lunedì 6 novembre 2023

Una nuova forma d'arte


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di . . da Pexels


Di arti al mondo ne esistevano parecchie. Secondo Aembryl, in effetti, erano tante quanti i tipi di avventurieri che si avvicendavano alla Taverna degli Eroi. Le più rinomate, la pittura e la scultura, erano come i barbari dal fisico possente e la voce stentorea, che sgomitavano e cianciavano al di sopra del vociare che si levava dalle altre compagnie. Impossibile non notarli.
La musica, che si udiva talvolta nelle serate più calme alla taverna, era fin troppo facile da associare a un bardo capace di descrivere ogni minuzia del viaggio e di una battaglia fin quasi a farti credere di esserci stato, ma per Aembryl la musica, soprattutto se agli strumenti si accompagnava il canto, era come quei maghi che avevano studiato tanto per riuscire a plasmare la realtà con il suono della loro voce.
La danza era un elegante guerriero, padrone di ogni suo movimento e silenzioso, un letale assassino della cui presenza ci si accorgeva sempre troppo tardi. Uno di quelli che non parlava, ma agiva. Uno di quelli che Aembryl ascoltava con attenzione, le rare volte in cui si decideva ad aprir bocca, perché le sue parole valevano oro.
Le arti letterarie erano gli esploratori, senza i quali le compagnie di eroi si perdevano o rischiavano di finire in un'imboscata. Anche quando entravano nel territorio familiare della taverna, si vedeva che gli esploratori sapevano più dei loro compagni chi interpellare, come chiedere, e qual era il posto migliore dove sedersi.
Le arti cosiddette minori, i mestieri artigianali del vasaio, dell'orafo e del tessitore, erano i pazienti arcieri che gli eroi più combattivi, quelli in prima linea, sottovalutavano sempre. Con cautela, con il tempo, e con un colpo ben assestato, loro riuscivano laddove gli altri avevano fallito, ma restavano umili e non si vantavano dei propri successi.
L'unica eccezione era l'arte dei vetrai, che con i loro colori sgargianti somigliavano più alla categoria di eroi che Aembryl aveva chiamato "gli elegantoni": non importava che cosa facessero, l'importante per loro era farlo con stile, con le armi più decorate, le armature più scintillanti, le vesti più pacchiane. Anche nel raccontare le loro avventure, gli elegantoni infiorettavano i propri discorsi di locuzioni auliche ed espressioni poetiche.
Poi c'era l'arte spesso trascurata di ascoltare, la preferita da Aembryl, che alla mente le richiamava sempre l'indispensabile guaritore. In un mondo dove a molti piaceva combattere e parlare, incontrare un buon ascoltatore o un buon guaritore era un'occasione rara, eppure senza di loro il resto del gruppo non poteva fare molta strada. Li si riconosceva perché entrambi erano sempre pronti a prestare orecchio o una mano a chi ne aveva bisogno.
Per quanto i tipi di arte, come di avventurieri, fossero molti, Aembryl aveva sempre creduto di conoscerli tutti, almeno a grandi linee. Almeno finché alla Taverna degli Eroi non prese lavoro un tipo di artista, e di avventuriera, che Aembryl non aveva mai visto.
Sembrava un'opera d'arte lei stessa, con tutti quei colori che le danzavano sul volto e sulle mani. La nuova arrivata solitamente se ne stava in cucina, a praticare la sua arte, a differenza delle cameriere e della locandiera che non disdegnavano chiacchierare con gli eroi, anzi, lo facevano volentieri. Nearmel, invece, forse per una forma di ritrosia o forse per disinteresse, preferiva lavorare dietro le quinte, ma quando usciva dalla cucina che ad Aembryl ricordava tanto il laboratorio di un alchimista, il suo arrivo era un vero e proprio spettacolo. Allora le chiacchiere tacevano, la musica si fermava, le posate smettevano di fare il loro lavoro, e perfino l'occasionale rissa veniva sedata dalla sua presenza.
