lunedì 10 aprile 2023

La spada della regina


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Collage di foto di Victoria Akvarel da Pexels


Lo spreco di calore e luce provenienti dal caminetto acceso rendeva quella stanza assai diversa dalle mie sale private nella più alta tra le torri di smeraldo che erano il vanto della mia terra. Ero da troppi anni assuefatto alla fredda opulenza del marmo e delle gemme preziose per trovare conforto in cuscini di piume e morbide coperte, ma finché mi fosse convenuto, avrei finto di apprezzare il lusso riversato sulla mia persona. Il letto e i divani troppo molli, uniti al caldo sentore di resina e legno bruciato che gravava come un'insopportabile cappa nella stanza, avevano almeno un vantaggio: attiravano i gatti.
A me e alla mia delegazione era stata riservata un'intera ala del castello, ma ancora non sapevano che era mia intenzione prendermi tutto. I felini erano le spie perfette per scoprire ciò che avveniva nelle zone del castello che ancora mi erano precluse. Nessuno si zittiva al passaggio di un gatto, nessuno lo sbatteva fuori dalla stanza dove si discutevano le questioni più importanti.
Accarezzai il manto nero della mia piccola, inconsapevole spia, e il felino, fiducioso come solo una bestiola vezzeggiata e mai tradita poteva essere, si profuse in un sommesso ronzio di fusa, che in pochi istanti aumentò di volume alle mie carezze fino a sovrastare il crepitio della legna che ardeva nel camino.
Era quello stato di fiducia, di ignaro abbandono, che occorreva ai più subdoli e sottili tra i miei incantesimi. Senza smettere di accarezzare il sonnolento felino con una mano, con l'altra sfilai un lungo ago celato nella mia cintura e con una mossa rapida lo infilai nel collo della bestiola.
Quella spalancò di colpo gli occhi gialli e si immobilizzò all'istante, e io li fissai, e precipitai nelle loro profondità.
Vidi allora tutto ciò che il gatto aveva visto nel corso della sua vita, e udii tutto ciò che aveva udito, e anche se alle sue orecchie le parole erano state solo suoni, io conservai in quel viaggio immobile una mente adatta a comprenderle.
Vidi la donna dai capelli rossi che in presenza di estranei non si staccava dalla sua posizione privilegiata al fianco della regina, aggirarsi di notte furtiva come un gatto.
Si allenava con la spada in solitudine, abbigliata come un uomo, o in compagnia di un cavaliere, solo uno, sempre lo stesso.
Cercai fra i ricordi. Fratello, lo chiamava, non un amante segreto dunque, ma pur sempre un punto debole che avrei potuto sfruttare.
Il risentimento degli altri cavalieri era un altro vantaggio a mio favore, se mai avessi dovuto combatterla invece di blandirla fino alla sottomissione fiduciosa come avevo fatto con il gatto. Gli uomini d'arme l'avevano chiamata in molti modi, e trattata in maniera niente affatto piacevole finché era stato in vita il re, ma da quando era venuta meno la giusta autorità di un uomo, soldati e cavalieri avevano preso a definirla "la spada della regina".
In realtà, stando alle incursioni del mio piccolo amico peloso nelle stanze regali, la popolana dai capelli rossi era molto di più di una dama di compagnia e una guardia del corpo.
Ogni parola pronunciata nel segreto delle stanze regali, nella solitudine condivisa dalle due donne, era come un'ipnotico ronzio di fusa che riempiva e plasmava il pensiero della bionda testolina regale.
Anche qui, non trovai tra di loro una segreta relazione tra amanti che avrebbe giustificato, nonché reso sfruttabile da parte mia, la loro vicinanza, bensì qualcosa di molto più subdolo e pericoloso, qualcosa che mi era familiare, perché era ciò che io stesso avrei fatto nelle medesime circostanze.
Colei che portava la corona, in quel regno, era la spada della regina. Per ottenere ciò che volevo dovevo dunque prima ingraziarmi lei, poi toglierla di mezzo e prenderne il posto.
Per mia fortuna, quella donna aveva desideri semplici da soddisfare.
Sfilai l'ago dal collo del gatto, che scattò giù dal letto incolume e sgattaiolò svelto fuori dalla porta che il mio attendente, un vecchio muto ormai abituato ad assistere alla mia magia senza battere ciglio, aveva aperto per lui.
Ora che il legame era stabilito, non mi occorreva più la sua vicinanza per ricevere informazioni dalla mia piccola spia.
– Svelto, lo scrigno dei metalli – ordinai al mio attendente, che si affrettò a portarmi quanto gli chiedevo.
Sarebbe bastato un lingotto d'acciaio e un pizzico della mia magia per forgiare la lama più bella che la spada della regina avesse mai visto, un'arma da cui non avrebbe potuto distogliere gli occhi, l'arma che alla fine avrebbe causato la sua rovina.

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