sabato 29 aprile 2023

Presentazione La Voce della Piuma


Immagini e spezzoni video liberamente disponibili su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero


Benvenuto!
Questa è una breve presentazione del mio canale, "La Voce della Piuma", e di alcuni dei racconti che potrai ascoltare.

Trovi tutti i racconti sul canale YouTube: https://www.youtube.com/@lavocedellapiuma

Per ritrovarli ogni volta che lo desideri, essere aggiornato sull'uscita di nuovi racconti, partecipare al sondaggio per la scelta della prossima storia e farmi sapere che le mie letture ti interessano e ne vuoi ascoltare altre:

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Lone Harvest di Kevin MacLeod (http://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=ULXv-ZV10_k).

Immagini di:
Astro Wizard, (https://www.pexels.com/photo/person-walking-in-foggy-forest-3354172/),
Pixabay, (https://www.pexels.com/it-it/foto/cieli-blu-53594/),
e altre foto di autori vari da Pexels, distribuite ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

Video di: 
Vlada Karpovich (https://www.pexels.com/video/a-woman-playing-with-puppets-7351707/),
Rafael Nicida (https://www.pexels.com/video/4k-slog-3-15725208/),
cottonbro studio (https://www.pexels.com/video/kids-wearing-halloween-costumes-5435324/),
Karolina Grabowska (https://www.pexels.com/video/tree-loaded-with-fresh-apples-5243444/),
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Marc Espejo (https://www.pexels.com/video/adult-cat-on-a-tree-6026408/),
da Pexels, distribuiti ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

giovedì 27 aprile 2023

Audioracconto - La gabbia per umani


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Foto di Dan Netherton da Pexels


Un uccellino sbircia dentro una finestra e vede...

La gabbia per umani
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: http://lapiumatramante.blogspot.com/2018/05/la-gabbia-per-umani.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Anderson Lane di Matt Harris
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=IDMmErRqSTM).

Immagine di: Dan Netherton (https://www.pexels.com/photo/brown-bird-on-window-69667/), da Pexels, distribuita ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 24 aprile 2023

