giovedì 30 maggio 2019

Personaggio: Jossintaur degli Erranti

L'idea era quella di presentare una persona amata completamente diversa da quella di lunedì. Inizialmente avevo immaginato una donna, qualcuno magari con un carattere opposto a quello di Jake. Leda e Helanna, da Penterra, erano due candidate possibili. Poi ho capito che la cosa più interessante non era un personaggio diverso, bensì un tipo di relazione diversa. E mi è venuto in mente lui:

Immagine creata con Mega Anime Avatar Creator di Rinmaru Games


Non lo avevo programmato, ma è stata una bella coincidenza. Sto idealmente "chiudendo" il cerchio aperto dalla prima tipologia di personaggi, ovvero la persona comune, presentando per ognuno dei due personaggi di allora quello di cui sono innamorate: Jake per Eilonwy, e per Lisa Segni, il mezzelfo Jossintaur. Solo che in questo caso, l'amore di Lisa è a senso unico.
La sua infatuazione inizia quando ancora non può toccare Jossintaur, che lei è in grado di vedere nonostante appartengano a due universi paralleli. Lisa lo definisce come: "di una bellezza indescrivibile tanto era perfetta. Giovane d'aspetto, esile e alto, con lunghi capelli biondi che scendevano in lievi onde appena al di sotto delle spalle, occhi verde smeraldo e pelle chiarissima. Il suo modo di muoversi era elegante, misurato e lieve, come se scivolasse o se danzasse; e la sua voce era pacata, tranquilla ma allo stesso tempo decisa e sicura: la voce di chi ha una missione da compiere. Avrebbe potuto fermare una tempesta con la sua sola voce, ne ero certa, e forse lo aveva già fatto. C'erano giorni in cui non mi sarei mai stancata di ascoltarlo o di guardarlo." È evidente quanto forte sia la sua cotta per questo "amico immaginario", e quando finalmente Lisa riesce a incontrarlo di persona... non è difficile immaginare l'esito a cui la conducono i suoi sentimenti.
In un certo senso, si può considerare Jossintaur come parte di un triangolo sfortunato, con Lisa innamorata di lui ma senza possibilità di essere ricambiata, e Jossintaur che pensa ancora a una persona del suo passato, una principessa che pur ricambiando il suo amore, non ha potuto stare con lui per doveri di stato.


Questi i brani già scritti in cui compare Jossintaur:
Una Bestia da catturare
In missione per Julian
Jossintaur, Sara, e il Lung
L'ultimo abitante di Laeverth
"Bentornata a casa, Emily"
L'addio a Sara
Jossintaur fa visita a Lisa molti anni dopo


L'esercizio richiede di scrivere un brano che rappresenta un punto cruciale della storia d'amore in questione. E quale evento migliore del momento in cui Lisa scopre la verità? Questo testo si colloca tra il penultimo e l'ultimo dei brani riportati sopra.


Jossintaur tese le braccia verso di me e mi aiutò a scendere dalla schiena del drago orientale. La testa mi girava ancora per il folle volo, e dovetti reggermi a lui per stare in piedi. Però ero orgogliosa di me: almeno per una volta non ero svenuta, né avevo vomitato appena toccato terra.
– Tutto bene? – mi chiese la sua voce cristallina. Era sempre così premuroso.
– Mh-mh – mugolai. – Meglio.
Jossintaur annuì, poi fece un cenno al drago e gli rivolse qualche parola in una lingua che non conoscevo, e che sembrava rendere ancora più magica la sua voce. Presumibilmente elfico, decisi. Nel fissare le sue orecchie delicatamente a punta, non più celate tra le onde della sua chioma bionda, mi sorpresi ancora una volta a chiedermi come avesse fatto a nascondermi il suo segreto per tutti quegli anni. E, soprattutto, perché. Insomma, Jossintaur era al corrente dei libri che mi piacevano. Sapeva che non poteva sconvolgermi scoprire che gli elfi esistevano davvero.
Una folata improvvisa agitò i nostri capelli. Staccai una mano dal braccio di Jossintaur per risistemarmi le ciocche e mi voltai: il drago orientale era già alto nel cielo, e ben presto divenne un nastro d'argento che si confondeva tra le nubi.
Eravamo da soli, sulla riva di un fiume, e davanti a noi si stendeva un'ampia prateria, una distesa d'erba ininterrotta e senza punti di riferimento. Eppure Jossintaur puntò il braccio a cui non ero aggrappata in una direzione precisa. – Laeverth è da quella parte, ce la fai a camminare?
Annuii.
– Arriveremo prima del tramonto, se ci muoviamo di buon passo. Scusa se non ho chiesto a Kirin di portarci più vicino, ma un Lung in volo è piuttosto facile da notare, e non volevo attirare cattive compagnie.
Annuii di nuovo, e gli sorrisi. Tanto non avevo fretta di tornare a casa. E più tempo con lui, nel suo mondo, per me era sempre una bella notizia.
Jossintaur si girò e fece per incamminarsi, ma io lo trattenni stringendo un po' di più il suo braccio. – Aspetta.
Si voltò.
– Io, ecco... – Mi grattai la nuca con una mano, mentre con l'altra ancora lo tenevo. – Volevo dirti grazie. Per avermi mostrato che mi sbagliavo, che non ho rovinato tutto nell'altra vita. Per essere rimasto dalla mia parte, anche se ti ho detto quelle brutte cose quando ero Emily...
"Perché sei la cosa più meravigliosa che mi sia mai capitata". Non lo dissi, ma lo pensai, e mi sentii le guance in fiamme.
– È il mio dovere, principessa. – La voce di Jossintaur suonò così dolce, calda e sincera, che non riuscii a trattenermi. Quella volta non scossi la testa contrariata, non gli dissi di non chiamarmi così. Invece, mi buttai su di lui. Gli cinsi il collo con le braccia, tirandolo un po' più giù mentre mi alzavo in punta dei piedi e spingevo le mie labbra contro le sue.
Le mani di Jossintaur si posarono sulle mie spalle, poi accadde l'impensabile: sentii che mi spingevano indietro. In modo delicato, senza troppa forza, certo, ma pur sempre nella direzione sbagliata.
Aprii gli occhi e lo fissai. La confusione sul volto di Jossintaur era buffa. Non gli avevo mai visto quell'espressione addosso. Immagino che poche cose riuscissero a sorprenderlo, e mi diedi della sciocca per averlo colto alla sprovvista.
Gli sorrisi e mi spinsi di nuovo in avanti, in cerca delle sue labbra. Una volta capite le mie intenzioni, Jossintaur non aveva un motivo al mondo per non baciarmi, o almeno così credevo. Ma lui continuò a respingermi.
– Lisa, no... Ascoltami, per favore, Lisa. Ascoltami – mi pregò lui, tenendomi indietro con una leggera pressione delle mani sulle mie spalle. Controvoglia, mi fermai e gli prestai attenzione. – So come posso sembrare, a occhi umani. Ma devi capire che sono più vecchio di quanto pensi. Nessuno di quelli che conosci nel tuo mondo può uguagliare la mia età, lo comprendi?
Mi strinsi nelle spalle. – E allora? Io ho vissuto due vite.
Intendevo dire che anch'io ero diversa da tutti quelli che conoscevo, ma lui equivocò. – Due volte poco più di dieci anni non sono paragonabili a...
Non lo lasciai proseguire. Tirai a me le braccia allacciate al suo collo, e mi sollevai un po' di più sulle punte, nel tentativo di forzare il suo blocco.
– Questo sta diventando imbarazzante... – mormorò Jossintaur, nel tenermi a distanza senza troppi sforzi, con gentilezza. Era la cosa più terribile, in tutta quella situazione: Jossintaur non aveva smesso un attimo di essere gentile. Di essere così meravigliosamente lui. Avrei potuto odiarlo se mi avesse trattato, almeno per un momento, in maniera sgarbata, se mi avesse mancato di rispetto o se non avesse continuamente modellato le sue parole e i suoi gesti attorno alle mie aspettative di come un cavaliere, e un eroe, dovesse apparire.
Non potevo non amarlo se lui si ostinava a rimanere così affascinante.
– Potresti essere mia figlia – mormorò Jossintaur: un altro argomento che non poteva distogliermi dalle mie mire. – Avresti potuto essere mia figlia. In un'altra vita, con altre regole. È così che ti ho sempre vista, Lisa: come la figlia che non ho avuto.
Alle sue ultime parole smisi ogni tentativo di spingermi in avanti e ricaddi sui talloni. Fissai i suoi bellissimi occhi, verdi e  seri, velati di malinconia. Che sciocca, io avevo sempre pensato che lui mi guardasse con quegli occhi perché non poteva raggiungermi e toccarmi, all'inizio, e in seguito perché non ricordavo del tutto l'altra vita, ciò che eravamo stati in quell'esistenza. E invece, il motivo era un altro.
– Ho amato tua madre, Sara di Laeverth, come nessun'altra donna al mondo – confessò Jossintaur. – E lei ha amato me.
Il fiume mormorava placido alle sue spalle, e attorno a noi la brezza scompigliava l'erba della prateria. Sciolsi un po' le braccia dal suo collo per permettergli di raddrizzarsi.
– Ma Sara era una figlia di Lae, futura sovrana di Laeverth. E la stirpe di Lae doveva proseguire intatta, per il bene della città. – Jossintaur sospirò. – Le sarebbe stato più facile infrangere il protocollo per sposare un umile ciabattino di Laeverth, un uomo povero e senza titoli, ma umano... piuttosto che unirsi a un ibrido come me, una creatura sterile, la fine della propria stirpe, nella maggior parte dei casi.

