giovedì 31 gennaio 2019

L'ora della toeletta

(racconto ispirato alla Sfida numero 15. Coppia felina questa volta, raccontata da un occhio esterno e scapolo nell'ora della toeletta!)

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Alle quattro, l'ora della toeletta, si ripete ogni giorno la stessa scena.
Io e il Bigio ce ne stiamo sdraiati sul pavimento, a pensare ai fatti nostri e a sonnecchiare beati. Ed ecco che arriva Sissi, tutta tronfia nel suo pelo lungo, bianco e vaporoso che l'aiuta non poco a nascondere la mole abbondante del suo corpicino. Si ferma a pochi passi dal Bigio, mi rivolge un'occhiata di sdegno, poi si inclina su un fianco e si abbatte di peso sul pavimento. E a questo punto inizia.
Comincia a leccarsi da poco sotto la gola, solleva a fatica il faccione piatto da persiano e prosegue lungo le zampe, prima una e poi l'altra. Poi passa alla pancia. Due volte. Quindi si gira, s'inarca, e liscia ben bene con la lingua il pelo folto su tutto l'ampio fianco. E arrivata qui, di solito, iniziano i problemi. Perché Sissi vuole a tutti i costi dare una sistemata anche al pelo arruffato sulla nuca e all'inizio della schiena. E allora sbuffa, soffia, si protende e gira più che può il muso rincagnato, ma a quel preciso punto a cui tende la lingua proprio non ci arriva. E non dà un miagolio di richiesta d'aiuto, non un solo rantolo rivolto direttamente al Bigio. No, lei continua a lottare con se stessa, a gemere e a penare, vittima solitaria della nostra indifferenza.
Da parte mia, non mi azzardo a muovere un muscolo: sto troppo bene dove sto, e soprattutto già so che, se mi avvicinassi, mi attenderebbe solo un'artigliata a tradimento sul muso.
Invece il Bigio, dopo qualche minuto di rumorosa sofferenza, cede, si alza con un sospiro e le si avvicina. Sissi si ferma e si scambiano uno sguardo. Dopodiché la gattona bianca si adagia quieta sul fianco mentre il Bigio, ligio al suo dovere e paziente come solo un certosino sa essere, si appresta a leccarla non solo sui punti irraggiungibili, ma anche su quelli ancora trascurati dalla sua signora.
Lei, finalmente soddisfatta, lo lascia fare, accompagnando ogni leccata con un ron ron di sonore fusa.
E io? Io resto al mio posto, a sonnecchiare beato e a pensare al povero Bigio, alla bella gatta da pelare che gli è capitata, e alla palla di pelo lungo e bianco che prima o poi, inevitabilmente, gli si fermerà in gola e lo farà tossire.

lunedì 28 gennaio 2019

Il modo più facile (di accontentare i suoceri)

(racconto ispirato alla Sfida numero 15. Ho scelto una coppia... atipica, uno di loro è umano e l'altra no, e lei è in procinto di dargli una lezione di "etichetta" prima di presentarlo alla sua famiglia)

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Photo by Bianca from Pexels


Quand'ero bambino, mia madre mi raccontava una storia di Sljdzjell. Parlava di un uomo che si era innamorato di uno spirito che aveva assunto le sembianze di una donna. Lo spirito non ricordava cos'era, né quanto potere aveva, poiché l'uomo gli aveva sottratto il mantello nero che usava per trasformarsi. Era convinto di essere la moglie di quell'uomo, e come tale visse per anni. Ma un giorno, durante la stagione delle piogge, lo spirito si ritrovò costretto a uscire di casa; quindi cercò nella stanza del marito qualcosa per ripararsi durante il tragitto. Trovò quello che era stato il suo mantello nero, lo indossò e di colpo ricordò chi era, e quando l'uomo rincasò, lo spirito per punizione lo divorò prima di tornare da dov'era venuto.
Mentre guardavo Ylenia trafiggere con la lancia un coccodrillo attraverso le fauci spalancate, mi tornò all'improvviso in mente quella favola. Come lo spirito, lei aveva camminato tra gli esseri umani con le sembianze di una donna, si era adattata alla nostra lingua e alle nostre abitudini, e mentre eravamo a Terrana io avevo quasi dimenticato chi era. Ma lei no, non lo aveva mai scordato.
Appoggiata alla lancia, sporca del sangue biancastro della creatura che aveva ucciso, Ylenia mi chiamò.
– Vieni.
Alla luce azzurra della torcia da polso, l'unica che mi permetteva di tenere poiché i suoi occhi pallidi non potevano vederla, le sue squame brillavano dello stesso nero di quelle dell'animale morto. Quando la raggiunsi, Ylenia si accovacciò e iniziò a spiegarmi. – Lei è golkoksat. Lei è giovane. Piccola. Facile. In prima caccia, possibile che Clan chiederà a te di prendere golkoksat. Solo, uno più grande.
– Un esemplare adulto – commentai, annuendo.
Ylenia proseguì. – Questo che ho fatto, modo più difficile di uccidere golkoksat. Mostra forza. Mostra coraggio. Tu hai coraggio di Shidvelkhm – disse Ylenia, usando la parola che avevo imparato da lei al posto di "mutaforma", – ma non forza di Shidvelkhm.
– Ehi! – tentai di protestare, ma bastò una stretta delle sue dita artigliate sulla mia mano per farmi desistere. – Ok, ho capito. Ma allora come...?
Stavo ancora scrollando la mano dolorante, quando lei la afferrò con delicatezza e mi portò a posarla sulla mascella inferiore dell'animale, che giaceva rovesciato sulla schiena. – Golkoksat ha morso forte. Difficile aprire e tenere sua bocca aperta. Più facile da tenere chiusa.
Ci scambiammo uno sguardo. Le sorrisi, poi spinsi forte sulla mascella dell'animale morto fino a chiudergli le fauci.
– D'accordo. Ammettiamo che io riesca ad avvicinarmi abbastanza e a tenergli le fauci chiuse a mani nude. Ho i miei dubbi, ma andiamo avanti. Dopo, che faccio?
Ylenia fece scivolare un artiglio sopra la mia mano, senza graffiarmi, e proseguì verso la gola del golkoksat. Sbirciò il mio volto mentre si protendeva verso di me fino a sfiorarmi la spalla con la sua, ruvida di squame; poi fissò il punto in cui il suo indice si era fermato. – Dopo, tu tagli qui. Qui tagliare è più facile, e golkoksat muore presto.
Allungai l'altra mano fino a raggiungere la sua e tastai. Ylenia aveva ragione, sotto la gola c'era un punto in cui le squame dell'animale erano meno coriacee. Saperlo, però, non mi garantiva che lo avrei trovato mentre lottavo con una di quelle bestie, una viva e molto più grande di quella che stavamo esaminando. Tolsi le mani dal rettile e mi alzai in piedi. – Non lo so. – Scossi la testa. – Sono ancora convinto che farei molto prima con un colpo di laser. Loro sanno chi sono, non posso fingere, e se per essere accettato devo solo ammazzare uno di questi cosi, io...
Non la vidi muoversi. Sentii solo il tronco di un albero sbattere contro la mia schiena e un suo braccio squamoso contro la gola. Vidi le zanne crescere e riempirle la bocca e per un attimo mi chiesi se non si fosse stancata di me e, come lo spirito della storia, non avesse intenzione di divorarmi.
– Niente trucchi umani! – bofonchiò, la voce più profonda e le parole distorte da tutti quei denti lunghi e aguzzi.
Annuii, poi sollevai una mano ad accarezzarle il braccio con cui mi tratteneva, mormorando: – Va bene. Calmati. Farò come vuoi.
A poco a poco, le zanne si ritirarono e Ylenia si addossò a me, stringendomi contro l'albero. – Clan deve vedere come io vedo in te. Ma se fai cose da umano, loro vedono in te solo nemico. Io ho fatto come fa umano in casa tua. Qui è casa nostra, e tu devi fare come fa Shidvelkhm.
Aveva senso. In fondo, non era molto diverso da ciò che le avevo chiesto io. La abbracciai sospirando.
Ah, cosa non si fa per essere accettati dalla famiglia di lei!

