sabato 4 maggio 2019

Duttile

Le parole che hanno un significato figurato accanto a uno letterale sono tra le mie preferite. E questa forse le batte tutte, perché è allo stesso tempo così astratta da non poter essere afferrata, e così concreta da riferirsi a un materiale specifico.

Duttile [dùt-ti-le] agg. 1. Con riferimento a metallo, che può essere facilmente ridotto in lamine o fili sottili senza rompersi. 2. lett. Flessuoso, agile. 3. fig. Che si modifica a seconda delle necessità e delle circostanze, adattabile, malleabile, versatile.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Photo by Quang Nguyen Vinh from Pexels


Per questo aggettivo avevo scelto di essere duttile anch'io, e per la prima volta dopo tanto tempo fare una sessione di scrittura libera, slegata da qualunque personaggio: solo una parola, e ciò che mi fa venire in mente. Ma anche se non lo volevo, un personaggio è arrivato e ha preteso che questo brano lo riguardasse.


Era duttile come l'oro puro, e altrettanto preziosa. Una tela bianca, su cui potevo scrivere ciò che volevo. Non avevo mai incontrato qualcuno così.
Avevo iniziato a plasmarla fin dal momento in cui mi era capitata tra le dita, smussando le sue piccole asperità, battendo e ribattendo i lati di lei che più gradivo, tirandola in fili sottili come corde di violino, cesellando gli angoli piatti e noiosi in un tripudio di raffinate volute.
Era stato semplice, dal momento che lei non aveva un passato. Non aveva nemmeno un nome, prima che io interpretassi le lettere e i numeri scomposti sul suo braccialetto da ospedale in una sequenza comprensibile.
Karin.
Karin era mia. La mia bambolina, da gestire come volevo, sul palco e fuori. La sua voce duttile e pura completava alla perfezione la mia, che sapeva di sesso e di fumo. Eravamo i due mostri sacri, l'attrazione principale di ogni serata, le due icone del night club in cui lavoravamo. Sheila e Karin. Scilla e Cariddi, ci chiamavano con apprensione le novelline che si apprestavano a percorrere i nostri passi, e che puntualmente duravano solo pochi mesi: il tempo, per me, di stancarmi di loro.
Pensavo che con Karin, al contrario, non sarebbe mai finita. Forse perché, pur vivendo insieme, non ero mai riuscita a portarla tra le mie lenzuola. L'unica parte di lei che non ero riuscita a modellare.
Forse non lo avevo voluto abbastanza da forzarla in quella direzione, mentre era ancora un cucciolo smarrito. Forse perché pensavo che col tempo, piano piano, ci saremmo arrivate comunque.
E invece, all'improvviso, Karin mi è stata strappata via.
Pensavo che non avesse un passato. Ci ha messo un po' di tempo, ma alla fine il suo passato è tornato a prenderla, e lo ha fatto nel più violento dei modi.

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