lunedì 27 maggio 2019

Personaggio: Jake

Trovare tra i miei racconti un personaggio che rappresenta la persona amata non è difficile. Sceglierne solo un paio lo è. Tra i tanti, ho deciso di cominciare da quello che appartiene alla storia che più di tutte mette l'amore al centro della trama:

Immagine creata con Mega Anime Avatar Creator di Rinmaru Games


Non scrivo romanzi rosa, ma "La ragazza dei tre giorni" è a mio avviso quello che più si avvicina al genere: una storia d'amore con un contorno di elementi fantastici e una spruzzata di fantascienza. Della protagonista, Eilonwy Polidoro, ho già scritto quando si è trattato di presentare "la persona comune". Il suo "ragazzo dei tre giorni" (può valere anche per lui!) invece è tutt'altro che comune. Il nome è Jake, il cognome ancora da definire, e la descrizione è... niente affatto semplice. Per descrivere Jake, occorre chiedersi: in quale forma? Quella umana, quella da Changeling, o un'altra tra quelle in cui è in grado di cambiare? Per l'immagine ho cercato (cercato è la parola chiave!) di rappresentare la sua forma di base, quella descritta nei brani qui sotto, una forma che ricorda una mummia vivente o un cadavere carbonizzato con gli occhi di una persona viva. Non propriamente una forma di cui ci si potrebbe innamorare. Eppure accade, e non a causa di un mistico colpo di fulmine ma con il trascorrere degli anni, complice il fatto che Eilonwy lo crede umano per molto tempo prima di scoprire la verità e guardare in faccia il mostro.
Oltre alle implicazioni di una storia da "la bella e la bestia", un ostacolo è sicuramente il fattore tempo: come si fa a tenere in piedi una storia d'amore che può procedere per tre soli giorni all'anno? Questo è uno degli spunti da cui ho iniziato a intrecciare il tutto.


Questi i brani già scritti in cui compare Jake:
Eilonwy scopre il segreto di Jake
Il primo bacio


L'esercizio richiede di scrivere un brano che rappresenta un punto cruciale della storia d'amore in questione. Il punto è che entrambi i brani già qui sopra descrivono un evento fondamentale, e mi ritrovo a corto di momenti speciali tra i due. Rimane solo il primo incontro, che non è poi così spumeggiante (d'altra parte, i due erano bambini all'epoca, e nemmeno si sono parlati) e la scena che dà il titolo alla storia, e che si colloca qualche anno dopo i due brani già scritti.


Il corpo di Jake era un morbido cuscino di piume la notte in cui dissi quella cosa, e sotto le sue braccia che mi stringevano si stendevano lunghe penne di un blu iridescente. Eravamo sdraiati a guardare le stelle, io con la testa appoggiata sul suo petto e gli occhi rivolti al buio scintillante sopra di noi, e Jake che mi raccontava di come fosse simile al cielo che vedeva ogni notte, nel tempo che chiamava casa, se escludeva i bagliori pulsanti della rete di satelliti che al loro passaggio oscuravano gli astri.
Ai miei genitori avevo detto che avrei dormito da sua sorella: la scusa che usavo sempre, quando per andare a trovarlo non sgattaiolavo fuori dalla finestra di nascosto. Non potevo fare altrimenti: Jake non riteneva sicuro assumere alcune delle sue forme più bizzarre alla luce del sole, perciò era solo di notte che potevo cavalcare un centauro o nuotare con un tritone. Ogni estate, quei tre giorni con lui erano fantastici. Letteralmente. Mi sembrava di vivere un'avventura al di fuori del tempo, di essere la protagonista di un film. Finché non pronunciai quelle tre parole che resero tutto reale.
– Jake? – mormorai, alzando la testa verso il suo volto. Le piume mi solleticarono la guancia. Attesi il suo silenzio prima di mormorare, stringendomi di più a lui: – Penso di amarti.
Avevo sonno. Era l'unica spiegazione. Altrimenti non glielo avrei mai detto in un modo così banale, senza alcun preambolo, senza romanticismo.
Jake ritirò il braccio con cui mi stringeva le spalle e si alzò a sedere per guardarmi negli occhi. Le penne, le piume, e il becco da uomo-uccello sparirono, e al loro posto mi ritrovai davanti un ragazzo dall'aria corrucciata.
– Non dirlo. Per favore, non ripeterlo.
Lo osservai rannicchiarsi a stringere le ginocchia, e mi chiesi se lui fosse arrabbiato, e perché. Io avevo proprio voglia di ripeterlo invece, magari in un modo migliore. Ma non lo feci.
– Perché no? – gli chiesi, avvicinandomi per prendergli la mano.
La mano di Jake scivolò via dalla mia. Lo sentii sospirare. – Un giorno ti stancherai di aspettarmi per tutto l'anno e ti troverai un ragazzo vero. Qualcuno che può vivere nel tuo presente tutto il tempo, e non solo per tre giorni.
Feci spallucce. – Forse. O forse sarai tu a trovarti una ragazza del futuro.
Jake alzò la testa e mi fissò. – E non ti dispiace?
Feci di nuovo spallucce. – Non te lo posso impedire e neanche sarebbe giusto, no? – gli chiesi, soffocando quel piccolo moto di gelosia che mi aveva preso al pensiero. – Insomma, tu non puoi restare qui e io non posso venire a vivere nel futuro. E potremmo anche trovarci qualcun altro per il resto dell'anno, e sposarci, e avere dei bambini, va bene. Ma questi tre giorni, questi tre giorni sono nostri. Solo per noi.
Parlai velocemente, un po' per paura che Jake mi fermasse con un'obiezione che avrei trovato sensata, un po' perché mi sentivo andare in fiamme il volto al pensiero della proposta che stavo per fargli. – Voglio essere la tua ragazza, per questi tre giorni. E prometto di tornare qui ogni anno, e passare queste giornate insieme tutti gli anni, finché anche tu lo vorrai.
Jake si girò e mi afferrò le mani strette a pugno, poi appoggiò la sua fronte alla mia. Vicinissimo a me, lo vidi mutare, disfarsi della carne umana che usava come uno scudo quando si sentiva a disagio, per rilassarsi nella sua vera forma.
– Anch'io  – disse infine Jake. – Finché tu lo vorrai.

sabato 25 maggio 2019

Gora

Anche per questa settimana resto in tema d'acqua, ma mi allontano dal mare. La parola di oggi descrive un tipo d'acqua più "domestica", eppure il termine in sé è antico, probabilmente di derivazione longobarda... l'avresti mai immaginato?

Gora [gò-ra] s.f. 1. Canale che conduce l'acqua da un fiume a un mulino. 2. Traccia, segno lasciati dall'acqua che sgocciola sulla carta o altro materiale; traccia di una macchia che permane dopo la smacchiatura.

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Per illustrare i due significati di questa parola ho scelto di restare nell'universo di Oltreconfine, anche se già il brano della settimana scorsa era ambientato lì. Stavolta però ho spostato l'attenzione sul viaggio di Will e Besta Rei, che avevo iniziato a esplorare in un altro brano, quello che accompagna la parola Stamberga.


