giovedì 30 marzo 2023

Audioracconto - Tesoruccio


Immagine liberamente disponibile su Public domain pictures sotto licenza Creative Commons Zero.


Molti cattivi hanno un gatto.
Perfidia ha il suo Tesoruccio. E una valigetta di malefici piani da recuperare.

Tesoruccio
(racconto breve di genere thriller/umorismo)

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2020/02/tesoruccio.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: Dark Creatures, di Myuu (https://soundcloud.com/myuu)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=oaKgUBQH_qw).

Immagine: Giant Centipede, di Jean Beaufort (https://www.publicdomainpictures.net/en/free-download.php?image=giant-centipede&id=201124)
da Public Domain Pictures, distribuita ad uso gratuito (https://creativecommons.org/publicdomain/zero/1.0/).

Effetti sonori da FreeSounds (https://freesound.org/) sotto licenza Creative Commons 0 (https://creativecommons.org/publicdomain/zero/1.0/).
Urlo da Freesounds - Scream1 di Subber13 (https://freesound.org/people/TheSubber13/sounds/239900/) sotto licenza Creative Commons BY-NC 3.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-nc/3.0/)

lunedì 27 marzo 2023

Incubo alla Edgar Allan Poe


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Dettaglio da una foto di Gerardo Manzano da Pexels


Pioveva nel riquadro vuoto della porta scorrevole shoji, un crepitio di gocce sui rami attentamente sagomati degli aceri ornamentali, sui fiori di ciliegio e sullo stagno delle carpe koi, macchie guizzanti di rosso e di bianco sotto la superficie verde perennemente increspata. Pioveva, ma non temevo più che la sinfonia ritmata sul tetto di legno della veranda risvegliasse il mostro, perché il mostro era sveglio, e il mostro ero io.
Maria trasalì al rintocco improvviso del bambù della fontanella shishi odoshi, che batteva a intervalli irregolari sulle pietre, e sciolse le braccia dal mio collo. Si allontanò di qualche passo da me, camminando a piedi nudi sulle fibre intrecciate del tatami. Mi diede la schiena e si passò una mano sul volto, ad altezza degli occhi.
Stavo per dirle che non era una mossa saggia, non nello stato in cui mi trovavo un quel momento, ma lei fu più svelta.
– È stata tutta una messinscena? – sbottò, furibonda com'era stata il giorno in si era precipitata in casa mia dopo aver trovato il mio biglietto di ringraziamento nel suo armadietto. – Almeno, Edgar Allen è il tuo vero nome, o anche questo è una bugia?
Maria mi fissò, e io ricambiai il suo sguardo, incapace di parlare. Non potevo dirle che stavo usando ogni oncia della mia volontà per trattenermi dal farle del male.
Se avessi ceduto, tutto quello che avevo fatto per lei sarebbe stato inutile.

Lui era calmo, così calmo, mio dio, come poteva essere così calmo? Immobile come una statua con quelle assurde enormi ali da pipistrello alle sue spalle, occhi torvi che mi seguivano, calmo come se lo avesse saputo da sempre. Mi aveva mentito, e perché lo aveva fatto, no, che senso aveva scrivere un intero diario di bugie...
Avevo creduto che lui fosse una specie di dottor Jeckyll e mister Hyde, e invece ora mi ritrovavo in un incubo alla Edgar Allan Poe, tanto per citare un autore il cui nome assomigliava incredibilmente al suo.
Così tanto che, a dire il vero, mi venne il dubbio che lui non si chiamasse davvero così.
L'ennesimo sbatacchiare convulso di quell'infernale aggeggio di bambù in giardino lo risvegliò dal suo torpore. Sarei corsa fuori a distruggerlo se non fosse stato per la pioggia, ma almeno era servito a qualcosa, oltre a mettermi ancora più ansia.
– Tutto ciò che ho scritto nel diario era vero – mi disse lui, la voce inespressiva come il suo volto. – La mia identità invece è rubata. Ne avevo il sospetto, prima. Ora, ne sono certo.
Non credevo che avrebbe potuto esistere in quel posto un suono più sgradevole di quel dannato bambù, finché dalla sua gola non sgorgò una risata gorgogliante di puro, malvagio piacere, simile a quella che avevo sentito fare alle donne demoniache che lo avevano sfidato a battersi con loro. Da loro me l'ero aspettata, loro erano il male, la violenza, l'odio. Ma non pensavo che l'avrei mai udita dalla gola di Ed.

Il mio primo ricordo. Quello che pensavo fosse il mio primo ricordo, prima di riassaporare la memoria di come ero stato abbandonato nella terra degli uomini, per morire, e di come invece ero sopravvissuto e avevo prosperato. Maria, con le sue domande, me lo aveva rammentato, ma ora che sapevo chi ero lo percepivo in un modo diverso. Il velo tra i miei ricordi era stato strappato come le mie mani dagli artigli affilati avrebbero potuto strappare la sottile carta di riso delle pareti fusuma che ci circondavano, e adesso potevo immergermi senza paura, anzi, con piacere, nel sapore del sangue e nel dolore di membra strappate, nella memoria della carneficina che io, proprio io, avevo compiuto in quel bagno, e di cui finora avevo sperimentato soltanto, e con spavento, le conseguenze.
Da una delle mie vittime, un ragazzo che all'epoca aveva la mia età e che mi somigliava a sufficienza, avevo ottenuto il mio nome.
Maria mi tese la confezione delle pillole. Non so dove le avesse tenute fino a quel momento, né perché le avesse con sé. Ma notai che allungò più che poteva il braccio, tenendosi a una prudente distanza, forse allarmata dalla mia risata.
Non avrebbe fatto differenza se avessi deciso di attaccarla. Ero ferito e ancora debilitato, ma una donna umana non era una sfida, dopo aver sconfitto tre giovani Succube.
– Non ne ho più bisogno – le dissi, ed era vero. Avrei potuto tornare a fingermi un essere umano come e quando volevo, senza più bisogno di un guinzaglio fatto di chimica, che oltretutto indeboliva la mia mente insieme al mio corpo. Ma lei equivocò.
– Vuoi restare per sempre così... un demone?
– Incubo – la corressi, poi sospirai e contrassi le ali contro la schiena fino a riassorbirle nella mia carne, e ritirai gli artigli neri nelle dita fino a rivelare polpastrelli rosa e normalissime unghie umane. – Visto? Non ne ho bisogno.
Il mio sangue gocciolava come pioggia nera sul tatami, sporcando con il suo odore metallico l'aroma di thè di cui la stanza era pregna, e solo allora lei se ne accorse e ricordò di essere un'infermiera. O, forse, la paura che aveva avuto di me stava svanendo. La lasciai fare, mentre ancora mi concentravo sul non squarciarle la gola.

