lunedì 27 novembre 2017

Un mentore reticente

(racconto ispirato dall'esercizio Guardare per conoscere. Il dado ha scelto per me la descrizione numero 3: Questo gentiluomo fa venire in mente un lupo solitario. Ha occhi arancioni come il sole al tramonto. I suoi capelli castani, ricci e setosi, di media lunghezza, sono portati in uno stile semplice. È alto, magro, con pelle color cioccolata e un mento forte. Indossa abiti stretti, con molto grigio e verde.)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Non fu difficile individuarlo, anche se avevo soltanto un nome e un luogo: Hashum il Lupo, Ritrovo del Ranger. Era uno di quei locali con il bancone in vero legno e le pareti di pietra, una trappola per nostalgici in vena di ricordi. Uno di quei posti in cui capivi che il mondo era andato avanti, ma non tutti si erano affrettati a seguirlo.
E Hashum il Lupo era tutto ciò che il suo nome prometteva che fosse.
Un individuo scuro, silenzioso, allampanato. Curvo sul suo bicchiere, ma con lo sguardo attento di un predatore negli occhi color ambra scura, come due piccoli soli al tramonto.
E lui al tramonto sembrava esserlo davvero. Gli abiti stretti addosso dimostravano che non mangiava bene da tempo. Per un attimo mi chiesi se era davvero lui l'uomo che poteva aiutarmi.
Se non altro, da qualche parte dovevo pur cominciare.
Mi sedetti sullo sgabello accanto al suo e ordinai un bicchierino di gin con una cannuccia.
Hashum mi fissò con quei suoi occhi strani, così intensi. – Non sei un po' troppo piccola per bere?
Scrollai le spalle. – Ho un altro posto dove stare mentre smaltisco la sbornia.
Pensavo non fosse male come primo contatto. Volevo apparire adulta, competente, sicura di me.
Ma Hashum esalò il fiato e tornò a curvarsi sul suo drink. – Senti, testablu, gira alla larga, che oggi non è giornata. E no, non prendo apprendisti, se è per questo che sei venuta. – Hashum tracannò il contenuto del suo bicchiere e scosse la testa. – Una duevite, dovevo immaginarlo – brontolò tra sé. – Solo quelli come noi sono così eccentrici.
Succhiai un sorso dalla cannuccia. L'alcol mi bruciò la gola e mi diede la sensazione di galleggiare sul bancone. Davanti ai miei occhi banchi di scuola, schiene di ragazzi, una lavagna. Lo stridio del gessetto, e una voce monotona di donna. No, devo restare qui, da questa parte, in questa vita. Ho bisogno di quell'uomo, mi dissi.
Quando tornai del tutto qui, vidi Hashum e la sua occhiata di sdegno. Mi vergognai, perché sapevo che aveva capito. Avevo quasi perso la presa su questa realtà a favore dell'altra.
– È per quanto è successo con Mereborn, vero? – gli chiesi. – È per quello che non vuoi apprendisti.
Non era un mistero ciò che Hashum era stato costretto a fare. Sapevano tutti che, dopo aver imparato da lui tutto quel che sapeva del mestiere, Mereborn era finito sulla lista nera e il suo maestro era stato mandato a catturarlo. Nessuno si era meravigliato del voltafaccia del signor Emme. D'altra parte, un duevite tendeva a diventare solo due cose: un criminale, o un Bollatore, ovvero un cacciatore di taglie. È la nostra maledizione. Abbiamo bisogno di emozioni forti. C'erano poche eccezioni a questa regola.
– Io non farò come Mereborn. Io sono diversa – gli assicurai. – Insegnami, e lo vedrai.
Lo sentii sbuffare. Non mi credeva.
– Dammi almeno una possibilità. Tu me lo devi. – Non avevo intenzione di giocarmi questa carta, di dirglielo. Non subito, almeno. Ma Hashum il Lupo non mi aveva lasciato altra scelta.
– Sono la figlia di Amya.
Hashum raddrizzò la testa. Si frugò in tasca e lasciò qualche moneta sul bancone, scivolò giù dallo sgabello e mi diede la schiena. – Sbrigati a bere il tuo gin, testablu, e vieni con me. Abbiamo del lavoro da fare.
Mi affrettai a buttare giù il liquido chiaro e a seguire il cappotto grigio del Lupo. E ancora oggi non saprei dire se il calore che sentii pervadermi quel giorno era dato dall'alcol, o dall'eccitazione per il mio primo passo da apprendista Bollatore.

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