Seguimmo il corso del fiume, procedendo lungo la sponda al riparo degli alberi. Il piano era di risalire la corrente fino a raggiungere la sua fonte, e da lì cercare riparo nelle comunità montane. Era un lungo viaggio.
Ossimoro sarebbe stata la città più vicina, ed era dove il nostro sparuto gruppetto di sopravvissuti era diretto prima dell'imboscata. Già allora avevo cercato di avvertirli, di far capire loro che nella vasta pianura eravamo indifesi, che i demoni proseguivano verso ovest, e che noi non avevamo alcuna certezza che gli abitanti di Ossimoro ci avrebbero accolti. Non mi avevano dato retta.
Da quando eravamo rimasti in due, Will mi ascoltava. Escalona era la nostra migliore possibilità.
Gli indicai la gora che deviava dal fiume. Will annuì e mi precedette in silenzio lungo il canale. In un solo mese si era fatto grande, e non sembrava più il bambino che era fuggito; eppure resisteva ancora, nei suoi occhi, una traccia di divertimento fanciullesco. Mi sembrava incredibile che il suo animo giocoso e innocente fosse sopravvissuto intatto, dopo tutto il dolore che si era depositato in noi.
Non sapevo cosa gli passasse per la testa: non parlavamo mai dell'imboscata in cui suo padre aveva perso la vita. In me, la caduta di Laeverth e ciò che ne era seguito aveva lasciato gore indelebili, macchie più sudicie di quelle che lordavano la mia veste di sacerdotessa. Pregare Endera con la fede di un tempo era diventato difficile.
Mentre ci avvicinavamo al mulino, quatti e silenziosi come due ladri, Will estrasse una freccia dalla faretra e la preparò sull'arco. Io strinsi la presa sul mio falcetto d'oro. Non era ancora il tramonto, perciò non ci aspettavamo un attacco dei demoni. Ma incontrare altri sopravvissuti poteva rivelarsi altrettanto pericoloso.

giovedì 23 maggio 2019

Gerundio: usare con cautela

Quando si parla di tempi verbali e del loro uso errato, il protagonista indiscusso è sempre il congiuntivo. Corretto o sbagliato che sia, quel ragazzaccio è sulla bocca di tutti. Quanto a me, non spenderò una parola di più sull'argomento. Non oggi.

Oggi voglio dedicare un pensiero a un suo fratellino meno noto, e probabilmente meno pronunciato a sproposito: il gerundio. In particolare, il gerundio presente... ce l'hai presente, vero?
Se non ti viene in mente, ti rinfresco io la parola: andando, pensando, scrivendo, scegliendo, vivendo, dicendo e compagnia bella. Ottimo tempo verbale, per carità; utilissimo, purché non venga sparso come il prezzemolo ovunque nello stesso testo. Prendi un paragrafo come questo:

– Basta, questo romanzo mi ha stufato! – disse Rosa, chiudendo il libro che aveva sulle ginocchia, girandosi verso Viola e pensando che c'erano troppi gerundi. Tentennando, Rosa aprì la bocca e chiudendola, non riuscendo a esprimere ad alta voce ciò su cui stava riflettendo mentre Viola la stava guardando fisso, avanzando verso di lei, non capendo perché mai stesse esitando.


È solo un piccolo esempio che ho inventato su due piedi, ma ti assicuro che non è molto diverso da ciò che ho letto sul serio, di recente, in un romanzo italiano. Non so che impressione faccia a te; a me, pare di ascoltare una melodia suonata quasi interamente con un'unica nota. Fastidio, e noia, si alternano a ogni gerundio presente che si presenta all'appello. La nostra lingua è così varia ed espressiva, che usare sempre la medesima struttura frase dopo frase mi sembra un delitto, oltre che un segno di pigrizia. Il gerundio presente è facile. Non occorre pensare a come organizzare la frase, a quali congiunzioni e a quale tempo verbale usare. Basta infilare un bel "-ando" o "-endo" e il gioco è fatto.

Ma nell'abbondare col gerundio presente c'è qualcosa di più che non la mera pigrizia nel ricercare forme un po' più elaborate. Il gerundio presente esprime la contemporaneità di due azioni, e se usato a sproposito, per eventi che invece avvengono in successione, appare fuori luogo quanto un condizionale al posto del congiuntivo. Frasi come "chiamò l'ascensore, entrando quando le porte si aprirono e salendo al terzo piano" per me suonano profondamente sbagliate. Potrebbero essere più agevolmente rese con una successione di verbi nello stesso tempo dell'indicativo: "chiamò l'ascensore, entrò quando le porte si aprirono e salì al terzo piano". Non ti sembra che la lettura scorra meglio?

Il gerundio presente può anche essere sparso a piene mani durante la prima stesura di un testo, pur di non interrompere il flusso di scrittura mentre le idee ti si affollano in testa e chiedono di essere riversate sulla pagina il più in fretta possibile. Non c'è alcuna vergogna nell'usarlo, sapendo che in realtà è un segnaposto per qualcos'altro. Ma in seguito, in fase di revisione, è bene fare un conteggio e tirare le somme. Più di due gerundi nella stessa frase, di solito, sono il sintomo che qualcosa non va. E a questo punto occorre pensare "davvero questa azione avviene contemporaneamente a quella del verbo principale? E anche se la risposta è sì, non c'è un altro modo in cui posso scriverlo?". Guarda come cambia il paragrafo di prima, una volta risposto a queste due semplici domande per ogni gerundio presente:

– Basta, questo romanzo mi ha stufato! – disse Rosa. Subito chiuse il libro che aveva sulle ginocchia e nel girarsi verso Viola pensò che c'erano troppi gerundi. Rosa tentennò, aprì la bocca e poi la chiuse. Non riusciva a esprimere ad alta voce la sua riflessione mentre Viola la guardava fisso, avanzava verso di lei e non capiva perché mai avesse esitato.

Si nota la differenza? Non so tu, ma io la sento eccome. Ora la melodia usa molte più note, forse non l'intera scala musicale, ma di certo il testo ha una varietà e una fluidità maggiore. Avrei potuto lasciare un gerundio, uno solo; per come la vedo io, è la quantità massima per un testo così breve. Naturalmente, qualcun altro avrebbe potuto scegliere di tenerne due. Due è comunque meglio di undici, non trovi?

Per oggi è tutto. Spero di averti ispirato a guardare con occhio critico i gerundi nei testi che scrivi e in quelli che leggi, e a non dare per scontato che siano tutti assolutamente necessari. E se stai lavorando alla tua storia, mi auguro di averti fatto scoprire, se già non lo conoscevi, un nuovo strumento da mettere se vuoi nella tua cassetta degli attrezzi: un piccolo scalpello con cui sbalzare via le schegge impazzite di gerundio.

lunedì 20 maggio 2019

La persona amata

Oggi ti descriverò un altro dei personaggi che circondano il protagonista, uno che è possibile trovare in tantissime storie, declinato in numerose sfumature. Un personaggio che, a seconda di come viene trattato, può aggiungere profondità o rendere banale una vicenda.
Sto parlando di:

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L'amore è la forza motrice di molte storie, anche in quei casi in cui non appare come la parte predominante della trama. Il tema è così antico da essere presente perfino nell'Iliade, in cui il rapimento della bella Elena scatena una guerra decennale, ma è probabile che sia stato un meccanismo narrativo ricorrente ancora prima. In quasi ogni fiaba si può rintracciare un principe azzurro o una principessa in pericolo, tanto che potresti finire prima nel nominare le storie in cui il protagonista non ha una persona di cui è innamorato, piuttosto che enumerando le storie in cui compare un tale personaggio.

Per essere identificato come la persona amata, colui o colei che spinge il protagonista a compiere le sue imprese, non è necessario che l'oggetto del desiderio ricambi l'affetto dell'eroe o, se è per questo, non serve nemmeno che ne sia al corrente. In casi estremi, la persona amata è una versione idealizzata di un personaggio che può essere totalmente diverso da come viene immaginato dal protagonista, così com'è Dulcinea in Don Chisciotte della Mancia. In altri casi, la persona amata è al corrente dei sentimenti nei suoi riguardi, ma è il suo rifiuto a dare avvio o almeno mandare avanti la trama, vedi ciò che accade in L'Orlando Furioso con l'algida Angelica. Ovviamente è possibile anche l'esatto opposto, quello in cui un personaggio inizia a provare qualcosa per il protagonista molto prima di quest'ultimo, e a corteggiarlo subendo il suo rifiuto. Un esempio può essere il signor Darcy in Orgoglio e Pregiudizio.

