lunedì 27 novembre 2023

Progresso


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Foto di sergio souza da Pexels


Lo chiamavano Progresso. Ma per la Foresta, il suo nome era Morte.
I vecchi ricordavano ancora di quando tutto il mondo era Foresta, e raccontavano di quel tempo quasi mitico con nostalgia rimpianto.
– All'epoca i canti dei Piumiferi risuonavano incessantemente – dicevano, scandendo bene quella parola. – E il loro numero tra i rami degli alberi era incalcolabile. Il suolo era più fresco, una volta, e l'aria profumava di musco e mirra. Persino il sole, nel concederci la sua luce, era molto più gentile.
Ogni giovane abitante della foresta aveva almeno un nonno che si metteva di punto in bianco a rimembrare di un'epoca felice ormai trascorsa. E allora parlavano a ruota libera, ammorbando con vuote chiacchiere il nipote di turno rimasto disgraziatamente incastrato nella logorrea del vecchiardo. Non si rendevano conto che quelle parole non sembravano reali ai giovani Pellelegno: per loro, i Piumiferi erano sempre stati rari e silenziosi, l'erba che si piegava sotto i loro passi era sempre stata tiepida, l'aria aveva sempre avuto un retrogusto stantio e metallico misto al disgustoso sentore di cenere, e quanto al sole gentile, non capivano proprio che cosa intendessero dire gli anziani progenitori con quella espressione.
Il sole era sole, e nemmeno il Progresso poteva cambiarlo.
Quando le foglie della Foresta stormivano più forte nel vento e il raro canto di un Piumifero si levava tra le fronde, e gli Scuoiattoli fuggivano verso il cuore del bosco, i giovani Pellelegno raggiungevano i margini della Foresta, ridotta ormai a poche migliaia di alberi, e impotenti restavano a guardare. E piangevano lacrime di resina.
– Un altro albero brucia – dicevano gli anziani, che non avevano bisogno di vederlo per sapere ciò che stava accadendo. Lo sentivano nel vento, nel frinire delle Cicaline che trasmettevano il messaggio di albero in albero. – Maledetto Progresso, maledetti Pellemetallo!
Erano quelle creature dure e lucide, scintillanti alla luce di un sole impietoso nel deserto che avevano creato, il nemico dei Pellelegno e di tutta la foresta. Erano venuti da lontano, si mormorava, da un mondo che somigliava loro quanto un tempo Viridis, il Mondo Foresta, era stato simile ai Pellelegno. E subito, non appena erano giunti, avevano iniziato a far somigliare anche Viridis a loro.
Così avevano estirpato gli alberi e innalzato le loro città di torri scintillanti che brulicavano di Pellemetallo come una tana di Formilline, e i Pellelegno, che da sempre erano ospitali con gli stranieri che raggiungevano il loro mondo, li avevano lasciati fare, pensando che una volta avuto un posto dove stare, i Pellemetallo si sarebbero fermati... e invece no, avevano continuato a costruire imperterriti città dopo città, e le città si erano ingrandite e fuse fino a coprire quasi per intero il suolo del pianeta, e ancora non accennavano a fermarsi.
I Pellelegno erano stati relegati in un angolo, ridotti di numero fino a diventare una minoranza nella loro stessa casa. Di tutte le tribù che un tempo popolavano l'immensità della Foresta, non ne era rimasta che una. Stavano sparendo, proprio come i Piumiferi.
Le Volpicule che avevano teso loro tanti agguati quando il Mondo Foresta era ancora tale avrebbero riso della debolezza dei Pellelegno, ma ormai di Volpicule non ne era rimasta nemmeno una. Si erano spente ridendo, cosa che i giovani Pellelegno non erano disposti a fare.
Inutile che gli anziani avessero tentato di placare l'animo bellicoso dei giovani, in nome della tradizione antica dell'ospitalità e del quieto vivere. Per questi ultimi non esisteva che una sola soluzione: guerra. Ecco che cosa il Progresso aveva portato su Viridis. Superfluo dire che combattere i Pellemetallo armati degli ultimi ritrovati tecnologici con archi, frecce e lance di legno si rivelò più arduo del previsto, e che nel frattempo forse per ritorsione o forse perché intendevano concludere quella faccenda al più presto o forse ancora per il naturale accelerare del Progresso, i Pellemetallo stavano divorando la Foresta a un ritmo sempre più rapido.
Ormai era diventato impossibile non udire, fin nel cuore dell'Ultima Foresta, il cigolio metallico degli invasori, non avvertire il lezzo di fumo e devastazione, non fremere di timore al silenzio di quelle voci un tempo note. Perduti erano i Piumiferi, perdute le Volpicole e le Formilline, perdute le allegre Cicaline. Perduti anche gli anziani, che non sopportavano più di vivere in un mondo che non era più quello che avevano conosciuto, un mondo in lotta per sopravvivere.
I giovani Pellelegno si erano fatti astuti: sapevano come muoversi di soppiatto, come non essere visti, e avevano imparato quale impasto di fango e resina tirare contro i Pellemetallo, e in quale punto del loro corpo, per accecarli e infastidirli, e come aprire il loro corpo lucido per scoprire l'intrico di liane al loro interno, e quali di queste strappare per farli crollare immobili a terra, forse morti, se di morte per loro si poteva parlare. Di fronte alla nuova astuzia che avevano scoperto nei Pellelegno, i Pellemetallo si erano fatti più cauti, e quando venne il tempo di attaccare l'Ultimo Albero, tutto ciò che restava dell'immensa Foresta che un tempo copriva tutta Viridis, il portatore dei semi che avrebbero potuto restituire la vita alla loro terra e per questo così strenuamente difeso dagli ultimi Pellelegno, il Progresso portato sul pianeta dal Collettivo delle Macchine si ritrovò costretto a pagare dei mercenari per fare il lavoro al suo posto.
Complici anche i trattati interplanetari e quei ficcanaso della Società per lo Studio e la Preservazione delle Meraviglie Naturali, alleati inconsapevoli dei Pellelegno, il Collettivo delle Macchine era dovuto ricorrere a un metodo indiretto per eliminare definitivamente il problema che aveva rallentato il Progresso. E fu così che scelse come suoi campioni la più improbabile delle compagnie.
I loro nomi erano Cinde, Handel e Mod. Tre tizi parecchio vulnerabili alle lance di legno, e che ci tenevano un sacco alle loro vite, più di quanto tenessero a diventare ricchi o a divertirsi nel far esplodere un albero.
Quel che avvenne poi, per il popolo dei Pellelegno, divenne leggenda.

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