sabato 22 dicembre 2018

Fantasmagoria

La somiglianza del termine di oggi con la parola "fantasma" non è casuale: la sua etimologia, infatti, ha a che vedere con l'arte di far apparire, mostrare o parlare con i fantasmi. Ma più che per una seduta spiritica, il termine fu coniato per descrivere una forma di teatro fatto con lanterne magiche, che in un'epoca priva di effetti speciali doveva apparire tanto meravigliosa e impossibile quanto un'apparizione spettrale.

Fantasmagoria [fan-ta-sma-go-rì-a] s.f. 1. Rapida successione di immagini, luci e colori. 2. Congerie di concetti, idee, dati, elementi che lascia confusi.

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Photo by Miguel Á. Padriñán from Pexels



Il concetto di fantasmagoria potrebbe benissimo esistere in parecchi dei miei racconti, se non come arte teatrale, almeno nel senso metaforico che ha assunto in tempi moderni. Ma tra tante possibilità, dovevo per forza sceglierne una. E ho scelto questa.


Skalyssa le aveva detto che quello che intendeva mostrarle era uno specchio. "Il più grande che tu abbia mai visto! Più grande perfino di quello che ho adesso." Così le aveva detto la nuova regina del vasto mondo sconosciuto.
Ma ciò che Anyla stava guardando non era uno specchio. Era una fantasmagoria di lampi di colore a malapena riconoscibili come immagini, talmente rapido era il loro passaggio sulla superficie increspata d'onde nell'enorme cornice ovale. Era un tramonto rosso che sfumava in una verde foresta costellata di rovine che l'abbagliava di sabbia dorata in un deserto soffocante che veniva inglobato dal buio di una notte senza luna, per poi riaccendersi su altri mille paesaggi. E persone, tante persone: persone vive, persone morte, persone non ancora nate.
Anyla chiuse gli occhi e si prese la testa tra le mani.
Skalyssa le si affiancò alla base della rampa. – Che cos'hai Anyla, stai male?
– Troppe cose... – gemette la siahta. – Troppo veloci...
Anche così, con gli occhi chiusi, lo specchio non le dava tregua. Erano stati solo bisbigli all'inizio, un basso ronzio nelle orecchie indistinguibile per ciò che era davvero: voci. Voci che le parlavano all'unisono, in una fantasmagoria di storie e domande e richiami che si facevano sempre più rumorosi, come quando in una folla tutti alzano sempre più la voce per farsi sentire, fino a finire col gridare.
E anche Anyla avrebbe voluto gridare, gridare a tutti di stare zitti. Ma si limitò a sussurrare a Skalyssa, anche se non sentiva la propria voce tra quelle che le riempivano le orecchie: – Tu non lo vedi... non le senti?
Skalyssa guardò lo specchio. Tutto ciò che vedeva era la stanza riflessa in una superficie liscia e immobile. Per lei, lo specchio era solo uno specchio.
– Vedere... cosa?
Anyla scosse la testa. – Non è giusto. Io non dovrei essere qui, mia regina.
Era stata una delle voci a dirle che era tutto sbagliato. E che era lei, Anyla, la regina del mondo. Non Skalyssa.
Ma questo, Anyla non glielo poteva dire.

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