cose da driadi, far crescere le foglie, respirare il sole o assaporare la vita da dentro la scorza di una corteccia, ma quella notte... quella notte era stata l'esperienza più umana che Lily avesse mai condiviso con lui. Anche se, essendo entrambi chi erano, non era stata completamente, del tutto, solo umana.
– Chissà a quante nuove specie abbiamo dato vita, stanotte – le aveva sussurrato Mirto, accarezzandole la fronte tra l'erba e i fiori roridi. La rugiada aveva reso i colori più vivi, l'azzurro più intenso, il giallo più luminoso, il verde più brillante, il rosso che quasi ardeva tra le gocce. Lily gli sorrise.
La pace languida del mattino era finita bruscamente quando lei si era accorta che era tardi. Insieme, come una coppia qualsiasi, si erano alzati e avevano cercato gli indumenti mancanti.

giovedì 10 maggio 2018

Fantasia coerente

Lunedì ti ho proposto di provare, con l'esercizio Un tocco di fantasia, a metterti nei panni di una creatura non umana... o non del tutto tale.

Se già avuto l'occasione di leggere o scrivere storie che appartenessero all'universo del fantastico, oppure della fantascienza, è molto probabile che tu abbia almeno un po' di esperienza con un punto di vista inusuale. Forse ti sei anche documentato su quanto c'è da tenere d'occhio nell'ideare un personaggio che sia diverso da un essere umano. L'argomento è talmente vasto che non è possibile esaurirlo nello spazio di un post, e d'altra parte ognuno di questi personaggi è "strano" a modo suo. Questo non è un manuale su come inventare il personaggio fantasy perfetto; piuttosto, una raccolta di questioni che mi hanno infastidito o reso perplessa durante la lettura, e di problemi che ho notato tra le mie vecchie pagine.

Anatomia

Se il personaggio ha un'appendice fisica ingombrante, occorre ricordarsene sempre, e capire come può influenzare i suoi movimenti.

Prenderò ad esempio il caso delle ali perché ho fresco nella memoria un romanzo che ho letto con un personaggio alato. Il semplice atto di infilarsi un vestito, di sdraiarsi sulla schiena, di camminare tra la folla cambia con un paio d'ali dietro le spalle. Se inoltre il personaggio in questione non è abituato ad averle, quelle ali... come saprà chiunque abbia indossato un costume da fata o da angelo, prendere le misure non è semplice, almeno all'inizio. C'è da considerare, sì, che le ali di un costume non sono mobili e sono prive di sensibilità, ma di certo non sono grandi come quelle che potrebbe avere il personaggio volante. E non mi sono ancora addentrata sull'argomento volo, che aggiunge una dimensione nuova a quelle che solitamente consideriamo nello spostarci a terra.

Un altro esempio che mi viene in mente, stavolta da un telefilm, è quello di una creatura con una coda talmente lunga da strisciare a terra. Gli sceneggiatori, nello scrivere il copione, non avevano considerato l'eventualità che un altro personaggio rischiasse di pestarla, così come può accadere talvolta con i piedi in un ambiente affollato. Ma durante le riprese, con i costumi di scena addosso, l'attrice si è accorta che qualcuno stava per camminare sopra alla sua falsa coda, si è girata, e ha esclamato: "Ehi, attento alla coda!". Una scena che suonava così naturale, seppure improvvisata, che è stata tenuta.

Usi e costumi


Un altro dettaglio, che però tanto dettaglio non è, su cui penso sia necessario riflettere quando si crea un'intera comunità di creature fantastiche, è questo: trovare un insieme di credenze e modi di fare e comportamenti che sembri naturale per quel tipo di creature, e non una semplice parodia delle usanze del tuo tempo e della tua nazione (a meno che la storia stessa non sia intesa come parodia, ovvio), o una ripresa di quelle di un'epoca d'oro del passato.