Che stupida, non mi ero resa conto che Ed era ferito. O meglio, lo avevo visto, sì, ma un demone, ops, incubo ferito era una cosa, e un uomo ferito era un'altra. Quando era tornato umano in pochi secondi di fronte ai miei occhi era diventato all'improvviso chiaro che aveva bisogno del mio aiuto, come ne aveva avuto bisogno il giorno dell'incidente, il giorno in cui lo avevo incontrato. Gli girai attorno per esaminarlo, e scoprii che le ferite sulle sue ali si erano trasferite sulla sua schiena, in un incrocio di strappi sanguinanti nella pelle. Alcuni squarci erano profondi, ma non avevo modo di mettergli dei punti, così mi limitai a bendarlo con mezzi di fortuna.
Il suo sangue era ancora di un cupo nero verdastro, il colore che aveva assunto per la dose elevata di sumatriptan che Ed aveva miscelato nelle pillole, così non c'era da preoccuparsi che i padroni di casa capissero che qualcuno era passato di lì e aveva sanguinato sul loro pavimento. E a proposito di padroni di casa, pensai nel rivolgere lo sguardo tutto intorno nella stanza dalle pareti fin troppo leggere, e fuori, verso il giardino all'orientale. Quando avevamo attraversato il portale per abbandonare quel mondo infernale sotto una luna di sangue nel cielo livido, non mi ero chiesta dove quel vortice ci avrebbe condotto, mi bastava solo sapere che quella era la via per tornare a casa.
Ma questa non era casa mia, né la casa di Ed. Era un posto sconosciuto e, da quanto mi era dato di vedere, dall'altra parte del mondo.
– Siamo... siamo in Giappone? – gli chiesi, strabuzzando gli occhi, e già facevo piani su piani su come saremmo potuti tornare a casa, non avevo un passaporto, la carta d'identità... no, nemmeno quella, non avevo pensato di prendere la borsa quando ero stata rapita da una demone, a meno di non attraversare di nuovo il portale ma la sola idea di ritornare in quell'altro mondo anche se solo per pochi istanti, di passaggio, già mi metteva i brividi...
Ed rise di nuovo, ma stavolta era una risata umana, divertita, e mi prese la mano, e tutte le mie preoccupazioni si sciolsero in rivoli di pioggia.

Uno scrittore americano il cui nome assomigliava incredibilmente alla mia identità rubata, Edgar Allan Poe, faceva spesso riferimento nelle sue opere al demone della perversità, ma quello di cui parlava non era un vero e proprio demone. In poche parole, il demone della perversità è quella forza che spinge gli esseri umani, e sì, anche gli Incubi e le Succube, a fare proprio ciò che sanno di non dover fare, perché contrario alla legge o alla propria morale, nel caso degli esseri umani, o perché gli è stato ordinato di non farlo, o perché paradossalmente è ciò che non desiderano fare.
Io non ero immune a quella forza e da quando ero tornato, ero in lotta con essa. Maria mi piaceva, e per la sua vita oltre che per la mia libertà avevo combattuto contro le Succube, e nelle sue mani avevo messo la mia esistenza poiché se avesse parlato le Succube sarebbero tornate a completare il lavoro, e questa volta non avremmo ricevuto la visita delle giovani pretendenti, bensì di una delle regine. Non volevo farle del male, eppure, nonostante questo, morivo dalla voglia di piantare i miei artigli nelle sue carni.
Avrei dovuto trovare una soluzione a questo dilemma.
La sua domanda mi distrasse, almeno per un momento. Non le avevo ancora detto che stavo aspettando che smettesse di piovere per andarcene.
– No, no, non siamo in Giappone – replicai, sebbene l'atmosfera fosse ricostruita alla perfezione, dal tokonoma, l'alcova rialzata alle mie spalle in cui era appeso un rotolo kakemono fitto di caratteri giapponesi, alla fossa per il kama, il bollitore dell'acqua per il thè, che però in questa stagione era coperta, al ginko biloba che dominava il giardino, tra curve sinuose del vialetto, cespugli dalle sagome arrotondate e lanterne di pietra a forma di pagoda, in cui ancora risuonava il rintocco ripetuto e irregolare della canna di bambù di una shishi odoshi, assieme al lieve ritmo delle campane a vento quasi completamente sovrastato dalla pioggia. – No, siamo in una casa del thè circa dieci chilometri a sud del tuo ospedale. Niente paura, non verrà nessuno, oggi è il turno di chiusura.
Mi avvicinai alla porta e scrutai fuori. Conoscevo quel luogo, e ne avevo assorbito le abitudini e il linguaggio così come avevo appreso a parlare la lingua di Maria, e a comportarmi da essere umano, fino ad arrivare a credermi uno di loro.
– Venivo spesso qui, una volta – dissi a Maria, senza voltarmi. Un po' di distanza tra noi, per il momento, era sufficiente a placare il demone della perversità che bramava il suo sangue. – Quando avevo bisogno di cercare pace in mezzo ai miei incubi.
Lei si avvicinò a me. Scossi la testa. Che donna imprudente!
– Non credo che tornerò più qui, però – le dissi, bevendo per l'ultima volta con gli occhi la danza delle carpe koi nello stagno. – Ora so che è di altro, non di pace, che ho bisogno.

sabato 25 marzo 2023

Tartassare

Tartassare [tar-tas-sà-re] v.tr. [sogg-v-arg] 1. Trattare male qualcuno, specialmente nel senso figurato di trattarlo con eccessiva durezza e severità; vessare, angariare qualcuno. 2. Trattare, usare qualcosa in malo modo, senza perizia, perlopiù in senso figurato; strapazzare.

Etimologia: pare sia derivato da tastassare, da tassare, intensivo del latino tagere o tangere, "toccare", e per estensione "afferrare, battere, urtare, colpire", col raddoppiamento intensivo della radice. Per altri proverrebbe dal greco tarassein, "turbare, scompigliare", o dal verbo latino artare, derivato da artus, "stretto", o infine potrebbe essere nato come voce onomatopeica.


