lunedì 24 aprile 2023

Come sopravvivere ai libri sui vampiri


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Se mai vi venisse la malsana idea di rivelare la vostra identità a un essere umano, ascoltate questo consiglio: accertatevi, prima di farlo, che il suddetto essere umano non sia un appassionato di storie sui vampiri. Nel malaugurato caso in cui, come me, non ve ne siate accertati preventivamente, o nell'ipotesi in cui lui o lei si appassionino a quel genere di libri e film dopo avervi conosciuto, vi rimangono solo due possibilità: disfarvi di dell'impiccione (sto scherzando, ovviamente, si veda il capitolo sulla necessità di evitare di lasciare cadaveri in giro), dicevo, una possibilità è quella di evitare di restare da soli con il vostro nuovo amico, e la seconda consiste nel rispondere subito a tutte le sue domande.
La prima scelta ha maggiori possibilità di funzionare se la persona a cui avete rivelato la vostra identità non è così preparato sulla figura letteraria del vampiro, tanto da conoscerne appena due o tre dei più famosi. A meno che non sia estremamente ingegnoso nel porre le domande in forma indiretta, metaforica o puramente ipotetica (del tipo "se i vampiri esistessero davvero, secondo te cosa...", o "come ti è sembrato il personaggio del vampiro in questo libro?"), oppure talmente stupido da chiedere ugualmente ignorando la presenza di altri, nel qual caso forse un'eliminazione potrebbe risultare la soluzione migliore per entrambi, imparare a conoscervi stando in mezzo a una folla gli impedirà di toccare l'argomento, e gli consentirà di scoprire con l'osservazione e l'esperienza che voi non siete Dracula, Blade o Edward Cullen. Vedrà da sé infatti che non sbrilluccicate né diventate cenere se esposti al sole, e potrà constatare che la cosa dell'assenza di riflesso è un'assoluta falsità, e potrà soddisfare quasi ogni quesito che la sua mente curiosa avrà elaborato dal momento in cui ha ricevuto la grande rivelazione.
Ritengo che due o tre mesi di frequentazione in queste condizioni possano essere sufficienti per smorzare l'entusiasmo iniziale e declassare il grande, enorme scoop ovvero "la mia amica o il mio amico è un vampiro" da notizia del giorno a fatto assodato. Capire le vostre esigenze, scusarvi e giustificarle di fronte alle vostre conoscenze rimaste all'oscuro sarà diventata a quel punto una questione di routine.
La mia è soltanto una stima, però. Non posso darvi alcuna garanzia sulla tempistica, perché io ho tentato quella strada, e ho fallito. Avrei dovuto capirlo fin dal momento in cui Marina si è presentata alla porta di casa e io le ho sbattuto la porta in faccia.
Sì, ho fatto molti errori, ma io non avevo una guida a mia disposizione.
Avrai già capito dal capitolo precedente che rivelarmi a Marina non è stata una scelta ponderata e oculata. Sperare di non rivederla mai più era fuori questione, la scuola era piccola e anche se non conosceva il mio nome, non era pensabile che sarei riuscita a evitarla per tutto il resto dei miei anni scolastici. Lo avevo considerato, e avevo considerato anche che quello era un ambiente piuttosto sicuro dove incrociarci in corridoio per il tempo limitato della ricreazione.
Avevo di gran lunga sottovalutato il suo ingegno e la sua curiosità. Come ti dicevo, si è presentata alla mia porta, e non ho mai capito se fosse riuscita a scoprire dove abitavo facendo domande in giro o seguendomi mentre tornavo a casa.
Ancora oggi, questo è rimasto il suo mistero.
Una volta che ebbi compreso che non era possibile evitare le domande di Marina (difficile non comprenderlo quando una si presenta a casa tua quasi ogni giorno, ti segue in bagno a scuola, si fa perfino invitare a casa dai tuoi genitori mentre tu non ci sei e per fortuna non entra in argomento vampiri con loro), capii che dovevo mettere un freno, il prima possibile, alla sua opera di stalkeraggio.