Mi è capitato di recente, spinta da una recensione che mi aveva molto incuriosito, di provare a leggere l'inizio di un romanzo. Nella recensione si faceva riferimento ai riti e ai costumi affascinanti di questo popolo (inventato dall'autrice). Tutto molto bello, sulla carta. Finché non leggo una degli appartenenti a questo popolo criticare la moda delle ragazze umane, a suo dire "troppo poco femminile" per l'uso dei pantaloni al posto della gonna e per un taglio di capelli troppo corto. Dimostrando un concetto di femminilità fin troppo umano per una razza che si è evoluta in modo indipendente, pur conoscendo l'esistenza della nostra. Invece di, ad esempio, abbinare la femminilità a un taglio simmetrico degli abiti e la virilità all'asimmetria, oppure rispettivamente a colori caldi e freddi, o anche non prendere per nulla in considerazione la distinzione.

Si può inventare così tanto con l'uso della fantasia temperata dalla giusta dose di coerenza, che creare una bruttacopia della nostra società mi sembra semplicemente uno spreco di risorse.


E tu cosa ne pensi? C'è qualcosa che ti ha infastidito nella lettura di un fantasy, o che ti sei accorto di aver reso male in ciò che scrivi? Hai letto un romanzo del genere che ti ha sorpreso per la sua inventiva e lo ricordi come esempio da seguire?
Se hai qualcosa da dirmi, lascia il tuo commento qui sotto!

lunedì 7 maggio 2018

Un tocco di fantasia

Benvenuto, finalmente, nel mio regno!

Qui troverai creature insolite e bizzarre, piume, squame, zanne, peli e artigli... no, non mi riferisco al regno animale. Anche se, a guardare alcune di queste creature, potrebbe sembrarlo. Mi riferisco al regno, o ai regni, della fantasia.

Chi incontrerai in questi mondi incantati (o anche fantascientifici, perché no) dipende solo da te. Io ti lascio carta bianca, e ti ricordo soltanto i dettagli di questa missione, augurandomi che possano esserti di ispirazione:

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Scrivi un brano con protagonista e punto di vista una creatura di fantasia. Deve avere almeno una caratteristica fisica evidente a distinguerla da un essere umano.

Puoi ispirarti a una mitologia, alle favole, ai classici della letteratura fantasy o inventare di sana pianta. Che siano ali, corna, coda, pinne, orecchie, un paio di braccia in più o il torso e le zampe di un cavallo, l'importante è che sia evidente, fin dalla prima occhiata, che la tua creatura non è un uomo o una donna qualsiasi.

Il resto dei personaggi è, appunto, umano.

Prendi questo personaggio e piazzalo nel nostro mondo, tra esseri umani. O in alternativa, prendi uno o più esseri umani e spostali nella terra popolata da altre creature simili al tuo personaggio. Che cosa li ha portati dove si trovano (a parte, ovviamente, la tua fantasia)?

Tema del racconto: differenze culturali.

C'è un modo di fare, un'usanza, una consuetudine diversa che mette in difficoltà la creatura o gli umani? È la creatura che non riesce a comprendere i costumi degli umani, o viceversa? Quali sono le reazioni, da entrambe le parti? Come possono risolvere il problema? Sempre che si risolva: il tuo brano potrebbe anche essere il preludio di una guerra.


Ti lascio a rimuginare su questi spunti, ma se le rotelle non ti si sono ancora messe in moto, oltre alla mia riflessione sull'argomento che potrai trovare giovedì, posso darti se lo desideri una spintarella iniziale da sfruttare così com'è, modificare a seconda delle tue esigenze o se non t'ispira, lasciar pure da parte. Puoi cominciare la tua storia con queste parole:

"Era iniziato tutto da un dettaglio ridicolo..."

A te, e alla tua creatura, il compito di continuare. Scrivimi il tuo brano tra i commenti se te la senti: tra quelli inviati ne sceglierò uno come protagonista del post guest star la prossima settimana. Se invece hai scritto un racconto ispirato dall'esercizio ma non ti senti pronto a mostrarlo in pubblico, non fa niente. Mi basterà sapere di esserti stata utile, perciò fammelo sapere con un commento!
Buona scrittura, e buon viaggio nei territori della fantasia.

sabato 5 maggio 2018

Quassazione

Non sono una sostenitrice dell'uso di termini eccessivamente specialistici. A parte quando ne parla un personaggio che conosce alla perfezione l'argomento, e che per qualche motivo (abitudine, presunzione, l'intento di celare ciò di cui sta parlando ai non addetti, o al contrario, un dialogo con altri esperti del settore) preferisce non usare parole più semplici. Questo però lo trovo interessante.