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Puwadon Sang-ngern da Pexels


Non sapevo perché quell'uomo avesse deciso di tartassarmi. Potevo immaginare che volesse mangiarmi, ma questo non giustificava la sua ossessione per me e me soltanto. Nel mondo da cui venivo, se una preda era troppo ostica da catturare, non valeva la pena sprecarci troppe energie. In fondo, il bosco era pieno di prede da mangiare.
Ma no, quell'uomo voleva la volpe che gli era sfuggita, solo quella. Le altre non gli interessavano, così come non gli interessavano le lepri o le quaglie, per quanto fossero saporite, e io lo sapevo per esperienza personale.
Avevo perso il conto di quante volte me ne stavo tranquilla per conto mio e all'improvviso sentivo da lontano il latrato del branco di cani con cui si era alleato, e allora sapevo che dovevo correre verso la casupola nel bosco, la tana da uomini che era diventata il mio rifugio sicuro.
Con il tempo, e una serie di spaventose incursioni nel territorio degli uomini - il mio cuore batteva forte ogni volta, anche se sapevo che nelle sembianze di una di loro non mi avrebbero dato la caccia - avevo riempito la tana di oggetti degli uomini, non solo i vestiti con cui si riparavano dal freddo in assenza di una pelliccia, ma altri che avevo visto usare da loro spiando dalle finestre.
Così avevo fugato ogni sospetto dell'uomo, la cui caccia si arrestava sempre alla mia porta. I suoi alleati mi riconoscevano, e continuavano ad abbaiare e raspare fuori dalla casa, ma lui no, non riusciva a sentire il mio odore. Le prime volte mi aveva tartassato e interrogato, pensando che nascondessi la volpe, senza minimamente immaginare che l'aveva di fronte sotto un altro aspetto.
In seguito, capii che potevo allontanarlo in fretta se gli preparavo un po' di quell'acqua calda, scura e dal disgustoso sapore amaro che piaceva tanto agli uomini, e così tolleravo la sua vicinanza e i versi che mi rivolgeva, e che avevo imparato a comprendere, per il tempo necessario a liberarmi da lui.

giovedì 23 marzo 2023

Audioracconto - Rancore


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Skitterphoto da Pexels


Mai prendere ciò che appartiene a un gatto... o al suo padrone.

Rancore
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: http://lapiumatramante.blogspot.com/2022/02/rancorosorancore.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: March of the Spoons, di Kevin MacLeod (http://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=Z7Etgc-Ab68).

Immagine di: Skitterphoto (https://www.pexels.com/photo/closeup-photo-of-gray-cat-1331821/)
da Pexels, distribuita ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 20 marzo 2023

Mario


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Dettaglio da una foto di ph.galtri da Pexels


Il suo nome lo ricordo a stento. Quando mi capita di ripensare a lui, la maggior parte delle volte, nella mia mente io lo chiamo Mario.
Non che ci pensi tanto di frequente, ormai.

Avrei dovuto scrivere tutto ciò che rammento appena avvennero i fatti, quattro anni fa, credo. Non sono sicura nemmeno di questo. Avrei dovuto scrivere, dicevo, finché ricordavo ancora i dettagli, ma ho il sospetto che persino l'inchiostro sarebbe svanito senza lasciare traccia, e lo avrebbe fatto più rapidamente di quanto accade di solito, come se l'acqua del lago, con le sue onde gentili, lo leccasse via dalla carta. Sto provando a ricostruirlo, adesso, ma prendi le mie parole con un pizzico di dubbio. Non ti biasimerò se non mi crederai.
Quello che ti dico potrebbe benissimo non essere mai accaduto.
Conobbi Mario una mattina d'estate sulla riva del lago, e credo proprio che si trattasse di questo lago, ma soltanto perché è qui che venivo, e vengo tuttora, a passare le mie estati. Lo conobbi e subito scattò la fatidica scintilla, credo, poiché non ho memoria di incontri precedenti, di un lento avvicinarsi o di una danza di appuntamenti in cui ci si scambia convenevoli prima di arrivare a un briciolo di autentica, reciproca conoscenza.
Adesso, a cose fatte, suppongo che Mario sapesse che cosa gli stava accadendo e che in me avesse cercato un modo di essere ricordato, di lasciare una parte di sé in questo mondo prima dell'inevitabile. Non oso pensare a come dev'essere stato per lui rendersi conto di cosa gli stava capitando, quando tutto era iniziato. La sua malattia, se così si può definire, era dei tipo che non lasciava scampo, e quel che era peggio, Mario non avrebbe avuto nemmeno una tomba.
L'ultima volta che lo vidi, anzi, l'ultima volta in cui sono relativamente certa di averlo visto, non so quanti giorni dopo il nostro primo incontro, avvenne sempre in riva al lago, al tramonto. Non so quello che mi disse, il suono della sua voce ormai si confonde con il gracidare delle rane, il canto dei grilli, il richiamo delle folaghe, il fluire lieve delle onde del lago contro la riva rocciosa e i pilastri di legno del molo, uno sciacquio timido più simile al gorgoglio dell'acqua in una vasca che allo scroscio rombante delle onde del mare. Però, credo che quella sia stata l'occasione in cui ho capito anch'io. Forse perché me lo ha detto, e io gli ho creduto; forse perché l'ho visto traslucido e inconsistente, un fantasma, il fantasma di un uomo vivo. Ricordo il tramonto che splendeva attraverso il suo petto, e le mie mani che già non sentivano più il tocco delle sue. Era stato così lieve prima di allora nell'amarmi, così effimero il suo odore sulla mia pelle.
Quando lo avevo incontrato, Mario già stava svanendo.
Qualche settimana dopo il test di gravidanza risultò positivo, ma alla mia prima visita mi dissero che si era trattato di un falso positivo, che io non ero mai stata incinta, e poi le mestruazioni ripresero. Se Mario aveva tentato, con me, di lasciare una parte di sé in questo mondo, non aveva funzionato: quella parte era svanita con lui. E la stessa cosa stava avvenendo con i miei ricordi.
Perciò non chiedermi di descriverti com'era. Il suo volto è uno spazio vuoto nella mia memoria. Lo è anche nelle foto che ho scattato in cui eravamo assieme. La sua immagine, proprio com'era accaduto a lui, è diventata sempre più traslucida, fino a svanire del tutto.
Ora, in quelle foto, io sono da sola.
Eccole, vedi? Lo so quello che puoi pensare, che io le abbia scattate mettendomi in posa come se abbracciassi qualcuno, mentre in realtà lì non c'era mai stata un'altra persona, solo aria, vuoto, fin dall'inizio. Ma che mi dici di questa, in cui vengo sollevata da braccia invisibili? Pensi davvero che abbia potuto saltare tanto in alto?
Ah, non importa. Che tu mi creda o meno, non importa.
Tanto, fra qualche anno, avrò scordato anche questi pochi frammenti di ricordi. E allora, sarà come se davvero lui non fosse mai esistito.

sabato 18 marzo 2023

Impegolare/Impegolarsi

Impegolare [im-pe-go-là-re] v.tr. (impégolo ecc.) [sogg-v-arg] Impiastrare qualcosa di pece; impeciare.