Quando invece il sentimento è ricambiato, fin troppe storie si giocano la carta del vero amore, spesso addirittura a prima vista, un colpo di fulmine immediato che non necessita che i personaggi sappiano alcunché l'uno dell'altro. Così è per la breve storia d'amore di Romeo e Giulietta narrata da William Shakespeare. Al di fuori della tragedia, generalmente queste storie hanno un lieto fine: l'amore è la via per la redenzione della Bestia in ogni versione di La bella e la bestia, o la salvezza da un pericolo mortale come quello che minaccia Biancaneve e La bella addormentata nelle fiabe omonime. Questo tipo di attrazione istintiva dettata dal destino può essere così forte che in caso di rifiuto, abbandono o morte dell'amato il protagonista diviene incapace di agire, si lascia morire d'inedia o si mette in situazioni pericolose senza alcun riguardo per la propria sopravvivenza, come fa Bella in assenza del suo Edward nella saga di Twilight.

Un altro ruolo che è fin troppo spesso ricoperto dalla persona amata è quello di damigella in pericolo, che come Raperonzolo nella sua torre aspetta solo di venir salvata dall'eroe di turno. Non è detto però che questa parte appartenga solo all'universo femminile, perché vi sono storie in cui è la protagonista a salvare il suo principe, come fa Ariel per il Principe Eric nella versione Disney de La Sirenetta non una, ma ben due volte. E anche quando a essere rapita è una donna, nelle fiabe moderne può accadere che come la Principessa Leila di Star Wars questa sia più in gamba del suo sedicente salvatore, nonché aspirante innamorato, e che sia benissimo in grado di salvarsi da sola. Non sempre però c'è un lieto fine, e può capitare che la morte della persona amata sia un fattore motivante per il protagonista, causa di paralizzanti sensi di colpa e della rinuncia, anche temporanea, al ruolo di eroe (vedi Gwen Stacy per Spiderman) o della furia vendicativa riversata sui colpevoli, veri o presunti (ovvero ciò che accade nel film Il Corvo come reazione alla morte di Shelly).

Vale infine la pena di nominare altri due casi in cui può essere coinvolta la persona amata. Uno è il triangolo amoroso che sembra essere diventato d'obbligo soprattutto nei romanzi di genere young adult: oltre a quello presente in Twilight tra Bella, Edward e Jacob, un altro esempio famoso coinvolge Katniss, Peeta e Gale in Hunger Games. Tipicamente, di solito uno dei due è un affascinante sconosciuto, l'altro un amico d'infanzia segretamente innamorato della protagonista.  Altra fonte di dramma avviene quando la persona amata è palesemente o in segreto dalla parte dell'antagonista, oppure su un fronte opposto rispetto al protagonista. Come Batman, un giustiziere, attratto dalla criminale Catwoman, una simile relazione è perennemente a rischio di rottura o di tradimento, sempre che non sia parte di una trappola organizzata ai danni del protagonista. Ciò avviene con Megara nella versione Disney di Hercules: una finta damigella in pericolo messa sulla strada dell'eroe dal malvagio Ade con lo scopo di causarne la disfatta.


Qui concludo il mio viaggio tra fiamme effimere, coniugi per sempre felici e contenti, amanti sfortunati, veri e unici amori uniti dal destino e interessi romantici vari. A questo punto resta solo il doppio esercizio.

Se sei uno scrittore, cerca esempi di persona amata nelle tue storie. Trovane uno, e scrivi un brano che rappresenti un punto cruciale nell'evoluzione della storia d'amore che lo coinvolge. Che sia il primo incontro, o una dichiarazione, o un segreto rivelato, una separazione oppure una morte... solo tu conosci il momento di massimo impatto emotivo nelle vite dei tuoi personaggi.

Se sei un lettore (o uno spettatore), ripensa alle storie che hai seguito di recente o a quelle che ti piacciono di più o che ricordi meglio: in quali casi hanno un personaggio che ricopre il ruolo di persona amata? Scrivimi pure nei commenti quelli che ti vengono in mente.

sabato 18 maggio 2019

Feluca

Ti faccio un indovinello. In che cosa un cappello è uguale a una barca? No, non è perché entrambi galleggiano. La risposta è perché, in una occasione particolare, un cappello e una barca possono condividere lo stesso nome.

Feluca [fe-lù-ca] s.f. (pl. -che) 1. mar. Veliero piccolo e veloce . 2. Cappello a due punte di alcuni ufficiali di marina, di ministri, diplomatici, accademici.

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Non avevo idea che avrei scelto due parole a tema marino, o almeno acquatico, una di seguito all'altra. Per cambiare, ho deciso di ambientare questa su un lago, e mentre definivo la situazione per il brano, mi è venuto in mente Jossintaur degli Erranti.


Sedevo a prua della feluca che mi avrebbe portato all'Isola e scrutavo la superficie liquida, increspata da minuscole onde, che si stendeva piatta fino all'altra sponda del lago, interrotta solo da un ammasso di rocce e alberi dall'aria minacciosa. Sulla piccola imbarcazione sospinta dal vento caldo ero l'unico ansioso di giungere alla meta. Sentivo, senza bisogno di voltarmi, il nervosismo che animava i gesti del capitano e dei due uomini dell'equipaggio.
Avevo dovuto pagare bene per trovare qualcuno disposto ad accompagnarmi. Ero fortunato che Julian mi avesse dato carta bianca, altrimenti la mia missione si sarebbe arrestata sul molo di un piccolo villaggio.
Alle mie spalle, il capitano si mosse curvo per evitare l'alberatura e le vele. Veniva verso di me, lo sentivo nei suoi passi, e con la coda dell'occhio vidi il suo riflesso nel lago mentre si toglieva la feluca dalla testa e la stritolava tra le mani.
– Sicuro di non voler tornare indietro, messier? – mormorò con un vago accento straniero che metteva in risalto ogni erre.
Mi alzai in piedi e mi girai con una fluidità e un equilibrio che nessun umano poteva eguagliare, non su quell'instabile guscio di noce. Il vento soffiò via ciuffi biondi dalle mie orecchie delicatamente appuntite. Fu sufficiente a ricordargli che appartenevo a quella gente misteriosa e magica.
– Ti sembro uno che possa cambiare idea nel corso di un respiro? – replicai nel mio timbro musicale. Non gli avevo detto che appartenevo a quella gente solo per metà, e che tra loro non ero mai stato il benvenuto.
Il capitano adocchiò l'isola, poi chinò il capo. – No. No, niente affatto, messier. Ma procederemo come stabilito. Ci fermeremo al largo della spiaggia. Nessuno dei miei toccherà quella terra maledetta. E se per il tramonto non sarete di ritorno, noi ce ne andremo, messier.
Annuii, poi mi girai verso l'Isola che ormai occupava buona parte del nostro orizzonte e incombeva sulle vele della feluca. E sperai di trovare ciò per cui ero venuto.

giovedì 16 maggio 2019

Personaggio: Mathias

Ho già scritto lunedì di quanto sia difficile trovare un esempio di l'aiutante tra i miei personaggi. In questo caso, per averne uno ho dovuto cercare tra chi rasenta i confini del socio o dell'amico, quindi con un rapporto più equilibrato con il protagonista rispetto a quello che potrebbe avere un suo sottoposto. Dunque, questo ragazzone è il perfetto esemplare del genere.

Immagine creata con Mega Fantasy Avatar Creator di Rinmaru Games


Mathias è un uomo massiccio, più alto del suo amico e socio Jasmen Astorenn (lo supera con tutta la testa), e molto più silenzioso. Figlio di un pescatore, ha trascorso buona parte dell'infanzia sulla barca del padre, e un po' per genetica, un po' per la vita all'aperto, Mathias ha la carnagione mulatta tipica delle fasce povere della popolazione del sud di Terrana
Nella gilda di cui è il fondatore assieme a Jasmen, Mathias è il secondo in comando, e a modo suo qualcuno su cui tutti gli altri membri possono contare. È di qualche anno più vecchio di Jasmen eppure quest'ultimo, che proviene da una famiglia nobile ed è più abile con le parole e  nell'allacciare e mantenere contatti utili, era la scelta più azzeccata come leader e mente del gruppo. Mathias, invece è il meccanico e l'inventore della gilda, eppure definirlo "il braccio" sarebbe riduttivo. Lui è la colonna portante, che con doti come la pazienza, l'adattabilità e la capacità di osservazione contrasta lo spirito talvolta irruento, in altri casi inflessibile o diffidente di Jasmen. È questo mix di caratteristiche contrastanti che fanno dei due un'ottima accoppiata di protagonista e aiutante, e a rendere più interessanti le dinamiche tra i personaggi, il rapporto si rovescia quando è in pericolo Leda, la sorella di Mathias: in questo caso Mathias diventa quello che corre in prima linea e rischia senza pensare alle conseguenze, mentre a Jasmen tocca il ruolo di comprimario e supporto dell'amico.
Se i rispettivi ruoli sono così fluidi, e le loro competenze in sostanza complementari, cosa fa di Mathias, e non Jasmen, l'aiutante? La differenza di rango, anche se minima all'interno della gilda e annullata dall'amicizia quando i sue sono da soli, è un fattore. Ma a contare di più è la caratteristica più marcata di Mathias, il suo essere una figura prevalentemente silenziosa, che per me risulta una sfida mentre lo scrivo perché devo continuamente sforzarmi di ridurre le sue battute al minimo e mostrare ciò che pensa tramite espressioni e azioni. E dato che non parla molto, le decisioni che riguardano la gilda in definitiva le prende Jasmen, mentre Mathias si limita a influenzarlo o accettare le sue direttive.