sabato 26 gennaio 2019

Manutengolo

Perché continuo a confonderla con intingolo? Sarà per la rima, ma non appena ho visto il vocabolo, e prima di leggere la definizione... ero convinta di dover scrivere una scena ambientata in una cucina! Alla fine, anche se non era ciò che pensavo, l'ho presa lo stesso perché al pari di mariuolo sembra quasi dare una connotazione ironica a un lestofante.

Manutengolo [ma-nu-tèn-go-lo] s.m. (f. -la) Chi protegge o aiuta qualcuno in azioni illecite, complice.

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Quando si parla di affari loschi e di azioni illecite, ecco che mi torna in mente Tia. Per questa parola, ho provato a immaginare il seguito di Fidarsi di un bugiardo, scritto quasi esattamente un anno fa. Si vede che è destino... non è gennaio, se non rispunta fuori Tia!


Era solo un manutengolo. Un uomo qualunque, parte di un'organizzazione più grande.
Non avevo alcuna intenzione di diventare come lui
– Non se ne parla, io lavoro da solo.
Da quando mi ero liberata del Corvaccio, avevo scoperto quanto fosse bello andare dove mi pareva, fare quel che mi piaceva, non dover dividere l'oro con un peso morto solo perché aveva avuto una buona idea che era troppo vecchio per mettere in pratica.
Feci per girarmi, ma quello mi afferrò per un gomito.
– Aspetta. Non sai dove abbiamo intenzione di fare il colpo.
– Non mi interessa – bofonchiai e liberai il braccio con uno scrollone. – Anche se fosse nel palazzo dell'imperatore di Vattelapesca, non...
– Al Tempio dei Paladini di Andronicus.
Tacqui. Mi girai e lo fissai, tentando di non mostrargli una sola oncia del mio stupore. Ma il mio silenzio, da solo, era abbastanza eloquente da strappargli un sorriso.
Quello era l'unico luogo in cui non potevo andare. Innanzitutto perché ero una donna, e questo era un motivo sufficiente per farmi giustiziare, se mai mi avessero trovato là dentro. Ma anche se fossi riuscita a ingannare i paladini così come stavo ingannando il manutengolo, mi mancavano i requisiti per fingermi un aspirante cadetto. Non avevo una nobile famiglia, né prove di un pellegrinaggio, né referenze da parte di un Paladino o di un cavaliere di fama.
Avevo spesso provato a immaginare quali tesori custodisse il Tempio. L'idea di essere io quella che poteva rubarli era troppo allettante per lasciarla andare, per quanto pericolosa fosse.
– Come? – gli chiesi.
– Abbiamo tutto quello che ci serve. Falsari. Testimoni. Un paio di persone all'interno, tra i ranghi della servitù. Io sarò il tuo contatto all'inizio, mi do da fare in cucina e ho disegnato una mappa niente male dei posti dove mi permettono di andare. Conosco i turni delle guardie, e le loro abitudini. Ci serve solo un volto nuovo, qualcuno con un bel profilo e mani che non possono appartenere a un contadino. Qualcuno con il tuo talento.

giovedì 24 gennaio 2019

Recensione: "Believeland - Le gemelle" di Noemi Villari



Titolo: Believeland - Le gemelle

Autore: Noemi Villari

Casa editrice: Lettere Animate Editore

Data di pubblicazione: 25 novembre 2016




L'avevo annunciata, ed eccola qui! La mia prima recensione per la Piuma Tramante!
Prima di cominciare, tre avvertimenti:
1) Questa, come ogni altra recensione, è almeno in parte basata su preferenze e gusti personali. Ciò che io ritengo un elemento di pregio potrebbe essere un difetto agli occhi di qualcun altro, o viceversa.
2) Se preferisci evitare gli spoiler, leggi solo la recensione in breve che trovi all'inizio.
3) La versione del romanzo che ho avuto sottomano io è, purtroppo, una vecchia edizione che è stata successivamente rivista e corretta. Pur tenendone conto, non posso recensire qualcosa che non ho letto, dunque i miei appunti si riferiscono necessariamente a quella vecchia versione.


Recensione in breve


La fretta è una cattiva consigliera... ma a volte si può rimediare

Punti di forza: ho apprezzato il fatto che sia ambientato in Italia, che l'autrice non abbia ceduto al fascino di una locazione straniera, prevalentemente americana, che affligge i giovani autori. Nella parte di fantasia sono molto curate le architetture, con l'ideazione di alcune stanze dalla funzione particolare, e l'inserimento di una razza originale. Ottimo il colpo di scena finale che apre la via a un possibile seguito. Vale la pena di leggere i ringraziamenti, scritti (nella vecchia versione) molto meglio rispetto all'intero romanzo. Dai capitoli di estratto ho notato le correzioni rispetto al vecchio testo: finalmente un editing come si deve!
Punti di debolezza: nella versione che ho potuto leggere io... refusi a non finire. Tolti questi, che di sicuro sono stati corretti, a meno che non siano stati apportati anche grossi cambiamenti alla trama rimangono i problemi che ho notato nella versione precedente. Ovvero alcune incoerenze che rendono parti della storia e personaggi poco credibili, e caratteristiche della razza inventata dall'autrice che vengono dimenticate qua e là, o del tutto trascurate. Il classico triangolo amoroso che, almeno per quanto mi riguarda, ormai ha stancato. Sostanzialmente non si eleva rispetto ad altri romanzi young adult dei quali riprende gli elementi.
Lo consiglierei a... nessuno. Ma questo perché posso basare il mio consiglio solo su quanto ho letto nella vecchia versione, e quanto ho letto era un pessimo biglietto da visita di un'autrice che sicuramente può fare di meglio.

Piume Totali: 🌾🌾🌾🌾🌾 5 su 10


Se vuoi evitare ogni spoiler, questo è l'ultimo avvertimento: fermati qui. Altrimenti prosegui pure, e scopri quali elementi del testo mi sono piaciuti, quali no, e che valutazione (da 0 a 2 piume) ho assegnato a ciascuno di essi.