Impegolarsi [im-pe-go-là-rsi] v.rifl. [sogg-v-prep.arg] Cacciarsi nei guai; invischiarsi in una situazione difficile; impelagarsi.

Etimologia: verbo derivato dal sostantivo pegola, "pece", dal latino picula, diminutivo di pix, picis, "pece".


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Dettaglio da una foto di Tai Zatolinni da Pexels


Un velo di sabbia le aderiva alla pelle e Lavren pensò che non poteva essere più appiccicoso nemmeno se si fosse impegolata con del catrame prima di sdraiarsi ad asciugarsi al sole. Il pizzicore che le procurava la sabbia, per quanto fine, le dipingeva macchioline grigie ai margini del campo visivo, e il fragore delle onde contro gli scogli poco distanti aveva il profumo dei gessetti che i professori usavano in classe. Forse per questo le venne in mente il volto della sua nuova amica. Un'amica a cui non avrebbe mai potuto parlare dei suoi viaggi.
La voce arancione del suo accompagnatore, un Ranaissagi di nome Joran, le domandò inquisitiva: – Ci pensi spesso a lei, più che agli altri. Chi è?
Lavren non gli rispose. Sapeva di non averne bisogno.
Alcuni di loro rispettavano i confini della pelle e, se non richiesto dal lavoro o da altri motivi, attendevano che le informazioni venissero presentate, nella forma e nella quantità desiderate, dal diretto interessato. Ma Joran non era tra questi.
– Ah, una nativa – mormorò infatti Joran un attimo dopo. – Non ti andrai a impegolare con una di loro, spero? Affezionarsi complica sempre le cose.
Lavren non si curò di soffocare l'irritazione che le sue parole le avevano provocato. Che lo sapesse pure, si disse, mentre l'odore del metallo arroventato le riempiva la mente, sempre più intenso al crescere della rabbia.
Joran le toccò la spalla, e come sempre lei trasalì perché il suo tocco non le trasmise niente. Anima vuota, le venne in mente per un istante, prima che lui le parlasse. – Ho le coordinate della prossima tempesta – le disse con una voce che si era fatta beige, vellutata come il divano nello studio di Maedbe.
– Comunque, rifletti su quello che ti ho detto – aggiunse, mentre Lavren si alzava e strofinava via la sabbia. – Dovresti trattarli come se fossero in fiamme. Guardarli e scaldarti, ma da lontano. Avvicinarsi a loro è pericoloso.
Buffo, pensò Lavren, detto da lui che il fuoco lo maneggiava senza problemi.

giovedì 16 marzo 2023

Audioracconto - In qualche punto dello spazio e del tempo


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Vincenzo Malagoli da Pexels


Alcune storie sono reali. Altre, lo diventano.

In qualche punto dello spazio e del tempo
(racconto breve di genere fantastico)

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Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/).
Il testo del racconto è leggibile qui: http://lapiumatramante.blogspot.com/2020/01/in-qualche-punto-dello-spazio-e-del.html

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Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria).

Musica: At Rest, di Kevin MacLeod (http://incompetech.com)
dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=CPm5nZgzNr8).

Immagine di: Vincenzo Malagoli (https://www.pexels.com/it-it/foto/persona-che-tiene-mela-affettata-1550650/)
da Pexels, distribuita ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/).

lunedì 13 marzo 2023

Il più grande esperto di draghi


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Dettaglio da una foto di Joshua Roberts da Pexels


Il vecchio cacciatore accanto al bancone stava raccontando le sue storie farlocche e regalando consigli inutili a uno stuolo di creduloni da ormai mezza serata, fin da quando, in effetti, aveva cominciato a diluviare fuori dalla locanda, e una stanza calda e asciutta, seppur ammorbata dalle sue chiacchiere, era un'alternativa migliore al freddo pungente e alla pioggia copiosa di quel tardo autunno. Lo pensavano i creduloni, lo pensavo io, e lo pensava anche un gatto dal pelo maculato, mollemente adagiato sull'unica altra poltrona accanto al fuoco, oltre a quella che avevo reclamato per me fin dal mio ingresso alla Locanda del Drago di Pietra. Non ero stato disturbato, se non dal piccolo felino che si era strusciato più e più volte contro le mie gambe, incurante del pericolo che correva nel ronzarmi attorno. E ora se ne stava lì, col suo ronfare ritmico, tutto tranquillo su una poltrona poco distante da me che stavo meditando di farne la mia cena.
Il vecchio cacciatore proseguiva imperterrito nel descrivere le sue presunte uccisioni di draghi. Un passaggio particolarmente avventuroso fu sottolineato da un lampo seguito da un improvviso scoppio di tuono che fece trasalire più d'uno dei creduloni che gli davano retta.
Non mi mossi dalla poltrona, che dava loro le spalle, ma approfittando di un istante di silenzio dissi: – A sentirvi, le pianure da qui a Laeverth dovrebbero essere cosparse di carcasse di draghi.
Il vecchio cacciatore fremette alla mia palese incredulità. Qualcuno rise, ma i più mi ignorarono, e spronarono il vecchio cacciatore a raccontare un'altra delle sue fanfaluche.
Forse, al posto del gatto, più tardi avrei mangiato lui.

