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Foto di Maris Rhamdani da Pexels
Ero andata di nuovo al circo, anche se non mi ricordavo di essermi mai mossa da casa. Quel luogo inoltre era strano, perché per quanto mi sforzassi non avrei saputo dire dove la compagnia aveva piantato il suo tendone. Forse era in montagna, perché l'aria rarefatta rendeva la mia testa leggera. Ma no, non potevo essere andata così lontano solo per guardare uno spettacolo circense, anche se per loro ne valeva la pena.
Erano tutti artisti fenomenali, acrobati dall'equilibrio e dalla forza impossibili, clown spassosissimi, temerari addestratori di bestie feroci, alle quali spesso non sapevo dare un nome tanto erano esotiche; ma quello che aspettavo con più trepidazione era lui. Lo avevo già visto volteggiare tra i trapezi e lanciare coltelli, e ogni volta mi stupiva esibendosi in una disciplina diversa, eppure era sempre lo stesso e lo avrei saputo riconoscere tra mille. Indossava sempre un completo elegante, guanti bianchi e un cilindro, e il suo volto pallido, forse tinto di bianco dal cerone, era decorato da simboli geometrici attaccati l'uno all'altro che formavano una doppia fila nera sopra e sotto gli occhi, in verticale. Nessun altro artista di quel circo, per quanto apparisse truccato in modo variopinto e stravagante, aveva mai dipinto il volto con il suo stesso disegno, perciò ero sicura di riconoscerlo, anche quando lo vedevo da lontano.
Quella sera, quando finalmente fu il suo turno, mi apparve nel ruolo dell'illusionista, e mi sembrò che fosse il più adatto per lui. Mi era piaciuto vederlo volare leggiadro nell'alto del tendone, e sfoderare un sorriso sfrontato mentre dimostrava una mira infallibile, ma come mago fu fenomenale. Sembrava in grado di estrarre dall'aria carte, colombe, fazzoletti colorati e perfino grandi cerchi di metallo, impossibili da nascondere in una manica. Io restavo a guardarlo a bocca aperta mentre tutti gli altri applaudivano, continuamente sorpresa dalla velocità con cui eseguiva un trucco dopo l'altro. Poi fece apparire dal nulla delle bolas che si incendiarono a un suo schiocco di dita, e iniziò a farle ruotare attorno a sé, creando un perfetto cerchio di fiamme che sprizzava scintille. E proprio quando stavo pensando che questo, rispetto a tutto il resto di quel che aveva fatto, era fin troppo normale, perfettamente spiegabile come un'illusione data dalla velocità delle sfere incendiate, lui fermò il movimento delle braccia e lanciò in aria le bolas, facendole svanire in una pioggia di coriandoli, ma l'impossibile cerchio infuocato rimase nitidamente disegnato attorno a lui, illuminando il suo volto pallido di bagliori sanguigni.
Il mago sorrise, fece un passo in avanti per attraversare il cerchio di fiamme, e all'improvviso tutto si spense nel buio. Dalla platea si levò un sospiro sorpreso, che mutò in un mormorio quando l'istante successivo i fari si accesero sulla pista vuota. Prima che potessi chiedermi dove fosse finito, eccolo venire giù dal camminamento inclinato che io stessa avevo percorso per trovare un posto a sedere sulle gradinate. Dovetti voltarmi indietro per vederlo venir giù all'interno di una enorme ruota, alta il doppio di lui. Ma prima che potesse raggiungere la pista, con appena un tocco delle dita sui raggi della ruota fece aprire da ambo i lati un ventaglio che ne oscurava uno spicchio, e al giro successivo in cui quella copertura lo celò ai nostri occhi, il mago sparì, lasciando la ruota a rotolare da sola fino al bordo pista, dove due assistenti la fermarono, si guardarono attorno, e scossero la testa. Apparivano tanto increduli quanto noi del pubblico, ma sapevo che doveva trattarsi di una recita. Uno dei due alla fine puntò un dito in alto, e un faro illuminò la piattaforma del trapezio, rivelando il mago che si tolse il cilindro in un gesto di saluto, aprì un ombrello, e fece un passo nel vuoto, fluttuando dolcemente fino a metà strada da terra prima di sparire in un'altra pioggia di coriandoli, lasciando solo l'ombrello a finire di planare al centro pista. Ero estasiata dalla meraviglia, e non feci in tempo a chiedermi come facesse che lui era già ricomparso da un altro lato, in mezzo al pubblico. Dopo un altro paio di rapide apparizioni e sparizioni accompagnate da trucchi molto scenografici, che mi lasciarono a chiedermi quanti assistenti truccati con il suo riconoscibilissimo disegno avesse a sua disposizione per prendere il suo posto da un lato all'altro del circo, il mago riapparve all'interno di un acquario, circondato da incredibili pesci color arcobaleno, le pinne come lunghi nastri fluttuanti di seta, e ne uscì infine completamente asciutto. Le sue scarpe non lasciarono impronte umide sulla sabbia della pista, i suoi vestiti nonI gocciolavano quando salutò il pubblico con una riverenza, e rimase il tempo necessario per prendersi un applauso.
I numeri degli altri artisti proseguirono come da programma, ma nessuno attrasse la mia attenzione come aveva fatto il giovane mago dal cappello a cilindro e il volto dipinto, e mi sorpresi spesso a distrarmi pensando a lui.
