giovedì 30 aprile 2020

La Poesia in tasca

 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Steshka Willems da Pexels


Devo ammettere che avevo equivocato. Quando ci avevano detto, alla fine della lezione, di venire la prossima volta con la poesia in tasca, io non avevo capito che quello che l'insegnante intendeva era di portarsi dietro un foglietto con scritti sopra alcuni versi. Così io ero arrivata con in tasca La Poesia, e all'epoca non mi era ancora del tutto chiaro come non fosse una cosa normale essere in grado di farlo. Intendo, racchiudere un'idea astratta in uno spazio concreto e ristretto. Per me non era un compito così difficile, lo avevo già fatto altre volte: avevo tenuto stretto tra le mie mani il Coraggio, nascosto in una buca il Pregiudizio, messo da parte in un bauletto il Tempo per quando me ne sarebbe servito un po' in più; avevo persino afferrato il Pensiero per tenerlo al sicuro, ma ahimè, mi ero scordata dove lo avevo messo. Buffo, considerando che tutto ciò che ricordavo era di averlo accantonato assieme alla Memoria. La Vita era l'unico astratto che mi sfuggiva sempre, nonostante l'avessi rincorsa a lungo, ma quando si arrivava alla Poesia... oh, quello era proprio il mio elemento.
Così, quando l'insegnante cominciò a chiamarci uno per uno e a chiedere al resto della classe di fare delle domande per cercare di indovinare quale poesia avesse in tasca il nostro compagno, io iniziai a sentirmi a disagio, con tutta quella Poesia nella tasca sinistra dei pantaloni che batteva le ali del ritmo dei versi e fioriva in metafore argute per cercare di sprigionarsi nell'aula. Perché la Poesia è così, puoi anche chiuderla nello spazio di una pagina, ma lei cercherà sempre orizzonti più ampi.
E ogni volta che indovinavamo e il compagno di turno ci leggeva i versi che aveva scelto, io la sentivo mutare e adattarsi, farsi rovente e secca come il meriggiare di Montale, lieve e danzante con le giunchiglie di Wordsworth, tintinnare una melodia scrosciante alla pioggia di D'annunzio, abbattersi e lamentarsi assieme al vecchio marinaio di Coleridge, espandersi malinconica nell'infinito di Leopardi, finché non riuscii più a trattenerla e la Poesia si liberò e ci avvolse tutti. E allora riuscimmo a carpire la bellezza di quell'attimo, di quell'essere insieme, lì, ciascuno con le proprie esperienze, e il passato che prima ci opprimeva divenne fonte di meraviglia, e i sogni e gli obiettivi che ponevamo a distanza, negli anni futuri, ci parvero di colpo raggiungibili. D'improvviso parlavamo tutti in versi, come in un'opera di Shakespeare, e con quale padronanza di linguaggio!
I miei compagni frizzavano d'entusiasmo. Quel corso di scrittura creativa stava loro facendo un gran bene, dicevano, se in poche lezioni aveva già sbloccato la loro creatività al punto da saper declamare senza sforzo quelli che di sicuro erano capolavori d'immenso valore, pari forse ai poemi del passato. Nessuno, nel fervore scatenato dalla Poesia che li inebriava come un buon liquore invecchiato, si preoccupò di scrivere una sola quartina.
L'incanto durò finché l'insegnante, che era strabiliata più di tutti dall'improvvisa ispirazione poetica dato che quest'ultima non le faceva visita da un bel po', ebbe la bella idea di aprire la finestra per poter avere il piacere di descrivere a parole la freschezza dell'aria del mattino. Al primo spiraglio di luce la Poesia, allettata da un mondo più vasto della nostra piccola aula, vi s'infilò tutta e sparì senza voltarsi indietro.
Chi era rimasto, quando la Poesia se ne andò, perse ogni parola. Non solo quelle che stava per pronunciare, ma persino quelle già dette fuggirono dalla mente senza lasciare traccia su un foglio di carta.
I miei compagni erano tornati come prima, esseri smarriti alla disperata ricerca di un modo per esprimere il battito confuso della propria anima.
Mi affrettai a sgattaiolare via dalla porta, quatta quatta, prima che potessero rendersi conto che tutto quel trambusto era stato provocato da una musa in incognito tra loro.

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