giovedì 3 gennaio 2019

Come Alice

(racconto ispirato alla Sfida numero 13. A ricevere il "dono" ho scelto il personaggio di Vivienne, i tre elementi della realtà attorno a me che ho inserito nel racconto sono un libro, il corridoio, e la confusione. E stavolta ho anche trovato il modo di inserire una dedica nel testo... ma a chi, non lo dico.)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Photo by Suzy Hazelwood from Pexels


Era assurdo. Da quando era entrata per la prima volta in quella casa la sua vita era finita sottosopra e cose impossibili, quel genere di cose che capitano solo in un libro, erano accadute proprio a lei.
Aveva sentito un gatto parlare.
Era perseguitata da un fantasma.
Aveva dimenticato un'intera giornata della sua vita, giornata durante la quale, stando a quanto dicevano coloro che l'avevano incontrata, Vivienne aveva fatto cose orribili, cose a cui lei non osava nemmeno pensare.
E proprio in quel momento si trovava in una immensa biblioteca, di fronte a un ometto che aveva tutta l'aria di un satiro, zampe caprine comprese. Vivienne considerò che se non poteva evitare di continuare a vedere cose strane, allora avrebbe immaginato di essere finita in uno dei suoi romanzi preferiti, in un sogno, un incubo, o nella tana del Bianconiglio come Alice.
– Allora? – le chiese il piccoletto con uno sbuffo impaziente, tendendole la mano.
– Emh, sì... – Vivienne gli consegnò il libro rilegato in pelle nera. Sulla copertina, lettere d'argento formavano il titolo "Della possessione di spiriti e demoni". Poi Vivienne fece per sfilarsi dal dito l'anello con la pietra scura, ma l'ometto la bloccò.
– No, tienilo. Consideralo un regalo. Ti servirà per lavorare qui. – Il satiro, o qualunque cosa fosse, lanciò in aria il libro e quello, come attirato da una bizzarra forma di gravità, ricadde al suo posto nello scaffale. – Ora seguimi – disse l'ometto, che le girò le spalle e le terga caprine e s'incamminò lungo il corridoio di libri.
– Aspetta. Aspetta, no, io non posso tenerlo, non lo voglio, da quando ce l'ho la mia vita è rovinata e ho il sospetto che sia tutta colpa di questo anello – biascicò Vivienne. – E inoltre, chi ti ha detto che voglio lavorare qui? Io un lavoro già ce l'ho...
L'ometto mugugnò e si girò. Percorse in fretta i pochi passi che li separavano, le afferrò la mano e la tirò verso il basso. – Samasa, ti ricordo che questa è la tua ultima possibilità. Non rovinare tutto come l'ultima volta, mh?
Vivienne si accigliò. Sembrava che l'ometto stesse parlando all'anello. Poi alzò gli occhi scuri a fissarla sotto i due folti archi delle sopracciglia.
– Guardati attorno, Vivienne. Che cosa vedi?
Vivienne rivolse lo sguardo a sinistra, poi indietro, e in alto, e a destra, e infine davanti a sé. Non c'erano altro che libri. Scaffali e scaffali di libri. Libri antichi, con le copertine consumate da un'infinità di mani che li avevano afferrati, aperti, letti. Ognuno col suo mistero, ognuno con la sua storia racchiusa tra due ali che aspettavano solo di spalancarsi su un'infinità di mondi.
Ma quella era una risposta troppo semplice. Vivienne si limitò a sorridere.
Non aveva detto nulla, eppure l'ometto proseguì come se gli avesse dato una risposta. – E dimmi, Vivienne: che cosa provi quando sei qui?
Vivienne fu tentata di dire "felicità", ma anche quella era una risposta troppo semplice. Il piacere della lettura, la promessa sussurrata da tutte quelle piccole finestre su altre vite, che fossero reali o meno, era solo una parte di ciò che la attirava lì. Quella era una biblioteca. Un luogo di libero scambio. Quasi un luogo sacro.
Ma tutto quello era il suo presente.
Sfogliando all'indietro le pagine della sua vita, Vivienne ricordò il suo primo libro. Il primo che aveva letto da sola. Alice nel Paese delle Meraviglie.
E tutto ciò che provava era un immenso senso di gratitudine per chi le aveva donato quella bellissima autonomia, per chi le aveva trasmesso l'amore per la parola scritta. Da quel momento in avanti, quando la confusione e il vociare sguaiato del resto del mondo la assediava, Vivienne sapeva di avere la sua difesa dietro pochi centimetri di solida carta: un rifugio per riflettere, per comprendere, per tornare ad affrontare il mondo non più indifesa, bensì armata dei suoi pensieri.
– E ora dimmi, Vivienne – mormorò l'ometto, suadente, – che questo non è esattamente il posto in cui vorresti essere, e il lavoro che desideri fare.

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