lunedì 31 dicembre 2018

Innamorarsi di un genio

(racconto ispirato alla Sfida numero 13. A ricevere il dono ho scelto il personaggio di Karin, i tre oggetti reali attorno a me che ho inserito nel racconto sono l'orchidea, la vetrinetta, e le coppe. Non mi è venuta in mente alcuna dedica, perciò, per oggi, mi accontento dell'argento.)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
 

– Esprimi un desiderio.
Avevo aspettato così a lungo che lui me lo chiedesse. Eppure, nel momento in cui lo fece, io non riuscivo a far altro che provare un'enorme tristezza. Perché quello era l'ultimo, era davvero l'ultima cosa che mi offriva, dopodiché non sarebbe stato più mio, bensì del mondo intero.
Mi appoggiai al pianoforte e chiusi gli occhi. Non ero pronta a farlo. Ero sempre stata così certa di quello che volevo e di quello che sarebbe stato meglio per noi, che non mi ero soffermata a chiedermi che cosa lui desiderasse. Avevo insistito affinché lui si conformasse alle mie scelte, e lui si era piegato, aveva ceduto su ogni singolo punto della mia lista, tranne che su uno.
Mi aveva dato le sue canzoni. Erano mie, potevo farne quello che volevo. Non mi aveva chiesto niente in cambio.
Ma si era sempre rifiutato di suonare in pubblico.
– Karin? – pronunciò la sua voce incerta.
Nel riaprire gli occhi, mi pentii di non aver pronunciato io quelle tre parole.
Fissai l'orchidea bianca dietro il bancone del bar, raddoppiata dagli specchi. Era esattamente come me, che per paura del vuoto, mi prendevo più spazio di quel che mi era dovuto.
– Perché lo fai? – gli chiesi, girandomi affinché lui potesse leggere la parola sulle mie labbra. – Voglio dire, non è il mio compleanno, o qualcosa del genere. Io non ho un compleanno. A quanto ne so potrebbe essere oggi, o qualsiasi altro giorno. Io non me lo ricordo quand'è, e con Sheila, non abbiamo mai stabilito una data...
Scrollai le spalle. Come sempre, quand'ero nervosa, straparlavo.
Lui mi pose un dito sulle labbra e sorrise.
– Perché ne ho voglia – fu la risposta che mi mise a tacere.
Tentennai. Lui riprese a suonare con le dita agili che sembravano sfiorare a malapena i tasti del pianoforte. Eppure la musica era chiara, sicura, e appassionata. Anche se lui non riusciva a sentirla, e tutto ciò a cui poteva affidarsi per comporre la melodia era la sua memoria.
Avevo di fronte a me un genio della musica, e il suo unico pubblico era composto da me, dalla fila di bottiglie di liquore scadente chiuse nella vetrinetta dietro al bancone, e dalle coppe che il vecchio barista aveva vinto ai campionati di barman in tempi migliori. Non era giusto.
E forse, forse anche lui lo sapeva. Forse era per quello che mi aveva lasciato carta bianca, che mi aveva fatto quel dono. Rimasi a fissarlo incantata mentre suonava, concentrato su nient'altro che le note che scaturivano dai suoi ricordi.
Esprimi un desiderio.
Forse mi aveva dato la possibilità di chiedere ciò che lui non aveva il coraggio di offrire.

Nessun commento:

Posta un commento