Stile

Una formattazione dei dialoghi completamente sbagliata, punteggiatura da fumetti, uso delle preposizioni e dei tempi verbali errati in particolare nel caso dei congiuntivi, refusi da distrazione come parole ripetute o lettere sfuggite alla tastiera, frasi poco scorrevoli e uno smodato utilizzo delle parentesi a interrompere il flusso della narrazione sono solo alcuni dei problemi che mi hanno rovinato l'esperienza di lettura, distogliendomi dalla storia per rendermi consapevole, in quasi ogni pagina del romanzo, delle parole scritte (sbagliate) sullo sfondo bianco.
Nulla che sia tale da rendere il testo incomprensibile, ma comunque fastidiosissimo e ben al di sopra del numero di refusi che posso tollerare in un libro stampato. E pensare che sarebbe bastato un semplice passaggio di revisione da parte di un correttore di bozze, o più attenzione da parte dell'autrice, per sistemare la maggioranza questi problemi. Così com'è, nella versione che ho letto, non sarebbe dovuto arrivare agli occhi del pubblico: è un pessimo biglietto da visita per un'autrice che, ne sono certa, può fare di meglio. Basta leggere la parte finale dei ringraziamenti, in cui ammette candidamente di aver riscritto per intero in pochi mesi una storia che aveva ideato nella sua infanzia, e confrontare quel brano con il testo del romanzo. Nessun errore in quelle ultime pagine, scritte in uno stile molto più fluido, che rivela una voce fresca, gradevole e a tratti divertente.
Esattamente il modo in cui avrei voluto leggere il romanzo.

Piume per lo Stile: 🌾



Trama

La trama si basa quasi tutta sul fatto che una ragazzina, con un potere che la rende praticamente una dea nella comune realtà e che non ha remore a usare su parenti e amici, riesca a fregare un governo totalitario composto da creature anche più potenti e abili di lei nell'uso di quel potere, tenendo nascosto a una schiera di telepati un piano a cui non smette mai di pensare. DAVVERO POCO CREDIBILE. Viene da chiedersi come abbiano fatto quei tizi a mantenere il potere politico così a lungo.
L'idea del mondo parallelo, sebbene non sia nuova, non era male, e le premesse su cui si basa Believeland sono interessanti. Peccato che la trama prosegua tra scene che non hanno spiegazione se non quando sono ormai dimenticate (la vecchietta malefica... che potrei sbagliare, ma sembra quasi una sorta di rivalsa sulla pagina per un evento davvero accaduto), deus ex machina che compaiono proprio al momento giusto, senza nessun tipo di anticipazione (mai lavato i vetri del palazzo fin quando non è servito per la fuga della protagonista!), le riflessioni con tanto di morale pseudo-educativa un po' forzata nel confronto tra i due mondi (gli effetti collaterali dei medicinali, il governo che controlla l'informazione, la dipendenza da social network), e le immancabili sequenze piccanti infilate qua e là.
Gli ingredienti del romanzo young adult ci sono, prevedibilmente, tutti: dalla protagonista senza famiglia o quasi, più in gamba di qualsiasi adulto della sua vita, che si scopre essere una principessa e che nonostante la dichiarata bassa autostima, attira lo sguardo di tutti i ragazzi e l'invidia delle ragazze, al bel tenebroso che la conquista al primo sguardo, fino al triangolo amoroso con l'amico d'infanzia, che fortunatamente però si risolve in maniera diversa da quella a cui il genere mi ha abituata.
Ed è proprio il finale ciò che mi ha fatto rivalutare una trama fin troppo sfilacciata. Non la scelta di Alessia, che comprensibilmente ha preferito un mondo in cui ha più potere di chiunque altro a quello in cui sarebbe stata relegata al ruolo di principessa-marionetta nelle mani di un consiglio di eminenze grigie, per quanto incapaci di tenerla sotto controllo. Ma quella rivelazione, lì all'ultima pagina. Quella che apre la strada a un possibile seguito. Da una parte, non me l'aspettavo. Dall'altra, se ciò che ho intuito dovesse rivelarsi corretto, almeno in questo caso le premesse per comprendere quel colpo di scena e il suo senso all'interno della trama ci sono tutte, e vengono ribadite più volte, così che non ci si arriva avendo dimenticato quel particolare evento nella vita della protagonista.

Piume per la Trama: 🌾



Personaggi

Di solito, quando i personaggi sono scritti bene, ce n'è almeno uno che spicca ai miei occhi e al quale mi affeziono più che agli altri. In questo romanzo non ce n'è stato nessuno.
Non Alessia, la protagonista, che a tratti sembra sociopatica per la sua propensione a manipolare il prossimo "per il loro bene", per il suo bisogno di essere quella che conduce il gioco in ogni caso, anche in amore, e per la sua assoluta mancanza di reazione agli eventi del finale. Posso capire l'adrenalina e il fatto di essere in pericolo, lì, sul momento. Ma dopo, a freddo, mi sarei aspettata da parte di una persona normale, se non una sindrome post-traumatica da stress, che sia perlomeno un pochino scossa da quello che è stata costretta a fare. E invece no, Alessia non ci ripensa nemmeno una volta e il suo unico incubo, se tale è stato, ha per tema la gelosia nei confronti di un ragazzo.
L'amico d'infanzia Daniele... è troppo ovvio in quello che sta facendo, e perché, per risultare interessante. E stranamente, l'unica che non lo capisce è Alessia: lo sanno tutti, lettore compreso, tranne lei. Con il bel tenebroso Derek va già un po' meglio, almeno non è così scontato, e quando infine le sue motivazioni vengono rivelate quasi mi fa un po' pena: è il personaggio che viene trattato più ingiustamente, e non ha nemmeno (per ora) una vera possibilità di redenzione. Sì, forse Derek è quello che mi ha convinto un po' più degli altri, anche se non del tutto.
La maggior parte dei personaggi secondari ricadono nella categoria dei "buoni come il pane", incapaci di agire senza l'aiuto di Alessia (Ilda, Agata, la stessa madre della protagonista). In alcuni casi non sembrano nemmeno avere una vera e propria personalità, e ho l'impressione che siano solo artifici narrativi per spiegare al lettore le caratteristiche dell'ambientazione. Un esempio su tutti, Sammy: pur essendo un bambino piccolo, è impossibile che non abbia mai sentito parlare della Maledizione che è un elemento così pervasivo del suo mondo da prima che nascesse, costringendo così un adulto a informarlo. Come se un bambino oggi, in Italia, non sapesse che esistono i cellulari. Può non sapere come funzionano, e chiederlo, ma di certo non vivrà ignorandone l'esistenza
Sui cosiddetti "Saggi" alla guida del governo di Believeland e su quanto poco siano credibili ho già speso qualche parola, ma vorrei aggiungere un ultimo appunto circa l'idiozia del loro operato. Conoscono tutte le regole del loro mondo. Una di quelle regole è che se ci credi abbastanza, e se lo fai credere ad altri, quello in cui credi diventa reale. E hanno i mezzi per diffondere qualunque idea direttamente nella testa degli abitanti del loro mondo. Quindi, perché diavolo mettersi nelle mani di un alleato esterno, qualcuno che può tradirli o che non può essere controllato, in cambio di qualcosa che possono creare loro stessi semplicemente instillando l'idea che esista?
Erika/Percy, in questo, risulta molto più furbo di loro, sfruttandoli a suo vantaggio. Peccato che come cattivo non sembri così spaventoso dato che Eric, un semplice umano, non ha alcun problema a sgridarlo e trattarlo anche piuttosto male.

