“Assaggia.”
Il cuore gli batte forte e non sa cosa
farsene delle sue braccia, così le tiene incrociate sul tavolo.
Lei gli passa il cucchiaino: sta
aspettando. Ci sono tante cose da dire, adesso.
Prima di entrare in casa gli sembrava che
si sarebbero esaurite tutte nello spazio che separa l’ingresso dalla cucina.
Invece sono stati zitti.
Infila il cucchiaino nella parte bianca
della farcitura. Suo padre avrebbe fatto lo stesso.
Il sapore del metallo è la prima cosa che
sente, poi c’è solo il dolce che si scioglie sulla lingua e gli sveglia una
parte del cervello che credeva addormentata.
“Lo so perché sei venuto” dice lei nello
stesso momento in cui lui si toglie il cucchiaino dalla bocca e chiede:
“Cos’è?”
“Dimmelo
tu.” Lei incrocia le braccia sul tavolo, appoggia il mento sugli avambracci e
lo osserva con quello sguardo liquido, da gatta. Non sa come ci riesce. Lui non
c’era mai riuscito: ha gli stessi occhi di suo padre, profondi, immutabili, normali.
Lui scuote
la testa, non è più abituato ai colori e ai sapori di quella terra. È stato
lontano troppo a lungo. Ha bisogno di un altro assaggio prima di capire, prima
che la magia abbia effetto. Quella particolarissima magia in cui sua madre è
esperta, l’arte di evocare ricordi con un suono, un profumo o un gusto.
E
all’improvviso ha cinque, sei, sette, otto anni. È a tavola davanti a una torta
di compleanno, e c’è suo padre. Lui c’è sempre al suo compleanno. È l’unico
giorno in cui si fa vivo, ormai.
Suo padre è
lì per infilare il cucchiaino nella parte bianca della farcitura e assaggiarla
con lui.
“Papà resta
con me, per favore” gli chiede con angoscia prima di addormentarsi.
“Mi
dispiace. Non è il mio mondo, questo.”
Lei, al suo
fianco, è esile e fragile quanto un giunco; quasi un fantasma. Non gli pare
reale, non gli pare mai reale quando c’è di mezzo lui. Lui, suo padre, che l’ha
amata, ma che tuttavia ama troppe cose per potersi soffermare su una soltanto. Ha
amato quel mondo di antiche rovine e castelli che ancora portano i segni di
epiche battaglie, ha amato le sue verdi foreste, le macchine volanti e le città
di altissime torri. Ha amato lui e sua madre, ma non abbastanza per restare.
Ha nove
anni ed è in volo con sua madre verso la grande città al di là del mare. Le sue
torri di cristallo e d’argento sono le più alte che abbia mai visto e lo fanno
sentire piccolo, una formichina in una terra di giganti. È tanto vasta che ha rischiato di perdersi in
quella terra, e ha paura; per consolarlo, sua madre lo accompagna in una bottega
di dolci e gli compra una fetta di torta. Lui tuffa il cucchiaino nella parte
bianca della farcitura, ma non ha lo stesso sapore senza suo padre.
Lui c’è,
compleanno dopo compleanno, a dieci, undici, dodici e tredici anni. In questo,
almeno, non lo delude mai. A quattordici anni, mentre assapora la torta assieme
a suo padre con i gesti di sempre, ancora non sa che quella sarà l’ultima
volta. Lo scopre la sera, quando suo padre gli dice che non tornerà e lui
litiga con sua madre. Vuole seguirlo in quel mondo che ha dovuto inventare per
i suoi coetanei, per spiegare loro perché è diverso o perché suo padre si fa vivo
solo ai compleanni. Quel poco che è riuscito a sapere gli sembra banale: a
sentire suo padre, non c’è avventura in quello che chiama “il mondo reale”. Non
gli crede, perciò ha dovuto inventare, aggiungere piccoli particolari qua e là
per rendere le sue storie interessanti.
Nessuno,
ovviamente, aveva mai creduto a lui.