Come sopravvivere ai libri sui vampiri


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di imustbedead da Pexels


Se mai vi venisse la malsana idea di rivelare la vostra identità a un essere umano, ascoltate questo consiglio: accertatevi, prima di farlo, che il suddetto essere umano non sia un appassionato di storie sui vampiri. Nel malaugurato caso in cui, come me, non ve ne siate accertati preventivamente, o nell'ipotesi in cui lui o lei si appassionino a quel genere di libri e film dopo avervi conosciuto, vi rimangono solo due possibilità: disfarvi di dell'impiccione (sto scherzando, ovviamente, si veda il capitolo sulla necessità di evitare di lasciare cadaveri in giro), dicevo, una possibilità è quella di evitare di restare da soli con il vostro nuovo amico, e la seconda consiste nel rispondere subito a tutte le sue domande.
La prima scelta ha maggiori possibilità di funzionare se la persona a cui avete rivelato la vostra identità non è così preparato sulla figura letteraria del vampiro, tanto da conoscerne appena due o tre dei più famosi. A meno che non sia estremamente ingegnoso nel porre le domande in forma indiretta, metaforica o puramente ipotetica (del tipo "se i vampiri esistessero davvero, secondo te cosa...", o "come ti è sembrato il personaggio del vampiro in questo libro?"), oppure talmente stupido da chiedere ugualmente ignorando la presenza di altri, nel qual caso forse un'eliminazione potrebbe risultare la soluzione migliore per entrambi, imparare a conoscervi stando in mezzo a una folla gli impedirà di toccare l'argomento, e gli consentirà di scoprire con l'osservazione e l'esperienza che voi non siete Dracula, Blade o Edward Cullen. Vedrà da sé infatti che non sbrilluccicate né diventate cenere se esposti al sole, e potrà constatare che la cosa dell'assenza di riflesso è un'assoluta falsità, e potrà soddisfare quasi ogni quesito che la sua mente curiosa avrà elaborato dal momento in cui ha ricevuto la grande rivelazione.
Ritengo che due o tre mesi di frequentazione in queste condizioni possano essere sufficienti per smorzare l'entusiasmo iniziale e declassare il grande, enorme scoop ovvero "la mia amica o il mio amico è un vampiro" da notizia del giorno a fatto assodato. Capire le vostre esigenze, scusarvi e giustificarle di fronte alle vostre conoscenze rimaste all'oscuro sarà diventata a quel punto una questione di routine.
La mia è soltanto una stima, però. Non posso darvi alcuna garanzia sulla tempistica, perché io ho tentato quella strada, e ho fallito. Avrei dovuto capirlo fin dal momento in cui Marina si è presentata alla porta di casa e io le ho sbattuto la porta in faccia.
Sì, ho fatto molti errori, ma io non avevo una guida a mia disposizione.
Avrai già capito dal capitolo precedente che rivelarmi a Marina non è stata una scelta ponderata e oculata. Sperare di non rivederla mai più era fuori questione, la scuola era piccola e anche se non conosceva il mio nome, non era pensabile che sarei riuscita a evitarla per tutto il resto dei miei anni scolastici. Lo avevo considerato, e avevo considerato anche che quello era un ambiente piuttosto sicuro dove incrociarci in corridoio per il tempo limitato della ricreazione.
Avevo di gran lunga sottovalutato il suo ingegno e la sua curiosità. Come ti dicevo, si è presentata alla mia porta, e non ho mai capito se fosse riuscita a scoprire dove abitavo facendo domande in giro o seguendomi mentre tornavo a casa.
Ancora oggi, questo è rimasto il suo mistero.
Una volta che ebbi compreso che non era possibile evitare le domande di Marina (difficile non comprenderlo quando una si presenta a casa tua quasi ogni giorno, ti segue in bagno a scuola, si fa perfino invitare a casa dai tuoi genitori mentre tu non ci sei e per fortuna non entra in argomento vampiri con loro), capii che dovevo mettere un freno, il prima possibile, alla sua opera di stalkeraggio.
Fu così che mi ritrovai a casa sua, ufficialmente per studiare assieme, di fronte alla sua libreria fornitissima di romanzi e raccolte di racconti sui vampiri, tutti abbastanza consunti da non essere il frutto di un interesse recente causato dal conoscere me, e fu allora che iniziai a rendermi conto in quale razza di guaio ero andata a cacciarmi.
Dopo averle fatto sapere che no, non mi trasformavo in nebbia, in pipistrello o in altri animali, che non avevo alcun potere particolare a parte forse una capacità sensoriale più sviluppata, che i miei occhi non diventavano rossi e che non potevo leggerle la mente (sì, lo so, ho evitato di spiegarle quello che succede quando ci nutriamo ma all'epoca ancora pensavo che con un po' di accortezza Marina non l'avrebbe mai saputo) iniziai a intuire che oltre a un'insaziabile curiosità nel suo animo si nascondeva una tremenda paura.
Nei libri, infatti, quando non sono degli affascinanti ragazzi emo con un'attrazione inspiegabile verso la protagonista, i vampiri sono... mostri.
E invece eccomi lì, nella sua stanza, un'adolescente qualunque che non aveva nemmeno avuto bisogno di un invito per entrare in casa sua.
– Quindi, le croci, l'aglio e l'acqua santa ti lasciano indifferente – stava enumerando Marina. – Mentre il sole non ti brucia...
– Non prendo fuoco e non comincio a fumare, questo sì – precisai, appoggiata alla libreria con le braccia incrociate, per evitare che cercasse altri spunti per le sue domande tra i volumi. – Ma lo evito perché mi scotto molto in fretta, e divento rossa senza abbronzarmi, ed è parecchio fastidioso. E la crema protettiva funziona solo fino a un certo punto.
Marina mordicchiò la punta della penna. Stava prendendo appunti. Glielo avevo lasciato fare solo perché i suoi genitori, che sentivo impegnati al piano di sotto con la televisione accesa, dovevano ormai essere abituati alla sua ossessione per i vampiri, e se pure avessero scoperto quel taccuino l'idea che la loro adorata figlia si fosse arrischiata a intervistare un vero vampiro non gli avrebbe mai sfiorato il cervello.
Marina alzò lo sguardo dal suo quadernetto. – D'accordo, però il paletto nel cuore e la decapitazione funzionano, giusto?
– Chiunque muore per un paletto nel cuore o una testa staccata di netto, non solo un vampiro – replicai, e sogghignando in modo da mettere in mostra la dentatura (lo so, in condizioni normali non è poi così spaventosa, ma lei era in uno stato d'animo impressionabile, a quel puto della conversazione), replicai: – Ma dimmi, tu ce lo avresti il coraggio di provare a impalare o decapitare qualcuno?
Marina fece una smorfia e io ne approfittai per avvicinarmi al piattino dei biscotti che si era portata in camera e aveva lasciato sulla scrivania. – Vuoi un metodo sicuro per evitare di essere morsa da un vampiro? Fagli mangiare qualcosa.
Mi infilai il biscotto in bocca, masticai e mandai giù. Marina mi aveva già visto mangiare a scuola, dunque pensavo che quella questione almeno fosse già stata risolta con l'esperienza, e invece no.
Seguì a occhi sgranati tutta l'operazione, e poi chiese: – Quindi... sul serio puoi mangiare cibo umano, non hai fatto finta?
Annuii. – Certo che posso, e anche devo, per chi mi hai preso? Per una creatura soprannaturale e mitologica? Ho solo meno appetito, e vera fame quasi mai. Non... fame di quel tipo di cibo solido, almeno. – Aspettai che finisse di scrivere prima di continuare. – Il fatto è questo: o digerisco il cibo, o assimilo il sangue, non posso fare tutte e due le cose assieme. Perciò, se un vampiro ha appena mangiato, prima di morderti dovrebbe vomitare il pasto, cosa che non è molto carina da fare di fronte a un estraneo, e inoltre ti darebbe tutto il tempo di capire le sue intenzioni e svignartela. Chiaro?
– Oh, sì – Mormorò Marina, e finito di scrivere mi rivolse un'occhiata sorniona. – Tutto chiaro. Tutto davvero molto, molto, molto chiaro.
Solo a quel punto, di fronte al suo sorriso furbesco, mi resi conto che le avevo appena spiegato che cosa stavo facendo in bagno il giorno in cui ci eravamo incontrate.

sabato 22 aprile 2023

Smorzare

Smorzare [smor-zà-re] v.tr. (smòrzo ecc.) [sogg-v-arg] 1. Rendere meno intenso, attenuare qualcosa; anche in senso figurato. 2. region. Spegnere qualcosa.

Etimologia: dal latino exmortiare, composto dalla particella intensiva ex, e da un derivato di mortuus, "morto", participio passato di mori, "morire".