Il vento soffiava impetuoso fuori dalla locanda e la pioggia scrosciava contro i vetri e il tetto più forte che mai a notte fonda, quando le candele erano ormai consumate e l'unica luce rimasta nella sala era quella del fuoco nel caminetto che io continuavo ad alimentare, oltre a quella effimera dei fuochi celesti accompagnati da violente esplosioni di un temporale ancora lontano dal placarsi.
Nessuno si era accorto che io, al pari del gatto, ero rimasto seduto sulla poltrona invece di chiedere al locandiere la chiave di una camera al piano di sopra. Ero invisibile, una bestia randagia, e mi andava bene così.
Stavo aspettando, con la pazienza di un predatore atavico.
Il vecchio cacciatore aveva bevuto molto, e prima o poi avrebbe dovuto smaltire tutti quei liquidi, in un modo o nell'altro.
Dopo l'ennesimo scoppio di tuono, un lume scese lungo le scale, accompagnato dal passo strascicato del vecchio cacciatore, dalle sue imprecazioni biascicate e dal suo sgradevole odore. Infatti, non mi sbagliavo.
Io non sbaglio mai.
Mi levai in piedi. Il gatto si stiracchiò nella sua poltrona, forse presagendo che stava per avvenire qualcosa.
– Eccolo qua il grande esperto di draghi! – bofonchiò il vecchio cacciatore in tono di scherno, non appena mi parai di fronte a lui a sbarrargli la strada. – Ti credi tanto furbo, giovanotto, ma scommetto che non ne hai mai visto uno nemmeno da lontano.
Sogghignai. Quella era una scommessa che il vecchio non avrebbe vinto.
– Non hai la minima idea di quanti draghi ho visto e di quanto ne so al riguardo, vecchio – sussurrai mentre avanzavo e riducevo la distanza tra noi. Lo so, era ironico che io chiamassi lui vecchio, ma ancora non avevo voglia di rivelargli tutto e interrompere il gioco. – Anzi, posso dirti qualcosa che nessuno sa sui draghi, il loro segreto meglio custodito, ma ne pagherai il prezzo.
All'avanzare della mia figura imponente, incalzato dal mio sguardo minaccioso, il vecchio indietreggiò verso il caminetto, ma non appena sentì parlare di prezzo fece un gesto sprezzante con la mano libera, come a voler scacciare una mosca.
– Sei solo un ciarlatano, come tutti quelli che si perdono in chiacchiere sui draghi – bofonchiò.
– Come te? – insinuai, con un altro sogghigno che stavolta mise in mostra una fila di denti aguzzi. – Tranquillo, non sono qui per derubare un ignorante, non è in monete che si misura il prezzo della conoscenza.
Un fulmine cadde molto vicino, e lampo e tuono esplosero all'unisono. Un altro passo, e il vecchio cacciatore si ritrovò con le spalle contro il muro a lato del caminetto. Così vicino alle fiamme che il calore era quasi inebriante, ma lui sudava.
Forse, in qualche angolo della sua mente, un fioco barlume di istinto, che non poteva essere definito intelletto, già lo aveva avvisato del pericolo, già aveva intuito ciò che stavo per rivelargli.
– Vecchio, le tue possono essere menzogne – esordii, ignorando la sua fiacca protesta. – Ma tu, senza saperlo, hai visto almeno un drago da vicino. E questa è l'unica storia vera che non racconterai.
Lo afferrai per un braccio e in un istante gli fui addosso. La candela tremò nella sua mano quando scorse i miei occhi illuminati da un bagliore di lava. Di certo percepiva il calore che emanava la mia pelle, anche se il fuoco, trattenuto in profondità, ancora non era tanto intenso da scottarlo.
– Già lo hai capito il segreto, vero? – Gli dissi trionfante, con la voce arrochita. – Non urlare, no, o brucerò questo posto dalle fondamenta. E credimi, la pioggia non salverà chi sta dormendo al piano di sopra. Esatto, non la salverà.
Sapevo che aveva qualcuno da proteggere, di sopra. Lo avevo visto condurla su per le scale, prima che la marmaglia della sera arrivasse a riempire la sala di chiacchiere e canti stonati. Era il motivo per cui avevo atteso tanto a lungo, per cui avevo atteso che lui scendesse.
L'odore di fumo mi riempì le narici, soffocando quello sgradevole dell'uomo nelle mie grinfie, e uscì in piccoli sbuffi con le mie parole. – Come siete facili da ingannare voi creature inferiori. Talmente facili che è quasi noioso.
Talmente facili, che io ero stato sfidato dai miei simili a osare qualcosa di più. Sedurre una femmina umana, indurla con le moine e non con la violenza a giacere con me.
Si deve pur avere un passatempo quando si vive tanto a lungo.
– Sai, vecchio, penso che adesso ti ucciderò e mi prenderò tua figlia. O forse ti costringerò a guardare prima di bruciare entrambi?
Il vecchio cacciatore tremò, ma non più di paura, bensì di furore. – Se le fai del male, giuro che ti ucciderò, mostro!
Scoppiai a ridere. Lui, spinto dalla disperazione, senza neppure più dare retta a quel briciolo d'istinto che avrebbe dovuto avvertirlo della stupidità del suo gesto, mi gettò addosso la candela.
La fiammella si spense sfrigolando contro il mio braccio.
– Tutto qui? – mormorai in tono così basso che quasi si confuse con le fusa del felino, che nel frattempo si era alzato dalla poltrona e si strusciava di nuovo contro le mie gambe, probabilmente attirato dal tepore che emanavo. Scossi la testa.
– Come immaginavo. Così ignorante da non sapere nemmeno che "combattere il fuoco con il fuoco" è solo un modo di dire che nella realtà non può funzionare.
Lingue di fiamma mi guizzarono agli angoli della bocca. Sentii il vecchio cacciatore agitarsi e lottare nella mia stretta, che ormai si era fatta tanto rovente da ustionargli la pelle. Il suo volto era deformato dal dolore e dalla rabbia, paonazzo, e appiccicoso di sudore. Era ora di finirla, prima che diventasse troppo disgustoso persino per me.
– Ora tocca a me – mormorai, e soffiai un getto di fiamme che lo consumò in un lampo, senza nemmeno un lamento. Avrei potuto fare di peggio, ma non volevo che qualcuno, al piano di sopra, si svegliasse. Avrei perso la sfida altrimenti, e allora sì che avrei dovuto bruciare la locanda dalle fondamenta.
Quel posto aveva un nome troppo bello per darlo alle fiamme. Lo ammetto, quelli come me non sanno resistere a un po' d'adulazione.
Il fumo e il calore della combustione mi turbinarono attorno, e io inspirai fino ad assorbirli. Era stato quasi soddisfacente quanto divorarlo intero nella mia vera forma, ma d'altra parte non avevo avuto scelta. La mia bocca era troppo piccola in quelle sembianze, e un uomo era più grande di un gatto.
Mi girai verso le scale immerse nel buio, mentre già il magma che ribolliva nei miei occhi si spegneva, la mia pelle si raffreddava e ogni tratto che avrebbe potuto allertare un essere umano circa la mia vera natura tornava a celarsi in profondità sotto un guscio rassicurante.
Fuori dalla finestra tuonò. Era una notte spaventosa per restare da soli, e io avevo una fanciulla da sedurre.

sabato 11 marzo 2023

Coercizione

Coercizione [co-er-ci-zió-ne] s.f. Imposizione operata sulla volontà altrui, specialmente con l'uso della forza o del ricatto; costrizione.

