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A Cinde capitava spesso di dover accettare i lavori più strambi che ci fossero sul mercato pur di mandare avanti la baracca. Gestire un'astronave, pure una piccola come la loro, non era affatto economico, e come aveva scoperto a sue spese, a tardare una riparazione o a lesinare sul carburante si correva il rischio di ficcarsi in situazioni niente affatto piacevoli. Perciò, quando le era stata offerta una cifra spropositata in cambio del recupero di un campione sportivo rapito, Cinde non se lo era fatto ripetere due volte e aveva accettato l'incarico.
–...dai pirati spaziali – brontolò Handel, che cullava come fosse stato un bimbo il suo inseparabile fucile a impulsi, rannicchiato assieme agli altri due componenti dell'equipaggio nel basso corridoio di manutenzione della sala motori. – Rapito dai pirati spaziali. Questo almeno avrebbero potuto dircelo.
– Era un dato di fatto che a rapirlo fossero stati dei criminali – replicò Mod. Il tono pacato dell'Arturiano quasi non si udì nel fastidioso ronzio che faceva vibrare l'aria nel ventre dell'enorme nave. – E incrociando i dati con le ultime sparizioni di sportivi professionisti e amatoriali segnalate...
– Va bene, cervellone di rettile – tagliò corto Handel. – Non serve che tu mi spieghi di nuovo come sei riuscito a trovare questo rottame di nave.
Mod fece uno scatto di lato con la testa e puntò gli occhi da serpente su Handel. – No, non serve, se non lo hai capito la prima volta.
– Piantatela, voi due – sibilò Cinde, di ritorno da un'esplorazione in avanscoperta. Era una bella donna fasciata in una tuta bianca aderente, la più bassa del trio composto da un massiccio ex militare o mercenario abbigliato in nero, e un Arturiano allampanato che a parte gli occhi, le mani dalle quattro lunghe dita e le squame sul collo non sembrava affatto diverso da un essere umano.
Handel smise subito di battibeccare con Mod e le strisciò più vicino, restando carponi. – Ce l'hai?
Cinde aprì la mano e fece dondolare sotto il suo palmo quello che sembrava un pezzo di metallo contorto che terminava in una placchetta, appeso a una catenella. Non aveva bisogno di dire che quella era la chiave che cercavano. – Ve l'ho detto che non avrebbero sparato a una donna, e Mod... grazie per quell'induttore di sonno, ha funzionato all'istante proprio come avevi promesso. Ora avanti, sbrighiamoci a recuperare il pacco e ad andarcene da qui.
Senza aggiungere altro, Cinde li oltrepassò nello stretto corridoio di manutenzione e si avviò in direzione opposta rispetto a quella da cui era venuta, destreggiandosi in una selva di cavi e tubi che di diramavano e si incrociavano tutto attorno. La seguiva Mod, che Handel aveva lasciato passare invitandolo con un cenno della mano, e infine Handel, che preferiva non avere l'Arturiano alle spalle nonostante ormai facessero parte dello stesso equipaggio da diverso tempo e avessero condiviso più di una avventura.
Il ronzio crebbe d'intensità a mano a mano che il trio proseguiva lungo il corridoio, e all'onnipresente vibrazione cupa si aggiunsero cigolii sinistri, e sbuffi di vapore che sfiatava dalle valvole. Cinde si fermò accanto a una botola sul pavimento e usò la chiave per aprirla. Una scaletta conduceva al corridoio inferiore, molto più ampio e alto, tanto che Handel e Mod non furono più costretti a camminare accucciati.
Nel nuovo ambiente, l'aria era densa e irrespirabile.
– Che odore! – si lamentò subito Cinde, tappandosi il naso e la bocca con una mano.
Mod non fece commenti, ma da come arricciò le labbra sui denti almeno per una frazione di secondo si capiva quanto anche l'Arturiano, solitamente impassibile, fosse infastidito.
Handel invece si stiracchiò e respirò a pieni polmoni, prima di commentare: – Ah, il buon vecchio tanfo di un motore a sudorazione! Navi come questa non ne costruiscono più di questi tempi!
– E meno male – biascicò Cinde. – Coraggio. Il nostro obiettivo è il motore numero 86.