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di cottonbro studio da Pexels


Se solo fosse stato facile quanto smorzare una candela, Vesta lo avrebbe già fatto. Le voci della gente, invece, non si quietavano mai. Parole come "troppo giovane", "una tragedia", "non è ancora pronta" le risuonavano nella mente ogni volta che un postulante giungeva al Tempio del Fuoco a parlare con il suo Custode. E ogni volta, leggeva nei loro occhi che avrebbero preferito parlare con Prometeus piuttosto che con lei.
Vesta era consapevole che il suo maestro era morto troppo presto, lasciandole una responsabilità che lei non aveva chiesto. Era nata con quel dono e non poteva farci niente: era una prescelta della Fiamma, il fuoco non l'avrebbe mai bruciata, com'era accaduto al suo maestro e a ogni Custode prima di lei. Non le era importato finché era stata soltanto un'apprendista, finché tutti si aspettavano solo che imparasse e che si occupasse delle incombenze che il Custode, non potendo abbandonare il Grande Fuoco nel cuore del tempio, non poteva svolgere.
Ma in quel momento era lei la Custode del Fuoco. E se poteva capire la preoccupazione della gente, che la infastidiva soltanto perché non sapevano, ben diversa era quella dimostrata dai Sacerdoti degli altri elementi.
Quello che aveva di fronte, proveniente dal Tempio della Terra, era già il secondo apprendista che mandavano a controllare come stava, e che le mormorava parole di conforto in tono condiscendente.
– Davvero, se ti serve qualcosa, qualunque cosa, sai che la Terra è pronta a sostenerti...
Vesta chiuse gli occhi e smorzò i sussurri che le riecheggiavano in testa. Le stesse voci che, nella sua famiglia di origine, l'avevano sempre fatta sentire inadeguata, fuori posto, non abbastanza.
Ora sapeva il perché, si disse. Ora era nel posto giusto.
Vesta aprì gli occhi e parlò con la sicurezza di un adulto: – Il Custode si occupa del Grande Fuoco, per volere di Neerea la Prima, e io sono il Custode. Non c'è altro da aggiungere.
Più tardi, avrebbe avuto tutto il tempo di pentirsi di non aver chiesto aiuto.

giovedì 20 aprile 2023

Audioracconto - Il posto preferito per leggere


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Foto di Toni Ferreira da Pexels


Qual è il tuo posto preferito per leggere?

Il posto preferito per leggere
(racconto breve adatto ai lettori di tutte le età!)

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/04/il-posto-preferito-per-leggere.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Aretes di Kevin MacLeod (http://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=4AulKCOZC2g).

Immagini di: Toni Ferreira (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-che-legge-il-libro-di-harry-potter-mentre-giaceva-a-letto-1900184/), jasmin chew (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-edificio-in-piedi-balcone-10718781), Hải Nguyễn (https://www.pexels.com/photo/woman-lying-down-on-table-with-wax-candle-and-reading-14679177/), Nick Mayer (https://www.pexels.com/photo/a-woman-reading-a-book-while-lying-on-the-floor-of-a-library-4118966/)Gary Barnes (https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-in-rivestimento-verde-che-tiene-un-piatto-con-il-cibo-6231886/), Andrea Piacquadio (https://www.pexels.com/photo/woman-in-black-framed-eyeglasses-holding-smartphone-3783114/), da Pexels, distribuita ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 17 aprile 2023

Rete da sirene


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Photo by cottonbro studio da Pexels