Ho scritto molti brani su Jasmen, nessuno finora su Mathias. Questo è l'unico in cui viene almeno nominato:
La sorella di Mathias


L'esercizio richiede di scrivere un brano in cui protagonista e aiutante hanno idee diverse su come affrontare una situazione. Così mi è tornata in mente questa parte nella storia che riguarda la Gilda dei Rapaci, un punto di svolta e in definitiva... ciò che da l'avvio alle avventure che intendo raccontare.


Quando l'ologramma si spense e la piastra divenne inattiva, l'afferrai e la gettai nel mucchio dei rottami di Mathias. Mi girai e feci per andarmene, ma sentii il suo sguardo addosso in un muto rimprovero.
– E va bene, parla – gli ingiunsi. Sapevo che se non glielo avessi detto, lui non avrebbe aperto bocca.
– Sono un sacco di quattrini – mormorò Mathias con voce profonda e pacata.
Sbirciai l'angolo dei ricambi, poi rivolsi gli occhi a lui, che se ne stava piantato a gambe larghe davanti al portellone della Karecanthia. – Già. Un sacco di quattrini da parte di un tiranno dispotico e sanguinario, un uomo crudele di cui non ci si può fidare. – Nel descriverlo, la mia voce divenne di pietra, e sentii la mascella irrigidirsi. – Non puoi chiedermi di lavorare per lui. Nessuno in questa casa lo farà. Tu, Leda, Gileann, Cathalyn, Annika, Tommy... siete la mia famiglia e non gli permetterò di avvicinarsi a voi. Tu sai che cosa mi ha fatto.
Mathias annuì una sola volta, gravemente. Ma non smise di puntarmi addosso quello sguardo corrucciato, non si mosse dal portellone aperto da cui dovevamo ancora cominciare a scaricare l'attrezzatura. Mi passai una mano sugli occhi. – Senti, lo so che quei soldi ci servono. Li tengo io i conti, e so che rischiamo di chiudere da un momento all'altro. Per cosa credi che stia accettando missioni sempre più pericolose? Non certo per complicarmi la vita! Ne ho avuto abbastanza delle sfide e vorrei solo qualcosa di semplice. Per una volta.
La proposta di Majestas Neron, così inaspettata, così sospetta, era esattamente quel genere di dilemma che avrei voluto evitare. La tentazione di andare a incassare una ricompensa così grande per una missione di recupero in apparenza rapida e facile era così allettante da farmi temere che il presidente che mi aveva esiliato avesse un altro motivo per farla. E ormai, dopo aver visto il suo lato peggiore, non potevo che attribuirgli pessime intenzioni.
– Non posso. – Esalai un sospiro esasperato nel rivolgermi a Mathias. – Non chiedermelo. So quanto ne abbiamo bisogno, ma... questo lavoro ha tutta l'aria di una trappola. Una scusa bella e buona per attirarmi là e ammazzarmi assieme a tutti quelli che verranno con me.
Mathias grugnì sdegnato, poi si girò e andò ad armeggiare al pannello dell'hangar. All'inizio pensai che avesse compreso e, seppure controvoglia, accettato il mio punto di vista. Ma quando scaricai la prima cassa, notai la sua fronte corrucciata e le labbra dischiuse sui denti stretti, e ormai lo conoscevo abbastanza bene da capire che, anche se non mi guardava e sembrava del tutto concentrato sul pannello, stava macinando un'idea che avrei fatto meglio ad ascoltare. Mi avvicinai, e non ebbi bisogno di spronarlo a parlare. Mathias scosse la testa, schiacciò un ultimo pulsante e disse: – No.
Il discorso per lui non era affatto chiuso.
– Tu non lo conosci – mi affrettai a ribattere. – Non sai di che cosa è capace...
– Sono entrate. – Mathias mi interruppe, come faceva molto di rado, parlando in modo lento e senza alzare la voce. Ma non compresi che cosa intendesse dire finché non alzò gli occhi ai sensori dell'allarme. E allora ricordai il fracasso che aveva fatto quando avevamo portato dentro la mutaforme che avevo raccattato a Greye, che al contrario di noi due e di Leda non era registrata tra gli abitanti della casa, e di come non aveva emesso un suono quando le due Eterne ci avevano sorpreso in quello stesso hangar solo per recapitarci la piastra olografica con il messaggio del loro padrone. Se erano in grado di muoversi indisturbate nella zona riservata della nostra casa, allora Majestas Neron non aveva alcun bisogno di tendermi una trappola per assassinarmi o ferire quelli a cui tenevo. Anzi, sarebbe stato da stupidi rischiare di far ricadere i sospetti su di sé in patria, quando poteva liberarsi di me senza clamore in terra straniera.
– D'accordo – mugugnai. Mi girai, raccattai la piastra dal mucchio dei rottami e la gettai sul bancone di lavoro. Afferrai il bordo del bancone con entrambe le mani. Ancora non riuscivo a decidermi ad attivare il segnale che avrebbe indicato alle due Eterne, in attesa chissà dove, che accettavo l'incarico.
Chiusi gli occhi. – Ti prometto che ci penserò – mormorai, spingendomi indietro dal bancone.
Era una concessione per entrambi. Anche se dubitavo che una notte sarebbe bastata per farmi cambiare idea.
La verità era che non volevo lavorare per quell'uomo. Non volevo accettare i suoi soldi sporchi.
Ma ero davvero disposto a perdere tutto pur di mantenere l'ultima traccia di onore che mi restava?

lunedì 13 maggio 2019

Personaggio: Morisse

Come al solito, non è facile per me trovare un personaggio che rappresenti il ruolo che ho presentato, in questo caso, l'aiutante. Mentre cercavo ho notato che nelle mie storie prediligo, piuttosto che un duo protagonista-aiutante, mettere in campo un trio, dove il protagonista è affiancato da due aiutanti o amici con personalità contrastanti. Oppure, laddove c'è un solo aiutante assieme a un personaggio con maggiore esperienza, è l'aiutante a essere il protagonista e narratore della storia. In altri casi invece, i due personaggi attorno ai quali ruota la storia non hanno un rapporto eroe-aiutante, bensì uno più alla pari, come potrebbe esserci ad esempio tra due soci. Per riuscire a rintracciare un vero e proprio aiutante, ho dovuto guardare oltre i soliti personaggi, fino a trovare lui:

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Non posso negarlo: in Morisse (che si pronuncia non alla francese, ma all'italiana, proprio come il congiuntivo imperfetto del verbo morire) c'è lo zampino di Salem, il gatto nero parlante del telefilm "Sabrina, vita da strega". A differenza di Salem però, che era uno stregone trasformato in gatto nero per punizione, Morisse è un vero e proprio gatto, elevato per magia al rango di famiglio dotato di intelligenza e voce da Samasa, colei a cui fa da aiutante. Morisse è più giovane di Samasa, ma ha il vantaggio di aver trascorso più tempo a contatto con il mondo e dunque il suo ruolo è un po' quello di guida tra le diavolerie del mondo moderno, e un po' quello di "voce della ragione".
L'ovvia differenza nell'equilibrio di potere, dato che la magia è tutta nelle mani della sua "padrona", lo pone a un rango inferiore, e fa sì che i suoi consigli scaltri e ragionevoli spesso non vengano ascoltati da Samasa, il cui carattere è invece più impulsivo e assai meno pavido. Insomma, a volerli paragonare a una coppia di eroe ed aiutante famosi, in loro rivedo un Morisse-Sancho Panza trascinato nelle avventure da una Samasa-Don Chisciotte, che non gli dà retta e lo maltratta quando il povero felino rifiuta di lanciarsi assieme a lei contro i mulini a vento.