Al termine dello spettacolo accadde una cosa inaspettata, qualcosa che non era mai successo prima. Proprio mentre mi stavo accodando agli altri spettatori per uscire, il mago mi prese per un gomito e mi condusse verso un'uscita secondaria. Ero talmente sorpresa dalla sua apparizione improvvisa al mio fianco, come fosse stato un altro dei suoi trucchi, che non protestai e non feci resistenza quando mi allontanò dalla folla.
– Che cosa vuoi da me? – mi chiese lui, non appena fummo usciti sotto un cielo risplendente di stelle. La sua voce aveva un timbro musicale, quasi etereo lo avrei definito, nonostante il tono brusco e ostile con cui aveva pronunciato quelle parole. Era magico, come tutto il resto di lui. E c'era di più.
Da lontano non avevo potuto vederli, ma lì, a pochi passi da lui, riuscivo a scorgere i suoi occhi ancora ornati dai disegni geometrici del trucco, illuminati dalla luce che veniva dallo spiraglio del lembo scostato di tendone da cui eravamo usciti. Se mi avessero chiesto di che colore fossero stati quegli occhi, non avrei saputo dirlo. Perché i suoi occhi erano di tutti i colori, iridescenti come un arcobaleno.
Presa alla sprovvista dalla domanda e dalla sua vicinanza che mi lasciava senza parole, mugolai un "eh?" piuttosto stordito.
– Continui a venire qui – mi incalzò il mago. – Mi fissi dall'inizio alla fine del mio numero, non ti perdi una mossa di quello che faccio mentre nemmeno li guardavi gli altri quando mi esibisco in gruppo e... ho saputo che oggi hai chiesto di me, all'ingresso. Dunque, che cosa sei venuta a fare? Sei qui per spiarmi? Chi ti ha mandato?
– Oh... – mormorai, e sotto quella sequela di domande mi si schiarirono un po' le idee, tanto da riuscire a rispondergli: – Spiarti? No, guarda che io non sono qui per scoprire i tuoi trucchi, non faccio questo mestiere. Sono una spettatrice come gli altri, e se continuo a tornare, se guardo te più di tutti, se ho chiesto se c'eri anche oggi, è perché non so se tu te ne rendi conto, forse sì visto che hai paura che qualcuno possa rubarti i segreti del mestiere, ma sei bravo, sei proprio davvero bravo...
Le mie ultime parole di quel discorso concitato e sconnesso si spensero in un mormorio confuso.
Il mago esalò un sospiro, e lo vidi rilassarsi, e solo allora capii quanto fosse stato teso prima.
– Perdonami, se ti ho trattato male. – Per un istante chiuse gli occhi, quei suoi bellissimi impossibili occhi d'arcobaleno, riempiendomi di rammarico. – È solo che... non se ne vedono tanti come te, qui. Non come visitatori ricorrenti, almeno.
– Tanti come me? – ripetei le sue parole, dubbiosa.
Il mago annuì. – Non ti sei guardata attorno, in platea? Non hai visto che gli altri spettatori erano un po'... diversi?
Lo fissai senza capire.
– Almeno, lo sai dove sei? – chiese ancora il mago.
Questa era una domanda facile, o almeno lo sembrava. – Al circo – risposi, ma mi riprese quel dubbio di non sapere esattamente dove si fosse impiantato il tendone. Era come se tutto girasse in cerchio tra sapere e non sapere, e l'oscurità che ci circondava non mi offriva alcun indizio.
– Ah, non importa – fece il mago in quel suo timbro musicale, e tracciò con le dita guantate in aria un cerchio che sembrò illuminarsi per un istante, prima di sciogliersi a terra come polvere argentata.
Mi sembrò incredibile che avesse improvvisato uno dei suoi trucchi solo per me, e così da vicino. Mi sentii all'improvviso molto fortunata di avergli potuto parlare. – Posso chiederti una cosa? – azzardai, e a un suo cenno affermativo, proseguii: – Perché i cerchi? Insomma, il tuo spettacolo di oggi ne era pieno, e anche le altre volte, ce n'è sempre qualcuno nei tuoi numeri...
Il mago rise. – Di tutte le cose che puoi chiedermi, ti interessa questo?
Feci spallucce. Non volevo chiedergli di spiegarmi i suoi trucchi, non dopo che aveva fatto tutta quella storia, e per chiedergli il suo numero era ancora presto.
– E va bene – concesse infine il mago. – Perché il cerchio? Perché è la forma più perfetta mai immaginata dal creatore di tutto ciò che esiste, molto tempo fa, prima che immaginasse te.
Il mago sollevò una mano guantata a sfiorarmi una guancia, e alle sue parole e al calore del suo tocco il mio cuore corse più veloce. Per un attimo mi sembrò che si fosse avvicinato: vidi i suoi occhi d'arcobaleno farsi più grandi, e il suo volto mi parve a un palmo dal mio. Ma poi si fece indietro, e io non seppi mai se stava flirtando con me o se la sua era solo una sfortunata scelta di parole.
– Ti stai svegliando – disse il mago, e prima che potesse aggiungere altro mi ritrovai sdraiata al buio, nel mio letto.
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