Che cosa occorre per catturare una sirena? Molta pazienza, e una buona rete.
No, signori, non è una barzelletta. E tu, là in fondo, sì, ti ho sentito che ridacchiavi e dicevi che la prima cosa che serve per catturare una sirena è trovarla, una sirena. Posso assicurare a tutti che sono totalmente serio e che la materia prima di cui il vostro collega dubitava l'esistenza è già stata rintracciata dalla mia persona mesi orsono. Non posso dirvi in quale caverna semisommersa, da me rinominata "grotta delle sirene", ho fatto la mia fenomenale scoperta, non posso certo rischiare che una torma di giovanotti scalmanati, allettati dalla prospettiva di vedere una signorina discinta dalla coda di pesce, vada là a far baccano e a spaventarle tutte, rovinando ogni mia prospettiva di entrare negli annali della storia della biologia marina. Vi basti sapere che sono entrato in contatto per la prima volta con questa straordinaria forma di vita durante una delle mie consuete immersioni lungo la costa, mentre stavo seguendo un esemplare di quella che probabilmente era una nuova specie di echinus, altrimenti detto riccio di mare per quelli tra di voi che stanno trascurando lo studio della mia materia. D'improvviso un'ombra è passata sopra di me, e se in un primo momento ho temuto fosse uno squalo, mi sono reso quasi subito conto che la pinna caudale era posizionata con un'inclinazione errata per essere quella di un ittiopside... un pesce, sì, quello intendevo, ma non supponevo ci fosse bisogno di tradurlo in linguaggio volgare. No, non era nemmeno un delfino, grazie, a meno che ai delfini non siano spuntate all'improvviso le braccia.
In tutto quel trambusto, mentre cercavo di identificare a che specie appartenesse quella strana ombra, ho perso il mio esemplare di echinus; in compenso, sono riuscito a stabilire con chiarezza in quale anfratto nella scogliera la creatura ancora non identificata era andata a infilarsi.
Ho preferito non seguirla in quell'occasione... d'altra parte, era piuttosto grossa, e ancora non sapevo con che cosa avevo a che fare. Ho evitato un incontro sottomarino, nel suo elemento, perché sapevo che potevo aggirare il problema e scendere nella caverna semisommersa dal lato della terraferma. E così ho fatto.
Non vi parlerò dell'umidità e del gocciolamento continuo dalla volta della caverna, residuo dell'alta marea quando l'acqua sale fino a lambire in certi punti il soffitto, né delle rocce scivolose o dell'oscurità che la mia torcia fendeva a malapena, anche se nell'accennarvi tutto ciò di cui non parlerò in realtà ne sto già parlando. Quello che vorrei davvero raccontarvi, è che mentre mi avvicinavo allo specchio d'acqua, molto ritirato a causa della bassa marea, udii distintamente uno spruzzo d'acqua sollevarsi, e non era il tipo di spruzzo che può essere causato dal colpo di pinna di un pesce o di un delfino, bensì quello che può fare un bagnante in vena di sollazzarsi con il suo braccio. E poi, subito dopo, una breve risata femminile.
Sì, ho pensato anch'io di aver sorpreso una o più giovani turiste che avevano trovato un angolino dove farsi un bagno in santa pace, lontano dalla ressa e dai giovanotti in preda agli ormoni come voialtri, ma subito dopo, quella creatura o una sua compagna ha iniziato a cantare.
"Cantare" non rende del tutto l'idea di che cosa fosse quel suono ultraterreno, ma non saprei descriverlo in altro modo. È stato allora che non ho più avuto dubbi sull'identità dell'esemplare che avevo scoperto, ancora prima di vederlo. È un suono che ti entra dentro e ti riecheggia nella testa, nel petto, nelle braccia, nelle gambe, dappertutto. Non puoi dimenticare una cosa del genere, una volta che l'hai sentita.
Ho seguito il canto o quello che era fino a scorgere una mezza donna mezzo pesce, vestita solo di squame, d'alghe e di capelli, e probabilmente avrei fatto una brutta fine se non avessi avuto con me una rete da pesca e abbastanza spirito scientifico residuo da non resistere all'idea di catturarla e studiarla.
Ho lanciato la rete e... beh, lo vedete anche voi quello che ne è rimasto. È evidente che mi serve una rete più resistente, maglie d'acciaio elettrificate o qualcosa del genere, e no, non esagero.
Altri dipartimenti, altre facoltà hanno a disposizione apparecchiature all'avanguardia, fotocamere con sensori di movimento, radiocollari dotati di GPS, droni telecomandati. E noi, qui a biologia marina, che cosa abbiamo? Pinne, maschere, boccagli e una rete da pescatore!
E allora ho cominciato a pensarci, a pensarci seriamente. Non a quello che non ho, ma a quello che ho.
Ho un assistente che non ho mai sfruttato appieno, se non come mio sostituto nelle noiose sessioni d'esame. Ho la mia mente superiore che sono certo riuscirà a escogitare un degno espediente per prendere in trappola qualunque donna, tanto più una che è per metà un pesce. E ho voi signori, i rampolli delle più facoltose famiglie del paese, con tanti soldi da non sapere che farne, avete mai pensato di sollecitare i vostri genitori a fare una donazione in favore della ricerca scientifica, magari in una materia di vostro interesse, una di cui seguite le lezioni? Pensateci, coraggio, pensateci seriamente, conosco qualcuno che ne avrebbe tanto bisogno per procurarsi l'attrezzatura adeguata per fare la scoperta del secolo...

***

Uno degli studenti fuori corso, un veterano con il quale avevo frequentato all'epoca qualche lezione, mi si avvicinò al termine dell'insolita arringa.
– Tu ne eri al corrente... di tutta questa faccenda delle sirene, intendo? – mi chiese, adocchiando sospettoso il vecchio professore che si era trattenuto a parlare con un paio degli studenti rimasti in aula a discuterne.
– Non ne avevo la minima idea – replicai a braccia incrociate. Come assistente del professore avrei dovuto conoscere le ricerche in cui era impegnato, ma quella mi giungeva nuova.
Il mio interlocutore fece una smorfia a denti stretti. – Ah... auguri – replicò, indietreggiando di qualche passo prima di defilarsi il più rapidamente possibile.
Lo sapevo a che cosa pensava. Pensava che il professore fosse impazzito.
Lo pensavo anch'io, ed ero appena all'inizio di un contratto triennale. Praticamente, ero finito in trappola nella sua rete da pescatore.
Avrei dovuto capire che c'era un motivo se quel posto da assistente era rimasto vacante per diversi mesi prima che arrivassi io a occuparlo.

sabato 15 aprile 2023

Fantomatico

Fantomatico [fan-to-mà-ti-co] agg. (pl.m. -ci, f. -che) 1. Simile a un fantasma; immaginario. 2. Inafferrabile, misterioso.

Etimologia: dal francese fantomatique, derivato di fantôme, "fantasma".


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Dmitry Egorov da Pexels


Non sempre potevo salvarle. Lo capii con Amalia.
– No, è solo un po' dispotico, sai, all'antica. Ma non lo fa apposta. E poi mi ha sempre chiesto scusa, perché lui mi ama.
Questo aveva detto quando l'avevo interrogata sui lividi. Quando, almeno, avevo insistito fino a sfondare il muro di menzogne con il quale lo aveva protetto. Non avevo creduto per solo un istante che fosse caduta dalle scale per disattenzione, o che fosse andata da sola a sbattere contro una porta. Non le avrei creduto nemmeno se non avessi udito la sua anima gridare di dolore e vergogna, nemmeno se non avessi già ascoltato troppe volte la stessa storia.
– Sai che puoi chiedere aiuto – accennai nel risciacquare i bicchieri.
Il suo uomo non le avrebbe permesso di lavorare in un bar, troppo promiscuo, un'occupazione indecente per una donna, ma l'impresa di pulizie che sistemava il locale al mattino era ok. Perciò, da diversi giorni, ero rimasta oltre l'orario di chiusura per poterle parlare.
Tanto, io non avevo bisogno di dormire.
Amalia rise amaramente, stretta al manico della scopa. – E a chi? Suo zio è magistrato, sai, uno di alto livello, e ha parenti tra la polizia e in politica. Nessuno mi può aiutare, e...
– Mary Autumn – sussurrai, mentre il colore delle foglie d'autunno frusciava nei miei occhi. – Devi solo chiedere.
Ma Amalia non si avvide del mio sguardo. Scosse la testa. – Non ho intenzione di chiedere aiuto a una fantomatica vendicatrice. Lei non esiste. E a me non serve aiuto.
Provai a insistere, ma per lei la questione era chiusa. L'avevo persa.
Quella fu l'ultima volta che la vidi. Viva, almeno.
La ritrovai nei boschi, dove lui l'aveva fatta sparire. Troppo tardi per poterla aiutare com'ero stata aiutata io.
Non attesi che la giustizia degli uomini facesse il suo corso. Io arrivai per prima.
Non avevo salvato Amalia, che non mi aveva creduto reale; ma lui scoprì che la fantomatica Mary Autumn era una realtà spaventosa, e che nessuno dei suoi agganci lo avrebbe salvato da un fantasma.

