lunedì 25 dicembre 2023

La principessa pesce


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Becerra Govea Photo da Pexels


Questa ti sembrerà una fiaba, una di quelle che iniziano con "c'era una volta, tanto tempo fa, in un regno lontano lontano", e in verità avrei potuto iniziare proprio così, se non fosse che tutto questo è successo a me, proprio a me, quand'ero un ragazzo, quindi non proprio tanto tempo fa, e in questa stessa città, dunque neanche troppo lontano.
Quindi, se non posso iniziare in quel modo, come comincio? Ah, ho capito, inizierò così: ho sempre amato gli acquari.
Non quelli piccoli, le bocce da pesce rosso e gli altri da tenere in casa, con un minuscolo scorcio di oceano in cui nuotano pesciolini formato mignon. Intendo le vasche enormi dell'acquario cittadino, quelle quasi infinite per gli occhi di un ragazzo che non abbia mai visto il mare, lunghe vetrine dove poter schiacciare il naso e guardare gli squali passarti a pochi centimetri dalla faccia, e i delfini nuotare veloci, e meduse e anguille e barracuda e ogni sorta di pesce tropicale, colorato e sinuoso che danzava nell'acqua, solitario o in grossi banchi in cui tutti si muovevano all'unisono, sincronizzati.
Fu solo naturale che, non appena ebbi l'età e il tempo per farlo, mi offrii volontario per dare una mano nell'acquario cittadino. Dapprima mi misero a spazzare i pavimenti e a lustrare i vetri appannati dal fiato dei bambini curiosi com'ero stato io, e mi andava anche bene, perché mentre mentre passavo lo straccio e lo spazzolone fin dove le mie braccia riuscivano ad arrivare, potevo continuare a guardare oltre il vetro l'andirivieni ipnotico dei pesci. Non passò molto prima che si fidassero a mandarmi in immersione nelle vasche a sistemare coralli e rocce e a raccogliere le conchiglie abbandonate dai paguri, o altri lavoretti simili. Allora non c'erano bombole e mute da sub, ci andavo così com'ero, io che mi ero dimostrato particolarmente bravo a trattenere il fiato a lungo, anche più degli adulti che lavoravano lì da tanto, e di questo potevo andare fiero. Ovvio che mi mandavano giù solo nelle vasche che non erano pericolose, niente nuotata tra gli squali o le meduse: per la manutenzione di quelle vasche ci andava un esperto con un'ingombrante attrezzatura da palombaro. Ma io mi accontentavo, era già bello sentirmi sfiorare dai delfini, i cui schiocchi parevano una risata alle mie orecchie ovattate dall'acqua, o sentire il gorgogliare delle bolle man mano che il fiato mi sfuggiva di bocca, e la carezza delle alghe sulle mani mentre le spostavo per vedere il fondo, e la lotta a colpi di gambe e bracciate contro una forza che cercava di tirarmi su, verso il confine tra l'acqua e l'aria.
Quella che mi piaceva di più era una vasca d'acqua dolce che rappresentava uno scorcio di fauna acquatica lacustre, e che si trovava in parte all'esterno, così che il sole nelle ore diurne, e la luna in quelle notturne, scendeva coi suoi raggi a illuminare le squame dei pesci guizzanti e le rocce sfaccettate che costellavano il fondo tra grovigli d'alghe e aggregati di mitili. Adoravo tuffarmi in quella vasca, tanto che più di una volta ci ero andato anche di nascosto, quando l'acquario era chiuso, data la sua particolare collocazione mi rendeva facile intrufolarmi in quella zona dell'acquario.
Ora, nel periodo di cui ti voglio parlare era successa una cosa particolare, che aveva attirato la mia attenzione. Non era raro che un pescatore o un allevatore di pesci affidasse all'acquario un esemplare che riteneva insolito o degno di nota, e a volte si trattava davvero di un pesce esotico abbandonato da qualcuno, ma più spesso era una semplice trota o carpa con una colorazione diversa dal solito.
Quello che ci portò uno dei soliti pescatori quella volta, però, era qualcosa di totalmente nuovo. Il pesce, lungo quanto il mio braccio, aveva squame iridescenti e pinne viola molto lunghe, che nell'acqua si agitavano come strisce di tessuto, e un cerchio dello stesso colore sulla sommità del capo, con punte che lo facevano assomigliare a una corona. Non s'era davvero mai visto un pesce del genere nell'acquario, tanto che, in attesa dell'esperto dalla capitale per classificarlo, il pesce grazie a quella sua caratteristica coroncina venne soprannominato "pesce principessa" e messo assieme agli altri nella vasca d'acqua dolce, visto che era proprio in un lago che era stato pescato.
Non mi lasciarono, per quel giorno, tuffare nella vasca dov'era conservato quell'esemplare unico. Ma potevo io farmi scappare l'occasione di nuotare assieme al pesce principessa, prima che l'esperto dalla capitale venisse a portarcelo via per renderlo famoso? No, non potevo. Proprio non potevo.
