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Ci chiudemmo la porta alle spalle con più giri di chiave e tutti i lucchetti e i chiavistelli che riuscimmo a trovare.
– Te l'avevo detto che non ci dovevamo venire, qui! – rimproverai Robert, addossandomi con la schiena alla porta. Avevo il fiatone, mai riuscii a trovare abbastanza voce da continuare: – Mai, mai, mai entrare in una antica dimora fatiscente durante un temporale! I libri e i film sono pieni di situazioni del genere, e sai che fine fanno i protagonisti?
– Restano all'asciutto e ne escono fuori con una bella storia da raccontare ai nipoti? Sai, una volta io e tua nonna siamo quasi stati ammazzati da un fantasma o dissanguati da un vampiro o presi in ostaggio da uno scienziato pazzo, ma tutto è bene quel che finisce bene, no?
Gli lanciai un'occhiataccia. Beato lui che aveva ancora voglia di scherzare. Io invece ripresi un attimo di fiato prima di studiare la stanza in cui ci eravamo rifugiati.
Che era un vicolo cieco, una strada senza uscita, me n'ero accorta subito. L'unica altra apertura era una finestrella posta in alto, bassa e lunga, sulla parete di fronte a noi. Non vi batteva la pioggia che cadeva copiosa, probabilmente sospinta altrove dal vento, ma di tanto in tanto un lampo illuminava la stanza per una frazione di secondo, lasciandomi intuire le sagome metalliche di parecchi boiler posti in fila sulla parete di sinistra, dai quali proveniva il basso e costante ronzio che all'inizio avevo scambiato per quello di una lavatrice.
– Toh, c'è un'interruttore – fece Robert, e prima che potessi fermarlo aveva già acceso i lunghi tubi al neon che presero a sfarfallare dal soffitto.
La stanza in sé era una specie di mostro di Frankenstein. Sulla sinistra, la fila di ronzanti armadietti metallici, non troppo moderni ma certamente non in linea con il resto della dimora vittoriana. Sulla destra, cataste di legna circondavano un caminetto spento. Il pavimento era un mosaico di mattonelle di cotto color ocra, tasselli di parquet di vari tipi di legno, e orrende piastrelle di linoleum verde marcio che sembravano uscite dagli anni 80. Sul soffitto, oltre ai neon accesi, pendevano lampadari di moccoli di candele consumate che avevano gocciolato a terra.
– Il locale caldaie – commentai con un sospiro, e scossi la testa. – Perfetto. Il locale caldaie e la cantina sono tra le stanze più pericolose nelle storie dell'orrore.
– No, la cantina è pericolosa solo se ti attirano lì con la scusa di farti assaggiare un barile di vino pregiato – mi contraddisse Robert.
– Amontillado? – gli chiesi.
– Amontillado – confermò lui.
E ora che avevamo fatto la nostra citazione colta obbligatoria, ci sentimmo liberi di esplorare la stanza. Com'era evidente fin dall'inizio, non c'era un'altra uscita, ma Robert trovò in mezzo alla catasta di legna una serie di paletti appuntiti. Non ero un'esperta di botanica, ma immaginai che fossero di frassino.
– Peccato che non abbiamo a che fare con un vampiro – mugugnò Robert nel mostrarmeli. – Ci sarebbero stati molto utili, ma quel tizio che ci voleva far restare per cena sembrava più il tipo da presenza spettrale e inconsistente... sai, uno di quelli "sotto il lenzuolo niente".
– Era un mantello – lo contraddissi. – Prendiamoli lo stesso. Sai che cosa diceva Cechov delle pistole nelle storie, no? Se ne trovi una a pagina dieci, prendila e sta' zitto, che avere un'arma in una storia spaventosa è sempre meglio che non averla.
– Non credo fosse proprio così, ma va bene – acconsentì Robert con un'alzata di spalle.
Dopo che ci fummo riempiti gli zaini di paletti appuntiti, Robert si girò verso la porta chiusa e tuonò, agitando il pugno: – Siamo armati adesso, non mi fai paura, vecchio fantasma puzzolente!
La sua voce risuonò alta in mezzo al cupo ronzio dei boiler che già cominciava a darmi il mal di testa. Mi affrettai a tappargli la bocca, sibilando: – Ma sei impazzito? Mai sfidare il cattivo di turno. E se...
Mi bloccai prima di pronunciare quelle parole. Non è mai una buona idea suggerire al libro in cui sei intrappolato che forse i fantasmi sono in grado di oltrepassare le pareti, anche se ora che mi sovviene, questo principio dovrebbe essere esteso anche al monologo con cui stai narrando la storia. Oh, be'. Ormai era troppo tardi.
– Accidenti! – biascicai. – Speravo che fosse un posto sicuro in cui restare rintanati fino all'alba.
– Perché l'alba? – mi chiese Robert, che aveva lasciato da parte le minacce al cattivo per darsi un altro po' all'esplorazione. Era accucciato nell'angolo sotto la finestrella, là dove i tubi intrecciati che uscivano dai boiler sporgevano a formare una specie di separé.
– Mi pare ovvio. Le case infestate sono infestate solo di notte. Di giorno sono normalissime, lugubri, vecchie dimore, il cui pericolo principale è il rischio che ti crollino addosso.
– Mmmmh... per loro non ha funzionato – mi disse Robert, indicandomi qualcosa nell'alcova formata dai tubi.
Mi avvicinai con cautela, e scorsi i resti mummificati di una coppia abbracciata, ciascuno con ancora stretto in mano un paletto di legno che non era servito a difenderli. Distolsi lo sguardo.
– Sai, sembrano proprio noi. – commentò Robert. – Hanno i nostri stessi vestiti, e lei ha proprio quell'aria supponente che hai tu...
Afferrai Robert per la spalla. – Andiamo. Via. Subito!
Robert scattò in piedi e raggiungemmo insieme la porta.
La chiave era sparita. Le chiavi di tutti i lucchetti che eravamo stati così ansiosi di chiudere erano sparite, e i chiavistelli erano arrugginiti e bloccati. Sulle pareti, che finora almeno in questa stanza erano state prive delle inquietanti scritte che sembravano vergate dalla mano di un pazzo nel resto della casa, comparve ripetuta più volte la parola "sotto", accompagnata da altre meno comprensibili, forse in latino o chissà in che altra lingua. Il ronzio dei boiler si trasformò in una cupa risata, e la stessa voce lugubre che avevamo udito in sala da pranzo si levò dal pavimento a sentenziare: – Ve lo avevo detto che sotto sotto voi volete restare...
– Neanche per sogno! – sbottò Robert, e preso un grosso ciocco tra quelli ammucchiati attorno al camino, lo lanciò contro la finestrella, che si infranse.
– A quanto pare, c'era un'uscita! – esultai, notando anche che la coppia mummificata era scomparsa. Quindi, o era stata un'illusione generata dalla casa per spaventarci, o quelli eravamo davvero noi, e le nostre speranze di non fare quella fine erano appena aumentate. – Ora dobbiamo solo arrivarci.
E farlo prima che lo spettro che probabilmente era in grado di oltrepassare le pareti ci raggiungesse, ma questo non lo dissi. Ops, l'ho raccontato di nuovo come voce narrante, vero?
Mi lamento tanto di Robert, ma a volte sono proprio una cretina.
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