Fu così che mi ritrovai a casa sua, ufficialmente per studiare assieme, di fronte alla sua libreria fornitissima di romanzi e raccolte di racconti sui vampiri, tutti abbastanza consunti da non essere il frutto di un interesse recente causato dal conoscere me, e fu allora che iniziai a rendermi conto in quale razza di guaio ero andata a cacciarmi.
Dopo averle fatto sapere che no, non mi trasformavo in nebbia, in pipistrello o in altri animali, che non avevo alcun potere particolare a parte forse una capacità sensoriale più sviluppata, che i miei occhi non diventavano rossi e che non potevo leggerle la mente (sì, lo so, ho evitato di spiegarle quello che succede quando ci nutriamo ma all'epoca ancora pensavo che con un po' di accortezza Marina non l'avrebbe mai saputo) iniziai a intuire che oltre a un'insaziabile curiosità nel suo animo si nascondeva una tremenda paura.
Nei libri, infatti, quando non sono degli affascinanti ragazzi emo con un'attrazione inspiegabile verso la protagonista, i vampiri sono... mostri.
E invece eccomi lì, nella sua stanza, un'adolescente qualunque che non aveva nemmeno avuto bisogno di un invito per entrare in casa sua.
– Quindi, le croci, l'aglio e l'acqua santa ti lasciano indifferente – stava enumerando Marina. – Mentre il sole non ti brucia...
– Non prendo fuoco e non comincio a fumare, questo sì – precisai, appoggiata alla libreria con le braccia incrociate, per evitare che cercasse altri spunti per le sue domande tra i volumi. – Ma lo evito perché mi scotto molto in fretta, e divento rossa senza abbronzarmi, ed è parecchio fastidioso. E la crema protettiva funziona solo fino a un certo punto.
Marina mordicchiò la punta della penna. Stava prendendo appunti. Glielo avevo lasciato fare solo perché i suoi genitori, che sentivo impegnati al piano di sotto con la televisione accesa, dovevano ormai essere abituati alla sua ossessione per i vampiri, e se pure avessero scoperto quel taccuino l'idea che la loro adorata figlia si fosse arrischiata a intervistare un vero vampiro non gli avrebbe mai sfiorato il cervello.
Marina alzò lo sguardo dal suo quadernetto. – D'accordo, però il paletto nel cuore e la decapitazione funzionano, giusto?
– Chiunque muore per un paletto nel cuore o una testa staccata di netto, non solo un vampiro – replicai, e sogghignando in modo da mettere in mostra la dentatura (lo so, in condizioni normali non è poi così spaventosa, ma lei era in uno stato d'animo impressionabile, a quel puto della conversazione), replicai: – Ma dimmi, tu ce lo avresti il coraggio di provare a impalare o decapitare qualcuno?
Marina fece una smorfia e io ne approfittai per avvicinarmi al piattino dei biscotti che si era portata in camera e aveva lasciato sulla scrivania. – Vuoi un metodo sicuro per evitare di essere morsa da un vampiro? Fagli mangiare qualcosa.
Mi infilai il biscotto in bocca, masticai e mandai giù. Marina mi aveva già visto mangiare a scuola, dunque pensavo che quella questione almeno fosse già stata risolta con l'esperienza, e invece no.
Seguì a occhi sgranati tutta l'operazione, e poi chiese: – Quindi... sul serio puoi mangiare cibo umano, non hai fatto finta?
Annuii. – Certo che posso, e anche devo, per chi mi hai preso? Per una creatura soprannaturale e mitologica? Ho solo meno appetito, e vera fame quasi mai. Non... fame di quel tipo di cibo solido, almeno. – Aspettai che finisse di scrivere prima di continuare. – Il fatto è questo: o digerisco il cibo, o assimilo il sangue, non posso fare tutte e due le cose assieme. Perciò, se un vampiro ha appena mangiato, prima di morderti dovrebbe vomitare il pasto, cosa che non è molto carina da fare di fronte a un estraneo, e inoltre ti darebbe tutto il tempo di capire le sue intenzioni e svignartela. Chiaro?
– Oh, sì – Mormorò Marina, e finito di scrivere mi rivolse un'occhiata sorniona. – Tutto chiaro. Tutto davvero molto, molto, molto chiaro.
Solo a quel punto, di fronte al suo sorriso furbesco, mi resi conto che le avevo appena spiegato che cosa stavo facendo in bagno il giorno in cui ci eravamo incontrate.

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