Così, quella notte, m'intrufolai oltre il cancello dell'acquario come avevo già fatto tante volte, e sgattaiolai fino alla solita vasca, ma quando ci arrivai, scoprii che non ero stato il solo a scegliere proprio quella nottata per un tuffo tra i pesci. A nuotare a fior d'acqua, sotto i raggi di luna, c'era la donna più bella che avessi mai visto, una donna dalla pelle scintillante e un lungo abito viola, il cui strascico e le cui maniche fluttuavano nell'acqua come le pinne del pesce che ero venuto a trovare. Sulla testa, tra i ricci scuri, era posata una coroncina di fiori dello stesso colore dell'abito.
– Mi ricordo di te – disse la donna, con una voce che aveva in sé la melodia gorgogliante dell'acqua. – Mi guardavi proprio così oggi, così come fai adesso.
Alle sue parole mi resi conto di avere la bocca spalancata dalla meraviglia, allora mi diedi un contegno e le dissi, col tono più professionale che riuscii a dare alla mia voce ancora un po' infantile: – Non lo sai che non si può nuotare qui? È vietato.
Ero consapevole che era la stessa cosa proibita che ero venuto a fare io, ma nella mia testa la questione era diversa: io lì ci lavoravo, mentre lei era un'estranea che passava per caso.
– Ah no? – ribatté la donna. – Se non si può, perché dunque mi avete messo qui?
Aggrottai la fronte, e solo qualche istante dopo capii: la donna voleva farmi credere di essere il pesce principessa, trasformato... no, non poteva essere. Eravamo in pochi a sapere dell'esistenza dell'insolito esemplare, il pescatore e noi dell'acquario, e io non lo avevo detto a nessuno. Prima che potessi chiederle chi le aveva parlato del pesce, la donna proseguì: – Io sono davvero una principessa.
Scoppiai a ridere: ce la stava mettendo tutta per ingannarmi e farmi credere di essere il pesce che era stato portato all'acquario nel pomeriggio. Frugai con gli occhi la vasca: le sue lunghe pinne viola e il suo corpo iridescente non dovevano essere difficili da scorgere, anche alla luce tenue della luna, eppure non lo vidi da nessuna parte. Nel frattempo, la donna si era avvicinata a nuoto al bordo della vasca dove stavo io.
– Sembri un ragazzo a modo, e vorrei poter continuare a parlare con te, ma il tempo sfugge. Devo tornare da dove sono venuta prima che il sole sorga, o non potrò cambiare forma mai più, e il mio regno sarà perduto. Ma non conosco la strada... – si lamentò la donna nella sua voce gorgogliante, con l'abito che le fluttuava attorno in una macchia viola nell'acqua. Da vicino vidi che aveva le gambe, normalissime gambe e non la coda da pesce come una sirena. Uno si aspetta che una donna pesce sia almeno un po' pesce, quello avrebbe reso veritiera la sua storia assurda, e invece no, era in tutto e per tutto una donna come le altre, a parte la pelle scintillante come madreperla o come riflessi di luce sulle onde.
– E quindi vorresti il mio aiuto – le dissi. Ero scettico, ma decisi di stare al gioco.
– Sì! – fece subito la donna. – Sì, per favore. In cambio, esaudirò un tuo desiderio, grande o piccolo che sia. Na devo arrivare prima che sorga il sole, o tutto sarà perduto.
Sapevo qual era il lago dove il pescatore aveva trovato il pesce principessa, e non era nemmeno tanto distante. Ci potevo arrivare comodamente in bici, ma lei come avrebbe fatto?
Glielo dissi. – Certo, se fossi piccola come un pesce, ti potrei mettere dentro un sacchetto con un po' d'acqua nel cestino...
Non ebbi neanche il tempo di finire la frase che la sua pelle scintillante risplendette di più, fino ad abbagliarmi, e quando la luce che diffondeva si affievolì, di fronte ai miei occhi non c'era più una donna in abito viola, bensì il pesce iridescente dalle lunghe pinne di quello stesso colore, e un cerchio viola come una coroncina sulla sommità del capo. Mi strofinai gli occhi un paio di volte, ma il pesce continuò a restare un pesce.
Non potevo crederci. La sua storia era vera. Tutto quel che mi aveva detto la principessa pesce era vero!
Stando così le cose, capii che non potevo permettere che un sedicente esperto la portasse via dalla sua casa per metterla in mostra. Così la caricai con un po' d'acqua della vasca nel cestino della bicicletta, come le avevo detto, e pedalai più svento che potevo verso il lago dov'era stata pescata.
Chi ha detto che i pesci sono muti, non ha mai sentito una principessa pesce lamentarsi e incitare a far più in fretta man mano che avverte l'alba avvicinarsi. La notte non era ancora del tutto trascorsa quando infine si tuffò nelle acque del suo regno, e fu così salva dal destino infelice che mi aveva annunciato.
Tornata donna, la principessa pesce mi ringraziò con un bacio sulla fronte, e dopo di allora, non la vidi mai più. Fine della storia.
Ah, il desiderio, dici? Sei tanto curioso di sapere che cosa ho chiesto come ricompensa?
Ti dirò solo che da quel giorno non ho avuto alcun problema a tuffarmi nelle vasche degli squali o delle meduse senza timore, e che quando i delfini si scambiano schiocchi e risate chioccianti, alle mie orecchie suonano come parole.

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