giovedì 13 aprile 2023

Audioracconto - Anche gli agenti segreti vanno in pensione


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero


Il mio nome è Bondi. Giacomo Bondi. E sono in missione... alla casa di riposo!

Anche gli agenti segreti vanno in pensione
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)

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Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2017/12/anche-gli-agenti-segreti-vanno-in.html

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Musiche: Guess Who di Kevin MacLeod (http://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=V-MBKV-NVmE).
Sneaky Snooper di Audionautix (https://audionautix.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=_C1menjq55c).

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lunedì 10 aprile 2023

La spada della regina


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Collage di foto di Victoria Akvarel da Pexels


Lo spreco di calore e luce provenienti dal caminetto acceso rendeva quella stanza assai diversa dalle mie sale private nella più alta tra le torri di smeraldo che erano il vanto della mia terra. Ero da troppi anni assuefatto alla fredda opulenza del marmo e delle gemme preziose per trovare conforto in cuscini di piume e morbide coperte, ma finché mi fosse convenuto, avrei finto di apprezzare il lusso riversato sulla mia persona. Il letto e i divani troppo molli, uniti al caldo sentore di resina e legno bruciato che gravava come un'insopportabile cappa nella stanza, avevano almeno un vantaggio: attiravano i gatti.
A me e alla mia delegazione era stata riservata un'intera ala del castello, ma ancora non sapevano che era mia intenzione prendermi tutto. I felini erano le spie perfette per scoprire ciò che avveniva nelle zone del castello che ancora mi erano precluse. Nessuno si zittiva al passaggio di un gatto, nessuno lo sbatteva fuori dalla stanza dove si discutevano le questioni più importanti.
Accarezzai il manto nero della mia piccola, inconsapevole spia, e il felino, fiducioso come solo una bestiola vezzeggiata e mai tradita poteva essere, si profuse in un sommesso ronzio di fusa, che in pochi istanti aumentò di volume alle mie carezze fino a sovrastare il crepitio della legna che ardeva nel camino.
Era quello stato di fiducia, di ignaro abbandono, che occorreva ai più subdoli e sottili tra i miei incantesimi. Senza smettere di accarezzare il sonnolento felino con una mano, con l'altra sfilai un lungo ago celato nella mia cintura e con una mossa rapida lo infilai nel collo della bestiola.
Quella spalancò di colpo gli occhi gialli e si immobilizzò all'istante, e io li fissai, e precipitai nelle loro profondità.
Vidi allora tutto ciò che il gatto aveva visto nel corso della sua vita, e udii tutto ciò che aveva udito, e anche se alle sue orecchie le parole erano state solo suoni, io conservai in quel viaggio immobile una mente adatta a comprenderle.
Vidi la donna dai capelli rossi che in presenza di estranei non si staccava dalla sua posizione privilegiata al fianco della regina, aggirarsi di notte furtiva come un gatto.
Si allenava con la spada in solitudine, abbigliata come un uomo, o in compagnia di un cavaliere, solo uno, sempre lo stesso.
Cercai fra i ricordi. Fratello, lo chiamava, non un amante segreto dunque, ma pur sempre un punto debole che avrei potuto sfruttare.
Il risentimento degli altri cavalieri era un altro vantaggio a mio favore, se mai avessi dovuto combatterla invece di blandirla fino alla sottomissione fiduciosa come avevo fatto con il gatto. Gli uomini d'arme l'avevano chiamata in molti modi, e trattata in maniera niente affatto piacevole finché era stato in vita il re, ma da quando era venuta meno la giusta autorità di un uomo, soldati e cavalieri avevano preso a definirla "la spada della regina".
In realtà, stando alle incursioni del mio piccolo amico peloso nelle stanze regali, la popolana dai capelli rossi era molto di più di una dama di compagnia e una guardia del corpo.
Ogni parola pronunciata nel segreto delle stanze regali, nella solitudine condivisa dalle due donne, era come un'ipnotico ronzio di fusa che riempiva e plasmava il pensiero della bionda testolina regale.
Anche qui, non trovai tra di loro una segreta relazione tra amanti che avrebbe giustificato, nonché reso sfruttabile da parte mia, la loro vicinanza, bensì qualcosa di molto più subdolo e pericoloso, qualcosa che mi era familiare, perché era ciò che io stesso avrei fatto nelle medesime circostanze.
Colei che portava la corona, in quel regno, era la spada della regina. Per ottenere ciò che volevo dovevo dunque prima ingraziarmi lei, poi toglierla di mezzo e prenderne il posto.
Per mia fortuna, quella donna aveva desideri semplici da soddisfare.
Sfilai l'ago dal collo del gatto, che scattò giù dal letto incolume e sgattaiolò svelto fuori dalla porta che il mio attendente, un vecchio muto ormai abituato ad assistere alla mia magia senza battere ciglio, aveva aperto per lui.
Ora che il legame era stabilito, non mi occorreva più la sua vicinanza per ricevere informazioni dalla mia piccola spia.
– Svelto, lo scrigno dei metalli – ordinai al mio attendente, che si affrettò a portarmi quanto gli chiedevo.
Sarebbe bastato un lingotto d'acciaio e un pizzico della mia magia per forgiare la lama più bella che la spada della regina avesse mai visto, un'arma da cui non avrebbe potuto distogliere gli occhi, l'arma che alla fine avrebbe causato la sua rovina.

