lunedì 13 novembre 2023

Ricordi di battaglia


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Dmitrii Fursov da Pexels


La gente pensa sempre che i cimiteri siano pieni di fantasmi. Pensano, andando lì, di parlare con lo spirito dei loro cari, di poter cercare un contatto, di ricevere un segno. E così parlano con una pietra, cercano risposte in una foto, e non sanno che la casa in cui quelle persone hanno vissuto conserva molto più del loro spirito che non la loro tomba.
Ero stata in molti cimiteri, e non avevo mai avvertito una sola presenza.
Né i bisbigli diurni dei parenti in visita, né i freddi silenzi della notte avevano mai risvegliato alcunché in me, quando per mia scelta o su incarico di qualcuno mi ero aggirata tra le file ordinate di lapidi e le cripte di un camposanto. Non avevo provato nemmeno un brivido in quelle passeggiate, come capita talvolta alle persone più suggestionabili nel leggere i nomi di chi non è più, poiché io sapevo cosa aspettarmi, e non avevo paura di un passo che in fondo era normale.
Altrove, avevo visto e sentito cose che non appartenevano a questo mondo, di cui non parlavo mai volentieri poiché il dirle ad alta voce mi aveva fatto guadagnare l'appellativo di pazza e di truffatrice. Altrove, ma mai nel luogo deputato all'ultimo riposo. Ironico a dirsi, non c'era vita nei cimiteri.
Perciò quando il mio cliente mi invitò a passare una notte nel cimitero di Roccapersa, pensai che avrei passato l'ennesima nottata tranquilla.
Quanto mi sbagliavo.
Era una di quelle sere di primo autunno, con una lieve brezza fresca che sapeva di pioggia, quando mi incamminai su per la bassa collina che dominava la campagna. Leandro, che mi aveva più volte fatto da assistente in una delle mie escursioni, mi seguiva dappresso, perciò non temevo nulla, neppure la noia che altrimenti avrebbe tediato le lunghe ore notturne. Le foglie erano ancora verdi, e dopo un tramonto di fuoco, il cielo terso sarebbe presto sprofondato nell'oscurità.
C'era ancora luce, tuttavia, quando varcammo i cancelli del cimitero, e mi fu facile indovinare perché il mio cliente aveva tanto insistito affinché visitassi quel posto, e allo stesso tempo si era categoricamente rifiutato di accompagnarmi. Le lapidi e le croci di quel cimitero erano quasi tutte molto antiche, inclinate in direzioni diverse per il cedimento del terreno, e in gran parte le incisioni erano state erose dal tempo e dalla furia degli elementi. Camminando tra loro, non era facile rintracciare file ordinate e vialetti, tanto sembravano disposte in modo casuale sul terreno, come se chi si era occupato delle sepolture avesse scavato un po' dove capitava, a seconda dell'estro del momento invece di seguire un piano preciso.
Tra gli alberi cresciuti fra le tombe, alcuni dei quali ormai divenuti scheletri neri, secchi e spogli, si aggirava uno stormo di corvi che gracchiava incessante. Fossi stata superstiziosa, o folle come mi accusavano di essere, avrei detto che se c'era un luogo al mondo in cui avrebbero potuto aggirarsi dei fantasmi, era quello e nessun altro. Ma io e Leandro non davamo retta a simili dicerie e suggestioni, e dunque ridemmo all'idea.
Le prime ore dopo il tramonto passarono tranquille, e la luna piena si levò sempre più alta in cielo, rendendo superflue le torce che avevamo negli zaini. Nel chiarore diffuso dell'astro notturno al suo massimo splendore, le pietre tombali tra le quali ci aggiravamo stringendoci nelle giacche si vedevano benissimo, e con la giusta inclinazione era possibile persino leggere le incisioni di quelle meno danneggiate. Non c'era nulla che ci avvertisse che quella sarebbe stata una notte diversa dalle altre che avevamo trascorso chiacchierando o semplicemente accompagnandoci nel rispettivo silenzio, e come sempre mi persi nel pensiero di quanto stavo bene con lui, il solo che mi avesse sempre creduto senza alcuna riserva. Non era facile trovare una persona del genere, per quelli come me che sentivano cose difficili da comprendere.
Fu quando la luna era prossima allo zenit che iniziai ad avvertire i primi segnali. Piccole cose, in realtà, all'inizio. In assenza di vento, un respiro che permeava l'aria e mi accarezzava le guance. Inquietudine che mi spingeva a camminare più svelta. Il gracchiare dei corvi che si ripeteva più forte, riempiendo la collina di echi sinistri. La maggior parte delle persone che ha una lieve forma di sensibilità al mondo degli spiriti può percepire questi stessi segnali, ma di solito li scambia per la propria immaginazione.
Mi era chiaro ormai che anche il mio cliente li aveva avvertiti, e non era caduto nella trappola della logica.
– Qui c'è qualcosa – dissi a Leandro quando i segnali si fecero più forti. Odore di sangue e di polvere da sparo. Un urlo indistinto che era più nella mia testa che nelle orecchie. Lampi di percezioni troppo rapide da afferrare nell'istante di oscurità in cui battevo le palpebre. – C'è davvero qualcosa.
Fu un attimo, e mi trovai da un'altra parte. O meglio, ero sempre lì, sulla collina, ma in un altro tempo. Il cimitero era svanito, ed era un limpido mattino di tarda primavera, con i prati in fiore, il sole che mi scaldava la pelle e una frotta di passeri, fringuelli e pettirossi che cinguettavano tra gli alberi. C'era, sì, l'immancabile corvo che gracchiava di quando in quando, ma il suo verso sgraziato non mi indispettiva. Era bello stare lì. Era piacevole.
