lunedì 18 luglio 2022

Solitudine negata


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Rachel Claire da Pexels


Qualche volta sento il bisogno di isolarmi da tutto questo. Da Thanatos, che mi sta col fiato sul collo e pretende che io aumenti la mia quota di anime settimanali. Dagli esseri umani, che hanno il brutto vizio di essere estremamente deperibili, anche nei momenti e nei luoghi più impensati. Dagli echi che l'approssimarsi del loro momento crea dentro di me, quella pressione ineluttabile che mi spinge ad agire, a prenderli, ad appesantire la mia falce.
La sala delle memorie ribelli era un buon posto dove evitare il richiamo dei mortali, trattandosi di un'idea di luogo, un posto irreale, inesistente, dove nessuno è mai morto né morirà mai, come nessuno ci ha mai davvero vissuto, del resto. Ma tutti quei dannati intrappolati nel limo giallastro, in attesa di affondare e tornare all'oblio, lo rendeva un luogo tutt'altro che silenzioso, oh no. Inoltre, lì incontrare Thanatos era più che scontato.
L'alternativa era scegliere un posto sulla terra che fosse pericoloso e ostile alla vita, qualunque forma di vita. Avevo provato con le profondità abissali, ma erano troppo umide per i miei gusti, e anche troppo affollate. Qualche volta, quando le tempeste impedivano ai temerari di arrampicarsi fin lassù, me ne stavo appollaiato su un picco innevato. Ma i miei preferiti restavano i vulcani attivi.
C'è di buono che non sento il caldo, o meglio, posso sentirlo se voglio, ma non mi dà fastidio. Avrei potuto tranquillamente fare il record del mondo di camminata sui carboni ardenti. Uno dei vantaggi di essere diventato la personificazione di un'idea astratta, e di avere quindi un corpo creato apposta per questo scopo. Uno degli svantaggi lo percepii proprio un giorno in cui avevo particolarmente bisogno di starmene per conto mio, a osservare lo spettacolo delle esplosioni piroclastiche e il bagliore della lava che scivolava lenta lungo il pendio. Sembrava che avrei potuto godermi in santa pace tutto quel caos, quando avvertii una vibrazione scorrermi pressante lungo la spina dorsale, o qualunque cosa avessi al suo posto, e capii di non essere solo. Cercai di resistere, ma alla fine mi rassegnai e andai in cerca dell'idiota che aveva deciso di fare una passeggiata nei dintorni di un vulcano e rovinarmi la vacanza.
Lo trovai sul versante nord, quello delle solfatare. L'idiota era andato a metterci la faccia, e quando lo trovai se ne stava sdraiato a terra con un lato del volto completamente ustionato, che rantolava e tossiva per le esalazioni tossiche. Mi resi visibile a lui, all'epoca lo facevo ancora, e gli chiesi: – Perché sei qui?
Lui agitò le mani in cerca di un appiglio tra i sassolini neri di magma solidificato, forse nel tentativo di tirarsi su e guardarmi. Dopo un po' di quell'annaspare, giacque ansante ai miei piedi, e rispose: – Volevo starmene un po' da solo.
Ha! Un'anima affine.
Ma questo significava che né io né lui avremmo realizzato il nostro desiderio.
– Per... favore... ti prego... – L'uomo ustionato cercò di umettarsi le labbra. – Hai un cellulare? Chiama aiuto. Il mio l'ho perso... là...
– Non posso – replicai in tono freddo. Non avevo un cellulare, e anche se l'avessi avuto, il mio ruolo richiedeva una certa neutralità. Ci avevo provato a vivere come prima, a sentire pietà per loro e aiutarli. Non aveva funzionato.
L'uomo usò tutta la forza che gli restava per insultarmi. – Ma che razza di uomo sei, te ne stai lì a guardarmi morire e basta? Che bastardo farebbe una cosa del...
Approfittai di un accesso di tosse che aveva interrotto i suoi rimproveri per ordinargli: – Guardami, e capirai.
Sapevo l'impressione che facevo, con il saio marrone e la falce sulla spalla, e lo sguardo terribilmente intenso perché tanto non ho bisogno di battere le palpebre. L'uomo a fatica riuscì a girarsi sulla schiena e a guardarmi con l'unico occhio buono, e una volta superato il primo momento di incredulità, trasalì. Buon segno. Perlomeno non aveva urlato.
– Sei... sei vero? – esalò con un filo di voce.
– No, sono solo un parto della tua immaginazione.
Lo so, non era il momento giusto per farlo, ma a volte non resisto alla tentazione di prendervi un po' in giro.
– Perfetto. Davvero perfetto. Sono qui, solo come un cane, a soffrire le pene dell'inferno, e tutto ciò che riesco a immaginare è un ragazzino con una falce?
– Credimi, il vecchio non è altrettanto simpatico.
Thanatos non si sarebbe mai fermato a fare due chiacchiere con un mortale. Io, una volta, lo facevo.
– Siete in due?
Annuii.
– È tuo padre?
Alla domanda quasi mi venne da ridere. La risposta completa sarebbe stata molto complicata e più lunga del tempo che gli rimaneva da vivere. Thanatos non mi aveva generato e non mi aveva cresciuto quand'ero stato un mortale come l'uomo che avevo di fronte. Nemmeno il mio vero padre mi aveva cresciuto, non per più che qualche anno all'inizio, ma quello era un altro paio di maniche. Thanatos mi aveva dato questa seconda esistenza, aveva creato questo corpo per me, ma non potevo affermare di essergliene grato, né di vedere in lui una sorta di genitore. Anche se in effetti avevo avuto la mia fase da adolescente ribelle e avevo cercato di oppormi a lui in ogni modo possibile.
– Lo considero più un datore di lavoro – tagliai corto.
– Ah – fece soltanto l'uomo, e chiuse l'occhio buono per un istante. Sapevo che non era morto, perché non l'avevo ancora preso. Il suo richiamo risuonava ancora dentro di me.
Si portò una mano al petto, ogni respiro più lento e faticoso del precedente. – Dimmi la verità... sono messo tanto male?
Sollevai la falce dalla spalla. Non era ancora il suo tempo, ma era in mio potere affrettare le cose. – Posso farlo ora, se vuoi.
– No! No! – si affrettò a dire l'uomo. Non posso dire di non capirlo, perché sono stato mortale anch'io, a differenza di Thanatos che proprio non capisce e non lo capirà mai; ma è curioso come alcuni che ancora potrebbero vivere si arrendono, ed è la loro resa, più che la malattia o la vecchiaia, a ucciderli; mentre altri, che sono totalmente, definitivamente spacciati, si aggrappano a ogni istante di vita, per quanto doloroso esso sia, con tutta la forza che hanno.
– Va bene. Come vuoi, per ora. Ma resto al tuo fianco.
Lo dissi perché avvertivo voci umane tra gli sbuffi di vapore delle solfatare, passi tra l'acciottolio dei frammenti di roccia magmatica che rotolavano a valle. L'uomo rise e tossì, e fu così che i soccorsi lo trovarono. Io mi ero già ritirato, tornato invisibile, con la mia pericolosa compagna di viaggio dalla lama ricurva a distanza di sicurezza dalle preziose vite che ancora non mi chiamavano.
Lo avevano trovato, ma lui non ce l'avrebbe fatta. Lo portarono via e il pendio del vulcano fu di nuovo tutto per me, ma non mi andava più così tanto di stare da solo.

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