Etimologia: dal latino coercitionem, da coercere, "rinchiudere, restringere, reprimere" composto da cum, "con", particella indicante il mezzo, e da arcere, "serrare, stringere, impedire".



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Quando le cose vanno bene, quando siamo liberi, quando pensiamo di avere la possibilità di scegliere - o perlomeno, di scegliere tra opzioni che non rappresentano gradi diversi di male - è semplice immaginare che messi di fronte a una coercizione avremmo il coraggio di ribellarci, o di resistere. Io vivevo come tutti secondo questo principio, e non mi era mai passato per la mente che le mie convinzioni un giorno sarebbero state scosse.
Non lo credetti possibile finché non mi ritrovai steso in un letto, legato da corde robuste, prigioniero di un folle bastardo che probabilmente aveva già ucciso e, quasi sicuramente, rapito anche altri prima di me. Oh, sì, avevo provato a liberarmi, a resistere ai suoi tentativi di aprirmi la bocca per farmi ingoiare chissà quale sgradevole intruglio. All'inizio, pensavo che quella fosse un'opzione.
Ma non lo era, perché a un certo punto dovevo pur dormire. E, nel sonno, ero completamente privo di difese.
E poi mi svegliai nel buio e nel gelo di quel vecchio castello in rovina, con dolori lancinanti in tutto il corpo, un cattivo sapore in bocca, e il sospetto di essere stato avvelenato, e seppi senza alcuna ombra di dubbio che quello che sarebbe avvenuto dal momento in cui lui mi aveva preso non era mai dipeso da me. Io non avevo scelta.
Anche se lui insisteva nel dire che io dovevo volerlo.
Quella era l'unica forma di coercizione che lui non poteva esercitare.
Poteva imprigionare il mio corpo, poteva impormi a forza o con l'inganno la sua volontà, ma non poteva plasmare la mia a suo piacimento. Non finché non mi sorprese facendo l'ultima cosa che mi aspettavo lui facesse.
Mi restituì la libertà che mi aveva negato, e fu allora che io cedetti e scelsi la libertà che solo lui poteva offrire.

giovedì 9 marzo 2023

Audioracconto - Il GPF


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Il GPF
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)


Forse non lo sapevi, ma su YouTube ho lanciato un sondaggio per immagini per decidere la prossima lettura, ed ecco il vincitore: Il GPF! Sono pronta a ripetere l'esperienza, dando però stavolta la scelta per titolo? O forse per incipit, o nome del protagonista... vedremo.
Intanto, ogni commento o critica costruttiva è bene accetto, sia riguardo al sondaggio che sul racconto. E se vuoi darmi fiducia, incoraggiarmi a pubblicare altre letture, o votare il prossimo racconto, iscriviti al canale YouTube https://www.youtube.com/@lavocedellapiuma, metti un mi piace e condividi con un amante dei felini! O della lettura, come preferisci.


Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/)
Il testo del racconto è leggibile qui: https://lapiumatramante.blogspot.com/2018/05/il-gpf.html


Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria)

Musica: Hidden Agenda, di Kevin MacLeod (http://incompetech.com) dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=MBwNg6xveQ0).

Immagine da Pexels distribuita ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/)

Effetti sonori da FreeSounds (https://freesound.org/) sotto licenza Creative Commons 0 (https://creativecommons.org/publicdomain/zero/1.0/).