Piume per i Personaggi: 🌾



Ambientazione

Vale la pena di distinguere le due ambientazioni in cui è suddiviso il romanzo, la parte che si svolge nella realtà, e la parte che si svolge a Believeland, un mondo fantasy parallelo.
Per la parte di realtà ho gradito la scelta di ambientare la storia in Italia, scelta che resta coerente nell'uso dei nomi dei personaggi e nelle situazioni riconoscibili da un lettore italiano (l'autobus affollato, compagno dei miei giorni di liceo!). Le descrizioni dell'ambiente però mi sono sembrate un po' lacunose, raramente c'è una solida base per riuscire a immaginare di vedere, sentire, annusare o toccare la realtà che la protagonista racconta.
Per quanto riguarda Believeland, ho trovato interessanti le spiegazioni sull'architettura particolare del luogo e i dettagli come stanze e corridoi con funzioni speciali nel palazzo.
Il punto dolente dell'ambientazione è la magia, che quando viene spiegata solleva più interrogativi di quelli che risolve. Se esiste un incantesimo di traduzione attivo su tutta la terra di Believeland, come mai il nome di questa terra non viene tradotto in italiano per Alessia? E che lingua sentiranno, e quindi impareranno a parlare, i figli nati a Believeland da genitori di lingua madre diversa?
Inoltre in diverse parti ho avuto l'impressione che il linguaggio non fosse molto coerente con l'ambientazione, dall'uso del lei a una lettera alla futura principessa che inizia con "Gent.ma Alessia" e termina con "Cordiali saluti", fino a un messaggio telepatico universale che si conclude con un "ci scusiamo per l'interruzione, buonanotte", sembra tutto troppo affine alla nostra realtà, o a certi ambiti di essa.
Per quanto riguarda le razze, non mi sono piaciute le fate, troppo sdolcinate e alquanto fastidiose, ma... questione di gusti. Si sa, per le fate ho un debole, e quando sono ridotte a farfalline innamorate mi piange il cuore e mi calano le ali.
Originale invece l'ideazione degli Elfel, un ibrido tra elfi e angeli, peccato che le qualità elfiche, salvo per una scena priva di conseguenze e mai più nominata, si limitino alla caratteristica estetica delle orecchie a punta. La commistione poteva essere sfruttata molto meglio. Molto più utilizzate sono le ali da angelo, quando non vengono dimenticate per permettere alla protagonista di sdraiarsi sulla schiena o di sfilare velocemente un vestito da sopra la testa. Non voglio nemmeno pensare alla logica di quell'operazione con ali così grandi e ingombranti. A meno che il vestito non fosse aperto sul retro, sotto.... no, non ci voglio pensare!

Piume per l'Ambientazione: 🌾



Altro

Come spiegato all'inizio, rispetto alla versione che ho io, sul romanzo è stato fatto un lavoro di editing, perciò non so quanto di questa recensione di sia ancora valida per il testo aggiornato. Ho potuto confrontare solo l'estratto fornito da Amazon dei primi capitoli, e ho notato con piacere che i dialoghi hanno finalmente una formattazione normale, e che i refusi e i tempi verbali su cui mi era caduto l'occhio sono stati corretti. Peccato per chi come me ha avuto fretta di ricevere la sua copia, e magari trova il tempo di leggerlo solo dopo anni... ma almeno, chi si avvicina adesso al libro può averne una copia decente e leggibile.

Piume per qualcos'Altro: 🌾

lunedì 21 gennaio 2019

Sfida numero 15 - Piuma di Inseparabile

Continua la serie di sfide a difficoltà variabile, facile, intermedio e difficile. Il meccanismo è semplice: ti proporrò tre livelli cumulativi, con istruzioni man mano più complesse e specifiche. A te scegliere se completare il livello più semplice, aggiungere le indicazioni di quello intermedio o seguire tutte le istruzioni per arrivare al livello difficile.

Se hai perso le prime sfide e vuoi recuperarle, le trovi qui:
Sfida numero 1 - Piuma di Passero
Sfida numero 2 - Piuma di Merlo
Sfida numero 3 - Piuma di Piccione Viaggiatore
Sfida numero 4 - Piuma di Colibrì
Sfida numero 5 - Piuma di Gabbiano
Sfida numero 6 - Piuma di Pappagallo
Sfida numero 7 - Piuma di Gallo Combattente
Sfida numero 8 - Piuma di Corvo
Sfida numero 9 - Piuma di Fringuello
Sfida numero 10 - Piuma di Falco
Sfida numero 11 - Piuma di Picchio
Sfida numero 12 - Piuma di Pavone
Sfida numero 13 - Piuma di Canarino
Sfida numero 14 - Piuma di Avvoltoio


Se sei pronto, si comincia con la sfida di oggi!

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Sfida numero 15

Ce n'è voluto, ma solo adesso mi sono resa conto di aver trascurato un genere molto popolare. Sebbene nelle sfide precedenti ci fosse la possibilità di scrivere un brano riguardante i sentimenti, non avevo ancora ideato un esercizio ad hoc. Completandolo vincerai una virtuale Piuma di Inseparabile, di bronzo, d'argento o d'oro a seconda del livello scelto.

Livello facile: scrivi una scena in cui sia presente una coppia di innamorati.
In che occasione scegli di ritrarli, e come? L'uno o l'altro può essere il protagonista, o la voce narrante del tuo brano, e tutta la scena girare attorno a loro. Magari, addirittura, in assenza di altri personaggi. Oppure gli altri ci sono, e il tuo narratore è proprio uno di questi, a guardare dall'esterno la coppia. Che cosa stanno facendo i tuoi innamorati, e cosa pensa chi si trova a osservarli? Si intromette, oppure si limita a registrare gli eventi?

Livello intermedio: scegli, per la tua scena, la più improbabile delle coppie.
Facile scrivere un frammento di storia d'amore incentrato su due dei migliori esemplari umani, ritoccati alla perfezione dal Photoshop della lingua scritta. Ma prova ad andare oltre alla bella principessa e al re fascinoso. Forse uno dei due appartiene a una mostruosa razza proveniente dallo spazio o da un mondo fantasy, forse lo sono entrambi. Forse sono persone normali, la famiglia Rossi. Forse stanno festeggiando le nozze d'oro, ma la fiamma arde ancora. Oppure... mai pensato di scrivere una storia d'amore con protagonisti gli animali?

Livello difficile: non mettere il romanticismo in primo piano; rendilo sottinteso in una scena che in apparenza parla d'altro.
Non essere ovvio. Se una coppia si ama, lo si vede anche dai piccoli gesti, dalle parole che non è necessario pronunciare o che hanno un significato condiviso, dalle abitudini che si incastrano alla perfezione come in un puzzle. Una battuta a volte è più efficace di un bacio nel rivelare un sentimento. Una litigata può servire a dimostrare quanto entrambi tengano a far funzionare il rapporto. Un silenzio, diventare il preludio di un addio.


