lunedì 6 marzo 2023

Marcomico


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Foto di khairul nizam da Pexels


E così, dopo essere scampati ai malvagi e incredibilmente permalosi Cobra-Teschi volanti nel deserto di Atacatela, i nostri eroi che saremmo io e Robert si imbarcarono sulla prima bagnarola disponibile a portarli attraverso il Mar Comico fin sulle coste del continente inesplorato conosciuto col nome di Fuorimappa, nel senso che non ci stava proprio nella mappa disegnata a inizio libro, se non per un angolino di spiaggia e scogli rocciosi giusto giusto sul margine, e familiarmente noto ai marinai anche con la generica dicitura di Terre Ignote.
Quanto era grande questo continente? Come era fatto? Quali pericoli si celavano nei suoi oscuri anfratti, e quali aiuti inaspettati avremmo trovato? Queste, e molte altre cose, nessuno le sapeva...
– Ehi, Amber, adesso basta. Penso che così sia sufficiente come introduzione. Che ne dici di concentrarci piuttosto su dove siamo? – m'interruppe Robert, appoggiato come me alla balaustra della nave. – E inoltre, chi lo ha detto che il narratore devi farlo sempre tu?
– È per evitare di pensare a quello che ho di fronte che stavo facendo una digressione sulla nostra meta – brontolai di rimando. – Ai lettori piace avere qualche notizia in anteprima, inoltre, qui non succede proprio un bel niente niente... – mi zittii di colpo, rendendomi conto che quella lamentela era proprio quel che ci voleva per far sì che qualcosa succedesse e, di solito, quel che succedeva dopo parole simili non era mai una buona cosa. Meglio cambiare argomento. – E il narratore lo faccio io perché tu racconti in modo troppo noioso.
– Non è vero! – protestò Robert.
– Ah no? Capitolo quattro, quando ci siamo separati. Ti sei mai chiesto perché le tue parti erano sempre così brevi? Manco il libro riesce a sopportarti!
Lo lasciai a riflettere su quella cruda verità e mi strofinai la fronte con una mano. Attorno a noi la nave beccheggiava tra onde schiumose, con lievi ma non di meno inquietanti scricchiolii provenienti dal tavolame di legno del ponte, dalle fiancate dello scafo e dai pennoni che reggevano le vele posizionate di traverso. La nave procedeva lemme lemme verso la sua destinazione, sospinta da una brezza gentile, e già così era un miracolo che non avesse già cominciato a perdere pezzi. Tra il sartiame svolacchiava una colonia di gabbiani, in assenza degli avvoltoi che ci avevano rallegrato con il loro volo in cerchio nel deserto. Ma si sa, agli avvoltoi, l'acqua non piace poi così tanto.
L'odore di salsedine permeava ogni cosa, scavava come un tarlo nel legno e si intrecciava alle fibre dei nostri abiti, e sapevo che di lì a poco avrei cominciato a chiedermi quando mi sarebbero cresciute le branchie, tanta era l'umidità che mi toccava sopportare.
Il rintocco della campanella suonata dal nostromo mi fece trasalire, ma non riuscì a far tacere le strida sgraziate dei pennuti che ci accompagnavano in quella traversata.
– Senti, Amber... – riprese Robert, che evidentemente aveva terminato la riflessione, e dal suo tono dimesso intuii che aveva capito che io, come sempre, avevo ragione. – Se non stiamo saltando questo viaggio con un riassunto di transizione, significa che qui accade qualcosa, giusto? A meno che il libro non voglia soltanto mettere in mostra la sua conoscenza di termini marinareschi, dovremo attenderci un naufragio, un mostro marino, un "qualcuno ci tradirà prima che il gabbiano mi abbia beccato tre volte", ahi!
Robert allontanò la mano dal gabbiano appollaiato accanto a lui e strinse ne dita nel palmo dell'altra.
– E una – contai io, e notando il suo sguardo assassino rivolto alla bestia, lo ammonii: – Non ti azzardare ad accoppare il gabbiano! Ma lo sai quanto porta male, su una nave? Mai, mai, mai accoppare un pennuto mentre si naviga!
Robert sogghignò. – Se la metti così, anche portare una donna a bordo si dice porti male.