A
quattordici anni non gli bastano più i racconti, vuole sapere che cosa c’è di
vero e se suo padre gli ha nascosto qualcosa. Più di tutto, però, non lo vuole
perdere. Sua madre, invece, non vuole perdere lui.
Litigano,
tutti e tre; e lei, fragile com’è, non può fermarli. Gli infila però un
biglietto nello zaino, svelta: “Ti aspetterò per il tuo compleanno. Torna. Ti
preparo la torta.”
Quando lo
scopre lui lo accartoccia con rabbia, però lo conserva. Non torna indietro, né
per il quindicesimo compleanno, né per il successivo o quello dopo ancora. Nel
mondo di suo padre, fatto di eterno presente, nessuno festeggia i compleanni. E
anche lui, a poco a poco, dimentica. Dimentica i sapori, dimentica i colori
dell’altra terra, e una parte di lui si addormenta. L’altro mondo diviene poco
più che una leggenda, una favola in un libro per bambini. Le sue torri, le sue
foreste, le sue rovine gli sembrano ora fantasie irreali. Gli sembra di aver
immaginato anche lei, così diversa dalla gente di suo padre; eppure qualcosa di
lei sopravvive nei suoi tratti delicati, nelle sue orecchie con appena un
accenno di punta. Lì tutti possono vedere quanto sia diverso da loro, non solo
i bambini.
E niente è
come lo aveva immaginato, ma non sa come tornare indietro. Almeno, non fino ad
ora.
Ha
trentaquattro anni, ma non li dimostra: il vantaggio dell’essere figlio di due
mondi. È seduto al tavolo della cucina di sua madre. Tra di loro, una torta.
“Assaggia.”
Il cuore
gli batte forte come quand’era bambino e non sa cosa farsene delle sue braccia.
Ha trascorso troppo tempo ad affinare la magia che gli scorre nelle vene, e la
gente di suo padre ha modi di sentirsi che non implicano il tatto. Non sa che
farsene, così le tiene incrociate sul tavolo.
Lei gli
passa il cucchiaino: sta aspettando. Ci sono tante cose da dire, adesso,
così tante che proprio non sa da dove iniziare.
Prima di
entrare in casa gli sembrava che si sarebbero esaurite tutte nello spazio che
separa l’ingresso dalla cucina. “Sono tornato.” Invece sono stati zitti.
Infila il
cucchiaino nella parte bianca della farcitura. Suo padre avrebbe fatto lo
stesso. Suo padre, che l’aveva lasciato senza morire. Non muore mai la gente di
suo padre: semplicemente, un giorno decide che ha visto abbastanza, amato
abbastanza, e sparisce dal mondo, così, senza salutare.
Quando
porta il cucchiaino alla bocca il sapore del metallo è la prima cosa che sente,
poi c’è solo il dolce che si scioglie sulla lingua e gli sveglia una parte del
cervello che credeva addormentata. E lo era davvero, dopo vent’anni trascorsi
nell’eterno presente di Alfheim.
“Lo so perché
sei venuto” dice lei. Lo sa. Sa che ha trovato la strada di casa soltanto
quando si è spezzato il legame che lo teneva avvinto a quella terra; sa che suo
padre non c’è più.
Nello
stesso momento lui si toglie il cucchiaino dalla bocca e chiede: “Cos’è?”
Un istante
dopo, la magia tutta umana del ricordo fa il suo corso. Non ha bisogno di
rispondere, ora sa. Panna e cioccolato, la sua preferita da bambino. Ricorda di
avere un biglietto ingiallito da qualche parte, in tasca o nello zaino. Lascia
il cucchiaino per cercarlo, lo trova e lo dispiega sul tavolo. Lei sorride, e
le piccole rughe sul suo volto sono testimoni del tempo trascorso, di
diciannove torte preparate e mai mangiate, della costanza di chi ama pochi al
mondo, ma con tutta l’anima.
“Buon compleanno”
gli dice. “Bentornato nella terra degli uomini. Bentornato a casa.”
E ora, lì
dove il tempo scorre, ha tutto il tempo di raccontare e ricordare.
Nessun commento:
Posta un commento