sabato 3 giugno 2017

Lattescenza

Nel dizionario esistono molte parole riguardanti i colori che sono difficili da associare alla tinta che definiscono, se già non le si conosce. Ma questa non è tra quelle.

Lattescenza [lat-te-scèn-za] s.f. Colorazione, opacità simile a quella del latte.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Se ben ricordo, la prima volta che l'ho sentita è stato nella descrizione di un minerale. E dal momento che quando penso alle creature del Seleeriewn mi vengono in mente le pietre dure del gruppo dei quarzi, l'associazione è stata facile. Anche se Kathy ha già avuto la sua storia in Aneddoche - Da lontano, in silenzio, non ha mai figurato in uno dei brani del sabato... e allora, eccola qui.


Le immagini del corpo umano, nei libri di scuola che avevo sulla Terra, mi avevano sempre spaventato. Vedere teschi, ossa, vene e organi interni esposti come se gli uomini disegnati fossero stati squartati mi metteva a disagio.
In un certo senso era stato un sollievo scoprire che io, dentro, non ero così.
Almeno fin quando non ho incontrato la vysia.
Era più alta, ma simile a noi nell'aspetto: arti longilinei, testa a lampadina, bocca sottile, occhi tondi e nessun naso, bensì fori tappati da una membrana mobile. A differenza di noi, però, la sua pelle liscia come un ciottolo levigato era priva di colore, come se il mare da cui proveniva lo avesse lavato via dalle sue carni, lasciandola trasparente come il quarzo. Vedere attraverso di lei non era meno spaventoso che vedere uno di quei disegni, solo che era tutto nel posto sbagliato.
Sacche, bulbi, globi e sottili strie lattescenti, con appena una lieve traccia azzurrina, galleggiavano al suo interno, pulsavano, si gonfiavano e si sgonfiavano.
Non capivo come potessero gli altri, che erano nati e cresciuti su un diverso pianeta, avvicinarsi senza repulsione, accarezzarla, abbracciarla e appoggiare la testa sul suo addome gonfio, che custodiva un uovo lattescente, sotto il cui guscio s'indovinavano un paio di forme fluttuanti.
Noi che venivamo dalla Terra ci tenevamo in disparte. Il più giovane di noi, il cui nome presso il Seleeriewn era stato distorto in "Ameyhios", aveva gli occhi chiusi, incapace perfino di guardare.
Io la confrontai da lontano con il mio braccio di ametista, la cui trasparenza era interrotta poco al di sotto della pelle da uno strato corneo, ed emisi un gorgoglio disgustato. Non c'era forza nell'universo che avrebbe potuto costringermi a passare il resto della vita in fondo al mare, con l'unico scopo di figliare per il Seleeriewn.
– Non so che cosa voglio diventare. Ma di certo, non una di quelle.
Sentii gli altri trillare il proprio assenso. Finalmente avevamo trovato qualcosa su cui eravamo d'accordo.

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