Aspetto i tuoi commenti, suggerimenti o il brano che questo nuovo tipo di esercizio ti ha ispirato a scrivere. Come al solito avrai la possibilità, se lo desideri, di mettere sotto i riflettori le tue parole nel post di giovedì della settimana prossima. Riuscirci è semplice: ti basta sorprendermi!

sabato 19 gennaio 2019

Lenire

Ho scelto la parola di oggi non solo perché la trovo bella come suono e come significato, ma anche perché mi basta pronunciarla per avere l'impressione che possa fare ciò che la sua definizione promette... quasi come fosse una formula magica.

Lenire [le-nì-re] v.tr. (lenisco, lenisci ecc.) [sogg-v-arg] Attenuare, calmare una sensazione dolorosa.

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Chi meglio di una guaritrice per un brano sulla parola "lenire"? Mi è venuto subito in mente questo personaggio misterioso, ed era ora di svelare uno dei suoi segreti.


– No, non è possibile!
Avevo visto molte cose strane, ma Demi era sempre stata quella normale, la mia ancora. Finché non avevo tentato di prenderla per mano, e la mia mano aveva attraversato la sua.
Demi scosse la testa. – Non avresti dovuto.
– T-tu non esisti. – Non riuscii a ricordare di averla mai sfiorata. – Non sei mai esistita! Forse... ti ho inventata io, è così, dev'essere così!
Ero impazzito. Era l'unica spiegazione che avesse senso.
Demi tese una mano e avanzò. – Cerca di calmarti, adesso.
Indietreggiai, anche se sapevo che non poteva toccarmi, poi mi portai una mano al petto: un dolore lacerante mi straziava da dentro, ed era un dolore che conoscevo. Era lo stesso dolore che avevo provato prima di essere strappato via dalla mia vita per precipitare in quella follia vagante.
– Calmati – ripeté Demi. – Devi calmarti, o lui si sveglierà.
Lui. Il mostro che avevo dentro, che Demi mi aveva detto che avevo dentro. Continuai all'indietro, piegato in due dal dolore, finché non incontrai qualcosa di solido alle mie spalle.
– Lasciami in pace! – urlai, poi la porta si aprì e caddi all'indietro sul pavimento di un caravan. Il volto della guaritrice in catene era sopra di me. Oltre il rettangolo della porta, Demi non c'era più.
– Grazie a Dio – mormorai. Strinsi i denti a un'altra fitta di dolore.
– Respira a fondo – mi disse la guaritrice. Le catene tintinnarono mentre mi posava accanto al viso una ciotola di terracotta. Il fumo amaro mi stordì. – Questo dovrebbe lenire il dolore.
Non ricordavo di averla sentita sbottonare la mia camicia, ma avvertii un peso fresco e umido sulla mia pelle, e mi sentii subito meglio.
La guaritrice sospirò, la voce stanca. – Ti avevo detto di restare calmo.
Alzai la testa Ci fissammo nella penombra del caravan.
– Non mi hai mai chiesto come mi chiamo – mormorò lei. – Mi chiamo Demi.
Restai ad ascoltarla mentre mi raccontava della ragazza che era stata prima di diventare la guaritrice, e del modo che aveva trovato per lenire la solitudine.

giovedì 17 gennaio 2019

L'ultima notte

(racconto ispirato alla Sfida numero 14. In questo caso è stato molto più facile iniziare vicino alla fine, dato che so come si conclude questa storia, e ho messo anche un accenno al flashback da cui partire a narrare. Includere l'antagonista non visto era quasi impossibile, dato che si fa notare... e per l'inversione di atmosfera, ho donato al personaggi una scenetta spensierata in una storia non a lieto fine fin dalle sue premesse)

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Avevamo bevuto più che a sufficienza. Questo avrebbe detto un gentiluomo del sud. Ma io non ero un gentiluomo del sud, ero un Kalaan, e allora dissi: – Nam, versacene ancora!
– Anche a me, se non vi dispiace! Anche a... – bofonchiò, allungando il boccale vuoto, l'altro uomo seduto al nostro tavolo. In barba al fatto di aver detto, appena avevo ordinato il primo giro, di aver assoluta necessità di restare sobrio.
– Non fai più tanto il prezioso, eh, coso... – Per un momento non seppi come chiamarlo, poi mi ricordai che in un raro accesso di buon senso lo avevo presentato a Nam Lorus come "Maiz, il più abile truffatore a sud di Kalaanira". Nessun Kalaan lo avrebbe preso sul serio se avessi rivelato loro che lo storiografo era l'idiota che sembrava, e non mi andava proprio di farlo ritrovare a Night con la gola tagliata in qualche angolo di strada, visto che stranamente lei sembrava tenere almeno un po' al nostro cagnolino ben pasciuto.
Fosse stato per me, gli avrei rubato il carro e tutto ciò che aveva un qualche valore fin dall'inizio, ma Night la pensava diversamente, e io seguivo lei. Anche in capo al mondo, se necessario.
Anche a casa.
Sorrisi alla guerriera, adagiata esausta contro lo schienale. Ne aveva passate tante. Ma eravamo insieme, solo questo contava. L'alcol mi mise in testa pensieri strani, pensieri che avevo avuto anche da sobrio, ma che avevo accantonato per prudenza. Mi chiesi se la sua minaccia fosse ancora valida, ma prima che potessi domandarglielo ad alta voce, al tavolo vicino un tizio magro attaccò un motivetto gioioso su un rozzo flauto. Night balzò in piedi e si mise a cantare una ballata antica. Roba allegra, su un'impiccata, credo. Non badai tanto alle parole, solo al suono della sua voce, la più soave e intonata che avessi mai udito.
Ma forse era l'idromele a giudicare per me.
Night mi guardò, e in quel momento mi sembrò che ci fosse qualcos'altro a guardarmi attraverso i suoi occhi. Scossi la testa. No, mi stavo sbagliando, mi stavo sbagliando di sicuro.
Maiz stava ondeggiando con un boccale per mano, beatamente inconsapevole di versare birra e vino di pessima qualità a ogni mossa di quel suo balletto. Sarebbe stato inutile chiedergli un consulto su ciò che mi sembrava di aver visto. Abbassai la testa e mi dedicai al mio bicchiere. Ridacchiai felice quando mi bagnai la punta del naso mentre inspiravo l'aroma pungente di succo di mela e cereali fermentati.
Ancora non sapevo che quella era l'ultima volta che lo sarei stato. Felice, intendo. Che, calata quella notte, uno di noi non avrebbe visto l'alba. E che anche se quell'uno non ero io, per me sarebbe stato come se quella notte durasse per sempre, come se la luce non potesse più toccarmi.
E pensare che sarei dovuto essere io quello che finiva col cappio al collo. Tutto era iniziato il giorno in cui Night aveva rovinato il mio piano di fuga dall'appuntamento con la giustizia. Lei sosteneva di avermi salvato la vita, quel giorno, e io glielo avevo sempre lasciato credere...

lunedì 14 gennaio 2019

Il matrimonio sbagliato

(racconto ispirato alla Sfida numero 14. Non so se quello che ho scelto sia un punto vicino al finale, dato che ancora non so come andrà a finire la storia di Alcyone, ma trattandosi di favole potrebbe andare in questa direzione. L'antagonista c'è e non dico chi è, quanto all'atmosfera inversa, ho cercato di rendere il momento più romantico e drammatico possibile, ma... diamine, Alcyone, quando ci sei tu di mezzo non riesco a rimanere seria!)

