sabato 25 novembre 2017

Ostracizzare/Ostracismo

Oggi una parola doppia! Volevo il verbo ma mi sono resa conto che da sola la definizione non spiegava molto, così ho dovuto aggiungere anche il sostantivo. Tra l'altro, questa è la prima parola di cui ho conosciuto l'etimologia, da ostrakon, il coccio su cui si scriveva il nome del cittadino da bandire. 

Ostracizzare [o-stra-ciz-zà-re] v.tr. lett. Bandire con l'ostracismo.

Ostracismo [o-stra-cì-smo] s.m. 1. Nell'antica Grecia, esilio comminato ai cittadini ritenuti pericolosi per la sicurezza dello stato; estens. bando. 2. fig. dare l'ostracismo a qualcuno, assumere un atteggiamento persecutorio nei confronti di qualcuno per impedirgli di affermarsi o di svolgere la propria attività.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Di esiliati ne ho più d'uno nei miei racconti. Jasmen per esempio, o Vesta che pur non subendo un esilio vero e proprio, viene ostracizzata dai concittadini a causa del suo dono. Ma credo di voler approfittare di questo termine per raccontare qualcosa di più della storia di Julian.


Quando dico che le fate sono crudeli, nessuno mi crede. Come possono essere crudeli le eterne fanciulle, bellissime e delicate, che vengono da oltre le nebbie per scacciare con il loro fulgore i demoni... per una sola notte l'anno? Quale dono generoso ci fanno!
Gli esseri umani non hanno idea di quale sia il prezzo della loro immortalità. Io lo so perché, esattamente come loro, sento il peso dei miei anni e le mie ferite gravare colei che hanno eletto a regina, e gli sforzi che la sua corte fa per mantenerla in vita il più a lungo possibile.
C'è stato un tempo in cui ho desiderato ardentemente di essere accettata tra loro. Un tempo in cui le ho cercate nella Notte di Ebion, smaniosa di unirmi alla processione per svanire con loro in un regno incantato. Non capivo perché mi avessero ostracizzato. Non poteva essere a causa del mio padre umano: tutte le fate ne avevano uno. A meno che non li tenessero nascosti oltre le nebbie, non c'erano uomini tra loro.
Le pregai di prendermi e di portarmi via.
– Perché dovremmo? – mi chiese una di loro. – Tu non sei come noi.
Tentai di protestare, ma lei indicò con un gesto aggraziato la sua pelle luminosa, poi la lanterna che reggevo.
– Non avresti bisogno di quella se lo fossi. Non c'è una briciola di potere in te.
Non avevo fatto tanta strada per ricevere un altro ostracismo. – Non sono umana, è evidente. – Le mostrai il pugnale che mio nonno aveva creato per me, e che era una parte di me perché da me veniva. Era l'unico che potessi maneggiare. Il ferro e l'acciaio mi bruciavano la pelle. – Ma se non sono umana, e non sono una fata, allora cosa sono?
La fanciulla, con un sorriso crudele, replicò: – Niente.
Caddi in ginocchio e piansi nella Notte di Ebion.
Anni dopo le dimostrai che si sbagliava. Io sono qualcuno. Avevo inventato un nome per me, per tutti noi, gli sbagliati, i diversi, i vagabondi della terra.
Noi siamo gli Erranti.
Da soli eravamo niente. Uniti, siamo una forza che nessun popolo o nazione può più permettersi di ignorare.

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