L'occhiata assassina, a quel punto, la rivolsi io a lui.
Dovetti ammettere, però, che non aveva tutti i torti. Non riguardo a una sciocca superstizione maschilista, ma a proposito del perché la nostra avventura per mare si stava prolungando tanto.
Aggiunsi un ammutinamento, un attacco da parte di una nave pirata, e una tempesta alle sue ipotesi. Ma se i problemi esterni non potevamo prevenirli, quelli interni sì.
Mi girai, e appoggiata alla murata, scrutai i brutti ceffi che costituivano l'equipaggio. Tutti avevano scritto in faccia "sono un farabutto, non vi fidate di me". Nel senso che davvero ce l'avevano scritto in faccia. Strani tatuaggi si fa la gente al giorno d'oggi.
L'unico privo di segni particolari, e quindi quello di cui meno di tutti ci si doveva fidare, era un tizio seduto con la schiena appoggiata al cassero di poppa, intento a tracciare uno schizzo su un foglio con un piccolo carboncino.
Robert mi diede una gomitata e me lo indicò. Ci avvicinammo e scrutammo dall'alto il disegno intricato che si andava formando sul foglio.
Robert si schiarì la voce. – Senti un po', giovanotto, perché non sei a lavorare con gli altri?
Il tizio smise di disegnare, alzò gli occhi e in tono allegro disse: – Be', perché io sono come voi. Un passeggero pagante.
Io e Robert ci scambiammo un'occhiata. Non avrebbe dovuto esserci un personaggio secondario di un inutile passeggero, a meno che non fosse rilevante per la trama.
– Non esattamente come... – si accinse a dire Robert, ma lo sconosciuto, cosa abbastanza fastidiosa e insolita per un personaggio secondario, gli parlò sopra.
– Voi siete i leggendari eroi venuti da un lontano paese, e a questo punto del vostro viaggio vi siete assunti l'onere di esplorare le Terre Inesplorate, giusto?
– Terre Ignote – lo corressi.
– La nomenclatura dev'essere cambiata dai miei tempi – bofonchiò tra sé il giovanotto, strofinandosi il mento. – Comunque sì, sono come voi. Piacere, Marco Mico, ex eroe leggendario. Ho girato in lungo e in largo questo mondo, prima che un altro prendesse il mio posto, e poi un altro, e un altro ancora, e adesso voi.
– Mar... co... Mico? – fece Robert.
– Oh, sì, il nome al mare l'ho dato io, prima si chiamava qualcosa come "Vasta pianura d'acqua salata di mezzo" ma così è molto meglio, non trovate?
C'era qualcosa che non quadrava, pensai, mentre Robert e Marco Mico se ne stavano a chiacchierare sui nomi del mare e di altri posti emettendo gli stessi versi striduli dei gabbiani.
Avevamo sempre pensato di essere i primi, anzi, no, gli unici a essere finiti dentro a quel maledetto libro. E invece adesso saltava fuori quel tizio che c'era dentro da chissà quando, e con lui anche altri, e stando a quanto diceva nonostante avesse fatto di tutto non ne era mai uscito.
– ...un fumetto delle mie avventure. – Stava dicendo Marco Mico, indicando a Robert il foglio tutto fitto di disegni. – Quando torno a casa lo farò pubblicare. Diventerà più popolare di Tiramolla!
Inarcai un sopracciglio, ma non gli dissi che gli anni novanta erano finiti da un pezzo, e che il figlio della gomma e della colla era stato dimenticato da quasi tutti.
– Hai incontrato gli alieni? – Chiese Robert, indicando un'astronave nel disegno. – Pensavo fosse un libro fantasy, questo.
– Licenza artistica – fece Marco Mico, scrollando le spalle. – Ma per la maggior parte sono storie vere. Per quanto possano essere vere le storie accadute dentro un libro. Il rapimento e il sacrificio ai mostri della Foresta Infinita. La casa infestata nella tempesta. Il viaggio attraverso il deserto di Atacatela e la disavventura con i mortali Cobra-Teschio volanti...
Mentre enunciava gli stessi episodi che avevamo già vissuto io e Robert, Marco Mico li indicava nel suo disegno e allo stesso tempo ritoccava le linee con il carboncino.