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Non m'ero mai accorto che Alcyone era bellissima.
L'avevo sempre vista con la sua lunga gonna rossa, i piedi nudi da gitana e una camicetta bianca che le stava troppo larga, senza dubbio passata a lei da una delle sorelle. Una bambina in un corpo di donna, qualcuno troppo ingenuo e allegro per il vasto mondo malvagio. Un'amica, un cucciolo da proteggere, anche se, in fondo, lei mi aveva salvato più volte di quante non ne avessi fatte io.
Ma in quel momento fu come vedere le nubi squarciarsi su un cielo terso. Non sembrava davvero la mia Alcyone quella che avanzava fiera e innamorata, con lenti passi nelle scarpette di cristallo, in un abito bianco e frusciante e i capelli raccolti in un intreccio ordinato, ornati da file di fiorellini candidi. Colsi il suo sorriso sopra un mazzo di gigli mentre andava incontro al suo "per sempre felici e contenti".
Nel vederla così ebbi un unico rimpianto: che l'uomo che l'attendeva all'altare non ero io.
Girai le spalle alla coppia e mi allontanai strascicando i piedi, consapevole che non avrei più visto il suo nastrino rosso legato al polso, né l'avrei più sentita blaterare per ore di animali impossibili e oggetti meravigliosi. Per tutti i guai in cui eravamo finiti, e per l'infinità delle sue chiacchiere insensate, avevo accarezzato più volte l'idea di sbarazzarmi di lei. All'inizio, almeno. Prima di abituarmi alla sua compagnia.
Ma allora, dopo tutto quello che avevamo passato, mi si spezzava il cuore al pensiero di non rivederla mai più. Avevo capito troppo tardi quanto mi sarebbe mancata. Strinsi i denti e battei un pugno contro il muro, a capo chino. Mi dissi che potevo ancora tornare indietro, fermare quello sbaglio colossale di matrimonio, quella farsa che non aveva ragione di esistere. Ma quello che sbagliava ero io.
L'avevo vista oltrepassarmi senza rivolgermi uno sguardo, come se non fossi mai esistito. Mi ero illuso nel pensare che lei mi avesse considerato almeno un amico, e non solo qualcuno con cui viaggiava in attesa di incontrare il suo lieto fine. L'ultima cosa che volevo era essere il cattivo che la strappava alla sua felicità. Non potevo farle questo.
Ero pronto a dire addio ad Alcyone e andarmene per la mia strada, quando lei mi batté due dita sulla spalla e bisbigliò, non appena mi voltai a scrutare la sua gonna rossa, i piedi nudi e il suo sorriso infantile: – Eccoti qui, ti ho cercato dappertutto Trevis! Andiamo, non restare fermo lì, abbiamo poco tempo prima che lui si accorga che io non sono io, e la io che sono io ha bisogno di te adesso!

sabato 12 gennaio 2019

Ineluttabile

Ci sono volte che nemmeno apro il dizionario, perché sento una parola, o la leggo, o semplicemente s'infila tra i miei pensieri e... quando, come in questo caso, inizia proprio con la lettera giusta, è ineluttabile sceglierla!

Ineluttabile [i-ne-lut-tà-bi-le] agg. A cui non ci si può opporre, inevitabile.

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Speravo di allontanarmi dall'associazione più classica del termine, quella che può venire in mente a chiunque conosca il termine. Eppure, avendo la personificazione del Destino come personaggio di una storia, non potevo esimermi dal coinvolgerlo.


Il Destino ineluttabile. Così lo definivano. Non avrei mai immaginato di poterlo vedere.
Sembrava una statua di cera, immobile sul suo trono. Gli occhi aperti e fissi, le braccia incrociate, la tunica blu scuro mai mossa da un respiro del corpo alto, pallido e magro.
Mi voltai. – Non sarà mica morto, vero? – chiesi in un bisbiglio.
Sara mi rivolse un'occhiata di rimprovero. Già, stupido da parte mia averlo pensato.
Un'altra domanda mi salì alle labbra. – Che facciamo se prova a fermarci? Insomma, se non si può combatterlo, lui...
Lei mi pose un indice davanti alle labbra. – Non ci fermerà. Siamo qui per aggiustare ciò che io ruppi. Siamo qui perché lui lo vuole.
Mi indicò uno spazio vuoto tra file di scaffali con piccole anfore in terracotta annerite dal tempo. Mi avvicinai senza leggere i nomi impressi, di sicuro tutti di gente già morta. Sara mi seguì. La sentii trattenere il respiro. Forse le bastava essere lì per conoscere la sorte di quelle persone.
Qualcosa scricchiolò sotto i miei piedi. Mi chinai. Era un frammento di terracotta arancio, il colore ancora vivo e lucido. Un pezzo della giara appartenuta a Sara.
Scrutai il pavimento costellato dai frammenti, ma quello che stavamo cercando non c'era. Mi misi carponi e guardai sotto l'ultimo ripiano. Un bagliore di metallo rispose al mio sguardo. Allungai un braccio, afferrai l'oggettino e lo tirai fuori.
Eccola, sul mio palmo, la ruota del destino di Sara.
Alzai lo sguardo al suo viso eternamente giovane. Non ce la facevo. Ero lì per quello, ma non ce la facevo. – Sei sicura che lo vuoi? Davvero... insomma, davvero sicura?
– Mattia, lo so che hai paura. – Sara si inginocchiò al mio fianco. – Ma lui ti ha plasmato affinché arrivassi a questo. Qualunque tua scelta ti avrebbe portato qui. Io lo so. E sì, io lo voglio. Non voglio più esistere. Voglio tornare a vivere, anche se per un giorno soltanto.
Annuii. Distolsi lo sguardo. Non riuscivo a guardarla mentre compievo la scelta che non avevo. La mia scelta ineluttabile.

giovedì 10 gennaio 2019

L'importanza di arrivare alla fine

Voglio svelarti uno dei buoni propositi che ho formulato all'inizio del nuovo anno: finire, completare, terminare o comunque lo si voglia dire, qualcosa di diverso ogni settimana. Che sia un libro, una serie di film o telefilm, o quel progetto a cui mi sto dedicando da ormai troppo tempo... è arrivato il momento di concludere.

Non che io sia il tipo di persona che non finisce mai quello che comincia. Al contrario. Quando inizio, mi piace arrivare fino in fondo. Anche se nel leggerlo scopro che quel libro non mi entusiasma come pensavo, o quel film mi annoia, o quel progetto si rivela più complicato di ciò che avevo in mente... sono abbastanza testarda da andare avanti. Posso contare sulle dita i romanzi che ho proprio mollato senza alcuna intenzione di riprendere, e considero ciascuno di loro una sconfitta personale. No, a finire non ho problemi. Il problema è il quando.

