giovedì 16 maggio 2019

Personaggio: Mathias

Ho già scritto lunedì di quanto sia difficile trovare un esempio di l'aiutante tra i miei personaggi. In questo caso, per averne uno ho dovuto cercare tra chi rasenta i confini del socio o dell'amico, quindi con un rapporto più equilibrato con il protagonista rispetto a quello che potrebbe avere un suo sottoposto. Dunque, questo ragazzone è il perfetto esemplare del genere.

Immagine creata con Mega Fantasy Avatar Creator di Rinmaru Games


Mathias è un uomo massiccio, più alto del suo amico e socio Jasmen Astorenn (lo supera con tutta la testa), e molto più silenzioso. Figlio di un pescatore, ha trascorso buona parte dell'infanzia sulla barca del padre, e un po' per genetica, un po' per la vita all'aperto, Mathias ha la carnagione mulatta tipica delle fasce povere della popolazione del sud di Terrana
Nella gilda di cui è il fondatore assieme a Jasmen, Mathias è il secondo in comando, e a modo suo qualcuno su cui tutti gli altri membri possono contare. È di qualche anno più vecchio di Jasmen eppure quest'ultimo, che proviene da una famiglia nobile ed è più abile con le parole e  nell'allacciare e mantenere contatti utili, era la scelta più azzeccata come leader e mente del gruppo. Mathias, invece è il meccanico e l'inventore della gilda, eppure definirlo "il braccio" sarebbe riduttivo. Lui è la colonna portante, che con doti come la pazienza, l'adattabilità e la capacità di osservazione contrasta lo spirito talvolta irruento, in altri casi inflessibile o diffidente di Jasmen. È questo mix di caratteristiche contrastanti che fanno dei due un'ottima accoppiata di protagonista e aiutante, e a rendere più interessanti le dinamiche tra i personaggi, il rapporto si rovescia quando è in pericolo Leda, la sorella di Mathias: in questo caso Mathias diventa quello che corre in prima linea e rischia senza pensare alle conseguenze, mentre a Jasmen tocca il ruolo di comprimario e supporto dell'amico.
Se i rispettivi ruoli sono così fluidi, e le loro competenze in sostanza complementari, cosa fa di Mathias, e non Jasmen, l'aiutante? La differenza di rango, anche se minima all'interno della gilda e annullata dall'amicizia quando i sue sono da soli, è un fattore. Ma a contare di più è la caratteristica più marcata di Mathias, il suo essere una figura prevalentemente silenziosa, che per me risulta una sfida mentre lo scrivo perché devo continuamente sforzarmi di ridurre le sue battute al minimo e mostrare ciò che pensa tramite espressioni e azioni. E dato che non parla molto, le decisioni che riguardano la gilda in definitiva le prende Jasmen, mentre Mathias si limita a influenzarlo o accettare le sue direttive.


Ho scritto molti brani su Jasmen, nessuno finora su Mathias. Questo è l'unico in cui viene almeno nominato:
La sorella di Mathias


L'esercizio richiede di scrivere un brano in cui protagonista e aiutante hanno idee diverse su come affrontare una situazione. Così mi è tornata in mente questa parte nella storia che riguarda la Gilda dei Rapaci, un punto di svolta e in definitiva... ciò che da l'avvio alle avventure che intendo raccontare.