lunedì 6 marzo 2023

Marcomico


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E così, dopo essere scampati ai malvagi e incredibilmente permalosi Cobra-Teschi volanti nel deserto di Atacatela, i nostri eroi che saremmo io e Robert si imbarcarono sulla prima bagnarola disponibile a portarli attraverso il Mar Comico fin sulle coste del continente inesplorato conosciuto col nome di Fuorimappa, nel senso che non ci stava proprio nella mappa disegnata a inizio libro, se non per un angolino di spiaggia e scogli rocciosi giusto giusto sul margine, e familiarmente noto ai marinai anche con la generica dicitura di Terre Ignote.
Quanto era grande questo continente? Come era fatto? Quali pericoli si celavano nei suoi oscuri anfratti, e quali aiuti inaspettati avremmo trovato? Queste, e molte altre cose, nessuno le sapeva...
– Ehi, Amber, adesso basta. Penso che così sia sufficiente come introduzione. Che ne dici di concentrarci piuttosto su dove siamo? – m'interruppe Robert, appoggiato come me alla balaustra della nave. – E inoltre, chi lo ha detto che il narratore devi farlo sempre tu?
– È per evitare di pensare a quello che ho di fronte che stavo facendo una digressione sulla nostra meta – brontolai di rimando. – Ai lettori piace avere qualche notizia in anteprima, inoltre, qui non succede proprio un bel niente niente... – mi zittii di colpo, rendendomi conto che quella lamentela era proprio quel che ci voleva per far sì che qualcosa succedesse e, di solito, quel che succedeva dopo parole simili non era mai una buona cosa. Meglio cambiare argomento. – E il narratore lo faccio io perché tu racconti in modo troppo noioso.
– Non è vero! – protestò Robert.
– Ah no? Capitolo quattro, quando ci siamo separati. Ti sei mai chiesto perché le tue parti erano sempre così brevi? Manco il libro riesce a sopportarti!
Lo lasciai a riflettere su quella cruda verità e mi strofinai la fronte con una mano. Attorno a noi la nave beccheggiava tra onde schiumose, con lievi ma non di meno inquietanti scricchiolii provenienti dal tavolame di legno del ponte, dalle fiancate dello scafo e dai pennoni che reggevano le vele posizionate di traverso. La nave procedeva lemme lemme verso la sua destinazione, sospinta da una brezza gentile, e già così era un miracolo che non avesse già cominciato a perdere pezzi. Tra il sartiame svolacchiava una colonia di gabbiani, in assenza degli avvoltoi che ci avevano rallegrato con il loro volo in cerchio nel deserto. Ma si sa, agli avvoltoi, l'acqua non piace poi così tanto.
L'odore di salsedine permeava ogni cosa, scavava come un tarlo nel legno e si intrecciava alle fibre dei nostri abiti, e sapevo che di lì a poco avrei cominciato a chiedermi quando mi sarebbero cresciute le branchie, tanta era l'umidità che mi toccava sopportare.
Il rintocco della campanella suonata dal nostromo mi fece trasalire, ma non riuscì a far tacere le strida sgraziate dei pennuti che ci accompagnavano in quella traversata.
– Senti, Amber... – riprese Robert, che evidentemente aveva terminato la riflessione, e dal suo tono dimesso intuii che aveva capito che io, come sempre, avevo ragione. – Se non stiamo saltando questo viaggio con un riassunto di transizione, significa che qui accade qualcosa, giusto? A meno che il libro non voglia soltanto mettere in mostra la sua conoscenza di termini marinareschi, dovremo attenderci un naufragio, un mostro marino, un "qualcuno ci tradirà prima che il gabbiano mi abbia beccato tre volte", ahi!
Robert allontanò la mano dal gabbiano appollaiato accanto a lui e strinse ne dita nel palmo dell'altra.
– E una – contai io, e notando il suo sguardo assassino rivolto alla bestia, lo ammonii: – Non ti azzardare ad accoppare il gabbiano! Ma lo sai quanto porta male, su una nave? Mai, mai, mai accoppare un pennuto mentre si naviga!
Robert sogghignò. – Se la metti così, anche portare una donna a bordo si dice porti male.
L'occhiata assassina, a quel punto, la rivolsi io a lui.
Dovetti ammettere, però, che non aveva tutti i torti. Non riguardo a una sciocca superstizione maschilista, ma a proposito del perché la nostra avventura per mare si stava prolungando tanto.
Aggiunsi un ammutinamento, un attacco da parte di una nave pirata, e una tempesta alle sue ipotesi. Ma se i problemi esterni non potevamo prevenirli, quelli interni sì.
Mi girai, e appoggiata alla murata, scrutai i brutti ceffi che costituivano l'equipaggio. Tutti avevano scritto in faccia "sono un farabutto, non vi fidate di me". Nel senso che davvero ce l'avevano scritto in faccia. Strani tatuaggi si fa la gente al giorno d'oggi.
L'unico privo di segni particolari, e quindi quello di cui meno di tutti ci si doveva fidare, era un tizio seduto con la schiena appoggiata al cassero di poppa, intento a tracciare uno schizzo su un foglio con un piccolo carboncino.
Robert mi diede una gomitata e me lo indicò. Ci avvicinammo e scrutammo dall'alto il disegno intricato che si andava formando sul foglio.
Robert si schiarì la voce. – Senti un po', giovanotto, perché non sei a lavorare con gli altri?
Il tizio smise di disegnare, alzò gli occhi e in tono allegro disse: – Be', perché io sono come voi. Un passeggero pagante.
Io e Robert ci scambiammo un'occhiata. Non avrebbe dovuto esserci un personaggio secondario di un inutile passeggero, a meno che non fosse rilevante per la trama.
– Non esattamente come... – si accinse a dire Robert, ma lo sconosciuto, cosa abbastanza fastidiosa e insolita per un personaggio secondario, gli parlò sopra.
– Voi siete i leggendari eroi venuti da un lontano paese, e a questo punto del vostro viaggio vi siete assunti l'onere di esplorare le Terre Inesplorate, giusto?
– Terre Ignote – lo corressi.
– La nomenclatura dev'essere cambiata dai miei tempi – bofonchiò tra sé il giovanotto, strofinandosi il mento. – Comunque sì, sono come voi. Piacere, Marco Mico, ex eroe leggendario. Ho girato in lungo e in largo questo mondo, prima che un altro prendesse il mio posto, e poi un altro, e un altro ancora, e adesso voi.
– Mar... co... Mico? – fece Robert.
– Oh, sì, il nome al mare l'ho dato io, prima si chiamava qualcosa come "Vasta pianura d'acqua salata di mezzo" ma così è molto meglio, non trovate?
C'era qualcosa che non quadrava, pensai, mentre Robert e Marco Mico se ne stavano a chiacchierare sui nomi del mare e di altri posti emettendo gli stessi versi striduli dei gabbiani.
Avevamo sempre pensato di essere i primi, anzi, no, gli unici a essere finiti dentro a quel maledetto libro. E invece adesso saltava fuori quel tizio che c'era dentro da chissà quando, e con lui anche altri, e stando a quanto diceva nonostante avesse fatto di tutto non ne era mai uscito.
– ...un fumetto delle mie avventure. – Stava dicendo Marco Mico, indicando a Robert il foglio tutto fitto di disegni. – Quando torno a casa lo farò pubblicare. Diventerà più popolare di Tiramolla!
Inarcai un sopracciglio, ma non gli dissi che gli anni novanta erano finiti da un pezzo, e che il figlio della gomma e della colla era stato dimenticato da quasi tutti.
– Hai incontrato gli alieni? – Chiese Robert, indicando un'astronave nel disegno. – Pensavo fosse un libro fantasy, questo.
– Licenza artistica – fece Marco Mico, scrollando le spalle. – Ma per la maggior parte sono storie vere. Per quanto possano essere vere le storie accadute dentro un libro. Il rapimento e il sacrificio ai mostri della Foresta Infinita. La casa infestata nella tempesta. Il viaggio attraverso il deserto di Atacatela e la disavventura con i mortali Cobra-Teschio volanti...
Mentre enunciava gli stessi episodi che avevamo già vissuto io e Robert, Marco Mico li indicava nel suo disegno e allo stesso tempo ritoccava le linee con il carboncino.
– Lascia perdere il passato e dicci qualcosa del futuro! – sbottai io, esasperata. – Come si arriva al finale? Come si esce di qui? Dimmelo!
Tirai il foglio verso di me nel tentativo di scoprire scoprire qualcosa di quello che ci aspettava, e il carboncino ancora appoggiato al foglio segnò una bella riga di traverso sulla testa di un personaggio che somigliava alquanto, con qualche licenza artistica che lo rendeva molto più aitante, a un autoritratto del disegnatore.
Marco Mico sgranò gli occhi. mollò il foglio e scattò in piedi. – Che cosa hai fatto... tu non ti rendi conto... che cosa hai fatto...
Sbuffai. Tutta questa storia per un fumetto rovinato. Come se avesse potuto davvero portarselo via se fosse uscito dal libro.
Ma il giovanotto, che stava indietreggiando sulle assi scricchiolanti verso l'albero maestro, pareva colto da un sacro terrore che non poteva essere giustificato nemmeno da uno schizzo di vernice lanciato contro la più famosa opera d'arte del mondo, figurarsi una sbavatura sulla tavola di un fumetto sconosciuto.
– Che sarà mai... – stavo per dire, quando il vento girò, e il boma sul lato inferiore della vela girò con il vento, e colpì Marco Mico in piena fronte, stendendolo all'istante. Spostai gli occhi dal corpo a terra al disegno. Il boma l'aveva colpito con la stessa angolazione di quello scarabocchio nero.
– Il tizio disegna il futuro! – esclamai. – Oh-oh... spero vivamente di non averlo accoppato. Sarebbe stato molto utile averlo attorno...
Non me ne resi conto subito, ma stavamo per avere problemi maggiori di un Marco Mico morto. Perché a quel punto un gabbiano volò giù dalla coffa, si posò sulla spalla di Robert e gli beccò un orecchio.
– Ahi! – fece Robert, portandosi una mano all'orecchio. E due.
– Ehi – fece il capitano della nave, che nel frattempo ci aveva circondato con tutto l'equipaggio di brutti ceffi. – Consegnateci la mappa del tesoro delle Terre Ignote, o sarà peggio per voi.
Ero sorpresa. Alla fin fine, i tatuaggi dicevano il vero.
– Peggio come? – si informò Robert.
– Vi faremo beccare a morte dai nostri gabbiani ammaestrati! – intervenne uno dei brutti ceffi, e come a conferma delle sue parole, il terzo gabbiano planò su Robert e gli beccò al volo il naso.
– Ahi! – sbottò Robert. – Ancora convinta che non devo torcere una piuma a quei dannati pennuti? – Rivolse poi un'occhiata, sotto il naso beccato che sfregolava con le dita, alla ciurma di traditori. – Se questo è il peggio, il meglio qual è?
Lo odiai per averlo chiesto. Ma ero l'unica, lì, a provare quel sentimento.
Marco Mico mugolò, segno che era ancora vivo, e ancora fuori gioco. Ma non lo sentii a lungo, perché la ciurma di farabutti si mise a sghignazzare, e il capitano tirò fuori dal cinturone un signor archibugio di tutto rispetto.
Fissai intimorita la bocca dell'arma. Che parlò. – Vi consiglio, signori, di fare come il mio stimato capitano vi ha detto. Consegnate a mappa del tesoro delle Terre Ignote, da bravi.
Avrei tanto voluto farlo. Per qualcuno che lo chiedeva così gentilmente, cavolo, avrei potuto farlo senza indugio. Il problema era che io quella mappa non ce l'avevo.
Stavo appena iniziando a spiegarlo quando il capitano accennò al fumetto di Marco Mico che ancora stringevo in mano.
– Questo? – gli chiesi. – Ma no, questo è solo...
Un dubbio mi colse, e rigirai il foglio fino ad averlo di fronte alla rovescia. Visto da questo lato, la confusione di personaggi e situazioni sovrapposte in uno spazio troppo stretto sembrava proprio la mappa di un continente, con un percorso tracciato verso una X bella grande.
Ma pensa un po' il nostro magico disegnatore. Quanti talenti nascosti aveva!
Sarà che eravamo in navigazione sul Mar Comico, ma a quel punto, situazione disperata o no, una bella risata ci stava proprio.