I miei sono tempi biblici. Mesi. Anni. Decenni, se penso a quel progetto che avrei dovuto finire l'anno scorso. O quello prima. O quello prima ancora. Ma il mio, più che un caso di passo da bradipo, è la meraviglia del nuovo fiore dietro l'angolo che affligge la farfalla. Comincio troppe cose assieme; è logico, dopo, che per finirle ci metto una vita. D'altra parte, sono sempre stata affascinata dagli inizi. ...allora, all’inizio, è tutto possibile; poi succede qualcosa, la storia si guasta, e non si può più tornare indietro. Così scrivevo nel racconto Piccole donne, un omaggio al libro omonimo e a una piccola grande donna della mia vita.

L'inizio, l'incipit, ha un'attrattiva straordinaria su di me. L'istante in cui un mondo diverso viene creato di fronte ai tuoi occhi. L'infanzia del protagonista, e ciò che lo plasma nell'uomo o la donna che sarà. La scoperta dei suoi poteri da parte dell'eroe e l'addestramento che dovrà fare per padroneggiarli. La discesa dell'antagonista, non ancora tale, nel suo cammino di errori e di tenebra. L'incrocio di strade e di vite che fa incontrare per la prima volta quelli che diverranno amici, famiglia, o una compagnia di viaggiatori. Sì, gli inizi sono fantastici, e da lì in poi, tutto può accadere.

Ma un inizio, per quanto straordinario, non ha molto senso senza il suo estremo opposto. Un mondo che non cambia e si evolve non è vivo. Un bambino che non cresce, non può mettere a frutto ciò che ha appreso. Un eroe che non affronta alcuna prova, anche a costo di fallire, non comprenderà mai i suoi limiti, e come oltrepassarli. Un nemico che non vada fino in fondo nelle sue scelte e nel combattere i protagonisti non sarebbe un avversario credibile. E senza affrontare un litigio o una separazione, gli amici o la famiglia non hanno la possibilità di comprendere quanto effettivamente sentano il desiderio di restare assieme nonostante le difficoltà.

Un inizio non fa una storia. Ci vuole tutta la trama che ci sta in mezzo, e ci vuole una degna conclusione. Occorre chiudere il cerchio per arrivare a quel senso di soddisfazione che solo una bella storia può offrire. Anche se è un senso di soddisfazione dolceamaro: c'è un sentimento di perdita ogni volta che arrivi alla fine di una storia, che sia scritta, raccontata su un palco, o su uno schermo. Sei consapevole che il tuo tempo con quelle persone che ormai hai imparato a conoscere e amare è finito, che non vivrai mai più le loro avventure e le loro tribolazioni. Salvo l'eventualità di un sequel, perché in fondo, ogni fine contiene in sé l'inizio di qualcos'altro, e la storia può sempre ricominciare.

Per questo ho scelto di fare di quest'anno, il 2019, il mio anno delle conclusioni. Perché se non arrivo alla fine, non potrò mai scoprire quale nuova avventura fantastica mi attende dopo quello che a prima vista è soltanto il termine di una storia durata troppo a lungo, ma che in realtà potrebbe essere un altro tipo di inizio. E io, gli inizi li adoro.

lunedì 7 gennaio 2019

Sfida numero 14 - Piuma di Avvoltoio

Continua la serie di sfide a difficoltà variabile, facile, intermedio e difficile. Il meccanismo è semplice: ti proporrò tre livelli cumulativi, con istruzioni man mano più complesse e specifiche. A te scegliere se completare il livello più semplice, aggiungere le indicazioni di quello intermedio o seguire tutte le istruzioni per arrivare al livello difficile.

Se hai perso le prime sfide e vuoi recuperarle, le trovi qui:
Sfida numero 1 - Piuma di Passero
Sfida numero 2 - Piuma di Merlo
Sfida numero 3 - Piuma di Piccione Viaggiatore
Sfida numero 4 - Piuma di Colibrì
Sfida numero 5 - Piuma di Gabbiano
Sfida numero 6 - Piuma di Pappagallo
Sfida numero 7 - Piuma di Gallo Combattente
Sfida numero 8 - Piuma di Corvo
Sfida numero 9 - Piuma di Fringuello
Sfida numero 10 - Piuma di Falco
Sfida numero 11 - Piuma di Picchio
Sfida numero 12 - Piuma di Pavone
Sfida numero 13 - Piuma di Canarino


Se sei pronto, si comincia con la sfida di oggi!

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Sfida numero 14

Stavolta cominciamo... dalla fine. No, nessun gioco di parole. Dato che quello che ti sfido a scrivere è allo stesso tempo un incipit e un finale, completando l'esercizio vincerai una virtuale Piuma di Avvoltoio, di bronzo, d'argento o d'oro a seconda del livello scelto.

Livello facile: scrivi un incipit... partendo dalla fine della storia. O il più vicino possibile alla fine.
Di sicuro avrai già letto o visto una storia strutturata in questa maniera. Sei nel bel mezzo dell'azione, tutto sta avvenendo di fronte ai tuoi occhi, o si è già concluso, e poi... dodici ore prima. O cinque giorni fa. O ancora, all'inizio di quell'autunno...
E a questo punto inizia il flashback, e il narratore ti racconta come si è potuti giungere al momento che ti ha già presentato, e man mano che prosegui, ogni cosa di quell'incipit, che prima magari appariva confusa e inspiegabile, inizia ad avere un senso. Ma non serve che tu scriva tutta quanta la storia, a meno che tu non voglia. Basta quell'incipit, per quanto concitato e incomprensibile possa apparire a prima vista.

Livello intermedio: metti il tuo antagonista nell'incipit, ma non rivelare chi sia tra i personaggi presenti.
Può essere un semplice osservatore, magari neppure notato, o riconosciuto, dai protagonisti. Può apparire come un loro falso alleato. Oppure è già un avversario per i personaggi, e loro lo identificano come tale, ma per qualche ragione, il narratore si astiene dal rivelarlo al lettore. A te trovare un modo di presentarlo senza rendere evidente il suo ruolo.

Livello difficile: pensa all'atmosfera generale della storia. Che sia tragedia o commedia, sentimentale oppure orrore, rovescia il suo genere nel tuo incipit.
Se la storia finisce bene, puoi iniziare dal punto esatto in cui tutto sta andando a rotoli prima del lieto fine. Se invece la vicenda è da fiumi di lacrime, trova il momento di sollievo, quello in cui il protagonista pensa, almeno per un istante, di riuscire nel suo intento, qualunque esso sia. In un racconto di epiche battaglie o di catastrofi, trova l'occhio del ciclone, la pace prima della tempesta. Laddove c'è amore, fissa il tuo incipit durante un terribile litigio. E così via.


Aspetto i tuoi commenti, suggerimenti o il brano che questo nuovo tipo di esercizio ti ha ispirato a scrivere. Come al solito avrai la possibilità, se lo desideri, di mettere sotto i riflettori le tue parole nel post di giovedì della settimana prossima. Riuscirci è semplice: ti basta sorprendermi!

sabato 5 gennaio 2019

Halle

Questa è la lettera più difficile dell'intero alfabeto, perciò mi si perdonerà se stavolta ho scelto un termine straniero (era nel dizionario italiano... giuro!).