– Lascia perdere il passato e dicci qualcosa del futuro! – sbottai io, esasperata. – Come si arriva al finale? Come si esce di qui? Dimmelo!
Tirai il foglio verso di me nel tentativo di scoprire scoprire qualcosa di quello che ci aspettava, e il carboncino ancora appoggiato al foglio segnò una bella riga di traverso sulla testa di un personaggio che somigliava alquanto, con qualche licenza artistica che lo rendeva molto più aitante, a un autoritratto del disegnatore.
Marco Mico sgranò gli occhi. mollò il foglio e scattò in piedi. – Che cosa hai fatto... tu non ti rendi conto... che cosa hai fatto...
Sbuffai. Tutta questa storia per un fumetto rovinato. Come se avesse potuto davvero portarselo via se fosse uscito dal libro.
Ma il giovanotto, che stava indietreggiando sulle assi scricchiolanti verso l'albero maestro, pareva colto da un sacro terrore che non poteva essere giustificato nemmeno da uno schizzo di vernice lanciato contro la più famosa opera d'arte del mondo, figurarsi una sbavatura sulla tavola di un fumetto sconosciuto.
– Che sarà mai... – stavo per dire, quando il vento girò, e il boma sul lato inferiore della vela girò con il vento, e colpì Marco Mico in piena fronte, stendendolo all'istante. Spostai gli occhi dal corpo a terra al disegno. Il boma l'aveva colpito con la stessa angolazione di quello scarabocchio nero.
– Il tizio disegna il futuro! – esclamai. – Oh-oh... spero vivamente di non averlo accoppato. Sarebbe stato molto utile averlo attorno...
Non me ne resi conto subito, ma stavamo per avere problemi maggiori di un Marco Mico morto. Perché a quel punto un gabbiano volò giù dalla coffa, si posò sulla spalla di Robert e gli beccò un orecchio.
– Ahi! – fece Robert, portandosi una mano all'orecchio. E due.
– Ehi – fece il capitano della nave, che nel frattempo ci aveva circondato con tutto l'equipaggio di brutti ceffi. – Consegnateci la mappa del tesoro delle Terre Ignote, o sarà peggio per voi.
Ero sorpresa. Alla fin fine, i tatuaggi dicevano il vero.
– Peggio come? – si informò Robert.
– Vi faremo beccare a morte dai nostri gabbiani ammaestrati! – intervenne uno dei brutti ceffi, e come a conferma delle sue parole, il terzo gabbiano planò su Robert e gli beccò al volo il naso.
– Ahi! – sbottò Robert. – Ancora convinta che non devo torcere una piuma a quei dannati pennuti? – Rivolse poi un'occhiata, sotto il naso beccato che sfregolava con le dita, alla ciurma di traditori. – Se questo è il peggio, il meglio qual è?
Lo odiai per averlo chiesto. Ma ero l'unica, lì, a provare quel sentimento.
Marco Mico mugolò, segno che era ancora vivo, e ancora fuori gioco. Ma non lo sentii a lungo, perché la ciurma di farabutti si mise a sghignazzare, e il capitano tirò fuori dal cinturone un signor archibugio di tutto rispetto.
Fissai intimorita la bocca dell'arma. Che parlò. – Vi consiglio, signori, di fare come il mio stimato capitano vi ha detto. Consegnate a mappa del tesoro delle Terre Ignote, da bravi.
Avrei tanto voluto farlo. Per qualcuno che lo chiedeva così gentilmente, cavolo, avrei potuto farlo senza indugio. Il problema era che io quella mappa non ce l'avevo.
Stavo appena iniziando a spiegarlo quando il capitano accennò al fumetto di Marco Mico che ancora stringevo in mano.
– Questo? – gli chiesi. – Ma no, questo è solo...
Un dubbio mi colse, e rigirai il foglio fino ad averlo di fronte alla rovescia. Visto da questo lato, la confusione di personaggi e situazioni sovrapposte in uno spazio troppo stretto sembrava proprio la mappa di un continente, con un percorso tracciato verso una X bella grande.
Ma pensa un po' il nostro magico disegnatore. Quanti talenti nascosti aveva!
Sarà che eravamo in navigazione sul Mar Comico, ma a quel punto, situazione disperata o no, una bella risata ci stava proprio.

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