Quando l'ologramma si spense e la piastra divenne inattiva, l'afferrai e la gettai nel mucchio dei rottami di Mathias. Mi girai e feci per andarmene, ma sentii il suo sguardo addosso in un muto rimprovero.
– E va bene, parla – gli ingiunsi. Sapevo che se non glielo avessi detto, lui non avrebbe aperto bocca.
– Sono un sacco di quattrini – mormorò Mathias con voce profonda e pacata.
Sbirciai l'angolo dei ricambi, poi rivolsi gli occhi a lui, che se ne stava piantato a gambe larghe davanti al portellone della Karecanthia. – Già. Un sacco di quattrini da parte di un tiranno dispotico e sanguinario, un uomo crudele di cui non ci si può fidare. – Nel descriverlo, la mia voce divenne di pietra, e sentii la mascella irrigidirsi. – Non puoi chiedermi di lavorare per lui. Nessuno in questa casa lo farà. Tu, Leda, Gileann, Cathalyn, Annika, Tommy... siete la mia famiglia e non gli permetterò di avvicinarsi a voi. Tu sai che cosa mi ha fatto.
Mathias annuì una sola volta, gravemente. Ma non smise di puntarmi addosso quello sguardo corrucciato, non si mosse dal portellone aperto da cui dovevamo ancora cominciare a scaricare l'attrezzatura. Mi passai una mano sugli occhi. – Senti, lo so che quei soldi ci servono. Li tengo io i conti, e so che rischiamo di chiudere da un momento all'altro. Per cosa credi che stia accettando missioni sempre più pericolose? Non certo per complicarmi la vita! Ne ho avuto abbastanza delle sfide e vorrei solo qualcosa di semplice. Per una volta.
La proposta di Majestas Neron, così inaspettata, così sospetta, era esattamente quel genere di dilemma che avrei voluto evitare. La tentazione di andare a incassare una ricompensa così grande per una missione di recupero in apparenza rapida e facile era così allettante da farmi temere che il presidente che mi aveva esiliato avesse un altro motivo per farla. E ormai, dopo aver visto il suo lato peggiore, non potevo che attribuirgli pessime intenzioni.
– Non posso. – Esalai un sospiro esasperato nel rivolgermi a Mathias. – Non chiedermelo. So quanto ne abbiamo bisogno, ma... questo lavoro ha tutta l'aria di una trappola. Una scusa bella e buona per attirarmi là e ammazzarmi assieme a tutti quelli che verranno con me.
Mathias grugnì sdegnato, poi si girò e andò ad armeggiare al pannello dell'hangar. All'inizio pensai che avesse compreso e, seppure controvoglia, accettato il mio punto di vista. Ma quando scaricai la prima cassa, notai la sua fronte corrucciata e le labbra dischiuse sui denti stretti, e ormai lo conoscevo abbastanza bene da capire che, anche se non mi guardava e sembrava del tutto concentrato sul pannello, stava macinando un'idea che avrei fatto meglio ad ascoltare. Mi avvicinai, e non ebbi bisogno di spronarlo a parlare. Mathias scosse la testa, schiacciò un ultimo pulsante e disse: – No.
Il discorso per lui non era affatto chiuso.
– Tu non lo conosci – mi affrettai a ribattere. – Non sai di che cosa è capace...
– Sono entrate. – Mathias mi interruppe, come faceva molto di rado, parlando in modo lento e senza alzare la voce. Ma non compresi che cosa intendesse dire finché non alzò gli occhi ai sensori dell'allarme. E allora ricordai il fracasso che aveva fatto quando avevamo portato dentro la mutaforme che avevo raccattato a Greye, che al contrario di noi due e di Leda non era registrata tra gli abitanti della casa, e di come non aveva emesso un suono quando le due Eterne ci avevano sorpreso in quello stesso hangar solo per recapitarci la piastra olografica con il messaggio del loro padrone. Se erano in grado di muoversi indisturbate nella zona riservata della nostra casa, allora Majestas Neron non aveva alcun bisogno di tendermi una trappola per assassinarmi o ferire quelli a cui tenevo. Anzi, sarebbe stato da stupidi rischiare di far ricadere i sospetti su di sé in patria, quando poteva liberarsi di me senza clamore in terra straniera.
– D'accordo – mugugnai. Mi girai, raccattai la piastra dal mucchio dei rottami e la gettai sul bancone di lavoro. Afferrai il bordo del bancone con entrambe le mani. Ancora non riuscivo a decidermi ad attivare il segnale che avrebbe indicato alle due Eterne, in attesa chissà dove, che accettavo l'incarico.
Chiusi gli occhi. – Ti prometto che ci penserò – mormorai, spingendomi indietro dal bancone.
Era una concessione per entrambi. Anche se dubitavo che una notte sarebbe bastata per farmi cambiare idea.
La verità era che non volevo lavorare per quell'uomo. Non volevo accettare i suoi soldi sporchi.
Ma ero davvero disposto a perdere tutto pur di mantenere l'ultima traccia di onore che mi restava?

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