giovedì 20 dicembre 2018

Il fiore Selvanima

(racconto ispirato alla Sfida numero 12. Questa volta ho seguito la meraviglia in uno dei miei racconti fantasy, e come al solito per me meraviglia e natura sono un tutt'uno. Per ispirarmi ho ascoltato la musica composta da BrunuhVille, bellissima come sottofondo per le sessioni di scrittura, ho trovato una immagine che si avvicina abbastanza al mio fiore inventato, e ho cercato, per quanto possibile, di rispettare le indicazioni del livello difficile, anche se questa volta ho risparmiato qualche aggettivo dove proprio non mi sembrava il caso!)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
 

Non ero certa di riuscire a ritrovarlo senza di lui. Non era un bosco immenso, ma avevo troppa paura di perdermi, e vagare tra le colonne brune di alberi sconosciuti non era una prospettiva allettante. Gran bella Driade che ero. Se mai avessi avuto bisogno di un chiaro segnale che qualunque antica divinità mi avesse scelto aveva preso la persona sbagliata, la mia ignoranza lapalissiana a riguardo del mondo vegetale era un segno più che palese.
Sapevo di avere a mia disposizione un metodo molto semplice per rintracciarlo. Ma non ero pronta a lasciarmi andare, ad abbandonarmi ancora a quelle sensazioni sconcertanti, a perdermi nella terra sconfinata sotto ai miei piedi nudi. Non senza una guida fidata che mi aiutasse a ritornare come aveva fatto per me Saverio la prima volta che eravamo stati lì assieme. Saverio. Eravamo già al nome proprio, dunque?
Mentre ero immersa in quella normalissima riflessione umana, con un lieve sorriso che mi increspava le labbra socchiuse, una radura crepuscolare si aprì di fronte ai miei passi stanchi. E lì, ecco il mio fiore: una stella luminosa tra l'erba verde. Non me lo ricordavo così bello.
Mi inginocchiai sulla terra umida e accostai le mani tremanti, racchiudendo la sua corolla delicata tra le mie dita rigide, alla maniera di chi beve assetato da una fonte limpida. Proprio così mi sentivo nel rivolgere di nuovo gli occhi increduli all'impossibile fiore: come qualcuno smarrito che, contro ogni possibile previsione, avesse appena scovato fiotti zampillanti di acqua freschissima, per placare una grave arsura che nemmeno sapeva di avere.
Avevo toccato io il piccolo seme dormiente. Lo avevo nutrito, lo avevo plasmato. Avevo intrecciato un lucente filamento della mia viva anima nel suo forte stelo, e ricamato i suoi petali lilla con la mia essenza personale. Mi chinai a inspirare la sua fragranza unica. Era soave fresia, e cannella speziata, e rosa sensuale, e golosa vaniglia. Era parte di me, una creatura nuova, inesistente in tutto il vasto mondo, se non lì. Era, come lo aveva chiamato Saverio, il fiore Selvanima.
Toccai i quattro grandi petali color ciclamino, bordati di viola, che si aprivano alla base di una corolla più fitta che somigliava a una margherita lilla. Come una mia personale rosa dei venti, sembravano indicare le quattro direzioni in cui poteva soffiare la mia magica volontà di mitologica Driade, a portare una inusitata bellezza in un mondo grigio. Quel fiore meraviglioso era la mia bussola incantata, l'inaspettato punto di una svolta imprevista.
Non ne ero stata certa, prima di rivederlo. Prima di rimanere da sola con lui.
In quel momento, qualcosa dentro di me cambiò. Ero pronta a superare l'atroce morsa che mi aveva fino ad allora spaventato, riempito di dubbi paralizzanti, e impedito di essere davvero me. Ero pronta a imparare.
A qualunque dio mi avesse creato com'ero, antico o nuovo, giurai che avrei riempito la terra intera di colore e di profumo.

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