giovedì 29 dicembre 2016

Le incomprensioni e la commedia degli equivoci

Se provassi a registrare una conversazione per poi trascriverla esattamente come si è svolta, parola per parola, ti accorgeresti che è molto diversa dai dialoghi presenti nei libri o nei film. Interruzioni, cambi di argomento senza logica apparente, sovrapposizioni di voci, lunghe pause, frasi lasciate in sospeso o completate dal linguaggio non verbale, uso del dialetto o di espressioni sgrammaticate, ripetizioni di concetti o di interiezioni, mugolii e versi privi di significato fin troppo frequenti renderebbero un simile dialogo poco verosimile sulla pagina, poco scorrevole, e assai poco piacevole da leggere.

Perciò chi scrive semplifica. Riduce all'essenziale la conversazione, e fa in modo che ogni tic, ogni ripetizione, ogni pausa e ogni esclamazione sia significativa. Se è necessario mostrare a chi legge che un personaggio è in imbarazzo o nervoso, per esempio, si potrà aumentare la frequenza di una interiezione che quel personaggio usa come riempitivo, e che è già stata stabilita in precedenza in altri dialoghi. Così un arrabbiato "Insomma, non ne posso più di te, adesso basta!", diventerà un impacciato "Insomma, non ne posso più di te, insomma, adesso basta... insomma!". Stessa sorte tocca alle pause, o agli errori grammaticali, che possono essere usati per dimostrare che un personaggio non è colto o che non sta parlando nella sua lingua madre.

E poi ci sono le incomprensioni, che possono nascere da una frase estrapolata dal suo contesto, da un'interpretazione errata delle parole di qualcun altro, o dalla normale ambiguità del linguaggio. In ogni lingua sono presenti parole con più significati, o che combinate assieme in modi diversi prevedono un senso alterato o completamente stravolto. Basti pensare alla famosa predizione della Sibilla a un soldato romano: a seconda di dove veniva collocata la virgola, prima o dopo il non, la frase poteva significare "andrai, tornerai, non morirai in guerra", o il suo contrario "andrai, non tornerai, morirai in guerra".

C'è un genere che da sempre sfrutta questo tipo di errore, e che ha tra i suoi autori più famosi Boccaccio, Goldoni e Shakespeare: la commedia degli equivoci. In questo caso un'incomprensione, un gioco di parole, uno scambio di persona diventa significativo al punto da definire tutta la storia. E qui le possibilità sono due: se lo spettatore, o il lettore, non è consapevole dell'errore che è causa delle sventure del personaggio, può immedesimarsi e "soffrire" con lui o lei fino al colpo di scena finale; ma se ne è consapevole, allora potrà allontanarsi dal personaggio, godere dell'ironia della situazione e riderne.


Nel racconto di lunedì, La ragazza del capo, fondamentale è l'errore della protagonista nell'interpretare nel modo errato una frase volutamente ambigua: "ragazza" in quel contesto può avere il doppio significato di fidanzata e (figlia) adolescente. Se avessi scritto "la bambina del capo" non ci sarebbero stati dubbi che si tratta della figlia; così come "la donna del capo", indica in modo palese una compagna. La parola mancante nella frase sul gesso, "papà", è un altro termine che avrebbe chiarito una dichiarazione di amore che può essere letta in più di un modo.

Rileggendolo a distanza di anni, tra i racconti inviati al concorso questo è uno dei due che mi piacciono di meno. Forse per il contesto così normale e quotidiano (l'ho già detto che preferisco scrivere fantasy, o fantascienza, o favole, o qualunque altro genere in cui ci sia un elemento fuori dall'ordinario o impossibile nella vita di tutti i giorni?). Forse perché ho sperimentato il genere della commedia degli equivoci prima ancora di conoscerne tutti i meccanismi, e dunque la storia non mi sembra né divertente come avrei voluto, né coinvolgente. Il racconto rischia di lasciare chi lo legge in un limbo tra il sapere e il non sapere: se da un canto ci sono allusioni della protagonista/voce narrante all'equivoco, per cui si può intuire fin dall'inizio, dall'altro non è mai esplicitamente rivelato fino alla fine. Col senno di poi, lo avrei scritto rendendo più chiaro l'errore fin dal principio, magari con un maggiore coinvolgimento del personaggio di Giulia in un tentativo deliberato di stroncare sul nascere la pericolosa "cotta" della collega. Sarebbe stata una trama possibile dato che anche in questo caso la maggior parte del racconto è sotto forma di un lungo flashback da parte di un narratore che già sa come si sono svolti i fatti. Ma col senno di poi non si scrivono i racconti; al massimo, si riscrivono.


Termino con le tre frasi che salverei se mai dovessi riscriverlo... cosa che non è mia intenzione fare al momento. Ma non si sa mai.

No, la parte più difficile è decifrare la complessa rete di relazioni che animano l’ufficio, scoprire i gruppi, le simpatie e le antipatie e scivolare in quel delicato equilibrio senza scossoni.
Mi trascinavo, come sotto anestesia, in un mondo che aveva perso ogni colore.
Però c’è stato un istante di buio, e in quell’istante mi sono reso conto di cosa mi stavo perdendo.
 
 
A lunedì per il quinto incipit, siamo a metà della serie di racconti, se vuoi lasciarmi un tuo parere nei commenti qui sotto sei il benvenuto, o benvenuta!

Nessun commento:

Posta un commento