sabato 3 novembre 2018

Vivagno

La parola che ho scelto oggi non ha un suono che definirei gradevole (forse perché rima con ragno?), e i suoi significati sono o troppo tecnici, o un po' antiquati... ma mi andava di presentartela lo stesso.

Vivagno [vi-và-gno] s.m. 1. Margine laterale di una pezza di stoffa. 2. lett. Riva di un corso d'acqua, sponda; anche, stagno.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Mi ispirano parecchio le parole che apparentemente si riferiscono a due cose molto diverse tra loro, perché così posso moltiplicare le immagini presenti nel brano, e cercare un collegamento attorno a cui costruire la storia. Che ho sviluppato a partire da questa prima immagine.


La trovai accoccolata sul vivagno di un fosso, con un piede che dondolava mollemente sull'acqua. Volevo dirle che mi dispiaceva, ma le parole non mi uscivano di bocca.
Anche lei era insolitamente silenziosa. Avevamo fatto tanta strada per quel rifiuto.
– E così... siamo venuti fin qui per niente – dissi, tanto per rompere il silenzio. Un attimo dopo mi sarei preso a pugni. La mia voce suonava allegra e falsa.
Alcyone non si voltò.
Mi strofinai la nuca e mi guardai attorno. La bruma avvolgeva la campagna sonnolenta. Oltre un filare di gelsi s'intravedeva la casa delle sue sorelle.
– Senti, non importa se loro non ti vogliono – cercai maldestramente di consolarla. – Sì, sono la tua famiglia, ma chi ha bisogno di una famiglia, giusto?
Le rivolsi un ampio sorriso fasullo, poi strinsi le labbra e curvai le spalle.
Idiota, idiota, idiota. Non era proprio il momento di fare battute. Perciò mi sorprese molto sentirla ridere.
La sua era una risata genuina, in cui non c'era traccia dell'amarezza che mi sarei aspettato. Alcyone smise di ridere, tirò su il piede, si alzò, spolverò la gonna rossa dai residui di terra, si voltò e mi gettò le braccia al collo.
Anche questo era inaspettato. Quando mi ripresi abbastanza da cercare di ricambiare l'abbraccio, Alcyone mi prese per le spalle e si tirò indietro. – Tu non hai capito niente – mi disse e per un momento devo ammettere che equivocai. Pensavo si riferisse all'abbraccio, ma lei riprese: – Io non volevo tornare a casa. O meglio, all'inizio sì, lo volevo, ma dopo ho cominciato ad avere paura di ritrovare le mie sorelle. Perché pensavo che tutto questo andare da una parte all'altra, fare cose, incontrare persone, a quel punto sarebbe finito. La nostra amicizia sarebbe finita. E io non ti avrei rivisto mai più. Ma ora... ora non deve finire niente.
Alcyone rise di nuovo e sfilò da sotto la mia tunica il vivagno della seta di Potior, poi cominciò a spiegarmi con molte più parole del necessario da che parte dovevamo andare per trovarne altra.

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