Quassazione [quas-sa-zió-ne] s.f. Operazione farmaceutica del frammentare sostanze secche per ricavarne oli ed essenze.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Ho più di un personaggio che si diletta in "erbologia" e materie affini, dalla classica strega alla guaritrice a una più semplice cuoca, che però ha i suoi segreti da mantenere e altri trucchi nascosti nelle maniche. Ma ultimamente c'è un gruppo che riempie i miei pensieri, e ho deciso di dare spazio a loro.


Ethan sedeva sul tavolo mentre effettuavamo la quassazione dei semi che avevamo raccolto: Rosaura pestava i semi di lino chiacchierando senza sosta con Clara, Alice riduceva i semi di papavero in una finissima polvere nera e le altre sciamavano dal bancone alla stufa, dove in un paio di pentolini bollivano le nostre misture, riempiendo la cucina di un aroma dolce e pungente. Io sminuzzavo l'anice stellata e controllavo di tanto in tanto che mio figlio Ethan non si mettesse nulla in bocca. Sorrisi al bambino, che dondolava le gambe oltre il bordo del tavolo e mi fissava con grandi occhi scuri. Ormai riuscivo a leggere i mutamenti del suo aspetto, e i capelli biondi mi parlavano del suo stupore molto più della sua espressione. Ero sorpresa anch'io, almeno un po'. E felice. Era da tanto che non passavamo un pomeriggio così.
Gli eventi di due notti prima sembravano un passato lontano.
Almeno, finché il bambino non fece quella domanda.
– Quando arriva papà?
Clara mi guardò e rabbrividì. Il mormorio delle altre si spense all'istante.
– Non glielo hai ancora detto? – sibilò Rosaura. La capivo. Miraela era stata la sua migliore amica, prima che una sorella per tutte. La più timida e la più debole tra noi. Non ci aveva sorpreso quello che il suo Caduto aveva fatto.
Eravamo in dieci, all'inizio. Ed era bello. Poi, come i semi sul tavolo, eravamo state frantumate, spezzate, distrutte. L’essenza strappata dai corpi e dalle anime, vittime di una meticolosa quassazione. Non avevamo la forza di ribellarci, finché non era stato tardi.
Due notti fa avevamo usato ciò che i nostri angeli maledetti ci avevano insegnato per respingerli.
Alice si protese sul tavolo e mormorò: – Tesoro, il tuo papà non tornerà più.
I capelli di Ethan si tinsero di nero prima che il bambino iniziasse a piangere. La legna nella stufa s'incendiò in una vampata e l'acqua nei pentolini bollì furiosamente.
– Perfetto, Alice, proprio perfetto – sbottò Ingrid. – Ti pareva il caso di far arrabbiare il demonietto di Maria?

giovedì 3 maggio 2018

Hawaii, 1555

(racconto ispirato dall'esercizio Le differenze contano)

Anche in questo caso ho scelto di differenziare il personaggio punto di vista per mezzo di due dettagli: il genere e il periodo storico.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Tutto ciò che riuscivo a vedere, piedi scuri sulle pietre sbiancate dalle onde. Leilani avanzava lentamente, con giudizio. Avrebbe potuto correre su quelle pietre che conosceva palmo a palmo, ma non voleva lasciarmi indietro. Mi stava insegnando la strada. E nel frattempo, io bevevo le storie dalle sue labbra come un assetato a una fonte pulita.
– È una leggenda – diceva Leilani. Figlia del cielo l’avevano chiamata, lei che del cielo sapeva ogni cosa. Sapeva interpretare la forma delle nuvole, descrivere i colori del tramonto.
– L’uomo con la stella verrà dall’oceano, nel mese che tu chiami novembre.
Novembre era adesso. Sulla fronte le si formò una ruga. Si fermò e si girò verso la spiaggia.
Gli stranieri avevano smontato il padiglione. Erano tutti in fermento. Stava per succedere qualcosa. La nave ancorata al largo presto sarebbe partita.
La gente di Leilani credeva che se l’uomo con la stella avesse sposato la figlia del cielo più niente di brutto sarebbe accaduto sull’isola. Mi sarebbe piaciuto restare, se solo non avessi avuto una corazza addosso.