Halle s.f. inv. Mercato coperto.

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Mi è bastato leggerlo, e vedere una immagine, per sentire i rumori e i profumi di un antico mercato coperto. O forse, è stato passare la giornata tra banchetti e casupole che mi ha ispirato. A ogni modo, dovevo calare nella descrizione un mio personaggio, e dare un minimo di storia... ed è così che è arrivato lui, spontaneamente.


Sotto l'enorme tetto di legno della halle, persone e vento fluivano liberamente, facendo tintinnare al loro passaggio le perle di quarzo e di giada delle collane appese ai lati delle bancarelle. Il vociare dei compratori e dei curiosi era un sottofondo discreto all'ululato dei fruttivendoli, o al berciare delle camiciaie che cercavano di accaparrarsi l'attenzione dei passanti. Allo stesso modo, il profumo dolciastro della vaniglia e l'aroma morbido del cioccolato litigavano per lo spazio sotto la tettoia con l'olezzo del pesce e l'odore acre e penetrante delle olive e della frutta secca, che come una signora ingombrante e maleducata sgomitava a destra e a manca pur di ottenere un po' di posto e la cortesia altrui. Ogni tanto un bambino sfuggiva alla madre, o rimaneva indietro, attirato dalla cima bianca di una meringa, da una bambola di pezza, o dai giochi di legno costruiti da un bizzarro intagliatore.
Tra la marea di gente che saliva e calava a seconda delle ore, Castai resisteva sulla sua predella con la stessa ostinazione di un vecchio scoglio. La maggior parte di quelli che si assiepavano nella halle lo oltrepassavano senza degnarlo di un'occhiata, indifferenti a lui quanto al tetto sopra di loro. O forse di più: il tetto, almeno, nelle giornate di pioggia riceveva elogi e attenzione, ma non c'era pioggia in grado di donare la stessa benevolenza all'uomo allampanato e loquace che non vendeva nulla se non le proprie idee.
Nelle giornate buone era già tanto se un curioso lo ascoltava per qualche istante, prima di girare sui tacchi e dedicarsi ad attività più proficue come farsi mostrare merce che non intendeva acquistare, o tentare di tirare sul prezzo con il mercante più avido di tutta la halle.
Nelle giornate cattive, Castai otteneva quel genere di attenzione che preferiva non ricevere, ed era costretto a dileguarsi tra la folla di fronte a un gruppetto di detrattori che non avevano gradito il suo sermone, ed erano pronti a dimostrarlo con le mani e con le forche.

giovedì 3 gennaio 2019

Come Alice

(racconto ispirato alla Sfida numero 13. A ricevere il "dono" ho scelto il personaggio di Vivienne, i tre elementi della realtà attorno a me che ho inserito nel racconto sono un libro, il corridoio, e la confusione. E stavolta ho anche trovato il modo di inserire una dedica nel testo... ma a chi, non lo dico.)

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Era assurdo. Da quando era entrata per la prima volta in quella casa la sua vita era finita sottosopra e cose impossibili, quel genere di cose che capitano solo in un libro, erano accadute proprio a lei.
Aveva sentito un gatto parlare.
Era perseguitata da un fantasma.
Aveva dimenticato un'intera giornata della sua vita, giornata durante la quale, stando a quanto dicevano coloro che l'avevano incontrata, Vivienne aveva fatto cose orribili, cose a cui lei non osava nemmeno pensare.
E proprio in quel momento si trovava in una immensa biblioteca, di fronte a un ometto che aveva tutta l'aria di un satiro, zampe caprine comprese. Vivienne considerò che se non poteva evitare di continuare a vedere cose strane, allora avrebbe immaginato di essere finita in uno dei suoi romanzi preferiti, in un sogno, un incubo, o nella tana del Bianconiglio come Alice.
– Allora? – le chiese il piccoletto con uno sbuffo impaziente, tendendole la mano.
– Emh, sì... – Vivienne gli consegnò il libro rilegato in pelle nera. Sulla copertina, lettere d'argento formavano il titolo "Della possessione di spiriti e demoni". Poi Vivienne fece per sfilarsi dal dito l'anello con la pietra scura, ma l'ometto la bloccò.
– No, tienilo. Consideralo un regalo. Ti servirà per lavorare qui. – Il satiro, o qualunque cosa fosse, lanciò in aria il libro e quello, come attirato da una bizzarra forma di gravità, ricadde al suo posto nello scaffale. – Ora seguimi – disse l'ometto, che le girò le spalle e le terga caprine e s'incamminò lungo il corridoio di libri.
– Aspetta. Aspetta, no, io non posso tenerlo, non lo voglio, da quando ce l'ho la mia vita è rovinata e ho il sospetto che sia tutta colpa di questo anello – biascicò Vivienne. – E inoltre, chi ti ha detto che voglio lavorare qui? Io un lavoro già ce l'ho...
L'ometto mugugnò e si girò. Percorse in fretta i pochi passi che li separavano, le afferrò la mano e la tirò verso il basso. – Samasa, ti ricordo che questa è la tua ultima possibilità. Non rovinare tutto come l'ultima volta, mh?
Vivienne si accigliò. Sembrava che l'ometto stesse parlando all'anello. Poi alzò gli occhi scuri a fissarla sotto i due folti archi delle sopracciglia.
– Guardati attorno, Vivienne. Che cosa vedi?
Vivienne rivolse lo sguardo a sinistra, poi indietro, e in alto, e a destra, e infine davanti a sé. Non c'erano altro che libri. Scaffali e scaffali di libri. Libri antichi, con le copertine consumate da un'infinità di mani che li avevano afferrati, aperti, letti. Ognuno col suo mistero, ognuno con la sua storia racchiusa tra due ali che aspettavano solo di spalancarsi su un'infinità di mondi.
Ma quella era una risposta troppo semplice. Vivienne si limitò a sorridere.
Non aveva detto nulla, eppure l'ometto proseguì come se gli avesse dato una risposta. – E dimmi, Vivienne: che cosa provi quando sei qui?
Vivienne fu tentata di dire "felicità", ma anche quella era una risposta troppo semplice. Il piacere della lettura, la promessa sussurrata da tutte quelle piccole finestre su altre vite, che fossero reali o meno, era solo una parte di ciò che la attirava lì. Quella era una biblioteca. Un luogo di libero scambio. Quasi un luogo sacro.
Ma tutto quello era il suo presente.
Sfogliando all'indietro le pagine della sua vita, Vivienne ricordò il suo primo libro. Il primo che aveva letto da sola. Alice nel Paese delle Meraviglie.
E tutto ciò che provava era un immenso senso di gratitudine per chi le aveva donato quella bellissima autonomia, per chi le aveva trasmesso l'amore per la parola scritta. Da quel momento in avanti, quando la confusione e il vociare sguaiato del resto del mondo la assediava, Vivienne sapeva di avere la sua difesa dietro pochi centimetri di solida carta: un rifugio per riflettere, per comprendere, per tornare ad affrontare il mondo non più indifesa, bensì armata dei suoi pensieri.
– E ora dimmi, Vivienne – mormorò l'ometto, suadente, – che questo non è esattamente il posto in cui vorresti essere, e il lavoro che desideri fare.