Perché quando arrivava Nearmel, tutti sapevano che era giunta l'ora di presentare una delle sue creazioni artistiche. Creazioni che finivano nella gola di chi se le accaparrava per primo, o al prezzo più alto, come si conveniva a un dipinto pregiato.
Le opere di Nearmel erano tutte, senza eccezione, commestibili.
Aembryl non sapeva come facesse, ma i manicaretti preparati da lei, a differenza di quelli dello storico vecchio cuoco della Taverna degli eroi, erano belli a vedersi oltre che saporiti, e non era raro che i cibi più comuni presentassero colori insoliti o un disegno tracciato sulla superficie. Crema di latte verde, confettura di ciliegie blu, stufato candido come la neve, frittata di uova rosse, una fantasia di gattini sulle cosce di pollo e il volto del fondatore della città impresso su una pagnotta appena sfornata.
Questa era l'arte di Nearmel, e da quando c'era lei, la taverna già tanto affollata di eroi e di ragazzini che li ammiravano e che non vedevano l'ora di imbarcarsi per un'avventura tutta loro si riempiva al limite del possibile. Aembryl in quel periodo faticava a raggiungere il bancone, dove si piazzava per ammirare la locandiera e le cameriere esibirsi nell'arte dell'ascolto.
Era pure, con tutta quella gente, molto più difficile sentire le parole delle voci più deboli e più timide tra la folla che rideva sguaiatamente e quasi gridava e faceva tintinnare posate e bicchieri, e ogni tanto qualcuno di questi ultimi finiva in frantumi sotto a un tavolo. Perciò, a tutta prima, di fronte a quella nuova forma d'arte Aembryl ebbe la stessa reazione che i vecchietti avevano di fronte alle novità: non ne capì il senso, e la prese in odio. Era colpa di Nearmel e della sua stravaganza se lei non poteva più fare con lo stesso agio quel che aveva fatto fino a quel momento. Quella di Nearmel non era vera arte, e con il tempo tutti lo avrebbero capito e così la novità sarebbe stata messa da parte. Questo pensava Aembryl, finché non le capitò di ascoltare Nearmel, e scoprire qualcosa che in pochi sapevano.
– Sono stata colpita da una maledizione durante una delle mie avventure, proprio così, può capitare, sai? – le disse Nearmel mentre sul volto le danzava un caleidoscopio di colori. – Credevi che ci fossi nata, così? No davvero, non si nasce con l'arcobaleno addosso, non so perché qualcuno potrebbe pensare altrimenti. Una maledizione, forse meno pesante del tocco che trasforma tutto in oro, posso ritenermi fortunata per questo, ma tutto ciò che di commestibile mi capita per le mani ne esce alterato nel colore e spesso anche nel gusto. La mia stessa pelle ne è affetta, come vedi, e in altre circostanze ti inviterei a leccarmi per scoprire di cosa so, ma non mi pare questo il caso.
– Sarai diventata la preferita dei draghi – commentò Aembryl, per indurla ad aggiungere dettagli alla sua storia.
– Non ne hai idea! – confermò Nearmel. – Ogni volta che mi avvicino a uno, mi scambia per una caramella! Ma è stata proprio durante una di queste spiacevoli disavventure, che ho avuto il lampo di genio. Perché non sfruttare la maledizione e preparare pasti insoliti per altri? E così, eccomi qui.
Aembryl fu grata di averla potuta ascoltare così come faceva con gli altri avventurieri.
Non avrebbe mai scoperto, altrimenti, una nuova forma d'arte, quella che si svolgeva in cucina e che tanto in comune aveva con gli eroi che si occupavano di dar supporto agli altri, di miscelare pozioni non visti nel loro angolino e di rivelarle poi in tutto il loro splendore di effetti speciali, esplosioni pirotecniche e tonici rinvigorenti.

Nessun commento:

Posta un commento