Sfilarono oltre le numerose porte chiuse che li affiancavano da un lato e dall'altro del corridoio, ciascuna contrassegnata da un numero in un linguaggio che solo Mod era in grado di interpretare. Su alcune di quelle porte si apriva un oblò dal quale era possibile scorgere un esemplare muscoloso di una delle molte razze che abitavano l'universo conosciuto, intenti a svolgere ogni sorta di esercizio fisico con gli occhi socchiusi dal sonno ipnotico. Ventose e tubi collegati ai loro corpi risucchiavano il sudore per convogliarlo nei meandri meccanici della sala motori.
L'Arturiano e la capitana Cinde proseguivano in rigoroso silenzio, con i sensi in allerta; ma Handel non si tratteneva dal commentare tutto ciò che gli passava per la testa, sbirciando i numerosi atleti rapiti dagli oblò: – Toh, mi chiedevo se questo si fosse ritirato, e invece è finito qui... oooh, questo tizio mi ha fatto perdere una scommessa, ben ti sta mezza calzetta! Ma guarda un po', è fisicamente possibile per un Merakiano piegarsi in questo modo, non lo sapevo...
Solo quando Mod annunciò: – Ci siamo – Handel fece silenzio e si diede un contegno più professionale.
Si fermarono tutti e tre davanti alla porta del motore numero 86. Cinde si fece avanti e la aprì con la chiave universale che si era procurata nel precedente incontro con un membro dell'equipaggio.
Un'ondata di vapori mefitici filtrò dall'anta socchiusa nel corridoio, costringendola a trattenere un conato di vomito. Dentro una minuscola stanzetta, in un bagno di sudore, il campione della squadra di punta di Nuova Aldebaran si impegnava al massimo in una lunga serie di flessioni, almeno a giudicare dal numero a sei cifre a cui era arrivato a contare.
– Handel, prendilo e filiamocela – ordinò Cinde, che nonostante il calore emanato dai numerosi "motori" in quella zona della nave si sentì raggelare quando una voce stridente la apostrofò alle sue spalle, levandosi sopra il ronzio continuo dei macchinari.
– Non così in fretta, clandestini.
Cinde si girò e scorse una dozzina di pirati che affollavano il corridoio, e in mezzo a loro, anche quello che pensava di avere messo a nanna per un tempo sufficientemente lungo da permetterle di agire indisturbata.
Quello che pareva il capo tra loro indicò Handel e disse in tono beffardo. – Grazie per averci consegnato un nuovo motore. Quanto a voialtri due... i fattorini non ci servono, potete pure ucciderli.
A quelle parole Handel imbracciò il fucile a impulsi con aria tanto feroce che i pirati spaziali armati solo di coltellacci esitarono ad avvicinarglisi, ma Cinde lo avvisò: – Non in questa parte della nave! Vuoi ferire qualcuno dei motori o ancora peggio, bucare lo scafo?
Handel grugnì di frustrazione nell'abbassare il fucile a impulsi. Era raro che non bastasse il suo intervento e qualche esplosione di particelle a impulsi a tirare fuori Cinde e Mod da una delle situazioni assurde in cui si andavano spesso a cacciare. Lì, però, aveva le mani legate.
A quel punto, Mod si fece avanti. – Posso, capitano?
Cinde fece spallucce. – Tutti tuoi.
Il manipolo di pirati si mise a sghignazzare nel vedere l'esile Arturiano disarmato che veniva loro incontro. L'eterogeneo equipaggio della nave pirata contava membri appartenenti a razze diverse provenienti da svariati pianeti, ma tra loro non doveva esserci alcun Arturiano, valutò Cinde, o avrebbero preso seriamente la minaccia che Mod rappresentava.
L'Arturiano scattò prima che avessero smesso di ridere. Tra colpi di arti marziali arturiane, schivate fulminee e lanci delle lame sottratte alle mani dei pirati, in pochi secondi fu tutto finito.
Handel fischiò. – Cervellone da lucertola, ti muovi bene per essere un rettile.
– Potrei mostrarti quanto – insinuò l'Arturiano, tornato alla sua consueta impassibilità al termine della lotta con i pirati. – Se io e il capitano non avessimo bisogno di una bestia da soma per portare fuori di qui il... "pacco".
Handel fece per ribattere, ma Cinde si intromise tra i due: – Smettetela. Abbiamo un lavoro da fare. Portiamolo a termine, poi potrete punzecchiarvi quanto volete.
Mugugnando, Handel entrò nel vano dello stremato motore numero 86 e cominciò a staccarlo dai macchinari, seguendo passo passo, seppur di malavoglia, le istruzioni dell'Arturiano.
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