sabato 8 aprile 2023

Detrimento

Detrimento [de-tri-mén-to] s.m. Danno materiale o morale; nocumento.

Etimologia: dal latino detrimentum, da deterere, "logorare, consumare" composto dalla particella de, "in basso", e quindi indicante peggioramento, e da terere, "fregare, tritare, pestare".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di cottonbro studio da Pexels


Uscire dalla metropoli era stata un'impresa, ma non immaginavo che la parte difficile dovesse ancora arrivare. Avevamo camminato per mezza giornata con qualche sosta per riposare i piedi e mangiare qualcosa, durante le quali Talon si era lamentato più di me della stanchezza, e del fatto che non poteva tornare a casa volando a causa mia. La notte calò prima che arrivassimo alla torre di cui mi aveva parlato, e la lanterna che aveva rischiarato la via nel sottosuolo della città ci tornò nuovamente utile.
– Ormai non manca molto – disse a un tratto Talon. – Quando arriveremo, lascia parlare me. Tu parli troppo strano.
Roteai gli occhi. Sì, certo, perché il suo eloquio buffo, un misto di inflessioni regionali messe insieme a casaccio, era il modo corretto di parlare l'italiano.
– E poi, beh... sei un'umana, e gli umani sono cattivi – aggiunse, voltandosi indietro. – Continuo a dimenticarmelo con te, perché tu sei mia amica, ma è così.
Sospirai. Non avevo visto umani cattivi nella metropoli, solo persone spaventate e prudenti e anche arrabbiate, questo sì, ma dopo aver aver avuto a che fare con Talon e i suoi amici, potevo capirle. Però, se io ero riuscita a far funzionare la convivenza con Talon nello spazio ristretto di una barca, non si sarebbe potuto far convivere pacificamente umani e gremlin nel loro mondo di origine?
Mentre arrancavo su un letto di detriti, riflettei che la distanza alla quale vivevano, nonché la differenza linguistica, andava a detrimento di una collaborazione tra le due specie. Se non si incontravano che in rare occasioni, come potevano conoscersi e...
Non conclusi il pensiero, perché inciampai in un ostacolo più grosso dei frammenti metallici sparsi a terra, e mi resi conto che era il rottame di uno dei veicoli che avevo visto in città.
E allora ricordai qual era il più grosso impedimento al mio progetto di pace: la brutta abitudine dei gremlin di causare detrimento alle invenzioni umane in ciò che loro definivano un "tentativo di migliorarle".

giovedì 6 aprile 2023

Audioracconto - Un uomo di un certo peso


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Foto di Mike B da Pexels


La dura vita di una sedia comune sotto pesi fuori dal comune

Un uomo di un certo peso
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)

Trovi gli altri racconti sul canale YouTube: https://www.youtube.com/@lavocedellapiuma

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: http://lapiumatramante.blogspot.com/2017/10/un-uomo-di-un-certo-peso.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Gypsy Stroll di Aaron Lieberman
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=GhdhAQRPzEM).

Immagine di: Mike B (https://www.pexels.com/it-it/foto/sedia-in-legno-marrone-116910/)
da Pexels, distribuita ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 3 aprile 2023

La solitudine delle maschere


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Foto di Francesco Ungaro da Pexels


