giovedì 16 gennaio 2020

Terrore dall'alto


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Anna camminava a testa alta nel caos che era diventato il campo di prigionia delle miniere di smeraldo. Intorno a lei puzza di fumo e grida e guardie che correvano lontano dai fuochi che consumavano le gogne e il capanno degli attrezzi, quello dove tenevano i picconi, le catene e gli strumenti da tortura.
– Drago! Drago! – era il grido che si rincorreva ovunque, tra guardie e prigionieri con gli indici puntati al cielo come se i compagni di sventura potessero non aver notato l'enorme bestia che li sorvolava, e che di tanto in tanto scendeva in picchiata con le fauci grondanti di fiamme.
Anna si beava dello scompiglio che stava creando. Il drago era un diversivo. Il piano era organizzare una fuga.
Mentre si dirigeva alla caserma munita di torrette, l'unico edificio in muratura all'interno del campo, Anna notò con piacere che il drago calava sempre e solo sulle guardie in fuga, e mai sui prigionieri che incespicavano e s'intralciavano l'un l'altro, stretti com'erano in lunghe file di ceppi.
Forse perché quelle catene ricordavano al drago la sua passata condizione e per questo aveva pietà di loro,  si disse Anna. Lei stessa riconosceva la somiglianza tra i galeotti costretti a lavorare nei meandri bui della cava e il drago con le zampe avvinte da una catena d'oro magico nelle profondità della caverna, dove lei era stata gettata per fargli da pasto. Sarebbe morta quel giorno, se non avesse avvertito le emozioni del drago come se le fossero appartenute.
Anna non aveva mai pianto per nessuno, nemmeno per se stessa, neanche quando era stata maledetta dallo stregone Zohar e aveva perso tutto ciò che conosceva e amava, compresi suo fratello e la regina che entrambi avrebbero dovuto proteggere. Ma di fronte alle emozioni che traboccavano dal drago, Anna aveva versato lacrime per l'agonia di quell'anima possente costretta ad avizzire tra pareti di roccia, senza più alcuna speranza di rivedere il cielo. E le sue lacrime, lacrime per il predatore che avrebbe potuto divorarla, erano state la chiave per sciogliere l'oro magico e liberare il drago.
In quel momento, lui stava ricambiando il favore.
Anna entrò a passo spedito nella caserma, e ammassati in un angolo trovò quattro tra i più pavidi carcerieri che avesse mai visto.
– Le chiavi! – ingiunse Anna, allungando la mano. I quattro non si mossero e la squadrarono con sguardo stolido. – Tra i prigionieri c'è un cavaliere, un uccisore di draghi. E io ho la sua spada. Se volete vivere, datemi quelle dannate chiavi!
A quella spiegazione uno dei quattro sganciò dalla cintura un mazzo di chiavi rugginose e le lanciò sul pavimento. Anna le raccolse e senza dir altro si voltò per uscire. Tutto procedeva secondo i piani.
Non le restava che trovare suo fratello, liberarlo, andarsene con lui e infine convincerlo che il drago era dalla loro parte, che in condizioni normali non mangiava esseri umani ma legno e che quindi non c'era alcun bisogno di fare l'eroe e provare a ucciderlo.

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