Questi i brani già scritti in cui compare o Morisse. Nei primi due c'è appena una frase che lo riguarda, ma ho voluto inserirli lo stesso.
I famigli di Samasa
Il gatto parlante
Un aiutante leale


L'esercizio richiede di scrivere un brano in cui protagonista e aiutante hanno idee diverse su come affrontare una situazione. Cosa non difficile da fare, perché Samasa e Morisse hanno quasi sempre uno di questi "diverbi d'opinione". E il risultato è immancabilmente questo.


Samasa si sfilò l'anello dal dito e lo posò sul tavolino di vetro. Gli occhi di Morisse vagarono pigri dall'anello con la gemma chiara e luminosa al volto della donna.
– Mia signora, siete proprio sicura di volerlo togliere? – esordì il felino in un miagolio petulante. – L'ultima volta, lei non è stata molto...
– Silenzio, bestia ingrata! – sbottò Samasa. Si rilassò contro lo schienale del divano, e in tono più condiscendente, proseguì: – Solo pochi minuti. Non se ne accorgerà nemmeno. Noi due dobbiamo parlare senza che quella ficcanaso ascolti.
Samasa accennò all'anello che custodiva l'anima di Vivienne, poi recuperò dalla scollatura un frammento di pergamena appesa a un cordino sfilacciato.
Al vederlo, Morisse drizzò le orecchie e lo fissò senza battere ciglio, ma non disse una parola.
– Mia cara disgrazia a quattro zampe... tienti pronto. Presto mi tornerai utile ancora una volta – mormorò Samasa.
Morisse roteò gli occhi. – Ovviamente – brontolò tra sé, poi tese una zampa verso la reliquia. – Se è per quella cosa, non avevate già detto che rinunciavate al piano? Non si può prendere, padrona. Non avete il nome giusto. E il libro è...
– ...a portata di mano – concluse Samasa. – Lì dove sono tornata a lavorare, grazie alla nostra dolce santarellina. – Samasa adocchiò l'anello con un ghigno malefico.
– Ma, ma... – Morisse soffiò dalle narici e socchiuse gli occhi, pensieroso. Con un guizzo della coda, prima che Samasa potesse rimettersi l'anello e porre fine a quella conversazione, il gatto nero sussurrò: – Non avete detto che adorate questi tempi così disinibiti e selvaggi? La libertà, e le invenzioni moderne, e i vestiti raffinati, e la libertà, soprattutto... Non sarebbe saggio rischiare tutto questo per inseguire una leggenda. Lo sapete, vero, che se vi dovessero scoprire a riprovare quella cosa, stavolta non si limiterebbero a rinchiudere la vostra anima in un gioiello, ma vi manderebbero là dove dovreste già essere? E allora, che ne sarà di me? A me non ci pensate, padrona? Tornerò a essere uno stupido gatto qualunque...
Samasa ascoltò le lamentele del felino con la fronte aggrottata, poi sbuffò e si protese in avanti. Con un gesto della mano, bruciando una piccola scintilla del potere che aveva a disposizione, spense la voce nella gola del gatto. – Se tieni così tanto al tuo intelletto e alla tua favella, dovresti preoccuparti non tanto di loro, quanto di me. Io te le ho date. Io te le posso togliere. E sai che ho molta più fantasia di loro, e che nel caso io ti ritenessi inutile e irritante, non mi limiterei a riportarti alla normalità. Tutto chiaro?
Il gatto mosse il muso su e giù.
– Bene – mormorò Samasa. Guardò un'ultima volta il frammento di pergamena, prima di rituffarlo nel suo nascondiglio. – E ora apri bene le orecchie, e ricorda ciò che ti dirò. Questo è quello che dovrai fare per me.

sabato 11 maggio 2019

Equoreo

Questa è una parola poetica, da usare con parsimonia. Difficile infilarla in un discorso, anche perché non si verrebbe capiti. Ma ho voluto presentarla lo stesso, affascinata dal suo suono liquido.

Equoreo [e-quò-re-o] agg. lett. Del mare, marino.

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Era da un po' che non scrivevo qualcosa su Oceano Blu. L'immagine del mare me l'ha riportata alla mente, ma una parola così insolita richiedeva un'età diversa per essere verosimilmente pronunciata o pensata, così... l'ho lasciata bambina, e la ritrovo adulta.


Non sapevo cosa mi aveva portato alla spiaggia. Non lo sapevo quel giorno, e probabilmente non l'avrei saputo mai. Tutto ciò che potevo fare era contemplare l'ipnotica equorea danza delle onde, mentre un'infinità di domande mi si affollavano in testa. Era un giorno nuovo, e un mondo nuovo; eppure, sotto quel cielo che pareva il riflesso di nubi fluttuanti nell'acqua, c'era la solita vecchia me.
La ragazza blu che era stata la bambina blu, quella strana cosa che tutti avevano guardato con stupore o disprezzo.
Non sapevo perché ero lì, ma seguii il richiamo equoreo, allargai le braccia e danzai con le onde. Morbida, la sabbia rispondeva ai miei passi, mentre la brezza salmastra spirava da oltre l'orizzonte, mi attraversava e soffiava il suo aroma tra i miei capelli blu. Le onde si sollevavano e si abbassavano, e io con loro. Il mondo vorticava, e io con lui. Il mio cuore accelerava il ritmo, saltava i battiti pur di rincorrere le mie gambe, il mio fiato faceva a gara con il vento, e mentre danzavo quella danza selvaggia, le domande che credevo di aver avuto scivolavano via da me e finivano divorate dalla spuma famelica.
Poi accadde qualcosa. Un altro colore si mescolò al mio.
Braccia rosse mi cingevano i fianchi e mi aiutavano a librarmi più in alto, mani cremisi si allacciavano alle mie mentre m'inarcavo all'indietro, e un corpo color del fuoco mi sostenne quando infine, esausta e accaldata, mi addossai a lui. E, finalmente, lo guardai negli occhi.
Nel suo sguardo scoprii una sorta di riconoscimento, un confuso e sorpreso piacere, lo stesso che provavo io.
Lui era come me. Eravamo entrambi diversi. Eravamo uguali.

giovedì 9 maggio 2019

Il dizionario è tuo amico

Quand'ero bambina, e leggendo incontravo una parola sconosciuta, mi rivolgevo a mia madre. "Mamma, mamma, cosa vuol dire questa?" Immancabilmente, la sua risposta era: "Cercala nel dizionario." A quel punto correvo nella mia camera e tiravo fuori dal suo posto, incasellato nella libreria, un libro spesso e tozzo dalle pagine sottili, con una copertina rigida e bruna come la corteccia di un albero: un vecchio Devoto-Oli edizione 1979 che conservo ancora e che allora mi pareva enorme e pesante, mentre oggi mi sembra incredibilmente piccolo. L'inconveniente di dover mettere giù il libro che stavo leggendo e andare in un'altra stanza per sfogliarne uno molto meno interessante, quando ero assolutamente certa che mia madre conoscesse la parola che cercavo, mi appariva come un'imposizione assurda. Sarebbe stato molto più semplice ricevere una risposta diretta e tornare subito alla mia pagina ma no, non funzionava così. E oggi sono pronta a riconoscerlo: meno male.

Meno male che ho imparato a cercare le risposte, a essere curiosa, a non fidarmi del resto della frase per dedurre a naso il senso di una parola sconosciuta, e a trattare il dizionario come un amico al quale far visita spesso. Oggi, tra l'altro, non ci sono più scuse. Dovunque tu stia leggendo, non importa se in treno, in una sala d'attesa, o sulla spiaggia, non hai bisogno di correre in una stanza lontana chilometri quando hai a disposizione uno smartphone. Basta una rapida ricerca, ed ecco che l'arcano di una parola misteriosa è subito svelato.

