lunedì 29 gennaio 2024

Destinata a svanire


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di stayhereforu da Pexels


Non sarebbe stato poi così brutto svanire, mi dissi, se farlo significava che avevo vinto. Svanire, lì dove tutto era iniziato.
Scomparire come la luce, nel buio e nell'umidità sotterranea. La tana che quel mostro affamato di vite si era scelto sarebbe stata la sua ultima dimora, e la mia. Non avevo avuto il coraggio di farlo, la prima volta che ero stata portata lì, ma in quel momento capii che ero pronta, e inoltre, non potevo più sopportare lo stillicidio continuo di giovani vite sacrificate sugli altari in nome di quei falsi dei.
Una persona sola non bastava per salvarle tutte, se non con quell'ultimo sacrificio.
C'era un unico problema: lui. Il bandito che avevano catturato assieme a me, solo perché quello sciocco si era ostinato a venirmi dietro.
Io non avevo scelta, stavo già svanendo. Pezzo dopo pezzo, avevo già perso così tanti ricordi della mia vita che se qualcuno di quelli che mi erano stati vicini mi avesse incontrato, avrebbe stentato a riconoscermi, e di certo io non avrei riconosciuto lui. Sapevo fin dall'inizio il modo in cui sarei morta, nella migliore delle ipotesi: ponendo fine alla vita di quel demone e al suo impero del terrore.
Ma non potevo scegliere il sacrificio anche per altri, perciò attesi. Lasciai che mi portassero al suo cospetto, lì dove volevo essere, nella grande sala sormontata da stalattiti gocciolanti, circondati dai fuochi delle torce. Sentivo il potere di quegli elementi attorno a me, e il respiro freddo e pesante del vento nei cunicoli, l'aria ammorbata dal fetore delle bestie che erano i suoi burattini, e attendevo il momento giusto per farne delle armi. Mi aspettavo che liberassero almeno il bandito per divertirsi a dargli la caccia, io gli appartenevo già per metà e chiaramente ero stata presa per completare l'opera, ma lui... lui non era nessuno per loro, non era nemmeno una delle vittime lasciate sugli altari per ingrossare le loro fila, era solo nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ma poi seppi quale sarebbe stato il suo destino, e capii che non potevo più esitare.
Dovevo agire prima che il demone che mi aveva condannata all'oblio iniziasse a cambiarlo.
– Tra un istante saranno parecchio impegnati – bisbigliai al bandito. – Approfittane, e vattene.
– Vuoi combatterli? – ribatté il bandito a voce più alta della mia. – Tutti quanti? Ti posso dare una mano...
Sciocco fanfarone buono più a parlare che a pensare, mi dissi.
– Non è la tua battaglia, sei disarmato, e non puoi prevedere le loro mosse come faccio io – sibilai di rimando. – Mi saresti solo d'intralcio. Va' via, corri a... cercare aiuto, se vuoi, ma vattene di qua... ora! – gridai, nell'avvertire la familiare pressione nella mia testa. Lui stava cercando di entrare, di spingere via gli ultimi frammenti di ricordi che avevo, ma non era cercando inutilmente di resistergli che volevo impiegare le ultime tracce di umanità che mi restavano.
Alimentai le fiamme delle torce fino a farle esplodere e sentii bruciare la mia memoria, chiamai a me l'acqua che filtrava dalla roccia e scorsi per l'ultima volta i pochi volti che ancora rammentavo sbiadire nel nulla.
Il demone scatenò le sue marionette per fermarmi, ma io ero nella loro testa e sentivo ogni filo con cui le muoveva, e ancora riuscivo a contrastarle, seppure quei fili stavano gradualmente imbrigliando anche me. Dovevo finirla, finirlo ora, prima di appartenergli del tutto.
– Night! – gridò una voce alle mie spalle. Il bandito, quell'idiota, non se n'era andato, anche se nessuno dei fantocci del demone badava più a lui. – Vieni via, scappa con me!
Non gli risposi. Ormai potevo solo sperare che rinsavisse prima che fosse troppo tardi per mettersi in salvo. Quanto a me, ero già andata troppo oltre, e inoltre, glielo avevo detto.
La mia vita già apparteneva a quel demone, e non sarei sopravvissuta alla sua morte, come non lo avrebbe fatto nessuno di quelli che aveva trasformato in bestiali burattini.
Con uno sforzo immane, schiacciando contro le pareti del cranio tutto ciò che restava di me, attirai verso il basso il soffitto irto di stalattiti. La roccia scricchiolò, crepitò, sanguinò acqua di falda dalle fessure in gocciolii sempre più frequenti e poi in rivoli inarrestabili, seguiti da piogge di polvere in più punti, finché con uno schianto qualcosa lassù in alto si spezzò e la pietra si frantumò e crollò, seppellendoci tutti.
Non sapevo più chi ero. Sapevo solo che ero da sola, vuota, nell'oscurità, in attesa di svanire. Non era poi così brutto svanire, quando non si ha più nulla.
Ma il tempo passava, e io non svanivo. Non era giusto. Avevo atteso così tanto di essere libera, non so perché ma ero sicura che fosse così, e invece la tanto agognata libertà mi veniva negata.
Ero viva. E se io ero viva, allora la mia missione non era compiuta.
Mi ci volle un po' per rammentare qual era, questa missione. Allora raccolsi il poco che mi era rimasto, lo radunai attorno al vuoto che ero diventata, e costrinsi il mio corpo dolorante a scavarsi una via per tornare alla luce.
Ero ancora destinata a svanire, ma ancora. Non quel giorno. Non finché la mia missione non fosse compiuta.

Nessun commento:

Posta un commento