Da quando avevo detto addio alla nave volante e avevo riconquistato la mia libertà, mi ero data da fare. Non avevo faticato troppo per acquisire in modi non convenzionali un carro da gitani e la coppia di robusti equini indispensabili per trainarlo di qua o di là, a seconda di come girava il vento dei miei affari. Nel giro di pochi mesi, inoltre, ne avevo addobbato l'interno con una varietà di chincaglierie appese ai travetti sul soffitto, lanterne dalle forme bizzarre, stelle e lunette di vetro, pesciolini di legno, campane a vento, campanelle di metallo a forma di fiori rovesciati. Tutta quell'accozzaglia faceva un baccano del diavolo ogni volta che percorrevo le strade bianche o malamente lastricate che si allungavano pigre tra i campi di grano macchiati dal rosso dei papaveri e dal blu dei fiordalisi. Il calore del sole era di nuovo mio amico, un tepore diverso dall'asfissiante canicola che si abbatteva sulla mia schiena sulla tolda della nave in cui ero stata prigioniera, e la brezza gentile dall'est accompagnava il mio cammino.
Potevo fare quello che volevo e andare dove volevo. Non avevo bisogno di altro.
Fu alla città di Granporto, che fantasia in quella regione, che mi sentii finalmente pronta a recitare il mio grande spettacolo, la scena madre per la quale mi ero tanto preparata recuperando qua e là i costumi necessari per le mie maschere, e racimolando i fondi nell'interpretare tra una tappa e l'altra del mio viaggio qualche parte minore. Nulla che non avessi già fatto in passato, il mercante Angus Aberdeen con il suo Serum Veriterum, il marinaio Pinus con le sue smancerie alle belle signore, le sue proprietà aurifere in terre esotiche e le sue false autentiche mappe del tesoro, il monello Solanum Dulcamara, tanto bisognoso d'aiuto per la sua sorellina in pessime acque da impegnare il suo unico tesoro, un cimelio di famiglia dai poteri straordinari.
Durante le mie improvvisazioni mi rincuorò scoprire che nonostante il tempo trascorso, il fiuto per gli affari e il buon cuore della gente non fossero affatto cambiati.
Come dicevo, quando giunsi a Granporto, tutto era pronto. Ma per non rovinare la sorpresa, in un primo momento lasciai il carro fuori città, al riparo in una selva, dove il frastuono delle innumerevoli chincaglierie appese, alcune delle quali erano state spostate all'esterno per sfruttare la collaborazione del vento, sarebbe stato scambiato per la voce degli spiriti arborei dalla superstiziosa gente di campagna, che si sarebbe così tenuta alla larga. Mentre la sottoscritta, o meglio, il discreto e affabile Triticum Aestivum, si sarebbe aggirato in città alla ricerca di un posto da notaio, senza destare troppa attenzione se si informava sulle famiglie più abbienti del circondario e le ultime vicende che le riguardavano, le loro fortune e sfortune, le morti e le successioni.
Era poi la volta del pacchiano Papaver Rhoeas, e lui sì che lo avrebbero notato mentre si esibiva in giochi di abilità con oggetti lanciati in aria e almeno una volta su tre ripresi al volo, e con le sue canzoni forse un po' stonate, ma talmente memorabili da non riuscire a scacciarne dalla mente i motivetti e le rime. Papaver Rhoeas che si sarebbe profuso nelle lodi della mistica e profetica chiaroveggente Centaurea Cyanus, colei che consolava gli inconsolabili e recava messaggi dall'aldilà, dall'aldiqua, e dal dovunque.
Quando nei panni di Papaver Rhoeas fui certo che la notizia fosse giunta a una delle famiglie su cui Triticum aveva fatto ricerche approfondite, poiché un messo con le loro insegne venne a chiedere informazioni sulla portentosa divinatrice e se ne andò con la risposta che l'impareggiabile oracolo sarebbe giunto presto in città, poiché lei arrivava sempre dov'era necessario che fosse, fu il tempo di far sparire Papaver Rhoeas ed entrare finalmente a Granporto in pompa magna, con una nuova maschera e un carro risuonante di portentosi tintinnii e lignei sbatacchiamenti.
Impossibile non notarmi stavolta, e non capire che la tanto attesa e famosa Centaurea Cyanus era giunta in città.
Dovetti soddisfare qualche cliente minore in attesa che il pesce grosso abboccasse, ma fu piuttosto semplice. Di alcuni avevo saputo le vicende origliando le chiacchiere tra i cittadini nei panni di Triticum o di Papaver, per gli altri era bastata qualche frase generica che loro stessi si erano poi affrettati a completare di dettagli nel corso della seduta. E quando non sapevo che dire o stavo per essere colta in fallo, potevo sempre ricorrere alla levitazione del tavolo, alla pioggia di piume candide dall'alto, al soffio di un mantice che risuonava ululante in un cono d'ottone, o al bagliore delle lanterne riflesso altrove da una serie di specchietti mobili, il tutto facilmente azionabile da una serie di leve e fili nascosti senza muovermi dal mio posto.
La mia magia non aveva mai mancato di impressionare la brava gente in cerca di risposte, e ciò che chiedevo per le mie esibizioni era un piccolo prezzo di fronte alla certezza della sorte toccata ai loro cari e al sollievo che potevo offrire.
Infine, giunse il momento. Un messo con le stesse insegne di quello che aveva chiesto informazioni a Papaver Rhoeas venne al mio carro per invitarmi al palazzo dei suoi padroni, ma io fui irremovibile. Per conservare i miei poteri, non potevo addentrarmi in luoghi dove regnava il lusso, né in altre dimore o in locande al chiuso. Se lo avessi fatto, se avessi rinnegato l'aria aperta e il cielo, la luna e le stelle, e gli stessi dei che mi avevano benedetto con i loro doni, mi avrebbero maledetto togliendomi non soltanto la vista dell'oltre, ma anche quella terrena. Non c'era altra soluzione che venire a interrogarmi dove stavo, o non venire affatto e perdere così l'occasione della propria vita.
Sapevo che quell'ultimatum avrebbe funzionato. Funzionava sempre.
La donna impellicciata che giunse al mio carro accompagnata da una scorta, che rimase ad aspettare fuori, non volle dirmi il suo nome, ma io sapevo che era proprio la persona che attendevo. Con lei sfruttai fino all'ultimo dei miei trucchi, tavolino levitante, piume, ululato cavernoso e bagliori vaganti, ma il tocco di genio, la battuta migliore di quello spettacolo, mi giunse per un colpo di fortuna.
La donna, fin dall'inizio della seduta, teneva tra le mani un medaglione con la foto della defunta prozia che intendeva contattare. Le presi le mani, all'inizio della seduta, e riuscii così a decifrare al tatto, sul retro del medaglione, un'incisione che pareva una dedica a un nome che non era quello della mia ospite. Era un nomignolo buffo, familiare, uno che si sarebbe potuto affibbiare a una bambina, ed era semplice indovinare che quello fosse il modo in cui la prozia in vita aveva chiamato in segreto colei che mi stava di fronte. Era un'informazione che non avrei potuto ottenere da un estraneo, ma la tenni per me, in attesa che la nobildonna fosse abbastanza incantata dal mio spettacolo da dimenticare che le avevo preso le mani con le mie. Solo allora, non prima, le riferii il messaggio della defunta prozia concludendo con quel nomignolo, pronunciato in tono incerto e strabuzzando gli occhi come se non sapessi a che cosa la presunta voce dall'aldilà si stesse riferendo.
La donna di fronte a me lo capì eccome, e come avevo previsto, lo strabiliante miracolo di quel nome che non pensava più di udire riempì lei di lacrime, e me di monete. Quando se ne fu andata, lasciandomi un extra sul tavolo oltre alla cifra esorbitante che già avevamo concordato, mi voltai di lato con un sorrisetto soddisfatto. Ma al mio fianco non c'era il Corvaccio a complimentarsi con un grugnito e a pretendere la sua parte, né il Furetto a criticarmi e a spronarmi alla zuffa perché lui nei panni della veggente avrebbe certamente saputo scucirle di più. E nemmeno c'era il capitano della nave volante Fortuna Maior, o il suo secondo in comando e moglie Ekira Bright, né la cuoca dei pasti a sorpresa, o cantastorie profeta di Galam che mi aveva incastrato, o la vedetta visionaria, o il nostromo annunciatore di sciagure, o i due mozzi che avevano sgobbato con me sul ponte e che avevano tanto apprezzato l'idea di dividere il lavoro con qualcuno di diverso ogni giorno. Non c'era nessuno di quella sgangherata compagnia che mi aveva conosciuto per come ero, che aveva imparato quanto le maschere fossero parte di me, non un mero strumento per l'arte di Galam che esercitavo, ma uno specchio della mia anima e del mio umore.
Nessuno di coloro che erano venuti a consultare Centaurea Cyanus, o che erano passati accanto a Triticum Aestivum senza vederlo, o che avevano riso e cantato con Papaver Rhoeas avrebbe mai capito quanto le mie maschere fossero oneste. Loro, che credevano di essere la stessa persona nella gioia e nel dolore, nel parlare da figlio o nel comportarsi da padre, nello scoprire che avevo dato nomi diversi e diversi atteggiamenti alle sfumature che erano parte di me avrebbero inevitabilmente pensato a un inganno. Non mi avrebbero nemmeno ascoltato se avessi provato a spiegare che non era così, o meglio, non era così sempre.
Sulla Fortuna Maior non avevo truffato nessuno... d'accordo, escludendo il capitano e la sua signora che avevo minacciato con un segreto da non rivelare per costringerli a lasciarmi andare, non avevo truffato nessuno, eppure avevo continuato a indossare la maschera che di volta in volta più mi rappresentava. Perché io ero così, e su quella nave tutti, anche coloro che erano stati più diffidenti nei miei confronti conoscendo il mestiere che esercitavo, avevano cominciato a capirlo.
E lì, da sola, col mio bottino di fronte, il tintinnare della cianfrusaglia sul soffitto, le mie mille maschere e tutta la libertà del mondo, iniziai a capire a cosa avevo rinunciato.