Non hai scuse nemmeno quando scrivi. A meno che tu non stia prendendo appunti per te stesso, dovresti essere certo che le parole che usi corrispondano a ciò che intendi dire. Se hai un dubbio, anche minimo, consulta il dizionario. E se non hai dubbi, fai leggere a qualcuno ciò che hai scritto, possibilmente qualcuno al di fuori della tua cerchia di amici: qualcuno con il quale non corri il rischio di condividere l'uso di una parola con un senso diverso da quello che le attribuisce il dizionario. Può capitare, e più spesso di quanto pensi. Le parole sono una serie di lettere associate a sequenze di suoni con uno o più significati arbitrari, e può accadere, per caso o per scelta consapevole di un gruppo ristretto, che alcune di esse vengano utilizzate in contesti e con significati nuovi, che nessun altro riconosce. Pensa allo slang giovanile, o al gergo criminale: sono fatti apposta per riconoscersi all'interno del gruppo e allo stesso tempo escludere tutti gli altri. Ma quando scrivi, a meno che tu non stia trattando uno di questi argomenti (nel qual caso è scontato che i personaggi useranno il loro codice), lo fai per essere compreso. Quindi, in un mondo di significati arbitrari, l'unico modo per ridurre al minimo le incomprensioni è che tutti quelli che le leggono o le ascoltano siano d'accordo su che cosa vogliono dire. E qui si torna al dizionario, se non vuoi rischiare di ottenere un involontario effetto comico come quelli qui sotto, tratti dal libro Soulcrystal: Volume 1 di Alessandra Toti che ho recensito un paio di settimane fa.


"mimando indifferenza", quando i mimi discreti mimano un muro, quelli veramente bravi, un muro d'indifferenza ➔ corretto diventa "fingendo indifferenza"

"lambire certi dolori", ovvero, come sfiorare un tasto dolente... ➔ dal contesto si intuisce che s'intende "lenire certi dolori"

"Arco, freccia, mira e schiocca" (oh, no! Chi ha portato di nuovo le frecce rumorose?) ➔ dovrebbe terminare in "mira e scocca"

"sentiero convenzionato" sul quale gli scoiattoli vi lasceranno passare in cambio di tre sole ghiande! ➔ trattandosi di un bosco, era un "sentiero battuto"

"spense la stizza nel posacenere", quando si dice che la rabbia brucia... ➔ qui c'è pure la scelta tra i due sinonimi ugualmente validi "spense la cicca/il mozzicone"

"quel trucco così pensante", che a riflettere è il migliore ➔ può essere un refuso di "quel trucco così pesante"

"non sarei riuscito a spiaccicare una sola parola": e meno male, povere parole! ➔ termina in realtà con "spiccicare una sola parola"

"il sangue che usciva a flotte" (oh guarda, velieri di sangue, e galeoni, e cacciatorpediniere, e portaerei, e pure transatlantici di sangue!) ➔ anche se per un taglietto sul dito mi pare esagerato, l'espressione da usare è: "usciva a fiotti"


Un'ultima precisazione: non ti fidare di un "mi sembra di ricordare di averlo letto da qualche parte", né della ricostruzione di una parola a partire dalle sue componenti, nemmeno se ti pare sensata. Non fare come quella ragazza che pensava, dato che "incolore" significa "privo di colore", di poter descrivere un sole freddo come "incalore". Accorgendosi solo mesi più tardi, nel rileggere ad alta voce, che pareva piuttosto che quell'astro fosse entrato nella stagione degli amori.

Non fare come quella ragazza (che non confermo né smentisco di conoscere... ahem!). Consulta un dizionario. Il dizionario è tuo amico!

martedì 7 maggio 2019

L'aiutante

Un paio di settimane fa ho presentato il ruolo del mentore. Un altro dei personaggi che possono affiancare il protagonista nel corso delle sue avventure è l'aiutante, anche detto assistente, braccio destro, spalla, compagno, servitore, vice, secondo in comando o, in alcuni casi, amico.

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Se il mentore è in buona parte dei casi un personaggio più anziano ed esperto che trasmette il suo sapere o addestra un protagonista più giovane, nel caso dell'aiutante avviene l'inverso: un protagonista ormai competente assume o sceglie un altro personaggio più giovane che gli faccia da assistente mentre apprende il mestiere. Questo avviene sovente nelle storie di supereroi, basta pensare a Batman e alla fila interminabile di aspiranti eroi che hanno ricoperto il ruolo di Robin, nel duo eroe-aiutante più classico di tutti i tempi. In alcune storie, come nell'universo di Star Wars, una simile accoppiata più che una scelta volontaria è la norma: un padawan, un allievo, segue e assiste il cavaliere Jedi che l'ha scelto, e così succede anche dal lato oscuro della forza: di Sith "sempre due ce ne sono, né più né meno. Un maestro e un apprendista". Ma non è sempre detto che il giovane aiutante segua l'eroe per decisione di quest'ultimo. A volte è una situazione di pericolo a metterli insieme, come avviene per Shorty in Indiana Jones e il Tempio Maledetto, dove più che la volontà del protagonista di avere un assistente, a far proseguire il sodalizio è anche il desiderio del ragazzino di seguire le orme di qualcuno che ammira.

Anche se capita spesso che il protagonista faccia da mentore al suo aiutante, e che questo sia più giovane del protagonista, non sempre è così. Nel fumetto Tex, colui che lo segue e lo aiuta nelle sue avventure, Kit Carson, è più vecchio del protagonista. E in un altro dei film che lo riguardano, Indiana Jones e l'ultima crociata, ad affiancare il protagonista non è più il piccolo Shorty, bensì il padre dell'avventuroso archeologo, il dottor Henry Jones, che ovviamente non può che essere più vecchio del figlio. Lo ritroviamo anche tra gli antagonisti: nelle varie versioni di Peter Pan il leale e simpatico Spugna è solitamente più vecchio del suo Capitan Uncino, e illustra bene come questo tipo di aiutante tenda a essere, almeno in certi momenti, anche una spalla comica.

Un ruolo simile lo ricopre anche Sancho Panza, che in Don Chisciotte della Mancia serve e segue il cavaliere che dà il titolo al romanzo con molto meno entusiasmo per l'avventura. Capita non di rado che a distinguere il protagonista e l'aiutante e a farli lavorare assieme non sia la differenza di età e il desiderio di imparare dell'aiutante, bensì un carattere e una serie di abilità complementari. Protagonista e aiutante in questo caso sono quasi su un livello paritario, di alleati, non fosse che uno dei due ha maggiore potere, a livello di forza fisica, sovrannaturale oppure di rango. Come avviene in Star Trek per il capitano Kirk e il dottor Spock, il suo secondo in comando: anche se il loro rapporto è di amicizia, sono pur sempre legati ai rispettivi ruoli, ed è chiaro chi dei due sia l'aiutante. Lo stesso avviene per il dottor Watson nei vari romanzi su Sherlock Holmes, mentre in Teen Wolf, l'amico d'infanzia Stiles diventa il primo tra gli aiutanti di Scott quando quest'ultimo viene morso da un lupo mannaro, e con la sua intelligenza e le sue doti di osservazione e deduzione fa da contrappeso al coraggio e alla forza dell'amico licantropo. Insomma, il binomio tra uomo d'azione e uomo di pensiero è un classico, così come quello tra l'ardimentoso e il codardo, e chi dei due sia l'eroe e chi l'aiutante varia di volta in volta in base al tipo di storia narrata.


Ho scelto di limitare gli esempi ma ce ne sarebbero molti altri, anche perché ho deliberatamente tenuto fuori gli aiutanti animali (praticamente ogni film Disney ne ha almeno uno) e la maggior parte dei gialli in cui un civile con competenze particolari affianca un detective o un poliziotto (ok, almeno Mentalist lo nomino. Anche se non so se vale, perché lì l'aiutante Patrick Jane è il protagonista). A questo punto resta solo il doppio esercizio.

Se sei uno scrittore, cerca esempi di aiutanti nelle tue storie. Trovane uno, e scrivi un brano in cui il protagonista e l'aiutante hanno idee divergenti su come risolvere una situazione. Chi la spunterà? Si metteranno d'accordo, il protagonista farà valere la sua autorità, oppure... ognuno per la sua strada?

Se sei un lettore (o uno spettatore), ripensa alle storie che hai seguito di recente o a quelle che ti piacciono di più o che ricordi meglio: in quali casi hanno un personaggio che ricopre il ruolo di aiutante? Scrivimi pure nei commenti quelli che ti vengono in mente.

sabato 4 maggio 2019

Duttile

Le parole che hanno un significato figurato accanto a uno letterale sono tra le mie preferite. E questa forse le batte tutte, perché è allo stesso tempo così astratta da non poter essere afferrata, e così concreta da riferirsi a un materiale specifico.

Duttile [dùt-ti-le] agg. 1. Con riferimento a metallo, che può essere facilmente ridotto in lamine o fili sottili senza rompersi. 2. lett. Flessuoso, agile. 3. fig. Che si modifica a seconda delle necessità e delle circostanze, adattabile, malleabile, versatile.