Uno sparo risuonò improvviso e mise a tacere gli uccelli, che si levarono in volo. Un cacciatore, pensai, ma poi altri spari esplosero attorno a me, a destra e a sinistra, e vidi uomini in uniformi diverse che si affrontavano sulle pendici e la sommità della collina. Altri uomini si aggiravano a cavallo gridando ordini e caricando i fanti intenti a ricaricare i moschetti, che colti di sorpresa si davano a un'inutile fuga prima di essere raggiunti e colpiti alle spalle, o calpestati dagli zoccoli dei cavalli. Ovunque, attorno a me, gli uomini combattevano e morivano.
Era il ricordo di un tempo passato, mi diceva la mia mente razionale, il ripetersi di ciò che era già accaduto. Avevo già vissuto esperienze così e sapevo che per quanto spaventose, non potevano farmi del male. Eppure, questa era diversa.
Non avevo mai vissuto nulla di così reale. Di solito, le immagini che si presentavano ai miei occhi erano come nebbia sovrapposta alla realtà, forme inconsistenti attraverso le quali potevo vedere. Questa nuova realtà di fronte ai miei occhi invece era... pesante, calda di sole e densa di grida, odorosa d'erba bagnata di rugiada e del fumo di un carro dato alle fiamme. Un uomo in fuga, urlante e con il volto per metà insanguinato mi corse incontro, e nell'oltrepassarmi mi colpì con il braccio la spalla, e non mi passò attraverso, anzi, mi fece barcollare all'indietro per la violenza di quello spintone. Allora la mia mente razionale perse la battaglia e vinse la paura, e anch'io fuggii di fronte al cavaliere che lo inseguiva e trovai un rifugio provvisorio dietro un carro ribaltato. Il rumore di spari e le grida di dolore si fecero assordanti, e io non riuscii a far altro che starmene inginocchiata lì, con le braccia sopra la testa in un'inutile difesa da tutto quell'orrore.
Qualcuno mi scosse, e quando alzai gli occhi vidi che era Leandro, e per un istante mi chiesi che cosa ci facesse lì lui che non poteva vedere, lui che mi credeva senza aver mai avuto una sola prova. Ma poi ebbi freddo, e capii che non era lui a essere venuto da me, ero io che ero tornata.
Il cimitero si stagliava attorno a me nel chiarore lunare con le sue lapidi e le sue croci tutte storte come un enorme istrice addormentato. Passeggiammo ancora un po' tra le tombe, e gli raccontai la mia esperienza, e Leandro mi aveva appena chiesto se volevo andar via quando ne ebbi un secondo assaggio.
Stavolta era pomeriggio inoltrato, lo capii dal sole basso in cielo a ovest, e le foglie sui rami cominciavano già a mostrare la prima ruggine dell'autunno. Ero in mezzo a un gruppo di uomini abbigliati in modo strano, con quelle che mi parvero stole dai colori vivaci drappeggiate su una spalla e strette attorno al torso da pettorali di cuoio. Lo stesso materiale proteggeva la parte frontale delle gambe, stretta da cinghie sul retro sopra un paio di brache. Alcuni di loro portavano spade e scudi tondi di legno, altri erano armati di lance.
Con mia sorpresa, uno degli uomini del gruppo si girò verso di me, e parve proprio vedermi, perché mi tese una lancia e mi disse qualcosa in una lingua che non capivo, ma di cui compresi il senso.
"Arrivano".
Contro la mia volontà, sentii che allungavo una mano e afferravo la lancia, e spingendo lo sguardo in lontananza, oltre quel gruppo di uomini che ormai consideravo "il mio gruppo", ne vidi un altro molto più numeroso, agguerrito e feroce, che risaliva di corsa la collina lanciando urla belluine di sfida.
Dietro gli scudi dei miei compagni, abbassai la punta della lancia e mi preparai allo scontro.
Braccia forti mi cinsero le spalle, il calore di un altro corpo riscaldava il mio nella notte, e quando mi sfuggì un singhiozzo dalle labbra, udii la voce spezzata di Leadro che diceva, mentre si scioglieva dall'abbraccio: – Non riuscivo a svegliarti... scusa, ma stavolta non riuscivo a svegliarti!
Gli afferrai una mano e risoluta, dissi: – Ho visto abbastanza. Andiamo via, prima che ricapiti di nuovo.
Leandro concordò che era la decisione più sensata che potessi prendere, e ci incamminammo verso i cancelli lontani, dall'altro lato dell'antico cimitero. Ebbi altri due episodi prima di varcare il cancello, e un terzo appena fuori, che mi catapultarono in battaglie avvenute chissà quando nel corso del tempo, ma in tutti e tre gli episodi furono così leggeri che Leandro non ebbe difficoltà a riportarmi indietro, e dunque le visioni non durarono che pochi istanti.
Il giorno seguente riferii quello che avevo visto al mio cliente, e lui mi parlò delle ricerche che aveva svolto sulla storia di Roccapersa, e che mi aveva tenuto nascosto per non influenzarmi.
La collina era stata nel corso del tempo teatro di numerose battaglie in un territorio perennemente conteso, di quelle a cui io avevo assistito e di molte altre a cui ero sfuggita abbandonando il cimitero nella notte. Quello di Roccapersa era davvero diverso dagli altri, perché la collina era stata sul serio un cimitero, un luogo dove le persone avevano combattuto, avevano sofferto, ed erano morte, e non soltanto un posto dove si seppellivano i loro corpi ormai privi dello spirito.

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