sabato 1 aprile 2023

Brolo

Brolo [brò-lo] s.m. 1. region. Orto, frutteto; estens. giardino, luogo alberato. 2. Corona di fiori, ghirlanda.

Etimologia: dal latino medievale brolus, altra variante di broilus "verziere, bosco, selva", derivato dal tardo latino brogilus, dalla parola gallica broga, "campo", o di origine celtica da brog, "sollevamento, rigonfiamento".



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Foto di Art Laurence Luzon da Pexels


Ricordo poche cose. Ricordo gli occhi di mio padre in un giorno come un altro, l'ultimo giorno della mia vita. Come li ha sgranati di stupore quando i sacerdoti lessero nelle pietre il mio nome, e poi li ha chiusi, ha chinato la testa e si è voltato.
– Prendetela – la sua unica parola.
Non poteva difendermi senza rivelare il suo imbroglio, senza spiegare al popolo come aveva sempre tenuto al sicuro me e le mie sorelle, mentre altre donne morivano.
Ricordo Moray, il maestro di spada, che aveva sguainato la sua lama e si era frapposto fra me e le guardie del tempio. Non ricordo come alla fine mi presero, ma lo fecero; come non ricordo nemmeno che mia madre o le mie sorelle abbiano detto una sola parola. Ma forse, è solo perché ho già perduto quella memoria.
Rammento con chiarezza, che ricordo inutile, il volto della popolana che irruppe nel corteo per posarmi sulla testa un brolo di violacciocca e daphne odorosa e fiori di amaranto, sicura che avrei portato con me, tra gli dei, le poche parole che riuscì a sussurrarmi prima che la allontanassero, la sua preghiera.
Ironia della sorte, io quelle parole non le ricordo affatto.
Ricordo l'altare dove avrei terminato i miei giorni terreni, che a differenza di tanti altri che da allora ho visitato, si trovava in un luogo più gentile, più gradevole, come se la vista bucolica in cui s'innalzava il cerchio di pietre che circondava quel luogo di morte volesse indicare che qui, al sud, eravamo più civili che nel resto del mondo. Perciò, l'altare era immerso in un verde brolo, e gli alberi da frutto si alternavano ai pinnacoli di pietra, e fu sull'erba verde e lussureggiante che mossi i miei ultimi passi restii.
Altrove i campi erano riarsi per la siccità, ma nessuno avrebbe osato trascurare quest'orto, sacrificando ogni goccia d'acqua per quello che era noto in tutta la regione come "il giardino dei morti".
Lì avrei dovuto esalare il mio ultimo respiro e ascendere al cielo, tra gli dei.
Inutile dire che non fu ciò che avvenne.