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Per questo aggettivo avevo scelto di essere duttile anch'io, e per la prima volta dopo tanto tempo fare una sessione di scrittura libera, slegata da qualunque personaggio: solo una parola, e ciò che mi fa venire in mente. Ma anche se non lo volevo, un personaggio è arrivato e ha preteso che questo brano lo riguardasse.


Era duttile come l'oro puro, e altrettanto preziosa. Una tela bianca, su cui potevo scrivere ciò che volevo. Non avevo mai incontrato qualcuno così.
Avevo iniziato a plasmarla fin dal momento in cui mi era capitata tra le dita, smussando le sue piccole asperità, battendo e ribattendo i lati di lei che più gradivo, tirandola in fili sottili come corde di violino, cesellando gli angoli piatti e noiosi in un tripudio di raffinate volute.
Era stato semplice, dal momento che lei non aveva un passato. Non aveva nemmeno un nome, prima che io interpretassi le lettere e i numeri scomposti sul suo braccialetto da ospedale in una sequenza comprensibile.
Karin.
Karin era mia. La mia bambolina, da gestire come volevo, sul palco e fuori. La sua voce duttile e pura completava alla perfezione la mia, che sapeva di sesso e di fumo. Eravamo i due mostri sacri, l'attrazione principale di ogni serata, le due icone del night club in cui lavoravamo. Sheila e Karin. Scilla e Cariddi, ci chiamavano con apprensione le novelline che si apprestavano a percorrere i nostri passi, e che puntualmente duravano solo pochi mesi: il tempo, per me, di stancarmi di loro.
Pensavo che con Karin, al contrario, non sarebbe mai finita. Forse perché, pur vivendo insieme, non ero mai riuscita a portarla tra le mie lenzuola. L'unica parte di lei che non ero riuscita a modellare.
Forse non lo avevo voluto abbastanza da forzarla in quella direzione, mentre era ancora un cucciolo smarrito. Forse perché pensavo che col tempo, piano piano, ci saremmo arrivate comunque.
E invece, all'improvviso, Karin mi è stata strappata via.
Pensavo che non avesse un passato. Ci ha messo un po' di tempo, ma alla fine il suo passato è tornato a prenderla, e lo ha fatto nel più violento dei modi.

giovedì 2 maggio 2019

Personaggio: Taliesin

Lunedì scorso ho presentato un mentore che è tutto il contrario della figura positiva e benevola tipica di un personaggio che ricopre questo ruolo. Cercando meglio, ne ho trovato uno che rispetta più da vicino i canoni. Almeno, come carattere.

Immagine creata con Mega Fantasy Avatar Creator di Rinmaru Games


Nemmeno Taliesin è il vecchio mago dalla barba bianca che ci si aspetterebbe di trovare sulla propria strada come mentore. Innanzitutto, come la figura storica a cui mi sono ispirata, non è un mago, bensì un bardo. In secondo luogo, è molto giovane: anagraficamente poco più vecchio della fata a cui si ritrova a fare da insegnante, all'inizio per quanto riguarda gli usi e i costumi degli esseri umani, e in seguito come insegnante di musica e canto. Ma per LunaSylvania, che prima di incontrarlo non conosceva nulla del mondo al di fuori del suo bosco, Taliesin è ugualmente un mentore e una sorta di padre.
Essendo uno dei primi personaggi che ho ideato, assieme a quelli del romanzo (che però in fase di riscrittura si sono evoluti, diventando più complessi), Taliesin è un personaggio assolutamente positivo, privo di difetti. Sapiente e gentile, paziente e altruista, grazie alla sua guida LunaSylvania matura fino a diventare una sua versione al femminile, lasciandosi alle spalle gli unici tratti negativi che erano inevitabili dato il suo isolamento iniziale, ovvero l'ingenuità e l'ignoranza.
Per quanto riguarda l'aspetto di Taliesin, non mi ricordo come lo avevo immaginato allora. Oggi lo vedo come un giovane cantastorie vagabondo, in un ritratto che rispecchi il più possibile il suo mestiere e il suo carattere: lunghi capelli castani raccolti in una coda, volto dai tratti morbidi e privo di barba, quasi androgino, e abiti comodi, in cui colori neutri che richiamano le sfumature del bosco, a rappresentare il viaggio e il suo legame con LunaSylvania, si mescolano a tinte più vivaci e brillanti, proprie di un intrattenitore che deve richiamare il pubblico con un aspetto variopinto e fuori dal comune.


Questi i brani già scritti in cui compare Taliesin:
Taliesin tranquillizza la fata
Taliesin rivela una verità sgradita


L'esercizio richiede di scrivere il momento della separazione tra mentore e allievo. Buona cosa che io sapessi già, prima di sceglierlo, come avviene tra LunaSylvania e Taliesin: così posso illustrare anche l'altro aspetto di questo momento fondamentale della storia, il tipo di separazione meno violento, ma non per questo meno drammatico.


28° giorno di Caldaluce, Ostello del Viaggiatore Stanco, Villaggio di Mezzocammino

Stamattina è accaduta una cosa strana. La più strana, secondo me, da quando ho lasciato il mio bel bosco: mi sono svegliata da sola.
Di solito, al mio risveglio, Taliesin è già in piedi ad accordare i suoi strumenti, a inventare una nuova ballata o a preparare la colazione. Qualche volta, raramente, mi sveglio prima di lui, ma questo accade solo quando qualcuno gli ha chiesto di suonare fino a tardi per un banchetto nella sala comune della taverna, o di allietare una festa tra le lanterne accese in piazza. Quando succede, mi metto seduta e resto a guardarlo finché non apre gli occhi. È tanto difficile dover aspettare, ma io non voglio svegliarlo e interrompere i suoi sogni. È difficile quanto aspettare che sorga il sole, perché finché la sua luce non accarezza le mie ali, non posso dire che la giornata sia iniziata.
Stamattina però mi sono svegliata, mi sono seduta e ho guardato il suo letto. Taliesin non c'era. Non era nemmeno nella stanza, impegnato con gli strumenti o a fantasticare affacciato alla finestra. Al suo posto, sul letto, dormiva un bigliettino con le sue parole sopra.
Non ho voluto svegliare quel biglietto, all'inizio. Sapevo che quando lo avrei fatto, un nuovo giorno sarebbe iniziato, e sarebbe stato il mio primo giorno senza Taliesin.
Non c'era scritto soltanto che lui andava al mercato e che sarebbe tornato presto, me lo sentivo nelle ali. C'era scritto qualcosa che Taliesin non era riuscito a dirmi. Altrimenti avrebbe atteso che io aprissi gli occhi per parlarmi.
Alla fine mi sono alzata, ho preso il biglietto e sono andata a leggerlo alla finestra. Ho immaginato che Taliesin fosse qui con me, a dirmi tutte queste cose.

"Mia cara LunaSylvania,

ti trovi di fronte a un bivio. Una strada conduce alle terre e alle città che io conosco, e che tu hai scoperto in mia compagnia. Lì già sai che non troverai ciò che cerchi, perché da nord a sud e da est a ovest ne abbiamo percorso insieme ogni sentiero. Ma nonostante questo, tu continui a seguirmi.
Perché dall'altra parte, mia Luna, inizia la strada che porta alle terre sconosciute, lì dove io non oso andare, e dove certamente troverai la persona per cui in realtà hai lasciato la sicurezza del tuo bosco: colui o colei che possiede una magia tanto potente, che è bastato un suo solo pensiero d'amore per la natura a dare vita a una fata.
So che vuoi andare. Te lo leggo negli occhi, ogni giorno di più.
Tutto ciò che ti trattiene dal percorrere quella strada, sono io.
Ti ricordi quello che ti dissi il giorno in cui mi trovasti smarrito nel bosco? Quando non volevi indicarmi la via, perché preferivi avere per sempre la mia voce a cantare per te? Ti chiesi se avresti mai pensato di tenere stretto tra le mani un uccellino, o una farfalla. Allora tu hai compreso, hai aperto le tue mani e mi hai lasciato andare, e hai scelto di partire per un lungo viaggio.
Oggi tocca a me aprire le mani.
Vola, Luna dei Boschi. Trova la tua strada. Trova chi formulò nella sua mente il pensiero che ti ha dato vita, e ringrazialo da parte mia.

È stata un'incredibile avventura, viaggiare assieme a te. Un'avventura che canterò fino alla fine dei miei giorni."