sabato 4 marzo 2023

Recondito

Recondito [re-còn-di-to] agg. 1. Che si trova fuori dei percorsi più frequentati; appartato, nascosto. 2. fig. Inaccessibile, segreto.

Etimologia: dal latino reconditus, participio passato di recondere, "custodire, nascondere", composto da re con valore intensivo e da condere "nascondere".


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di ArtHouse Studio da Pexels


Un tempo, quando la sua vita era più semplice e agiata, negli anni in cui era al servizio della sua regina, come dama di compagnia agli occhi del mondo, ma in realtà come guardia del corpo e consigliera, Anna pensava di non aver bisogno di alcun luogo più recondito della sommità della torre per raccogliere i pensieri e calmarsi. Vi andava specialmente quando i cavalieri del castello le mancavano di rispetto o la trattavano con condiscendenza, il che equivaleva, per Anna, a ricevere le cortesie e le occhiate languide riservate alle donne, invece degli atteggiamenti camerateschi con cui gli uomini d'arme accoglievano i loro pari. Prima, quando la regina era ancora una principessa, Anna aveva tentato di inserirsi nei loro ranghi, li aveva sfidati, e si era sottoposta a ogni tipo di angherie e dileggi pur di guadagnarsi quel genere di considerazione che le era sempre stato negato.
Crescendo si era rassegnata, e aveva messo giudizio. Lei sapeva di essere più brava con la spada della maggior parte di quei pomposi rampolli della nobiltà del regno, e tanto le bastava.
Aveva chiuso in un angolo recondito della sua mente il loro rifiuto, e si era concentrata su ciò che contava realmente. Finché non si fosse sposata, il massimo potere di quel regno era nelle mani della sua regina, una donna. A lei tutti i cavalieri del regno dovevano inchinarsi, obbedienti, e a lei non doveva inchinarsi Anna, poiché la regina sapeva già di avere la sua amicizia e la sua lealtà.
Ma quel tempo alla fine era passato, distrutto da un perfido stregone proprio sulla sommità di quella torre dove Anna si recava per riflettere.
Zohar le aveva sottratto con un incantesimo la sua regina e la sua identità. Costretta a nascondersi, a fingere di essere chi non era, e in perenne inseguimento della regina maledetta dallo stregone, Anna si chiedeva se non sarebbe stato meglio rinunciare a quella fatica immane e ritirarsi nel più recondito dei luoghi.
Questo, prima di essere offerta in sacrificio al drago.

giovedì 2 marzo 2023

Audioracconto - Vita da tazzina


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero


Vita da tazzina
(racconto breve adatto ai bambini e perché no, anche agli adulti!)

Che cosa potrebbe dire una tazzina da caffè se parlasse? La risposta in questo racconto, che mi ricorda un po' un personaggio da La Bella e la Bestia, non sembra anche a te?

Ogni commento o critica costruttiva è bene accetto, d'altra parte sto ancora imparando. E se vuoi darmi fiducia e incoraggiarmi a pubblicare altre letture, iscriviti al canale YouTube https://www.youtube.com/@lavocedellapiuma, metti un mi piace al racconto e condividilo con un amante del caffè! O della lettura, come preferisci.


Tratto dal blog: La Piuma Tramante (http://lapiumatramante.blogspot.com/)
Il testo del racconto è leggibile qui: http://lapiumatramante.blogspot.com/2018/06/vita-da-tazzina.html


Testo, lettura ed editing video di: La Piuma Tramante (Elisa Zaccaria)

Musica: Side Path, di Kevin MacLeod (http://incompetech.com) dal canale Audio Library (https://www.youtube.com/watch?v=VVhQsgUMvxg&t=62s).

Immagine da Pexel distribuita ad uso gratuito (https://www.pexels.com/it-IT/license/)